A Licodia Eubea, in Sicilia, la quinta Rassegna del Documentario e della Comunicazione archeologica con focus sulla musica nel mondo antico: 18 film, 4 incontri, due premi, laboratori, visite guidate

Il manifesto della quinta rassegna del Documentario e della Comunicazione archeologica di Licodia Eubea (Catania)
La musica nel mondo antico è il tema della V rassegna del Documentario e della Comunicazione archeologica di Licodia Eubea, in provincia di Catania, dal 22 al 25 ottobre 2015, importante punto di riferimento nel territorio, per gli operatori del settore come documentaristi, case di produzione, studiosi e archeologi, e per il grande pubblico, contribuendo a “comunicare” l’archeologia ed a rendere attraente e “vicino” il lavoro dell’archeologo. “La musica nel mondo antico è un tema tanto complesso quanto affascinante, dal momento che la vita stessa dell’uomo è sempre stata scandita da suoni e vibrazioni musicali, e lo è ancora oggi”, spiegano Alessandra Cilio e Lorenzo Daniele, direttori artistici della rassegna. “Difficile immaginare un passato muto: sarebbe come immaginare il mondo antico in bianco e nero, quando lo sappiamo denso di colori e sfumature. Simona Rafanelli, direttrice del museo Archeologico Isidoro Falchi di Vetulonia, e Giuseppe Severini, liutaio esperto in storia della musica, ci offriranno una sintesi dei numerosi progressi compiuti dagli studi sulla comprensione e ricostruzione della musica antica negli ultimi anni, incantandoci con il fascino di suoni che credevamo persi negli eoni del tempo”.
Il programma della V rassegna di Licodia Eubea si preannuncia molto ricco: diciotto filmati, quattro incontri di archeologia con ospiti d’eccezione (tra cui la regista e conduttrice televisiva Syusy Blady, il direttore della rassegna internazionale del cinema archeologico di Rovereto Dario di Blasi, la regista Giovanna Bongiorno e lo storico del cinema Sebastiano Gesù) tutti coordinati dal direttore artistico Alessandra Cilio, due premi, laboratori, visite guidate alla scoperta del territorio ed ancora una mostra fotografica ed una sezione dedicata ai ragazzi. La rassegna del Documentario e della Comunicazione archeologica è organizzata nell’ex chiesa di S. Benedetto e S. Chiara, suggestivo edificio storico nel cuore del paese, da Archeoclub d’Italia di Licodia Eubea “Mario Di Benedetto” e da Fine Art Produzioni insieme alla Scuola di Specializzazione in Beni archeologici di Catania con il patrocinio del Mibact, della soprintendenza ai Beni culturali e ambientali di Catania e della Rassegna del Cinema Archeologico di Rovereto. Ma alla rassegna si parlerà anche dei nuovi linguaggi adottati nella comunicazione archeologica e del ruolo del volontariato nell’ambito dei beni culturali, “argomenti solo apparentemente distanti – interviene Cilio – giacché entrambi perseguono un obiettivo comune: un sempre più diretto coinvolgimento della società nella conoscenza della nostra memoria storica”. Davide Tanasi, professore di Studi classici e Archeologia all’Arcadia University di Siracusa, parlerà di computer grafica e digital storytelling e ancora si parlerà del ruolo del volontariato nella valorizzazione e tutela del patrimonio culturale insieme ad Alessandra Mirabella, presidentessa dell’Archeoclub d’Italia di Aidone.
“Il programma di quest’anno”, spiegano ancora Cilio e Daniele, “prevede una prevalenza di film italiani: questo ci fa particolarmente piacere, non per spirito di campanilismo ma perché nel Bel Paese qualcosa finalmente si muove sul fronte della produzione audiovisiva archeologica”. Per esempio, giovedì 22 ottobre 2015 il palinsesto propone “Pompei. Una storia sepolta” di Maria Chiffi; venerdì 23 ottobre, “La città di Posidonia, Paestum” di Franco Viviani; sabato 24 ottobre, “L’alba degli etruschi. Aspetti e testimonianze della cultura villanoviana” di Corrado Re, e “The lost sound. Il suono perduto” di Elena Alessia Negriolli. Anche stavolta ci sarà una finestra sulla documentaristica siciliana in memoria di Francesco Alliata, uno dei grandi pionieri di questo settore a livello internazionale: “Agrigentum. Storia e archeologia della città romana” di Corrieri e Sanfilippo (23 ottobre); “Storie sepolte. Riti, culti e vita quotidiana all’alba del IV millennio a.C.” di Nicolangelo De Bellis (24 ottobre); “Le acque segrete di Palermo” di Stefania Casini (25 ottobre). Nello Correale, regista e direttore del Festival Internazionale Cinema di Frontiera aprirà una “finestra” sul documentario siciliano e presenterà “La voce di Rosa”, proiezione fuori concorso dedicata alla figura della celebre cantante siciliana Rosa Balistreri. Fuori concorso sarà anche il docufilm “Un giorno la storia passò dal Parco dell’Etna”, e “Tà gynaikeia. Cose di donne”, appena insignito della menzione speciale Archeoblogger 2015 alla Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico di Rovereto (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2015/10/15/ta-gynaikeia-cose-di-donne-di-alessandra-cilio-vince-il-premio-archeoblogger-vera-novita-della-xxvi-rassegna-internazionale-del-cinema-archeologico-di-rovereto-incarna-il/).
Ritorna anche quest’anno il premio “Antonino Di Vita”, istituito in onore dell’illustre professore, archeologo di fama internazionale e appassionato comunicatore fortemente legato al piccolo borgo licodiano. Il premio viene annualmente riconosciuto a quanti abbiano speso la propria vita professionale nella promozione della conoscenza del patrimonio culturale, in particolare attraverso l’uso del mezzo cinematografico. Durante la serata finale verrà inoltre assegnato il premio “Archeoclub D’Italia” al film che avrà ottenuto maggiori consensi dal pubblico della Rassegna. Per tutta la durata della manifestazione sarà possibile visitare la mostra fotografica “La pittura romana a Sabratha (Libia)” a cura dell’università di Macerata.
“Tà gynaikeia. Cose di donne” di Alessandra Cilio vince il premio Archeoblogger, vera novità della XXVI rassegna internazionale del cinema archeologico di Rovereto: “Incarna il senso di fare ricerca archeologica oggi”

XXVI rassegna internazionale del cinema archeologico di Rovereto: Antonia Falcone legge ad Alessandra Cilio la motivazione del premio Archeoblogger al film “Tà gynaikeia. Cose di donne””
Il regista Lorenzo Daniele lo ha intitolato “Cose di donne” perché di donne si parla nel film della FineArtProduzioni presentato nella sezione “Archeologia & Etnografia” della XXVI rassegna internazionale del cinema archeologico di Rovereto, film che non è sfuggito all’attento pubblico che lo ha votato come secondo miglior film del percorso parallelo alle proiezioni principali. Forse quelle storie di donne (una fotografa vicina all’ottantina, una carismatica enologa, un’anziana educatrice, una popolare scrittrice, una giovane archeologa, una famosa attrice) hanno fatto propendere gli organizzatori della rassegna più per il film etnografico che per il documento archeologico. Eppure quel termine “greco”, “Tà gynaikeia” che completa il titolo del film, avrebbe dovuto per lo meno insospettire che dietro quelle storie di donen dei giorni nostri ci fossero storie ben più antiche, che affondano nelle radici e nel mito della Sicilia. Un passaggio colto dai giovani e agguerriti archeoblogger del gruppo “Archeologi al cinema” che – vera novità della XXVI rassegna di Rovereto – hanno proposto di istituire un premio speciale, una menzione degli archeoblogger, e si sono visti tutto il centinaio di film in programma, scegliendo e premiando proprio “Tà gynaikeia. Cose di donne”. Il premio è stato consegnato sul palco dell’auditorium Melotti di Rovereto da Antonia Falcone, archeoblogger del sito Professione archeologo, a un’altra donna, tanto per restare in tema, la giovane archeologa Alessandra Cilio che del film è la consulente scientifica. E le motivazioni sono particolarmente impegnative: “Dal passato prossimo al passato remoto. Un viaggio al contrario che guarda a tutto tondo al mondo femminile. Per noi questo è Cose di Donne. Ci è piaciuto il suo sguardo innovativo sul passato, che percepisce la storia come patrimonio condiviso. I ricordi personali delle protagoniste rischiarano di una luce contemporanea, forte e capace di suscitare grande empatia, le testimonianze dei resti archeologici che si scrollano di dosso la loro polvere secolare e divengono vivi e attuali, comprensibili, segni tangibili di vite reali. Il documentario diventa così una storia corale, di ricerca e sacrificio, una continua domanda di senso, una riflessione aperta sulla donna di ieri e di oggi. Lo abbiamo molto amato: come archeologi e comunicatori crediamo che Cose di Donne rappresenti bene il senso di fare ricerca archeologica oggi ed incarni perfettamente le ragioni per cui la conservazione e la tutela del nostro patrimonio culturale sono di fondamentale importanza per la definizione stessa della nostra identità di cittadini e di società”.

In “Tà gynaikeia” le donne sono protagoniste nei panni di divinità, di numi tutelari, ma anche semplici figlie, spose e madri, fedeli devote
Ma cerchiamo di saperne di più di questo film prodotto nel 2015 dalla casa di produzioni cinematografiche di Augusta (Sr) “Fine Art Produzioni srl”, cofinanziato dalla Film Commission della Regione Sicilia, con la collaborazione della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici dell’università degli studi di Catania. Cosa lega queste figure tra loro? “Il fatto di essere donne. E quello di essere siciliane”, risponde Alessandra Cilio, vera anima del film di cui ha curato i testi. “Che si tratti di volti noti al pubblico o meno, il rapporto che ciascuna di esse ha costruito con i suoi luoghi d’origine è esclusivo e personale. Sono storie soggettive, le loro, e come tali uniche e irripetibili. Storie personali, diverse l’una dall’altra, rivolte ora al passato, ora al futuro. Eppure, questi frammenti insieme, costruiscono un unico racconto, che porta con sé un’eredità comune, quella dell’essere femmine in Sicilia, un luogo che, nel suo concedersi e negarsi, nella sua capacità di nutrire e allevare, nel suo essere amabile e odiosa al tempo stesso, mostra una natura tutta femminile. Lo testimonia la grande varietà di miti, leggende e culti legati all’universo femminile, che nel tempo si sono avvicendati e in parte sovrapposti, divenendo elemento di coesione per tutte quelle popolazioni che hanno occupato la nostra Isola: dalle tribù indigene ai Greci; dai Romani ai Bizantini; dagli Arabi ai Cristiani”. Protagoniste, le donne, nei panni di divinità, di numi tutelari, ma anche semplici figlie, spose e madri, fedeli devote: “Entità pressoché silenti – continua Cilio-, eppure fondamentali per il benessere e la crescita di una comunità, ieri come oggi. Ne deriva un’analisi incrociata su più livelli, sia dal punto di vista storico che antropologico, capace di offrire interessanti spunti di riflessione sul ruolo della donna all’interno della famiglia e della società: un ruolo spesso complesso, oggi più che mai ricco di contraddizioni, in continuo divenire”.
Per chi non ha avuto la possibilità di vedere il film a Rovereto, “Tà gynaikeia. Cose di donne” verrà proiettato il prossimo 25 ottobre a Licodia Eubea (Ct), alla V Rassegna del documentario e della comunicazione archeologica. Ma per il pubblico siciliano ci saranno anche altre opportunità. È infatti in programmazione una serie di presentazioni nelle città di Agrigento, Siracusa, Palermo, Vittoria, Troina e Gela, cioè in quei paesi dove le storie sono ambientate, ma è prevista anche la distribuzione del film in alcune sale cinematografiche dell’isola.
Dai misteri di Petra alle palafitte del Basso Garda ai primi Homo sapiens in Australia: la XXVI rassegna internazionale del cinema archeologico di Rovereto ha decretato i film vincitori

La premiazione della regista iraniana Mahvash Sheikholeslami, vincitore del concorso Paolo Orsi del 2011 col film “Kool Farah”
Gli organizzatori della XXVI rassegna internazionale del cinema archeologico di Rovereto hanno aspettato che si svegliasse, dall’altra parte dell’oceano, per dargli la buona notizia: il suo film “Petra. Lost city of stone” aveva vinto il premio Città di Rovereto – Archeologia Viva del pubblico. E lui, il regista Gary Glassman, visibilmente soddisfatto, da Rhode Island, nell’East coast degli Stati Uniti, ha ringraziato con un videomessaggio la platea roveretana. Anche questo è la Rassegna di Rovereto che si è chiusa sabato 10 ottobre 2015 con le premiazioni dei migliori film in concorso. Secondo e terzo classificato “Australie: l’aventure des premiers hommes. Les grands nomades/Australia: l’avventura dei primi uomini. I grandi nomadi” e “Les génies de la grotte Chauvet/I grandi maestri della grotta Chauvet”. Invece il premio biennale “Paolo Orsi”, assegnato da una qualificata giuria internazionale, è stato assegnato ex aequo ad “Australie: l’aventure des premiers hommes” e a “Carpentieri e falegnami nell’età del bronzo. Tecniche costruttive, strutture abitative di una popolazione vissuta migliaia di anni fa nei Siti Unesco di Bande di Cavriana e Castellaro Lagusello”, dunque alle case di produzione Contact Films e Zefiro Film-Museo Archeologico Alto Mantovano. La menzione speciale Archeoblogger 2015 e la menzione speciale CinemAMoRe 2015, novità di quest’anno, sono andate rispettivamente a “Tà gynaikeia. Cose di donne” di Lorenzo Daniele e a “Mustang – The hidden kingdom/Mustang, il regno nascosto” di Patrice Landes. La presenza, nella giuria internazionale, della regista iraniana Mahvash Sheikholeslami, ha permesso finalmente agli organizzatori – a distanza di quattro anni – di consegnarle il premio “Paolo Orsi” che le era stato assegnato appunto nel 2011 per il film “Kool Farah” ma non aveva mai avuto la possibilità di ricevere.
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Ma vediamo meglio i film premiati. “Petra – Lost city of stone. Petra – perduta città di pietra” di Gary Glassman, prodotto da Providence Pictures nel 2015, descrive la città perduta di Petra al confine di tre grandi deserti e ricca di monumenti tra i più spettacolari e più misteriosi del mondo antico, città che rappresenta un formidabile enigma. Oggi gli studi internazionali avviati da oltre vent’anni cominciano a dare frutti sorprendenti: dalle sabbie e dalle leggende che l’avvolgono emerge un’autentica capitale del deserto. Due i vincitori del XII premio Paolo Orsi. “Australie: l’aventure des premiers hommes” di Martin Butler e Bentley Dean, prodotto nel 2013 da Contact Films. 60mila anni fa, un ostinato gruppo di Homo Sapiens, dopo aver percorso la costa sud dell’Asia, compie la prima grande traversata oceanica e giunge in Australia. Al lago Mungo sono stati scoperti il più vecchio sito di incinerazione, la più vecchia ascia lucidata e la più vecchia mappa del mondo. Mutate condizioni climatiche causano condizioni di vita estremamente dure a cui il gruppo risponde con un’esplosione di arte e di progresso tecnologico. La giuria lo ha premiato per “le qualità tecniche di quest’opera che sommate al forte valore di testimonianza ci consegnano eccellente e toccante film”. Ex aequo il film “Carpentieri e falegnami nell’età del bronzo. Tecniche costruttive, strutture abitative di una popolazione vissuta migliaia di anni fa nei Siti Unesco di Bande di Cavriana e Castellaro Lagusello” di Mario Piavoli, prodotto nel 2015 da Zefiro Film-Museo Archeologico Alto Mantovano. Sulla base di quanto rinvenuto e documentato nel corso degli scavi condotti sulla palafitta di Bande di Cavriana e nell’abitato lacustre di Castellaro Lagusello (di recente inseriti nel patrimonio Unesco), il film illustra le fasi di lavoro, le tecniche costruttive e la fedele ricostruzione di alcuni elementi delle strutture abitative di una popolazione vissuta nell’entroterra meridionale del lago di Garda migliaia di anni fa. La giuria ha apprezzato proprio le immagini di questo film italiano: “Alcuni uomini costruiscono una casa come se non avessero mai fatto altro… e noi gli siamo accanto, migliaia di anni fa”.
L’avventura di Giancarlo Ligabue, l’eccezionale coraggio di Khaled Asaad a Palmira, le distruzioni in Mesopotamia dalla guerra del Golfo all’Isis: così chiude alla grande la XXVI rassegna del cinema archeologico di Rovereto

La rassegna del cinema archeologico di Rovereto è un omaggio a Giancarlo Ligabue fondatore e anima del Centro studi e ricerche Ligabue di Venezia
La straordinaria avventura di Giancarlo Ligabue, gli effetti della guerra in Mesopotamia e un’eccezionale intervista a Khaled Asaad, il direttore di Palmira decapitato in agosto dalla furia dei miliziani di Isis sono il piatto forte di sabato 10 ottobre 2015, giornata conclusiva della XXVI rassegna internazionale del cinema archeologico di Rovereto. Ad aprire il calendario delle proiezioni pomeridiane “Il meteorite di Saaremaa” di Maurizia Giusti, in arte Siusi Blady, che percorre un’ipotesi affascinante: che i miti baltici abbiano influenzato anche i miti del Mediterraneo. “L’età del Bronzo del Baltico”, spiega, “è più antica di quella del Mediterraneo, e la traccia lasciata dalle sepolture lungo i fiumi ci fa pensare che questi popoli passassero da lì”. Insomma “L’Odissea e l’Iliade potrebbero avere origine Baltica”. Quindi due film dagli archivi del Centro studi e ricerche Ligabue, “Nelle steppe di Gengis Khan” (spedizione sulle piste seguite da Gengis Khan nel XIII secolo) e “I segreti del Karakoum” (la ricerca di una città inghiottita dalle sabbie del deserto del Turkmenistan cinquemila anni fa), introducono l’incontro delle 18 su “L’avventura di Giancarlo Ligabue. Una grande passione per la scienza” con due profondi conoscitori dell’imprenditore-archeologo-esploratore-paleoantropologo, Davide Domenici e Adriano Favaro. L’evento sarà ripreso dall’équipe televisiva di Controcampo.

All’archeologo Khaled Asaad, decapitato dall’Isis, è dedicata la XXVI rassegna internazionale del cinema archeologico
Particolarmente ricco anche il programma della serata a fare da cornice alla tradizionale cerimonia di premiazione del film scelto dal pubblico e soprattutto del film vincitore del XII premio “Paolo Orsi” indicato da una qualificata giuria internazionale. Si inizia con la proiezione del film di Lucio rosa “Bambinga, piccoli uomini della foresta” dedicata ai pigmei che abitano la foresta equatoriale africana, superstiti testimoni di epoche antichissime, oggi costretti a un violento impatto con altre civiltà. E poi “Khaled Asaad, quel giorno a Palmira”, un instant movie di Alberto Castellani che ha recuperato un’intervista straordinaria all’ex direttore del sito Unesco di Palmira realizzata nel 2004 cui questa edizione della Rassegna dedica un particolare omaggio. E infine “Iraq”, proposta del servizio cinematografico realizzato per il Centro produzione Rai di Napoli dal giornalista Luigi Necco: i monumenti della Mesopotamia com’erano e come sono ora, dopo le sistematiche distruzioni attuate dall’Isis. Il drammatico confronto è reso possibile dal servizio di Luigi Necco, che subito dopo la prima guerra del Golfo ha percorso tutto il Paese, da Ur a Mossul, per verificare quali danni avessero subito i monumenti della Mezzaluna fertile. Erano quasi tutti intatti: oggi Nimrud, la capitale degli Assiri scavata da Max Mallowan e Agata Christie non esiste più. Per la prima volta visibili i reperti di Aleppo e Damasco sfuggiti alla distruzione perché nascosti in luoghi segreti.
L’archeologia in zone di guerra protagonista a Rovereto alla rassegna del cinema archeologico e poi un “intrigo biblico” e i segreti sotterranei di Verona romana
L’archeologia in zone di guerra. Giovedì 8 ottobre 2015, nel terzo giorno di programmazione la rassegna internazionale del cinema archeologico di Rovereto con la conversazione alle 17.45 affronta con Savino di Lernia, docente all’università La Sapienza di Roma al lavoro nel deserto libico, il tema della salvaguardia del patrimonio storico nelle zone di conflitto con particolare riguardo per l’archeologia attuale nel Sahara, dove numerose sono le spedizioni di squadre di studiosi italiani.
La conversazione chiude un pomeriggio molto intenso aperto con la proiezione di “Mustang, il regno nascosto”. Si tratta di un viaggio attraverso una regione isolata del Tibet, un museo all’aria aperta nel grande ventre del paese, popolato da settemila abitanti che continuano a vivere come per secoli hanno fatto i loro antenati. Da quando la Cina ha invaso il Tibet, nel 1950, i nuovi governanti hanno bandito molte delle antiche usanze, distruggendo tanta parte di una cultura unica. Il documentario, incredibilmente raro ed eccezionale, mostra quella che è la dura e quotidiana sfida della popolazione per mantenere vive le proprie identità culturali nel mondo moderno. A seguire, “La grotta dipinta di Pont d’Arc: vers un fac-similé”: interessante contributo anche per quanto riguarda gli aspetti tecnici legati alla ricostruzione. dedicato a un tesoro di recente entrato nella lista del patrimonio mondiale dell’Unesco. A partire da quest’anno il grande pubblico ha l’opportunità di scoprirne i pregi visitando la sua replica costituita da una ventina di pannelli.

La ricostruzione del Capitolium di Verona e del triportico, dove erano collocate le tavole catastali
Un “intrigo biblico” attira l’interesse degli appassionati nel programma del mattino: “Biblical conspiracies: secrets of the crucifixion” si interroga sulle modalità della crocifissione a seguito della scoperta archeologica a Gerusalemme dei resti fisici di Mattathiah figlio di Giuda e dell’analisi scientifica di una mano crocefissa: lo studio di questo reperto – si chiedono i registi – potrà dirci come è stato crocefisso Gesù? Invece il programma della serata valorizza il lavoro di Stefania Casini, attrice,conduttrice, ma anche regista delle “Acque segrete di Palermo”. Il documentario svela il volto della capitale del Mediterraneo precedente la cementificazione,quando Palermo era un enorme giardino alimentato da canali sotterranei di origine araba. Merita di essere menzionato pure il lavoro “Alla scoperta di Verona sotterranea. Il sito archeologico di Corte Sgarzerie”, che sviluppa un tema poco noto – quello della Verona Romana – valendosi di tre tipi di tecnica cinematografica: il documentario, il docudramma, la ricostruzione virtuale. In chiusura di serata, un affondo sui “Segreti del Colosseo”. Archeologi e storici svelano i retroscena di questo autentico strumento mediatico del potere imperiale: un contributo quanto mai attuale, alla luce delle moderne polemiche sulla destinazione d’uso del monumento.
Aperta la XXVI Rassegna internazionale del cinema archeologico di Rovereto nel nome di Khaled Asaad, l’archeologo di Palmira decapitato dall’Isis. E sabato “instant movie” di Alberto Castellani con il ricordo personale di Asaad in un’intervista del 2004

All’archeologo Khaled Asaad, decapitato dall’Isis, è dedicata la XXVI rassegna internazionale del cinema archeologico
La XXVI rassegna internazionale del cinema archeologico di Rovereto, dal 6 al 10 ottobre 2015, nel nome di Khaled Asaad, l’archeologo di Palmira “la cui morte e sacrificio – ricorda Dario Di Blasi, direttore della rassegna – hanno dimostrato che la cultura non può coesistere con la guerra e che al tempo stesso è la premessa necessaria per la pace”. Ma non è tutto. Sabato 10 ottobre, durante la serata delle premiazioni dei film in concorso, ci sarà un omaggio ad Asaad con un “instant movie” del regista veneziano Alberto Castellani, che dieci anni fa aveva avuto l’onore di intervistarlo. Era il 18 agosto 2015 quando Khaled al-Asaad è stato ucciso a Palmira dopo aver difeso fino all’ultimo dalla furia dell’Is il sito archeologico, patrimonio dell’Unesco, decapitato dai jihadisti per non aver rivelato il nascondiglio di alcuni inestimabili reperti romani. E ora una petizione tutta italiana sulla piattaforma Change.org chiede la candidatura postuma al Nobel per la Pace di Khaled Asaad. A lanciare l’appello, sottoscritto finora da oltre 12500 utenti in soli 4 giorni, è Anna Murmura, che nella lettera indirizzata al Comitato per i Nobel e alle Accademie di Archeologia e Cultura classica ha chiesto che “l’anno prossimo in febbraio venga proposta la candidatura al Nobel per la pace alla memoria per Khaled Asaad, l’archeologo di Palmira morto per difendere i nostri beni culturali dalle onde barbariche e la cultura classica a cui dobbiamo molto. Difendere la cultura – conclude – vuol dire difendere la pace, la guerra e l’odio nascono dall’ignoranza. Khaled Asaad è un eroe di cui il mondo ha parlato e parla poco. Onore al grande archeologo e al grande uomo”. La petizione è stata sottoscritta anche da Di Blasi. “Ho firmato l’appello che mi è arrivato dal Perù tramite facebook da Giuseppe Orefici, archeologo italiano in sud-america, per assegnare il premio Nobel per la pace a Khaled Asaad. I social network possono essere utili”.

Il poster ufficiale della XXVI Rassegna internazionale del Cinema archeologico di Rovereto dal 6 al 10 ottobre 2015
Brilla sulla XXVI Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico di Rovereto la medaglia assegnata dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, recapitata alla Fondazione Museo Civico di Rovereto alla vigilia della rassegna consacrata quest’anno al dibattito, quanto mai attuale, sul passato e sul presente della culla della civiltà. Il programma cinematografico e di conversazioni della XXVI edizione della Rassegna non si discosta da questo intento e offre un menu ricchissimo di quasi cento film e una decina d’incontri con protagonisti della ricerca archeologica, con la collaborazione preziosa del Centro Studi Ligabue e del Documentary & Experimental Film Center di Tehran che organizza annualmente una delle più importanti manifestazioni di documentari internazionali, ovvero Cinema Veritè. Novità di quest’anno, l’introduzione di una menzione speciale assegnata da un gruppo di Archeoblogger e l’assegnazione del premio speciale Cinem.A.Mo.Re (la Rassegna che promuove Religion Today Filmfestival, Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico e Trento Film Festival). Tra gli appuntamenti in cartellone, Di Blasi ricorda quelli del paesaggio preistorico delle nostre Dolomiti, l’Avventura dei primi uomini in Australia, i misteriosi obelischi in territorio curdo in Turchia, l’eccitante ricerca di un importante personaggio della corte di Hat-shep-sut, primo faraone donna, la ricostruzione della storia della Nike di Samotracia, la principale icona del Louvre parigino, la riscoperta della Verona romana nel suo impianto urbano e la ricostruzione grafica della sua complessa stratificazione archeologica, la storia e anche l’etnografia di tanti siti e luoghi dell’Iran attuale e dell’antica Persia, le splendide immagini di un vero e proprio museo all’aria aperta come quello del territorio del Mustang tibetano, robot sottomarini per scoprire antichi naufragi là dove l’uomo non potrà arrivare, la meravigliosa arte dei tappeti di Bijar e Tabriz, la scoperta dei popoli che abitarono Angkor e che forse ne furono gli artefici, un intrigo nella Bibbia che ci fa sospettare un Gesù sposato, un viaggio nelle varie forme di scrittura nell’antico Egitto, e ancora la provocazione: l’Iliade e l’Odissea possono aver avuto origine nei miti baltici e non in quelli mediterranei? Quanti misteri, quante scoperte e purtroppo quanta barbarie contro l’uomo e le tante sue realizzazioni e culture come in Iraq e in Siria. Quanta leggerezza, dimenticanza e disattenzione verso popoli che stanno per scomparire come i pigmei Babinga o i cavernicoli Tau’t Bato delle Filippine documentati da Giancarlo Ligabue. Partecipiamo quindi per combattere l’ignoranza, l’intolleranza e la barbarie, per la cultura e per la pace in ricordo di Khaled Asaad trucidato a Palmira per difendere l’uomo e la civiltà”.
E così arriviamo alla serata finale con il ricordo di Khaled Asaad nelle immagini che Alberto Castellani ha recuperato nei suoi archivi, tra ricordi ed emozioni di quell’incontro e di quella visita speciale di Palmira. “Il mio film – spiega Castellani – è un saluto di addio a un uomo di 82 anni che, presago dello scempio del Califfato Islamico, era riuscito a nascondere negli ultimi mesi in un luogo sicuro centinaia di statue. Prima che gli uomini della morte conquistassero la “sposa del deserto” e ne trucidassero il suo più fedele custode”. L’incontro con Asaad risale al 2004. “Si stavano levando i primi raggi del sole – ricorda il regista veneziano – quando Palmira ci apparve all’improvviso giù a valle in tutta la sua estensione. L’incontro con il professor Asaad era fissato per il primo pomeriggio: quindi avevamo tutto il tempo per ammirarla in quella magica versione di luce”. La visita alle rovine non era vincolata da orari . Il tempio di Baal invece era aperto dalle 8 alle 13 e dalle 16 alle 19 con qualche riduzione in certi periodi dell’anno, in particolare durante il Ramadan. All’interno del museo era vietato fumare e toccare gli oggetti. “Ed è qui che il prof Khaled Asaad è stato ucciso dopo il tramonto con un coltello, davanti alla folla, dopo un mese di prigionia nelle mani degli estremisti dell’Isis”.
“Il destino di Palmira – ci raccontò il coraggioso direttore del sito Unesco – è quello di proporci testimonianze lungo un periodo di civiltà lungo più di 300 anni. Un autentico faro di civiltà nel contesto del mondo di allora. La sua arte non è però un miscuglio tra occidente ed oriente, una imitazione, per quanto raffinata. L’arte palmirena propone una rielaborazione che introduce ad uno stile assolutamente originale, personale. Un’arte in grado di affermare una identità locale, nel più vasto contesto del mondo orientale. Nell’accommiatarci gli proponemmo alcune immagini da noi girate a Maloula il piccolo villaggio cristiano della Siria che insieme ad altri due paesi vicini, è il luogo in cui viene ancora parlata la lingua aramaica, quella di Gesù. Asaad non ebbe alcuna esitazione. Ci mostrò una lapide e cominciò a leggere ad alta voce. Quel suono antico non lo ho mai dimenticato”. Poi, accomiatandosi, il professore invitò il regista e tutta la troupe a visitare il tempio di Baal, abbastanza vicino. “Ricordo allora di aver goduto, assieme ai miei compagni, di un privilegio inatteso: quello di essere gli unici visitatori. E di provare quasi una ebbrezza nel non condividere con nessuno i propilei, il recinto sacro, il portico, l’ampio cortile interno del tempio. Impossibile allora immaginare – conclude Castellani – che dieci anni più tardi una vampata di fuoco, fumo e polvere avrebbe distrutto quel tempio”.
“La valle dell’Omo, patrimonio dell’Umanità, rischia di scomparire”: il regista Lucio Rosa, al ritorno dall’Etiopia, lancia l’appello-denuncia. A Rovereto sarà uno dei protagonisti della rassegna internazionale del cinema archeologico
“La valle dell’Omo rischia di scomparire con tutte le sue preziose testimonianze sull’origine dell’uomo: intervenga chi può prima che sia troppo tardi”. L’appello-Sos-denuncia è stato lanciato da Lucio Rosa, il regista veneziano, bolzanino d’adozione, all’indomani dal suo rientro dall’Etiopia senza aver avuto la possibilità di girare il film “Lontano, lungo il fiume – l’anima originaria delle tribù dell’Omo” (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2015/09/15/non-si-fara-il-film-sulle-tribu-della-valle-dellomo-il-regista-lucio-rosa-costretto-a-rinunciare-per-le-richieste-esose-delle-autorita-di-etiopia-restano-i-riconoscimenti-pluripremiato/ ) che poteva rappresentare una ultima testimonianza della cultura originaria di questi gruppi tribali come i Karo, Mursi, Hamer, Dassench che sono destinati a scomparire e ne ha portato le prove.
La valle dell’Omo prende il nome dal fiume Omo Bottego che nasce nell’altopiano etiopico e dopo 760 km sfocia nel lago Turkana, coprendo un dislivello di duemila metri. L’intero bacino dell’Omo Bottego ha una notevole importanza sia archeologica che geologica: qui sono stati trovati numerosi fossili di ominidi, del genere australopithecus e homo, insieme a utensili di quarzite risalenti a circa 2,4 milioni di anni fa. Per questo nel 1980 la valle dell’Omo è stata inserita nell’elenco dei Patrimoni dell’Umanità dell’Unesco. Ma questo non sembra fermare la mano distruttrice dell’uomo.
Ecco la testimonianza di Lucio Rosa: “L’ho verificato sul campo. Un villaggio dei Karo che ho visitato nello scorso ottobre, cioè neanche un anno fa, e che era un villaggio vivo, posto al di sopra di un’ansa dell’Omo, praticamente non esiste quasi più a parte qualche persona che si “trucca” per accontentare il turista di passaggio (non certo un viaggiatore che é cosa diversa), pronto ad immortalare con una foto da mostrare agli amici, la sua “avventura”. Guardate le due foto di un villaggio dei Karo: la prima l’ho scatta nell’ottobre 2014: si può vedere ancora una lussureggiante foresta. La seconda riprende lo stesso villaggio ma nel luglio 2015: ai piedi del villaggio dei Karo, posto su un’altura tra le anse del fiume Omo, si vede l’area disboscata per far spazio a piantagioni di cotone, una concessione data ai turchi”.

Disboscamento selvaggio della Valle dell’Omo in Etiopia per far posto a coltivazioni intensive che alterano l’eco-equilibrio dell’area (foto Lucio Rosa)
La denuncia di Rosa, tra amarezza e sconforto, per lui che “ha l’Africa nel cuore”, è circostanziata: “In un’altra immagine di un villaggio Karo si vede ancora la foresta sottostante abbattuta sostituita da sterminati campi per il cotone. L’Etiopia sta cambiando. Investitori turchi, finlandesi, olandesi e provenienti da mezzo mondo ottengono dal governo ampie concessioni dove produrre ogni cosa, fiori in enormi chilometriche serre, cotone, canna da zucchero, ecc. ecc. Tutto questo crea malcontento tra i gruppi tribali, e le autorità temono che, in un futuro non lontano, si possano verificare anche atti di ribellione, a iniziare tra i Mursi, i più deboli. Ora sembra tutto abbastanza tranquillo. Ma il governo, molto debole, teme che un eventuale film potrebbe essere controproducente. Di certo, se avessi accettato di pagare l’esosa tassa per le riprese, mi avrebbero assegnato un funzionario, naturalmente a mio carico, che mi avrebbe accompagnato durante tutto il periodo delle riprese: questo puoi filmare e questo no, come ai tempi di Menghistu, tempi che conosco molto bene perché ero in Etiopia per realizzare film e servizi per la Rai. La mia era una illusione a cui, con enorme rammarico, ho dovuto rinunciare”.
Rosa a Rovereto. Per gli appassionati e per quanti ne vogliono sapere di più, o comunque desidero conoscere dal vivo l’esperienza di Lucio Rosa in Etiopia, possono incontrare il regista a Rovereto alla XXVI rassegna internazionale del cinema archeologico, dal 6 al 10 ottobre 2015. Sarà proprio un film di Lucio Rosa, “Babinga, piccoli uomini della foresta” (1987) sui pigmei Babinga, piccoli uomini della foresta, superstiti testimoni di epoche antichissime, immagine di quella che probabilmente fu la vita dei cacciatori-raccoglitori della preistoria, a introdurre, sabato 10 ottobre, la serata finale della XXVI rassegna prima della cerimonia di premiazione dei film vincenti e segnalati del XII concorso Premio Paolo Orsi, quest’anno sul tema “Grandi civiltà: le nostre origini”.
Non si farà il film sulle tribù della valle dell’Omo. Il regista Lucio Rosa costretto a rinunciare per le richieste esose delle autorità di Etiopia. Restano i riconoscimenti: pluripremiato “Il segno sulla pietra”
Il suo cuore è sempre in Africa. Ma stavolta è stata proprio l’Africa a tradirlo, a chiudergli la porta in faccia. Lucio Rosa, regista veneziano, bolzanino d’adozione, aveva deciso di lasciare per un momento le “pietre” e i successi ottenuti con i suoi film di carattere archeologico e di tornare a raccontare l’Uomo, o meglio la cultura originaria di alcuni gruppi tribali in Africa, non ancora contaminati completamente dagli uomini occidentali. Il nuovo progetto prevedeva la realizzazione di cinque film in Africa, ma l’avvio non è stato beneaugurante: il primo, infatti, è stato annullato. “Lontano, lungo il fiume – l’anima originaria delle tribù dell’Omo”, già sceneggiato e per il quale le riprese dovevano essere realizzate in Etiopia in questi giorni, appunto tra agosto e settembre 2015, è rimasto lettera morta. Lucio Rosa ha dovuto rinunciare a realizzarlo. I motivi li ha spiegati lui stesso al rientro dal viaggio preparatorio in Etiopia con la moglie Anna nel luglio scorso. “Io e Anna”, racconta ad Archeologiavocidalpassato, “siamo rientrati dall’Etiopia dove dovevamo perfezionare le verifiche e i permessi per il film che volevo girare nel sud della valle dell’Omo, sui gruppi tribali dei Karo, Mursi, Hamer, Dassenach. Purtroppo ho dovuto rinunciare per i folli prezzi che le autorità chiedono per rilasciare i permessi per le riprese dei gruppi tribali, 20-30mila dollari. Una follia per un film maker indipendente quale io sono”. In realtà un modo come un altro per tenere occhi indiscreti lontano dai progetti perseguiti nell’area che evidentemente non hanno come obiettivo la conservazione di una delle culle dell’umanità, e il prosieguo delle ricerche antropologiche e paleontologiche nella valle dell’Omo. “Peccato”, commenta amareggiato il regista veneziano, che ha iniziato nel lontano 1985 con il film sui pigmei Babinga che vivono nella foresta del nord della Repubblica Popolare del Congo “Babinga, piccoli uomini della foresta”, trasmesso anche da “Quark” su Rai Uno, per poi proseguire con altri come quello girato in Kenia “Pokot, un popolo della savana”. E lancia l’Sos: “Questo film poteva rappresentare un’ultima testimonianza della cultura originaria di questi gruppi tribali come i Karo, Mursi, Hamer, Dassench destinati purtroppo a scomparire, come ho verificato sul campo, anche in tempi brevi. Un villaggio dei Karo che ho visitato nello scorso ottobre, cioè 9 mesi fa, ed che era un villaggio vivo, posto al di sopra di un’ansa dell’Omo, praticamente non esiste quasi più a parte qualche persona che si “trucca” per accontentare qualche turista, non un viaggiatore che é cosa diversa, pronto ad immortalare con una foto da mostrare agli amici, la sua avventura”.
È un’Africa profonda, quella del sud della valle dell’Omo. Qui esistono ancora dei luoghi che conservano, in una dimensione senza tempo, un incredibile mosaico di razze ed etnie, vive tracce di antiche tradizioni, una commistione tra le radici dell’uomo e la natura. “Per poter avvicinarsi a questo mondo, cercare di comprendere l’anima originaria delle tribù che qui vivono”, racconta Lucio Rosa, “dobbiamo abbandonare le nostre certezze, i preconcetti e ogni pregiudizio occidentale. Solo così si può cogliere la ricchezza di una cultura, di un mondo da noi così distante e cogliere l’autentica Africa, l’anima originaria di genti “lontane”, come i Karo, i Mursi, gli Hamer, i Dassenech. Queste quattro etnie possono dare un quadro generale e abbastanza esauriente della ricchezza culturale della regione e delle diversità dei popoli dell’Etiopia”.
Da un festival all’altro. Lucio Rosa è fresco vincitore del 2º Festival Internazionale Cinema Archeologico Altopiano di Asiago – Premio Olivo Fioravanti con il film “IL SEGNO SULLA PIETRA – Il Sahara sconosciuto degli uomini senza nome”, la storia millenaria del Sahara in un alternarsi di fasi climatiche estreme: periodi di grandi aridità, di grandi piogge, e dietro di esse le vicende di uomini che ebbero la ventura di scegliere quella terra come loro dimora. 12000 anni fa, dopo una fase di aridità estrema, ritornò la pioggia e la vita ricominciò a germogliare lentamente. Così, nel Sahara centrale, sui massicci del Tadrart Acacus e del Messak, nel sud ovest della Libia, si formarono le prime comunità, tenaci e vitali, culturalmente compiute, che seppero definire la loro identità non solo attraverso la pura sopravvivenza materiale del gruppo, ma che riuscirono anche ad elevare a linguaggio pittorico, quindi complesso, il loro vissuto quotidiano ed il loro primitivo bisogno di trascendenza. Il film non è nuovo a riconoscimenti di giurie tecniche e ad apprezzamenti da parte del pubblico. Dal 2° premio del pubblico alla XVII Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico di Rovereto, al 1° premio “Capitello d’oro” assegnato dalla giuria presieduta da Sergio Zavoli al 2° Festival Internazionale del Cinema Archeologico di Roma “Capitello d’oro” 2007, “per aver raccontato una storia complessa e sfuggente con semplicità e rigore diversamente dalla maggioranza dei documentari presentati, non cede all’enfasi e alla retorica, ma riesce tuttavia a colpire ed affascinare lo spettatore. Le immagini acquistano movimento e parlano. Le storie si intrecciano, il passato più lontano dialoga col racconto della scoperta. E i richiami a Fabrizio Mori e alla sua avventura sono un omaggio allo studioso delicato e discreto”. Primo premio della giuria presieduta da Ernesto De Miro anche al Festival Inernazionale del Cinema Archeolgico di Agrigento “Valle dei Templi 2007”: “Il film racconta in maniera rigorosa e scorrevole, sempre coinvolgente, nella cornice di un interesse ambientale che non viene mai meno, la storia millenaria di arte rupestre nel Sahara, da quella graffiante e realistica nella evidenza della incisione lasciataci da popolazioni di cacciatori e raccoglitori a quella dipinta e schematizzata nella leggerezza del colore e della linea di contorno, propria delle popolazioni pastorali e dei raccoglitori ormai verso la sedentarietà agricola. La personalità di Fabrizio Mori e della sua scuola paleontologica aggiunge in un breve commento, tocchi di riflessione, con cui lo studioso di oggi accompagna l’entusiasmo e il valore della propria scoperta che consegna importanti conoscenze all’universo delle civiltà più antiche”. E non sono mancati i riconoscimenti internazionali: premio del pubblico all’8° Internationales Archäologie-Film-Kunst-Festival – Kiel – CINARCHEA 2008; premio del pubblico e per la fotografia al 7° Intenational Meeting of Archaeological Film of the Mediterranean Area AGON di Atene – 2008; Honorable Mention for Best Cinematography (by Jury) e Honorable Mention for Best Animation (by Jury) a The Archaeology Channel – The International Film and Video Festival – Eugene – Oregon – USA (2008). Infine premio per il pubblico al 2° Festival Internazionale del cinema Archeologico – Aquileia 2011.
Cento film, una retrospettiva della produzione cinematografica di Giancarlo Ligabue, una sezione sull’archeologia in Iran, il premio Paolo Orsi sulle Grandi civiltà con un occhio attento all’archeologia in guerra: ecco la XXVI Rassegna internazionale del Cinema archeologico di Rovereto

Il poster ufficiale della XXVI Rassegna internazionale del Cinema archeologico di Rovereto dal 6 al 10 ottobre 2015
Un mese. Ancora un mese e poi si accenderanno i riflettori sulla XXVI rassegna internazionale del cinema archeologico di Rovereto, promossa dal 6 al 10 ottobre 2015 dalla fondazione Museo Civico di Rovereto, sotto l’Alto patronato del Presidente della Repubblica, con il patrocinio del ministero degli Affari esteri e del ministero per i Beni e le Attività culturali, il contributo di Comune di Rovereto, Provincia autonoma di Trento, Regione autonoma Trentino-Alto Adige, e la partecipazione della rivista Archeologia Viva e il Centro studi ricerche Ligabue. La rassegna quest’anno è impreziosita dal 12° premio “Paolo Orsi”, riconoscimento biennale, che sarà assegnato da una qualificata giuria internazionale che valuterà i film in concorso sul tema “Le grandi civiltà del passato”. Della giuria fanno parte Il regista iraniano Mahvash Sheikholeslami (Teheran), la francese Christine Chapon del Cnrs Images Festivals (Parigi), il produttore cinematografico tedesco Rüdiger Lorenz (Monaco di Baviera), l’archeologa e archivista italiana Daniela Cavallo (Roma). Tra gli ospiti come interscambio tra festival Shirin Naderi, responsabile internazionale di Documentary and Experimental Film Center (DEFC) di Tehran che organizza Cinema Veritè (http://www.defc.ir/en/).
In cartellone un centinaio di film, tra la sezione principale all’auditorium del polo culturale e museale “F. Melotti” di Rovereto, la sezione “Percorso archeologia & etnografia” nell’’aula magna del Palazzo dell’Istruzione in corso Bettini a Rovereto, e la sezione “Storia & archeologia in Iran” nella sala conferenze del Mart in corso Bettini a Rovereto. Senza dimenticare lo speciale di domenica 11 ottobre nella sala convegni “Fortunato Zeni” della fondazione Museo Civico in borgo S. Caterina di Rovereto, con quattro eccezionali film promossi dal Centro studi e ricerche Ligabue e in parte prodotti dalla Gedeon Programmes di Parigi, film oggi conservati negli Archivi della Rassegna internazionale del Cinema archeologico di Rovereto. Si tratta di “Popolo delle asce di pietra” (1992), un documento eccezionale di Giancarlo Ligabue tra i pigmei cannibali della Nuova Guinea produttori di asce litiche come 20mila anni fa; “L’empreinte des dinosaures. L’impronta dei dinosauri” (2002), che documenta la scoperta di una mascella di uno dei più antichi sauropodi da parte di una missione paleontologica nell’Alto Atlante marocchino; “La tombe du prince kazakh (Scythe). La tomba del principe kazako (Scita)” (2002), storia di una spedizione alla ricerca dei cavalieri delle steppe asiatiche di più di duemila anni fa; “Karakoum, la civilisation des oasis. Karakoum, la civiltà delle oasi” (2002), con la campagna di scavo di una cultura di 4mila anni fa a Gonour Depè nel deserto del Karakoum in Turkmenistan.
Le Grandi civiltà del passato, e l’urgenza di farle conoscere e salvaguardarle: un tema di grande attualità e impegno, come spiega il direttore della Rassegna, Dario Di Blasi. “Le sconvolgenti immagini che ci arrivano dalla Siria e dall’Iraq, con la distruzione sistematica delle antichità assire di Nimrud e con le esplosioni che minacciano pericolosamente il meraviglioso sito della Palmira della regina Zenobia”, scrive Di Blasi nellla prefazione al programma della XXVI Rassegna, “ci angosciano per la mancanza assoluta di rispetto per le vite umane e per la storia millenaria dell’umanità. A noi questo sembra del tutto inedito, ma, se ci riflettiamo un attimo, scopriamo che anche nel nostro medioevo migliaia di monumenti come palazzi, mura difensive, basiliche e chiese vennero costruiti demolendo le vestigia greco-romane precedenti, che anche parte della favolosa Biblioteca di Alessandria venne incendiata in seguito all’editto di Teodosio I nel 391 d.C, ostile alla “saggezza pagana” e che lo stesso Partenone di Atene venne distrutto con un esplosione paragonabile a un’eruzione per effetto di cannonate dell’esercito veneziano di Morosini dirette alla polveriera collocata dai turchi in quel monumento, arrivato quasi intatto fino al 1687 dal tempo di Pericle. Gli esempi potrebbero essere infiniti”.

La storia cancellata con l’esplosivo: così è stata distrutta dall’Is la città assira di Nimrud in Iraq
“Con le nostre rassegne di cinema archeologico – continua – cerchiamo al contrario di enfatizzare l’esistenza o quantomeno la memoria di culture e civiltà che potrebbero scomparire, quando non lo siano già. In questa XXVI edizione dedicata alle Grandi Civiltà, ovvero alle nostre origini abbiamo chiesto la collaborazione del Centro Studi Ligabue, con i suoi preziosi archivi cinematografici, un Centro nato e cresciuto per la passione di Giancarlo Ligabue che ha dedicato la vita a decine di missioni archeologiche e paleontologiche in tutto il mondo, del Centro di produzione Rai di Napoli di Luigi Necco, che negli anni della guerra del Golfo contro Saddam ha documentato il patrimonio dell’Iraq, e abbiamo l’impegno di una nazione come l’Iran che, sia pure in un contesto di sanzioni economiche e di ostilità internazionale, vuole tenacemente difendere e valorizzare la propria eredità culturale”.
Anche quest’anno la Rassegna internazionale del Cinema archeologico di Rovereto offre l’opportunità di approfondire alcuni temi con i diretti protagonisti nelle conversazioni all’auditorium Melotti curate dal direttore di Archeologia Viva, Piero Pruneti. Si inizia mercoledì 7 ottobre, alle 17.45, con Pietro Laureano, direttore generale di IPOGEA e presidente dell’International Traditional Knowledge Institute, che parlerà di “Oasi, acqua e antiche civiltà”. Giovedì 8 ottobre, sempre alle 17.45, sarà la volta di Savino di Lernia, direttore della missione archeologica dell’università la “Sapienza” di Roma nel Sahara (Libia, Tunisia, Algeria), che ci porterà alla drammaticità della cronaca: “Guerra o pace? Archeologia nel Sahara oggi”. Da non perdere anche l’incontro di venerdì 9 ottobre (ore 17.45), che affronta lo stesso tema ma in un quadrante diverso, il Vicino Oriente: Franco D’Agostino, direttore della missione archeologica dell’università la “Sapienza” di Roma ad Abu Tbeirah, in Iraq, interverrà infatti su “Iraq, l’archeologia come arma della speranza”. Ricco, come da tradizione, l’ultimo giorno della Rassegna. Sabato 10 ottobre si inizia alle 11 con Davide Domenici, direttore della missione archeologica italiana a Cahokia, in Illinois (USA), su “Fare ricerca archeologica negli Usa. Piramidi nel luogo sbagliato?” e si chiude alle 18 con due giornalisti, Viviano Domenici e Adriano Favaro, rispettivamente scrittore-giornalista ex responsabile pagine scientifiche del Corriere della Sera e giornalista-direttore di Ligabue Magazine, i quali ripercorreranno “L’avventura di Giancarlo Ligabue. Una grande passione per la scienza”.

























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