“La valle dell’Omo, patrimonio dell’Umanità, rischia di scomparire”: il regista Lucio Rosa, al ritorno dall’Etiopia, lancia l’appello-denuncia. A Rovereto sarà uno dei protagonisti della rassegna internazionale del cinema archeologico
“La valle dell’Omo rischia di scomparire con tutte le sue preziose testimonianze sull’origine dell’uomo: intervenga chi può prima che sia troppo tardi”. L’appello-Sos-denuncia è stato lanciato da Lucio Rosa, il regista veneziano, bolzanino d’adozione, all’indomani dal suo rientro dall’Etiopia senza aver avuto la possibilità di girare il film “Lontano, lungo il fiume – l’anima originaria delle tribù dell’Omo” (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2015/09/15/non-si-fara-il-film-sulle-tribu-della-valle-dellomo-il-regista-lucio-rosa-costretto-a-rinunciare-per-le-richieste-esose-delle-autorita-di-etiopia-restano-i-riconoscimenti-pluripremiato/ ) che poteva rappresentare una ultima testimonianza della cultura originaria di questi gruppi tribali come i Karo, Mursi, Hamer, Dassench che sono destinati a scomparire e ne ha portato le prove.
La valle dell’Omo prende il nome dal fiume Omo Bottego che nasce nell’altopiano etiopico e dopo 760 km sfocia nel lago Turkana, coprendo un dislivello di duemila metri. L’intero bacino dell’Omo Bottego ha una notevole importanza sia archeologica che geologica: qui sono stati trovati numerosi fossili di ominidi, del genere australopithecus e homo, insieme a utensili di quarzite risalenti a circa 2,4 milioni di anni fa. Per questo nel 1980 la valle dell’Omo è stata inserita nell’elenco dei Patrimoni dell’Umanità dell’Unesco. Ma questo non sembra fermare la mano distruttrice dell’uomo.
Ecco la testimonianza di Lucio Rosa: “L’ho verificato sul campo. Un villaggio dei Karo che ho visitato nello scorso ottobre, cioè neanche un anno fa, e che era un villaggio vivo, posto al di sopra di un’ansa dell’Omo, praticamente non esiste quasi più a parte qualche persona che si “trucca” per accontentare il turista di passaggio (non certo un viaggiatore che é cosa diversa), pronto ad immortalare con una foto da mostrare agli amici, la sua “avventura”. Guardate le due foto di un villaggio dei Karo: la prima l’ho scatta nell’ottobre 2014: si può vedere ancora una lussureggiante foresta. La seconda riprende lo stesso villaggio ma nel luglio 2015: ai piedi del villaggio dei Karo, posto su un’altura tra le anse del fiume Omo, si vede l’area disboscata per far spazio a piantagioni di cotone, una concessione data ai turchi”.

Disboscamento selvaggio della Valle dell’Omo in Etiopia per far posto a coltivazioni intensive che alterano l’eco-equilibrio dell’area (foto Lucio Rosa)
La denuncia di Rosa, tra amarezza e sconforto, per lui che “ha l’Africa nel cuore”, è circostanziata: “In un’altra immagine di un villaggio Karo si vede ancora la foresta sottostante abbattuta sostituita da sterminati campi per il cotone. L’Etiopia sta cambiando. Investitori turchi, finlandesi, olandesi e provenienti da mezzo mondo ottengono dal governo ampie concessioni dove produrre ogni cosa, fiori in enormi chilometriche serre, cotone, canna da zucchero, ecc. ecc. Tutto questo crea malcontento tra i gruppi tribali, e le autorità temono che, in un futuro non lontano, si possano verificare anche atti di ribellione, a iniziare tra i Mursi, i più deboli. Ora sembra tutto abbastanza tranquillo. Ma il governo, molto debole, teme che un eventuale film potrebbe essere controproducente. Di certo, se avessi accettato di pagare l’esosa tassa per le riprese, mi avrebbero assegnato un funzionario, naturalmente a mio carico, che mi avrebbe accompagnato durante tutto il periodo delle riprese: questo puoi filmare e questo no, come ai tempi di Menghistu, tempi che conosco molto bene perché ero in Etiopia per realizzare film e servizi per la Rai. La mia era una illusione a cui, con enorme rammarico, ho dovuto rinunciare”.
Rosa a Rovereto. Per gli appassionati e per quanti ne vogliono sapere di più, o comunque desidero conoscere dal vivo l’esperienza di Lucio Rosa in Etiopia, possono incontrare il regista a Rovereto alla XXVI rassegna internazionale del cinema archeologico, dal 6 al 10 ottobre 2015. Sarà proprio un film di Lucio Rosa, “Babinga, piccoli uomini della foresta” (1987) sui pigmei Babinga, piccoli uomini della foresta, superstiti testimoni di epoche antichissime, immagine di quella che probabilmente fu la vita dei cacciatori-raccoglitori della preistoria, a introdurre, sabato 10 ottobre, la serata finale della XXVI rassegna prima della cerimonia di premiazione dei film vincenti e segnalati del XII concorso Premio Paolo Orsi, quest’anno sul tema “Grandi civiltà: le nostre origini”.
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