Apre al museo Archeologico nazionale di Aquileia la mostra “Volti di Palmira ad Aquileia”, terza tappa del ciclo “Archeologia ferita”, la prima dedicata in Europa alla città siriana dopo le distruzioni perpetrate dall’Isis: l’eleganza e la ricchezza degli antichi palmireni a confronto con i ritratti degli antichi aquileiesi

La distruzione del tempio di Baal Shimin a Palmira, patrimonio dell’Unesco, da parte dei miliziani dell’Isis

L’archeologo siriano Khaled Asaad, decapitato dall’Isis il 18 agosto 2015

Il manifesto della mostra “Il Bardo ad Aquileia” nel museo di Aquileia

La mostra “Leoni e tori dall’antica Persia ad Aquileia”: ne parla Carlo Cereti

Le nuvole di fumo e polvere e gli echi delle detonazioni che avvolgono quel che resta dell’imponente tempio di Bel, dell’austero castello medievale, dell’elegante tetrapilo, del prezioso tempio di Baal-Shamin, dello slanciato arco trionfale, dell’articolata scena del teatro antico sono ancora davanti ai nostri occhi, increduli di fronte a tanta violenta follia dei miliziani dell’Isis decisi a distruggere i monumenti più famosi di Palmira. E continuiamo a commuoverci per il sacrificio supremo del custode più fedele di Palmira, l’archeologo Khaled Asaad, trucidato il 18 agosto 2015 per essersi rifiutato di lasciare la città e collaborare con i jihadisti. La “città delle palme”, la “sposa del deserto”, la “Venezia delle sabbie”, come era chiamata Palmira nelle varie epoche, rappresenta l’esempio più eclatante, e per questo più doloroso, del sistematico tentativo da parte dell’Isis di annientare l’altro (sia esso inteso come il regime di Assad, o come l’Occidente crociato, o come l’Islam meno ortodosso), attraverso la distruzione della sua cultura, del suo patrimonio, delle vestigia più lontane e profonde che ci hanno reso ciò che siamo e che pensiamo, nel tentativo di attuare una “pulizia etnica”, come la definisce Irina Bokova, direttore generale dell’Unesco, specchio delle peggiori pulizie etniche. Non meraviglia quindi che, dopo il museo del Bardo di Tunisi (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2016/01/03/archeologia-ferita-il-museo-di-aquileia-apre-le-porte-ai-reperti-da-musei-e-siti-colpiti-dai-terroristi-prima-tappa-otto-capolavori-dal-museo-del-bardo-di-tunisi/) e del museo archeologico Iran Bastan di Teheran (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2016/06/22/archeologia-ferita-leoni-e-tori-dallantica-persia-ad-aquileia-in-mostra-allarcheologico-capolavori-achemenidi-e-sasanidi-da-persepoli-e-dal-museo-di-teheran-per-l/), Aquileia dedichi proprio a Palmira la terza tappa del progetto espositivo “Archeologia ferita”, per celebrare la città siriana come simbolo di resistenza dagli attacchi al patrimonio culturale mondiale.

Busto muliebre da sarcofago palmireno conservato al Terra Sancta Museum di Gerusalemme (foto Gianluca Baronchelli)

Il manifesto della mostra “Volti di Palmira ad Aquileia” al museo Archeologico nazionale di Aquileia

Apre il 2 luglio 2017 al museo Archeologico nazionale di Aquileia, dove sarà visitabile fino al 3 ottobre 2017, la mostra “Volti di Palmira ad Aquileia”, la prima dedicata in Europa alla città dopo le distruzioni recentemente perpetrate. L’esposizione, a cura di Marta Novello e Cristiano Tiussi, nata dalla collaborazione tra la fondazione Aquileia e il polo museale del Friuli Venezia Giulia – museo Archeologico nazionale di Aquileia, gode del patrocinio della commissione nazionale italiana per l’Unesco, del ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo e del ministero degli Affari esteri e Cooperazione internazionale. Grazie ai sedici prestiti originari di Palmira concessi dal Terra Sancta Museum di Gerusalemme, dai musei Vaticani, dai musei Capitolini, dal museo delle Civiltà – collezioni di Arte orientale “Giuseppe Tucci”, dal museo di Scultura antica “Giovanni Barracco”, dal civico museo Archeologico di Milano e da una collezione privata, raccoglie sedici pezzi originari di Palmira – alcuni dei quali riuniti per la prima volta dopo la loro dispersione nelle collezioni occidentali – e agli otto da Aquileia la mostra “Volti di Palmira ad Aquileia” vuole dimostrare, pur nella distanza geografica e stilistico-formale, il medesimo sostrato culturale che accomuna le due città, mediante l’utilizzo di modelli autorappresentativi e formule iconografiche affini. “Questa mostra”, interviene il presidente della fondazione Aquileia, Antonio Zanardi Landi, “al di là del suo notevole valore artistico, ha anche un chiaro fine politico: richiamare l’attenzione sui luoghi che sono il nucleo centrale della nostra civiltà, oggi teatro di conflitti e devastazioni”. L’esposizione ha costituito, inoltre, l’occasione per restaurare i reperti concessi in prestito dalla Custodia di Terra Sancta, con un intervento finanziato e coordinato dal Polo museale del Friuli Venezia Giulia che, alla conclusone della mostra, restituirà i rilievi pronti per la loro esposizione nel nuovo allestimento del Terra Sancta Museum.

Stele romana con coppia di coniugi conservata al museo Archeologico nazionale di Aquileia (foto Gianluca Baronchelli)

“Sia Palmira che Aquileia erano luoghi di tolleranza e fruttuosa convivenza tra culture e religioni diverse”, sottolineano Antonio Zanardi Landi e Cristiano Tiussi, rispettivamente presidente e direttore della Fondazione Aquileia, “oltre a esser testimoni che diciotto secoli fa il Mediterraneo costituiva un’unità integrata non solo dal punto di vista dei commerci, ma anche di quello della circolazione delle idee e dei canoni artistici e narrativi”. Per Marta Novello, direttrice del museo Archeologico nazionale di Aquileia, e Luca Caburlotto, direttore del Polo Museale del Friuli Venezia Giulia, il fine della mostra è anche quello di far emergere “quell’unità culturale che attraverso la contaminazione di modelli eterogenei, nelle pur diverse espressioni formali, costituì la peculiarità del mondo romano e sulla quale si vuole porre l’accento, attraverso il gioco di sguardi che l’allestimento contribuisce a sottolineare, per superare le ferite che ormai già troppe volte in questi ultimi anni sono state inflitte al patrimonio culturale universale”. Palmira era città carovaniera che “sviluppò l’arte del commercio, vendendo ai romani quei beni di lusso che comprava dai persiani e che provenivano dalle lontane India e Arabia”, come scrive nella prefazione del catalogo Debora Serracchiani, presidente della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia. “Incenso, mirra, pepe, avorio, perle e stoffe che venivano scambiati per grano, vino, olio e garum. Gli scambi con il mondo diedero un carattere particolarissimo, aperto e cosmopolita a quest’oasi aramaica, proprio come secoli dopo plasmarono il carattere di Venezia”. Anche Aquileia era città di commerci e di confine, porta verso Oriente dell’Impero Romano, e anche “Porta da Oriente”, visto che proprio via Aquileia raggiunsero Roma contaminazioni orientali che ebbero influssi profondi sull’Impero Romano in termini di idee, canoni artistici e sensibilità. Se il grande, e temuto, vicino di Palmira era la Persia, il grande vicino di Aquileia erano i popoli barbarici.

Rilievo funerario palmireno conservato al museo Barracco di Roma

La mostra vuole far conoscere al mondo contemporaneo gli antichi palmireni, indicandone mansioni e ruoli. Il carattere di Palmira, vivace crocevia di idee, aspirazioni, usi e costumi, di correnti formali e stilistiche locali, orientali, ma anche greche e romane, ha dato infatti forma all’immagine che i suoi abitanti hanno voluto fare e lasciare di sé, consegnandola all’eternità attraverso i loro monumenti funerari. Fra i materiali maggiormente significativi dell’arte palmirena, i rilievi funerari rivestono un ruolo di grande importanza nell’affermazione della fama mondiale della città. Grazie alla diffusione di questi originali reperti, gli antichi cittadini di Palmira, “con i loro volti, i loro abiti e i loro gioielli”, per usare le parole del famoso archeologo francese Paul Veyne, sono diventati ora “cittadini del mondo”. Un esempio di questa forte individualità è la raffinata testa proveniente dai musei Vaticani, in cui la mansione di sacerdote è riconoscibile dal copricapo tronco-conico (modius) considerato proprio dei sacerdoti di Bel, o la testa che arriva dalla Custodia di Terra Santa ornata da una corona di foglie e bacche di alloro fissata da un medaglione. “Anche commercianti o funzionari della pubblica amministrazione”, ricordano i curatori della mostra, “sono presenti nelle sale del museo Archeologico nazionale di Aquileia, appositamente riallestite, riconoscibili da un foglietto di papiro nella mano sinistra, come il rilievo del Salamallat da Gerusalemme o quello di Makkai da collezione privata. Senza parlare del celebre universo femminile di Palmira – di cui l’illuminata regina Zenobia, colei che osò sfidare l’autorità di Roma marciando sulla capitale dell’Impero, non è che l’epigona – benissimo rappresentato nella mostra da cinque dame elegantemente vestite e acconciate”. Come Charles Baudelaire, che magnificò nel suo poema I fiori del Male i gioielli di Palmira, il visitatore della mostra – assicurano alla fondazione Aquileia – non potrà che rimanere incantato davanti all’originalità e alla ricchezza degli ornamenti delle donne palmirene, abituate a sfoggiare più bracciali simultaneamente, fibulae e diademi, e anelli su tutte le parti delle dita, come nel magnifico rilievo dal museo Barracco, dove il monile è indossato sulla falangina del mignolo sinistro. Altrettanto curioso è il pendente dello stesso rilievo, un gioiello a forma di campana agganciato a un bracciale a torciglione, un amuleto diffuso in tutta la Siria romana.

Il ritratto di Batmalkû e Hairan sul rilievo funerario palmireno conservato al museo Tucci di Roma

“Che Palmira fosse un ricco crocevia di culture”, continuano Novello e Tiussi, “è immediatamente riscontrabile dall’abbigliamento dei suoi cittadini rappresentati in mostra nella splendida lastra del museo Tucci, dove la figura femminile è vestita alla greca con il chiton (tunica) e l’himation (mantello), e i capelli acconciati da un turbante con un velo trattenuto da un prezioso diadema di cui si percepisce ancora chiaramente l’originaria splendida policromia, mentre il fanciullo ritratto poco più in alto è abbigliato alla moda partica, con una tunica al ginocchio con galloni dipinti, orlo svasato alle estremità e pantaloni a sbuffo. Pur a fronte dei caratteri spiccatamente orientali e della rigida frontalità che li contraddistinguono, i rilievi palmireni condividono forme e modalità di auto-rappresentazione comuni a tutto l’Impero romano. L’occhio più attento potrà così notare la diversità di stili, e le abitudini simili, così come la comune scarsa caratterizzazione fisionomica dei volti: gli aquileiesi appaiono modesti, quasi schivi a confronto degli abitanti di Palmira, che trasmettono invece un senso di sicurezza e di compiacenza dovuto anche alla compattezza e impenetrabilità tipica dell’arte provinciale e in particolare orientale. Si potrà ammirare l’inconfondibile stile scultoreo caratteristico delle botteghe palmirene, che quasi ritaglia nella materia in modo minuzioso i dettagli decorativi, in modo grafico, poco profondo e molto efficace”.

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