Egitto. Nella Grande Piramide di Cheope scoperto un nuovo corridoio dietro l’entrata principale: prende così forma quel “grande vuoto” individuato nel 2016 dal progetto Sp-Nfc. Zahi Hawass: “Porterà a svelare altri segreti. La tomba del faraone?”

Prima immagine del nuovo corridoio scoperto dal progetto Sp-Nfc dietro l’entrata principale della Piramide di Cheope (foto ministry of tourism and antiquities)

Il ministro Ahmed Issa presenta la scoperta del nuovo corridoio ai piedi della Grande Piramide (foto ministry of tourism and antiquities)
È dal 2016, anno della sua scoperta col progetto “Sp-Nfc”, che quel “big void” (Grande Vuoto) nella Grande Piramide realizzata sulla piana di Giza 4500 anni fa per il faraone Cheope, non smette di arrovellare le menti degli egittologi con ipotesi e supposizioni. Ma ora c’è una certezza: dietro l’entrata principale della grande piramide di Khufu (Cheope) esiste un altro “corridoio”, “un tunnel”, di 9 metri di lunghezza, 2,10 di larghezza e 2,3 di altezza. L’annuncio è stato fatto dal ministro egiziano per il Turismo e le Antichità Ahmed Issa in una conferenza stampa tenuta sotto un tendone proprio ai piedi dei 139 metri della più vetusta ma meglio conservata delle sette meraviglie del mondo antico. Alla conferenza hanno partecipato l’archeologo Zahi Hawass, già ministro delle Antichità; Hani Hilal, ministro dell’istruzione superiore e della Ricerca scientifica e coordinatore del progetto di esplorazione delle piramidi ScanPyramids; Mamdouh Damati, già ministro delle Antichità; Khaled Al-Anani, ex ministro del Turismo e delle Antichità; Mustafa Waziri, segretario generale del Consiglio Supremo delle Antichità, e Mohammed Al-Khasht, dell’università del Cairo; Hossamuddin Abdel Fattah, decano della Facoltà di Ingegneria dell’università del Cairo.

Il team del progetto Sp-Nfc sta “vedendo” il nuovo corridoio nella Piramide di Cheope (foto ministry of tourism and antiquities”
Utilizzando una tecnica chiamata radiografia a muoni a raggi cosmici, da Se’bastien Procureur dell’Université Paris-Saclay, e da Kunihiro Morishima dell’università di Nagoya, e colleghi hanno misurato in dettaglio le dimensioni, la forma e la posizione del corridoio della parete nord, senza entrarvi. Il corridoio misura circa 9 metri di lunghezza, ed ha una sezione trasversale di circa 2 metri per 2 metri. La tecnica rileva la radiazione cosmica che passa attraverso la piramide, consentendo agli autori di determinare la dimensione del corridoio perché una piramide solida consentirebbe a meno radiazioni di raggiungere i rivelatori rispetto allo spazio vuoto. Sebbene il corridoio sia stato scoperto alcuni anni fa, questo studio fornisce una visione più dettagliata della sua forma e posizione. Questo corridoio è stato raggiunto inserendo un piccolissimo telescopio con telecamera ad una delle aperture all’ingresso della piramide: non è rifinito ed è caratterizzato da monoliti che formano un soffitto spiovente.

Il ministro Hany Helal alla presentazione della scoperta del nuovo corridoio nella Grande Piramide (foto ministry of tourism and antiquities)
“L’ultima volta che è stato visto fu 4500 anni fa”, ha detto Hany Helal, sottolineando che quelle diffuse sono le prime immagini della misteriosa camera. La cavità del lato Nord della Grande Piramide è stata filmata da una sonda giapponese, una sorta di “endoscopio” introdotto attraverso una fessura di pochi millimetri. “Non chiedetemi perché questo corridoio sia qui”, ha detto Helal alimentando il mistero dopo che Hawass aveva comunque previsto che “porterà a svelare altri segreti”. “Crediamo che qualcosa sia nascosto sotto”, ha detto l’ex-ministro delle Antichità egiziano formulando una propria “opinione”: “la tomba di Cheope dovrebbe essere sotto quel tunnel” e quella appena annunciata “credo possa essere la scoperta più importante del secolo”.
I curatori di un video divulgativo hanno spiegato che la forma a “v rovesciata” del soffitto del corridoio, detta “tecnica dello chevron, fu introdotta per la prima volta” proprio nella piramide di Cheope e serve a proteggere “grandi stanze dal considerevole peso sovrastante”: insomma uno scarico di forze a tutela di quella che, secondo Hawass, sarebbe la tomba del faraone della IV dinastia. Il progetto di ricerca, in corso da otto anni, punta a studiare le piramidi dell’Antico regno usando “tecniche non-invasive” come la “radiografia muonica” che nel 2016 rilevò lo “ScanPyramids North Face Corridor” (Sp-Nfc) di cui ora sono state precisate le caratteristiche.

L’individuazione del nuovo corridoio con il progetto Sp-Nfc alla Grande Piramide di Cheope (foto ministry of tourism and antiquities)
Il progetto Sp-Nfc. Lanciata nell’ottobre 2015, la missione ScanPyramids è un’iniziativa internazionale finalizzata all’utilizzo di tecniche non distruttive per esaminare le piramidi egizie. La missione è coordinata congiuntamente dalla Facoltà di Ingegneria dell’università del Cairo (Egitto) e dall’Istituto HIP (Francia) e ha riunito un gruppo eterogeneo e internazionale di partner provenienti da vari settori e paesi. Questi includono l’università di Nagoya (Giappone), la CEA (Commissione francese per le energie alternative e l’energia atomica, Francia), la KEK (Organizzazione per la ricerca sugli acceleratori ad alta energia, Giappone), l’università di Laval (Canada), Inria (Istituto francese per la ricerca in Computer Science and Automation), il CNRS (Centro nazionale francese per la ricerca scientifica, Francia) e l’università tecnica di Monaco (Germania), nonché le società Dassault Systèmes, Whatever the Reality ed Emissive.

Il team che ha curato il progetto Sp-Nfc alla Grande Piramide di Cheope (foto ministry of tourism and antiquities)
Nel 2017, il team ha annunciato la scoperta di un grande vuoto sopra la Grande Galleria della Piramide di Cheope grazie ai muoni dei raggi cosmici (Morishima et al., 2017). Parallelamente, il team di ScanPyramids ha studiato altre parti della Piramide di Cheope e, in particolare, l’area che circonda lo spigolo della parete nord. Nel 2016, i team scientifici hanno rilevato anomalie termiche in quest’area. Successivamente hanno installato film di emulsione di muoni dell’Università di Nagoya nel corridoio discendente, situato sotto i galloni. Queste misurazioni hanno rivelato la presenza di un vuoto sopra il Corridoio Discendente. Questo vuoto, denominato ScanPyramids-North Face Corridor (SP-NFC), è stato quindi studiato utilizzando ulteriori film di emulsione di muoni per perfezionarne la posizione e le dimensioni. Tra il 2019 e il 2020, la CEA ha collocato i propri rilevatori di muoni in tempo reale sotto l’SP-NFC, oltre ai filmati dell’Università di Nagoya. Tra il 2020 e il 2022, l’Università tecnica di Monaco ha condotto campagne radar ed ecografiche sui galloni. Combinando i risultati di tutte le tecniche non distruttive impiegate nella piramide di Khufu, le piramidi di scansione si sono rese conto che l’SP-NFC poteva essere raggiunto con un endoscopio dietro i galloni.

Foto di gruppo dei partecipanti alla grande scoperta nella Piramide di Cheope (foto ministri of tourism and antiquities)

L’egittologo Zahi Hawass alla presentazione della grande scoperta nella Piramide di Cheope (foto ministry of tourism and antiquities)
Il 24 febbraio 2023, subito dopo aver presentato i risultati della ricerca al Comitato Scientifico presieduto da Zahi Hawass, il team di ScanPyramids ha mostrato con successo l’SP-NFC al Comitato: utilizzando un radar di penetrazione del terreno ad alta frequenza, il team di ScanPyramids ha trovato un’apertura nel giunto dietro i blocchi inferiori degli chevron, che ha permesso di introdurre un endoscopio di ultima generazione con un diametro di soli 5 mm. Il 2 marzo 2023, il team di ScanPyramids pubblica due articoli scientifici che descrivono in dettaglio questa scoperta, nonché la prima immagine del corridoio ScanPyramids-North Face.
Egitto. Scoperta una tomba reale in una necropoli sconosciuta nella Valle n. C delle Valli Occidentali a Tebe Ovest da una missione congiunta egiziano-inglese: potrebbe risalire al periodo Thutmoside (XVIII dinastia), ed essere appartenuta alla moglie del faraone o a una principessa. È stata danneggiata già in antico dalle piene del Nilo

L’ingresso della tomba reale sconosciuta scoperta nella Valle n. C a Tebe Ovest dalla missione anglo-egiziana (foto ministry of tourism and antiquities)

L’ingresso, visto dall’interno, della tomba reale sconosciuta scoperta nella Valle n. C a Tebe Ovest dalla missione anglo-egiziana (foto ministry of tourism and antiquities)
Una tomba reale, finora sconosciuta, è stata scoperta nell’area delle Valli Occidentali a Tebe Ovest dalla missione congiunta egiziano-inglese tra il Consiglio supremo delle Antichità e la Modern State Research Foundation dell’università di Cambridge. Lo ha annunciato Mostafa Waziri, segretario generale del Consiglio Supremo delle Antichità, sottolineando l’importanza di questa scoperta. I primi indizi finora scoperti all’interno della necropoli reale indicano che potrebbe risalire al periodo Thutmoside (XVIII dinastia). Ma la datazione sarà confermata con il prosieguo dello scavo, come ha sottolineato da parte sua Fathi Yassin, direttore generale delle Antichità dell’Alto Egitto e capo della missione per parte egiziana.

L’area di scavo della missione anglo-egiziana nella Valle n. C a Tebe Ovest dalla missione anglo-egiziana (foto ministry of tourism and antiquities)
Secondo Piers Litherland, il capo della missione per parte inglese, la tomba scoperta potrebbe appartenere a una delle mogli o principesse reali durante il periodo del regno Thutmoside, un gran numero delle quali non è stato finora rivelato. Purtroppo, come ha fatto presente Mohsen Kamel, direttore del sito delle Valli Occidentali, “il cimitero scoperto è in cattivo stato di conservazione a causa delle piene del Nilo che si sono verificate in tempi antichi, che hanno allagato le camere lasciando spessi depositi di sabbia e calcare, che hanno portato alla cancellazione di molte delle sue decorazioni parietali e iscrizioni”.
Venezia. Mostra “Tutankhamon. 100 anni di misteri”: visita guidata col curatore prof. Damiano. 1. parte: il progetto espositivo e il ruolo delle repliche

La locandina della mostra “Tutankhamon. 100 anni di misteri. 1922-2022” aperta dal 29 ottobre 2022 a Palazzo Zaguri a Venezia
I numeri sono da record quelli proclamati per la mostra “Tutankhamon. 100 anni di misteri: 1922-2022” del trecentesco Palazzo Zaguri di Venezia, prodotta da Italmostre e allestita da Venice Exhibition: 3000 mq divisi in 36 stanze su 5 piani con più di 1250 tesori e oggetti esposti. E già si annuncia l’apertura straordinaria di Natale dal 26 al 31 dicembre 2022 e dal 2 all’8 gennaio 2023, dalle 10 alle 19 (ultimo ingresso alle 18), e domenica 1° gennaio 2023, dalle 14 alle 18 (ultimo ingresso alle 17). E allora cerchiamo di conoscere meglio questa esposizione con una guida speciale, il curatore della mostra il prof. Maurizio Damiano, uno dei massimi esperti di egittologia in Europa con 25 pubblicazioni tradotte in 50 lingue e collaboratore di molti programmi scientifici nelle più importanti emittenti televisive. Lo faremo a puntate con degli interventi “live” del prof. Damiano.
Il progetto. “Il progetto è un vecchissimo sogno”, spiega Damiano ad archeologiavocidalpassato.com. “In questi 43 anni di carriera tante volte mi sono trovato faccia a faccia con Tutankhamon e sognavo di fare qualcosa di grande ma anche nell’ottica di ciò che io faccio nel mio lavoro e con i miei allievi. Io nei corsi di Egittologia parto sempre dall’ambiente. E anche in questa mostra ho voluto inserire l’ambiente in un percorso che fosse di formazione mentale. Noi dobbiamo capire che siamo tutti figli della nostra storia. La libertà di pensiero è un’illusione. Noi siamo liberi di pensare in base agli input che ci sono arrivati nel corso della nostra vita. Quindi l’ambiente è fondamentale. Quella civiltà è così perché è nata lì. Qualche chilometro più in là, come in Mesopotamia, è totalmente diversa. Quindi per me è sempre importante partire da questo. Poi in mostra ho proposto una riflessione. Noi siamo così legati agli oggetti originali. Adesso che gli originali devono essere salvaguardati e non si muovono più, allora non vale più? No di certo. Questi oggetti, che siano repliche o originali, continuano a parlare. Continueranno sempre a parlare perché ci devono trasmettere il messaggio degli antichi egizi. Per questo – conclude – il progetto mi sta a cuore”.
Film “Tutankhamon, l’ultima mostra”. Prima di continuare nella visita guidata alla mostra di Palazzo Zaguri è bene fare un passo indietro. A maggio 2022 la promozione è stata massiccia. Parlo del film “Tutankhamon. L’ultima mostra” diretto da Ernesto Pagano e prodotto da Laboratoriorosso e Nexo Digital: un racconto straordinario con immagini ad altissima definizione, a cento anni dalla scoperta della tomba del faraone che ha rivoluzionato la storia dell’archeologia. Il film fa riferimento alla mostra “KING TUT. Treasures of the Golden Pharaoh” con 150 reperti provenienti dal corredo funerario del faraone della XVIII dinastia d’Egitto. La mostra, itinerante dal 2018 al 2020, era stata organizzata dal Consiglio Supremo delle Antichità egiziano in collaborazione con diverse istituzioni museali che ha visto come prima meta Los Angeles, seguita poi da altre dieci tappe nel mondo, sfruttando il fatto che in quel periodo ci sarebbe stato il trasferimento di una cospicua parte della collezione del museo di piazza Tahrir al Cairo (il museo Egizio storico) al GEM (il Grand Egyptian Museum realizzato sulla Piana di Giza), dove alla sua inaugurazione verrà esposto per la prima volta in assoluto l’intero corredo funerario di Tutankhamon. I profitti di questo tour sono stati investiti nella costruzione del GEM ed in parte destinati agli scavi di diversi siti archeologici in terra d’Egitto. Al termine della mostra i manufatti sono tornati nell’antica Kemet per non uscirne mai più; a dichiararlo è stato lo stesso Mustafa Waziry, segretario generale del Consiglio Supremo delle Antichità, il quale ha affermato che dopo questa lunga trasferta i reperti resteranno in Egitto “nei secoli dei secoli”.
Repliche sì o no? “La colonna portante della mostra”, spiega il prof. Damiano, “è proprio questo aiutare al salvataggio dei reperti originali e al contempo continuare a farli parlare. Anni fa il ministero egiziano ha stabilito che finita l’ultima mostra con i pezzi originali del tesoro di Tutankhamon questi sarebbero tornati in Egitto, sarebbero stati messi nel nuovo museo, il GEM Grand Egyptian Museum, e da quel momento non si muoverà più nemmeno uno spillo di Tutankhamon per sempre. Però il Governo egiziano ha finanziato milioni di dollari per creare un’impresa – adesso ce ne sono diverse – per fare delle repliche quasi perfette, perché per legge ci devono esserci piccoli dettagli diversi, riconoscibili solo dagli specialisti, altrimenti sarebbero classificati come falsi. Con queste repliche l’Egitto può continuare a dare il messaggio, e a Tutankhamon di girare il mondo. È bello vedere gli originali, però gli oggetti egizi, tutti gli oggetti egizi parlano, ci danno un messaggio. Quindi questo messaggio, con repliche perfette, deve continuare a girare per il mondo salvaguardando gli originali. E questo – conclude – ci permette di vedere qui a Venezia più cose di quante ce ne fossero esposte nel museo del Cairo. Ovviamente non nel Gem dove ci sarà tutto il tesoro di Tutankhamon, anche quanto era rimasto nei magazzini”.
Egitto. Scoperto nella necropoli degli Animali sacri a Saqqara il primo e più grande deposito di 150 statue di bronzo di antiche divinità egizie e di 250 sarcofagi di legno dipinti, sigillati, con mummie

I sarcofagi in legno dipinto trovati nella necropoli degli Animali sacri a Saqqara (foto ministry of tourism and antiquities)

Lo staff della missione archeologica egiziana a Saqqara con al centro Mustafa Waziri, segretario generale del Consiglio Supremo delle Antichità (foto ministry of tourism and antiquities)
Una nuova grande scoperta archeologica in Egitto: centinaia di piccole sculture faraoniche e sarcofagi colorati sono stati rinvenuti nel cimitero degli Animali sacri, a Saqqara, necropoli situata circa 30 km a sud del Cairo. Sono 250 sarcofagi con mummie ben conservate, 150 statue di bronzo e molti altri tesori tra cui un papiro di 9 metri ben conservato: si tratta del primo e più grande deposito del sito risalente al periodo tardo. Questi tesori scoperti dalla missione archeologica egiziana a Saqqara, durante i lavori della quarta stagione di scavo, saranno esposti al Grand Egyptian Museum.

Le statuette in bronzo trovate nella necropoli degli Animali sacri a Saqqara dalla missione archeologica egiziana (foto ministry of tourism and antiquities)

La statuetta in bronzo della dea Bastet trovata dalla missione archeologica egiziana a Saqqara (foto ministry of tourism and antiquities)
“Il deposito scoperto”, ha spiegato Mustafa Waziri, segretario generale del Consiglio Supremo delle Antichità e capo della missione, “include 150 statue di bronzo di varie dimensioni che rappresentano diverse divinità egizie antiche, tra cui Anubi, Amun Min, Osiride, Iside, Nefertum, Bastet e Hathor, oltre a un gruppo di vasi in bronzo legati ai rituali della dea Iside, nonché una statua in bronzo dell’ingegnere Imhotep senza testa, molto precisa e bella”.

Le statue in legno delle dee Iside e Nefti trovate dalla missione archeologica egiziana a Saqqara (foto ministry of tourism and antiquities)
“La missione – ha aggiunto – è riuscita anche a scoprire un nuovo gruppo di pozzi funerari, in cui è stato rinvenuto un gruppo di 250 sarcofagi in legno dipinto del periodo tardo, circa 500 a.C., chiusi, contenenti mummie in buone condizioni di conservazione. E poi un gruppo di amuleti, scatole di legno dipinte, e statue lignee, alcune delle quali dorate in faccia: tra queste, in buono stato di conservazione, le statue delle dee Iside e Nefti in posizione di lutto. Inoltre è stata trovata una sepoltura del Nuovo Regno (databile intorno al 1500 a.C.) contenente numerosi ornamenti strumenti come uno specchio in bronzo e un gruppo di bracciali, collane, orecchini e cavigliere hanno le proprie graffette e strumenti di rame per la vita di tutti i giorni”.
Paestum, XXIII Borsa mediterranea del Turismo archeologico: assegnato alla scoperta di “centinaia di sarcofagi nella necropoli di Saqqara in Egitto” la 7ma edizione dell’International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad”, scelta tra le cinque più importanti del 2020. A novembre sarà consegnato anche il premio della 6° edizione (saltato per il Covid) andato alla scoperta di dieci rilievi rupestri assiri raffiguranti gli dèi dell’Antica Mesopotamia presso il sito di Faida (Iraq)

La scoperta di “centinaia di sarcofagi nella necropoli di Saqqara in Egitto” la 7ma edizione dell’International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad”, promosso dalla Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico e da Archeo: la XXIII edizione si svolgerà a Paestum dal 25 al 28 novembre 2021. L’International Archaeological Discovery Award, il Premio intitolato a Khaled al-Asaad, direttore dell’area archeologica e del Museo di Palmira dal 1963 al 2003, che ha pagato con la vita la difesa del patrimonio culturale, è l’unico riconoscimento a livello mondiale dedicato al mondo dell’archeologia e in particolare ai suoi protagonisti, gli archeologi, che con sacrificio, dedizione, competenza e ricerca scientifica affrontano quotidianamente il loro compito nella doppia veste di studiosi del passato e di professionisti a servizio del territorio. La Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico e Archeo, la prima testata archeologica italiana, hanno inteso dare il giusto tributo alle scoperte attraverso un Premio annuale assegnato in collaborazione con le testate internazionali, tradizionali media partner della Borsa: Antike Welt (Germania), Archäologie in Deutschland (Germania), Archéologia (Francia), as. Archäologie der Schweiz (Svizzera), Current Archaeology (Regno Unito), Dossiers d’Archéologie (Francia). Nel 2015 il Premio è stato assegnato a Katerina Peristeri, Responsabile degli scavi, per la scoperta della Tomba di Amphipolis (Grecia); nel 2016 all’INRAP Institut National de Recherches Archéologiques Préventives (Francia), nella persona del presidente Dominique Garcia, per la Tomba celtica di Lavau; nel 2017 a Peter Pfälzner, direttore della missione archeologica, per la città dell’Età del Bronzo presso il villaggio di Bassetki nel nord dell’Iraq; nel 2018 a Benjamin Clément, responsabile degli scavi, per la “piccola Pompei francese” di Vienne; nel 2019 a Jonathan Adams, responsabile del Black Sea Maritime Archaeology Project (MAP), per la scoperta nel mar Nero del più antico relitto intatto del mondo.

Ecco le cinque scoperte archeologiche del 2020 finaliste della 7ma edizione dell’International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad”. Egitto: centinaia di sarcofagi rinvenuti a Saqqara, patrimonio Unesco a 30 km a Sud del Cairo; Germania: la verità sul Disco di Nebra, il reperto più analizzato della storia archeologica tedesca; Indonesia: nell’isola di Suwalesi le pitture rupestri più antiche del mondo con un cinghiale dipinto in ocra rossa di 45500 anni fa; Israele: a Gerusalemme sotto il Muro del Pianto si celavano tre stanze di 2000 anni fa; Italia: le numerose scoperte di Pompei, un Thermopolium, un carro cerimoniale, le origini Etrusche della città. Come detto, la 7ma edizione dell’International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad” va alla scoperta di “centinaia di sarcofagi nella necropoli di Saqqara in Egitto”. Il Premio sarà consegnato a Mostafa Waziry, Segretario Generale del Consiglio Supremo delle Antichità di Egitto, venerdì 26 novembre 2021. alle 18, alla presenza di Fayrouz, archeologa e figlia di Khaled al-Asaad, in occasione della XXIII Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico. Per quanto riguarda, invece, lo “Special Award” per il maggior consenso sulla pagina Facebook della BMTA, è risultata la scoperta delle “tre stanze di 2000 anni fa sotto il Muro del Pianto di Gerusalemme”.

Nella stessa cerimonia sarà premiata anche la scoperta archeologica riferita all’anno 2019 vincitrice della 6a edizione, ma non conferita in quanto la BMTA nel novembre 2020 fu annullata a causa del lockdown: Daniele Morandi Bonacossi, direttore della Missione Archeologica Italiana nel Kurdistan Iracheno e Ordinario di Archeologia e Storia dell’Arte del Vicino Oriente Antico dell’Università di Udine, per la scoperta di dieci rilievi rupestri assiri raffiguranti gli dèi dell’Antica Mesopotamia presso il sito di Faida, a 50 km da Mosul (vedi Il ritrovamento dei dieci rilievi rupestri di Faida nel Kurdistan iracheno da parte dell’università di Udine premiato come la scoperta archeologica più importante del 2019 con l’assegnazione della sesta edizione dell’International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad” promossa dalla Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico e da Archeo | archeologiavocidalpassato).

A Saqqara, patrimonio Unesco a 30 km a sud del Cairo, ritrovati centinaia di sarcofagi. A novembre 2020, un prezioso tesoro di 50 sarcofagi in legno è stato rinvenuto nella necropoli da un team di archeologi guidato da Zahi Hawass. Il ritrovamento getta nuova luce sulla storia di Saqqara durante il Nuovo Regno, il periodo della storia egizia compreso tra il XVI secolo a.C. e l’XI secolo a.C. Le preziose bare sono state trovate in 52 pozzi sepolcrali, profondi tra i 10 e 12 metri, che facevano parte del tempio funerario dedicato alla regina Naert, moglie del re Teti, il primo faraone della VI dinastia del Vecchio Regno. Sempre a novembre 2020, vicino alla piramide di Djoser (la prima struttura di cemento completa esistente al mondo e la più antica piramide a gradoni di tutto l’Egitto), oltre 100 sarcofagi, risalenti a due epoche, Tolomeo e Tardo Periodo, e più di 40 statue con maschere e mummie dorate di 2500 anni, ben conservate in pozzi profondi di 12 mt. (vedi Egitto. Nella necropoli di Saqqara la missione egiziana scopre 100 sarcofagi inviolati e sigillati di 2500 anni fa, 40 statue dorate di Ptah Soker, 20 scatole di legno di Horus, e poi statuette, amuleti, ushabti e 4 maschere in cartonnage dorato. I sarcofagi andranno tra il Grand Egyptian Museum, il National Museum of Egyptian Civilization, il museo della Nuova Capitale Amministrativa e il museo Egizio di piazza Tahrir. Le mummie al National Museum of Egyptian Civilization | archeologiavocidalpassato). A ottobre, la scoperta di 3 pozzi funerari di 10, 11 e 12 metri di profondità e contenenti più di 59 sarcofagi antropomorfi e policromi di ben 2.600 anni fa, risalenti alla XXVI dinastia, disposti in diverse camere, impilati l’uno sull’altro e appartenenti a sacerdoti, alti funzionari e personalità di spicco dell’alta società. Inoltre, le sabbie dell’area cimiteriale hanno portato alla luce ben 28 statue lignee del dio principalmente venerato nella necropoli,

Le statue dorate di Ptah Soker, dio della necropoli di Saqqara, trovate dalla missione egiziana a Saqqara (foto Ministry of Tourism and Antiquities)
Ptah-Sokar-Osiris, e un gran numero di amuleti, ushabti e altri oggetti, inclusa la statua di bronzo con intarsi in agata rossa, turchese e lapislazzuli del dio Nefertum (vedi Egitto. La missione archeologica egiziana nella necropoli di Saqqara conferma l’eccezionalità della scoperta in tre pozzi sacri. Il ministro: “Siamo arrivati a 59 sarcofagi in legno ancora sigillati, di 2500 anni fa; 28 statue del dio Ptah Sokar e un gran numero di amuleti e ushabti. E non è finita” | archeologiavocidalpassato). A settembre 2020, 27 sarcofagi intatti sepolti da più di 2500 anni e mai aperti, con bare in legno ottimamente conservate, dipinte con colori vivaci, trovati insieme ad altri manufatti più piccoli, all’interno di un pozzo nel sito sacro (vedi Egitto. La missione archeologica egiziana nella necropoli di Saqqara ha scoperto 27 sarcofagi di epoca tarda, risalenti a 2500 anni fa, ancora sigillati. Il ministro el-Anani: “Una scoperta molto emozionante. E penso siamo solo all’inizio”. E ora gli egittologi sperano di trovare all’interno intatto anche il corredo | archeologiavocidalpassato). Tutti questi straordinari tesori antichi, ritrovati in tempi diversi dalla missione archeologica egiziana con a capo Mustafa Waziri, Segretario Generale del Consiglio Supremo delle Antichità, verranno trasferiti al GEM Grand Egyptian Museum per essere esposti, dopo i dovuti restauri.

La verità sul Disco di Nebra, scoperto nella Germania centrale, il reperto più analizzato di sempre. Il Disco di Nebra è una lastra in metallo con applicazioni in oro risalente all’Età del Bronzo, che raffigura chiaramente fenomeni astronomici e simboli di forte impronta religiosa, considerato la più antica rappresentazione del cielo e uno dei ritrovamenti archeologici più importanti del XX secolo. Il reperto è un disco in bronzo del diametro di 32 cm e dal peso di 2 kg su cui sono riportate, in lamina d’oro, le possibili figure del Sole, della falce lunare e un insieme di 32 piccoli dischetti che potrebbero rappresentare le stelle. Di questi 32 dischetti aurei, 29 sono ben visibili, mentre i restanti si sono staccati, lasciando però una traccia evidente sulla superficie del disco di bronzo. Scoperto nel 1999 da alcuni saccheggiatori di tombe all’interno di una cavità in pietra sul monte Mittelberg, vicino Nebra, a 252 metri di quota, nella foresta dello Ziegelroda, a 180 km a sud-ovest di Berlino, ora è al museo regionale della preistoria di Halle, in Sassonia-Anhalt. Il disco è stato principalmente esaminato dall’archeologo Harald Meller (Ente per l’Archeologia e la Conservazione dei monumenti storici di Halle), dall’astronomo Wolfhard Schlosser (Università di Bochum) e dai chimici esperti in archeologia Ernst Pernicka (archeometallurgia), Heinrich Wunderlich (tecnica e metodo delle costruzioni) e da Miranda J. Aldhouse Green (Università del Galles), archeologa e studiosa delle religioni dell’Età del Bronzo. In una pubblicazione della rivista scientifica “Archaeologia Austriaca” lo stesso Meller, insieme a dodici suoi collaboratori, ha riproposto una sintesi di tutte le più recenti indagini a favore dell’attribuzione del disco al 1600 a.C., ovvero all’Età del Bronzo, con le prove inequivocabili circa l’esattezza del luogo di ritrovamento che, al di là delle dichiarazioni dei due (certo poco attendibili) scopritori, si avvale ora di una dati scientifici difficilmente oppugnabili: l’aumentata concentrazione, nel terreno, di particelle d’oro e di rame, spiegabili con la prolungata permanenza del reperto nel terreno, e la corrispondenza tra la terra sul luogo del ritrovamento e tracce di essa rinvenute su una delle asce e sul disco stesso. La datazione del reperto si avvale dei risultati dell’analisi al radiocarbonio effettuati su resti organici (tracce di corteccia di betulla) prelevati dal manico di una delle spade rinvenute insieme al disco. Le controprove predisposte affrontano, su larga scala, “l’accusa” mossa al disco di non essere, cronologicamente e territorialmente, contestuali agli altri componenti del ritrovamento. Argomento centrale diventa, così, la composizione chimica dei metalli (per la quale non esiste ancora un metodo di datazione scientifica) e il luogo di provenienza degli stessi. Dal confronto con un database, che riunisce ben 50mila miniere metallifere preistoriche sul territorio europeo (e basandosi sull’esame geochimico della concentrazione degli isotopi del piombo) è emersa con evidenza l’origine del rame impiegato nel disco da depositi nelle Alpi orientali, nell’odierna Austria (miniera di Mitterberg, presso Salisburgo), mentre l’oro delle decorazioni proviene, con grande probabilità, dal fiume Carnon, nella regione della Cornovaglia (Inghilterra sudoccidentale).

In Indonesia nell’isola di Suwalesi le pitture rupestri più antiche del mondo con un cinghiale dipinto in ocra rossa di 45500 anni fa. Datata a 45500 anni fa la pittura rupestre del cinghiale delle verruche di Celebes, trovata nella grotta calcarea di Leang Tedongnge e che potrebbe essere la più antica pittura rupestre conosciuta al mondo. Per fare un confronto, le pitture rupestri di Lascaux, in Francia, sono datate a circa 17500 anni fa; quelle più antiche delle grotte di Altamira, in Spagna, a 36000 anni fa. La grotta si trova in una valle racchiusa da ripide falesie calcaree ed è accessibile solo da uno stretto passaggio della grotta e solo nella stagione secca, poiché il fondovalle è allagato durante la stagione delle piogge. “L’isolata comunità Bugis, che vive in questa valle nascosta afferma che non era mai stata visitata prima dagli occidentali” ha spiegato Adam Brumm dell’Australian Research Center for Human Evolution della Griffith University, co-leader del team di ricerca condotto con Arkenas, il principale centro di ricerca archeologica dell’Indonesia, Pusat Penelitian Arkeologi Nasional. Il dipinto in ocra rossa mostra un cinghiale con una corta cresta di peli eretti e un paio di verruche facciali simili a corno davanti agli occhi, una caratteristica dei cinghiali di Sulawesi maschi adulti, specie endemica dell’isola. “Gli esseri umani hanno cacciato i cinghiali di Sulawesi per decine di migliaia di anni” ha spiegato l’archeologo indonesiano Basran Burhan. “Questi maiali erano l’animale più comunemente raffigurato nell’arte rupestre dell’era glaciale dell’isola, il che suggerisce che siano stati a lungo apprezzati sia come cibo sia come fulcro del pensiero creativo e dell’espressione artistica”. L’arte rupestre realizzata nelle grotte calcaree può essere datata utilizzando l’analisi della serie di uranio dei depositi di carbonato di calcio, i “popcorn delle caverne”, che si formano naturalmente sulla superficie della parete della caverna usata per dipingere. A Leang Tedongnge, un piccolo “popcorn” si era formato sul piede posteriore di una delle figure di maiale, dopo che era stata dipinta; una volta datato, ha fornito un’età minima per il dipinto: visto che è questo deposito a essere stato datato a 45500 anni fa, la scena era quindi stata dipinta qualche tempo prima. Numerosi esempi di arte rupestre primitiva sono stati datati in precedenza, comprese rappresentazioni di animali e scene narrative che sono eccezionali sia per la qualità della loro esecuzione sia per la rarità, di almeno 43900 anni.

A Gerusalemme sotto il Muro del Pianto si celavano tre stanze di 2000 anni fa. Si tratta di un complesso sotterraneo che comprende tre ambienti contenenti oggetti di uso quotidiano. Quella porzione di muro, nei pressi del Secondo Tempio (o Tempio di Erode), era stata distrutta dai Romani nell’anno 70 a.C. Infatti, un tempo esistevano due templi sacri a Gerusalemme, principali luoghi di culto costruiti sul Monte del Tempio, ma furono entrambi distrutti dapprima dai Babilonesi e poi, appunto, dai Romani. Le stanze erano nascoste dietro uno strato di roccia. Gli archeologi erano ignari del fatto di aver scoperto delle nuove strutture collegate tra loro da scalinate. Barak Monnickendam-Givon, co-direttore degli scavi per conto dell’Autorità per le antichità israeliane, ha spiegato che “Siamo convinti che tutto ciò che ora comprende la piazza del Muro occidentale fosse sostenuto da un colonnato. Scaveremo ulteriormente per dimostrarlo. Una volta conclusi gli scavi ci sarà una netta divisione tra l’attività liturgica riservata alla preghiera dei fedeli e quella turistica, con i visitatori che verranno a scoprire il sito archeologico”. Tehila Sadiel, il secondo co-direttore responsabile degli scavi, ha precisato che “Tra i vari oggetti, abbiamo rinvenuto delle stoviglie di terracotta, alcune basi di lampade a olio usate per fare luce, una tazza di pietra eccezionale per il periodo e un frammento di “qalal”, un ampio contenitore di pietra usato per l’acqua, forse legato alle pratiche ebraiche del rituale di purificazione”. Del resto, nel corso dei millenni, Gerusalemme è stata costruita e ricostruita più volte da tutte le popolazioni che l’hanno abitata e conquistata. Gli strati di abitazioni, strade e luoghi sacri si sovrappongono tra loro ed è quindi facile trovare nascosto sotto qualche piano di mattoni un nuovo strato di storia. Sotto il Muro del Pianto ci sono già dei tunnel che si possono visitare e che corrono lungo i 485 metri di muro che circondavano l’antico Tempio e che oggi sono nascosti sotto le case della Città Vecchia.

A Pompei, numerose scoperte: un Thermopolium, un carro cerimoniale, le origini Etrusche della città. Il geografo greco Strabone faceva risalire le origini di Pompei agli Osci, una popolazione di ceppo sannitico appartenente alla Campania preromana, per tanti secoli ritenuta la più valida, anche se la fondazione di Pompei, avvenuta almeno 700 anni prima della sua tragica fine, 79 d.C., continuava a essere avvolta dal mistero. Le ultime campagne di scavo raccontano che Pompei sarebbe stata una città etrusca per lingua e per cultura, seppur costruita con uno stile diverso rispetto a quello che contraddistingue i suoi fondatori. La scoperta presentata dal direttore Massimo Osanna e dall’archeologo Carlo Rescigno si basa sulle centinaia di anfore, vasi, ampolle e coppe con iscrizioni ritrovate nello scavo del santuario costruito lungo la strada che collegava la città al mare, una costruzione a pianta rettangolare e a cielo aperto, riemersa a poche centinaia di metri dalle mura meridionali della città, in quello che viene indicato come il “Fondo Iozzino” (vedi Nella Palestra Grande agli scavi la mostra “Pompei e gli Etruschi”: 800 reperti provenienti da musei italiani e europei. 2^ parte: dalla Pompei – città nuova etrusca – in una Campania multietnica fino al suo tramonto, e alla memoria di alcune usanze etrusche | archeologiavocidalpassato). Le coppe ritrovate recano graffiti con frasi rituali accompagnate dal nome di chi ha fatto l’offerta presso il santuario, nomi tutti Etruschi, alcuni dei quali mai ritrovati prima nei territori della Campania, ma conosciuti nei centri di origine etrusca di Lazio e Toscana. La divinità onorata su questi oggetti, inoltre, è sempre indicata con il nome generico “Apa”, che in etrusco significa “Padre” e rappresenta un chiaro riferimento alla cultura religiosa degli Etruschi. A tutto ciò si aggiunge il santuario di Apollo, la principale area sacra pompeiana, dove gli scavi storici e quelli più recenti hanno fatto emergere delle coppe con iscrizioni ancora una volta in alfabeto e lingua etrusca (vedi Aperta al museo Archeologico nazionale di Napoli la mostra “Gli Etruschi al Mann”: un inedito focus sulla realtà di una Campania etrusca con 600 reperti (di cui 200 visibili per la prima volta). I tesori “scoperti” nei depositi del Mann costituiranno una nuova sezione permanente del museo napoletano | archeologiavocidalpassato).

L’ambiente quasi integro di un Thermopolium, bottega alimentare alla quale si aggiungeva uno street food con piatti di vario tipo, dalle lumache a una sorta di paella. Il Termopolio della Regio V, una delle tavole calde di Pompei, con l’immagine della Nereide a cavallo, era già stato parzialmente scavato nel 2019. Ora è riaffiorato per intero con nuove ricche decorazioni di nature morte, rinvenimenti di resti alimentari, ossa di animali e di vittime dell’eruzione del vulcano. Nella nuova fase di scavo, sull’ultimo braccio di bancone tornato alla luce, sono emerse ulteriori scene di nature morte, con rappresentazioni di animali. Frammenti ossei degli stessi animali sono stati rinvenuti all’interno di recipienti ricavati nello spessore del bancone, contenenti cibi destinati alla vendita. Tra questi, le due anatre germane esposte a testa in giù, pronte a essere preparate e consumate, un gallo e un cane al guinzaglio. Sono state rinvenute, inoltre, ossa umane, sconvolte a causa del passaggio di cunicoli realizzati nel XVII secolo da scavatori clandestini in cerca di oggetti preziosi e vario materiale da dispensa e da trasporto (nove anfore, una patera di bronzo, due fiasche, un’olla di ceramica comune da mensa). Per la prima volta si è scavato un simile ambiente per intero ed è stato possibile condurre tutte le analisi che le tecnologie odierne consentono da un team interdisciplinare composto da antropologo fisico, archeologo, archeobotanico, archeozoologo, geologo, vulcanologo, per capire cosa venisse venduto e quale era la dieta alimentare (vedi Pompei. Nuova scoperta eccezionale nella Regio V: torna alla luce un termopolio (una tavola calda dell’epoca) intatto, con ricche decorazioni di nature morte, rinvenimenti di resti alimentari, ossa di animali e di vittime dell’eruzione. Il direttore del parco archeologico Osanna descrive la scoperta. E il ministro Franceschini: “Pompei esempio di tutela e gestione” | archeologiavocidalpassato).

Il rinvenimento di un carro cerimoniale, un reperto straordinario emerso integro dallo scavo della villa suburbana in località Civita Giuliana, a nord di Pompei, oltre le mura della città antica rientra nell’ambito dell’attività congiunta finalizzata al contrasto delle attività illecite a opera di scavi clandestini nell’area a opera di “tombaroli”. Un grande carro cerimoniale a quattro ruote, con i suoi elementi in ferro, decorazioni in bronzo e stagno di carattere erotico (si trattava forse di un carro nuziale oppure destinato al culto di Cerere o Venere), i resti lignei mineralizzati, le impronte degli elementi organici (dalle corde a resti di decorazioni vegetali), è stato rinvenuto quasi integro nel porticato antistante alla stalla dove già nel 2018 erano emersi i resti di 3 cavallo, tra cui uno bardato. Gli scavi, che hanno permesso di verificare anche l’estensione dei cunicoli dei clandestini, in parte al di sotto e a ridosso delle abitazioni moderne, con conseguenti difficoltà sia di tipo strutturale che logistico, a causa dei 6 mt di profondità. A Pompei sono stati ritrovati in passato veicoli per il trasporto, come quello della casa del Menandro, o i due carri rinvenuti a Villa Arianna, ma niente di simile al carro di Civita Giuliana, un carro cerimoniale, probabilmente il Pilentum, utilizzato non per gli usi quotidiani o i trasporti agricoli ma per accompagnare momenti festivi della comunità, parate e processioni (vedi Nuova eccezionale scoperta nella lussuosa villa di Civita Giuliana (Pompei): scoperto un carro da parata (pilentum) integro, con decorazioni erotiche, forse per una cerimonia nuziale. Osanna: “Un unicum in Italia. Grazie all’intesa Parco archeologico di Pompei e Procura di Torre Annunziata per contrastare le attività dei tombaroli” | archeologiavocidalpassato).
Scoperta archeologica in Egitto. Il sito di Kom al-Khaljan (governatorato di Daqahliya) ha restituito 110 tombe che risalgono a tre diverse civiltà, tra la preistoria (più di 5mila anni fa) e gli Hyksos (3500 anni fa): 68 della Civiltà di Buto 1 e 2, cinque di Naqada III e 37 del Secondo periodo intermedio


Uno scarabeo rinvenuto nel sito di Kom al-Khaljan, nella zona del Delta, in Egitto (foto ministry of Tourism and Antiquities)

Un amuleto rinvenuto nel sito di Kom al-Khaljan, nella zona del Delta, in Egitto (foto ministry of Tourism and Antiquities)
Il Basso Egitto restituisce ben 110 tombe che coprono un arco temporale lunghissimo di quasi 2500 anni, dalla preistoria agli Hyksos. La scoperta archeologica è avvenuta nel sito di Kom al-Khaljan, governatorato di Daqahliya, nella zona Delta, dove opera la missione archeologica guidata da Sayed Al-Talhawi. Le 110 tombe scoperte risalgono a tre diverse civiltà: la civiltà del Basso Egitto conosciuta come Bhutto/Buto 1 (3900-3700 a.C.) e Bhutto/Buto 2 (3700-3350 a.C.), la Civiltà di Naqada III (3500-3150 a.C.) e il secondo Periodo intermedio noto come periodo Hyksos (1720-1530 a.C.). “Questa scoperta”, ha spiegato Mustafa Waziri, segretario generale del Consiglio supremo delle antichità, “dà un importante contributo alla conoscenza storica e archeologica del sito: delle tombe trovate, 68 risalgono al periodo della civiltà del Basso Egitto, cinque tombe all’era di Naqada III e 37 tombe all’era di Hyksos. Siamo convinti che gli scavi continueranno a rivelare altri segreti di questa regione”. La missione ha anche scoperto una collezione di forni, stufe, resti di fondamenta in mattoni di fango, vasi di ceramica e amuleti, in particolare scarabei, alcuni dei quali erano fatti di pietre semipreziose e ornamenti come orecchini.

Tombe della civiltà di Buto. “Le 68 tombe”, ha aggiunto Ayman Ashmawi, capo del settore delle antichità egizie dello Sca, “sono fosse di forma ovale scavate nello strato sabbioso dell’isola deltizia e contengono persone sepolte in una posizione accovacciata, la maggior parte delle quali giaceva sul lato sinistro con la testa rivolta verso Ovest. Sono state anche scoperti i resti di un bambino sepolto all’interno di un vaso di argilla del periodo Bhutto 2, insieme a un piccolo vaso di argilla sferico”.

Tombe di Naqada III. “Le cinque tombe, che risalgono al periodo di Naqada III, sono anch’esse fosse di forma ovale scavate nello strato sabbioso dell’isola deltizia”, ha precisato sempre Ayman Ashmawi, “comprese due tombe che avevano i lati, il fondo e il tetto, coperti da uno strato di argilla. All’interno delle fosse, la missione ha trovato un gruppo di arredi funerari caratteristici di questo periodo, vasi cilindrici e triangolari, oltre alla ciotola del kohl, la cui superficie era decorata con disegni e forme geometriche”.


Grande vaso di argilla rinvenuto nel sito di Kom al-Khaljan, nel Delta (foto ministry of Tourism and Antiquities)
Tombe del secondo periodo intermedio. “Le tombe scoperte risalenti al secondo periodo intermedio (il periodo Hyksos)”, ha affermato Nadia Khader, capo del Dipartimento centrale del Basso Egitto nel Consiglio supremo delle antichità, “sono 37, 31 delle quali sono fosse semi-rettangolari che vanno in profondità tra i 20 cm e gli 85 cm, e tutte le loro sepolture sono in posizione estesa, con la testa rivolta a Ovest, e la faccia in su. Inoltre, sono state riportate alla luce una tomba in argilla di un bambino è stata trovata all’interno di un sepolcreto; due tombe in mattoni a forma di edificio rettangolare con le sepolture dei bambini e alcuni arredi funerari, tra cui un piccolo vaso di argilla e anelli d’argento, nonché i resti di un bambino sepolto in un grande vaso di argilla. L’arredo funebre era posto all’interno del vaso, rappresentato in un piccolo vaso di argilla nera”.
Egitto. Scoperto ad Abydos il più antico birrificio del mondo dalla missione egiziano-americano diretta da Matthew Adams. Risale all’epoca di Narmer (I dinastia). Forniva la birra usata nei rituali funebri

Scoperta in Egitto la più antica fabbrica di birra ad alta produzione del mondo: risalirebbe a 5mila anni fa. A scoprirla nella zona Nord di Abydos, provincia di Sohag, la missione archeologica congiunta egiziano-americana, guidata da Matthew Adams della New York University e da Deborah Fishak della Princeton University. In realtà il sito era stato visto da alcuni archeologi britannici all’inizio del XX secolo, ma la sua posizione non era stata determinata con precisione, e solo l’attuale spedizione è stata in grado di individuarla e scoprire che si trattava di un birrificio.


I sostegni verticali in argilla delle vasche per la produzione della birra scoperte ad Abydos (foto ministry of Tourism and Antiquities)
“La fabbrica risale probabilmente all’era del re Narmer (I dinastia)”, ha affermato Mostafa Waziry, segretario generale del Consiglio supremo delle antichità. “Si compone di otto grandi sezioni con un’area di 20 metri di lunghezza x 2,5 metri di larghezza x 0,4 metri di profondità, che servivano come unità per la produzione di birra, in quanto ogni settore conteneva circa 40 vasche di coccio disposte su due file per riscaldare la miscela di grani e acqua, e ogni vasca è tenuta in posizione da leve in argilla poste verticalmente attorno ad anello”.

Secondo Matthew Adams, capo della missione, “gli studi hanno dimostrato che la fabbrica produceva circa 22.400 litri di birra alla volta, e potrebbe essere stata costruita in questo luogo appositamente per assicurare la birra destinata ai rituali reali che si svolgevano all’interno delle tombe dei faraoni d’Egitto. E durante gli scavi in queste strutture sono state trovate prove dell’uso della birra nei riti sacrificali”.
Egitto. Nuovo libro in francese sul grande tempio di Abu Simbel “Le Stanze Nord del Tesoro. Descrizione archeologica e testi geroglifici” a cura di Hisham Elleithy

Fu costruito dal faraone Ramses II della XIX dinastia, e scoperto dall’archeologo Giovanni Belzoni nel 1817: parliamo del Grande Tempio di Abu Simbel, nella regione della Nubia, sulla sponda occidentale del Lago Nasser; uno dei siti archeologici inclusi nella lista Patrimonio dell’umanità dell’Unesco, ed è uno dei templi che è stato spostato dalla sua posizione originale in un luogo più in alto sopra la superficie del lago Nasser al momento della costruzione della diga sul Nilo. Su iniziativa del ministero del Turismo e delle Antichità egiziano il Cedae (Centre d’Etude et de Documentation sur l’Ancienne Égypte) ha pubblicato il libro “Le Grand Temple d’Abou Simbel. Les salles nord du trésor. Description archéologique et textes hiéroglyphiques” (Il grande tempio di Abu Simbel. Le Stanze Nord del Tesoro. Descrizione archeologica e testi geroglifici), Il Cairo 2020, a cura Hisham Elleithy, direttore generale del Cedae, sottosegretario di Stato per la Documentazione del ministero delle Antichità e responsabile del Centro documentazione delle Antichità egizie; con l’introduzione del ministro Khaled El-Enany. “Il libro”, spiega Elleithy, “inizia con un’introduzione che tratta di ciò che il centro ha pubblicato in precedenza su questo tempio, e poi passa a descrivere ciò che c’è sul lato settentrionale del tempio: le stanze del tesoro, con descrizione archeologica e traduzione di testi geroglifici. Il libro illustra la pianificazione architettonica del tempio con un’indicazione dell’ubicazione delle camere del tesoro settentrionali, quindi la descrizione archeologica delle iscrizioni e delle scene, quindi una raccolta di fotografie di tali iscrizioni e scene, seguita dai dipinti di disegni al tratto, mappe architettoniche, immagini in bianco e nero e una tavoletta di iscrizioni e scene, oltre a un elenco di offerte e rituali. I nomi di divinità, dipinti e varie calligrafie”. Secondo lo stesso tema delle sale meridionali del Tesoro, quelle del Nord riproducono sulle loro pareti tutta una serie di scene, scolpite in rilievo “nella cavità” con il faraone alla presenza di divinità. Molto spesso Ramses II è raffigurato inginocchiato o più raramente in piedi, di fronte a dee o dei rappresentati seduti. Mentre un certo numero di divinità nubiane sono sotto i riflettori, come Horus de Miâm, Horus de Baki o Buhen o Hathor d’Ibchek, c’è anche un pantheon più classico rappresentato da Rê-Horakhty, Amon, Mut, Khonsou, Ptah, Thot, Iside, Montou e pochi altri. Infine, in alcuni dipinti, Ramses appare sotto un aspetto divino, quello di Ousermaâtrê-Setepenrê, Amon-de-Ousermaâtrê-Setepenrê, Ousermaâtrê il Grande Dio o Ramesses il Grande Dio. Disegnate per la prima volta in inchiostro nero sulle pareti, queste scene furono poi scolpite e dipinte: le figure spiccano in giallo, il colore dell’oro e gli attributi o gli ornamenti (colletto, barba, cintura, bracciali, cavigliere) in nero. Alcuni testi, come nella scena R.14 (dietro il re) non sono stati scolpiti ma sono semplicemente dipinti di giallo.

È questo il sesto volume realizzato dal Cedae sul Grande tempio di Abu Simbel: dai diversi volumi relativi alla battaglia di Qadesh, alla facciata (A-E), alle sale meridionali del Tesoro, all’architettura di queste emblematiche specifiche di Ramses II e alla cappella di Ra-Horakhty. E ora si aggiunge il volume dedicato alle sale settentrionali del Tesoro: descrizione archeologica e traduzione di testi, lastre fotografiche e disegni delle scene. “Come le altre pubblicazioni pubblicate dal Cedae”, spiega l’editore, “questa è il risultato di un lavoro collettivo basato sull’indagine sui testi geroglifici effettuata in loco da Sergio Donadoni e verificata da Jaroslav Cerny. Per questo nuovo volume, che compare nella collezione scientifica del Cedae e per il loro gentile sostegno, vorremmo esprimere la nostra gratitudine a Khaled El-Enany, ministro del Turismo e delle Antichità, nonché a Mostafa Waziri, segretario generale del Consiglio Supremo delle Antichità”. I due templi di Abu Simbel – ricordiamolo – furono scolpiti sul fianco della montagna durante il regno di re Ramses II nel XIII secolo a.C., come due monumenti dell’eternità, uno per il sovrano stesso (dove commemorava la sua vittoria nella battaglia di Qadesh) e l’altro per la sua regina Nefertari. La costruzione dei due templi iniziò intorno al 1264 a.C. e durò circa 20 anni, fino al 1244 a.C. A Sud si trova il grande “Tempio di Ramses amato di Amon” dedicato agli dei Ra-Horakhty, Ptah e Amon-Rê, mentre il più piccolo, a Nord, è dedicato alla dea Hathor-Sothis, personificata da Nefertari, la più amata di tutte le molte mogli di Ramses.
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