Berlino. Ultima estate per ammirare la Porta di Ishtar di Babilonia o la Porta del Mercato di Mileto: dal 23 ottobre chiude il Pergamon Museum per una complessa ristrutturazione che finirà non prima del 2037 (tra 14 anni!). Nel 2027, riapertura parziale con l’Altare di Pergamo (ora non visibile)

La Porta di Ishtar di Babilonia tra i capolavori del Pergamon Museum di Berlino (foto SMB / Becker)

La chiusura del Pergamon Museum annunciato da Il Mitte, il quotidiano di Berlino per italofoni
Dal 1° luglio 2023 gli orari di apertura del Pergamon Museum sono prolungati il martedì, il mercoledì, il venerdì, il sabato e la domenica dalle 9 alle 19 e il giovedì dalle 9 alle 20. E questo orario rimarrà in vigore fino a domenica 22 ottobre 2023. Perché proprio fino a ottobre e non fino alla fine dell’estate, come sarebbe più logico? Perché da lunedì 23 ottobre 2023 il Pergamon Museum, uno dei più visitati musei di Berlino, il museo che riunisce inestimabili collezioni di antichità classiche, del vicino Oriente e di arte islamica, non sarà più visitabile al pubblico. E non per poco. Quasi quattro anni, cioè fino al 2027, per una prima riapertura parziale. Ma solo nel 2037, a lavori di ristrutturazione completati, il Pergamon Museum tornerà accessibile al pubblico nella sua interezza. Quindi questa è l’ultima estate disponibile per ammirare la Porta di Ishtar e la via processionale di Babilonia o la Porta del Mercato di Mileto, tanto per fare qualche esempio eclatante. L’Altare di Pergamo, che ha dato il nome al museo berlinese, già ora non è visibile. I lavori di ristrutturazione, inclusi nel Museumsinsel Master Plan, sono già in corso infatti da tempo nell’edificio: i primi interventi risalgono al 2013. Le operazioni fin qui svolte sono state portate avanti garantendo la parziale accessibilità della struttura museale; la fase in arrivo impone però la chiusura completa della prestigiosa istituzione. Il primo step, nel 2027, prevede il completamento dei lavori nell’ala nord che comprende l’altare di Pergamo, la quale sarà nuovamente aperta ai visitatori.

Heinrich Schliemann con gli scavatori che riportano alla luce l’antica Troia sulla collina di Hissarlik in Turchia
Dopo la scoperta di Troia da parte del famoso mercante e archeologo Heinrich Schliemann, nel XIX secolo scoppiò la febbre degli scavi. I ricercatori tedeschi si recarono a Pergamo, Mileto, Babilonia, Uruk, Assur e in Egitto. L’impero ottomano concesse loro generose quote dei reperti rinvenuti: fu così che importanti monumenti architettonici, sculture e piccoli oggetti antichi approdarono a Berlino. I reperti vennero subito esposti sull’Isola dei musei, all’interno del predecessore del Museo di Pergamo. Ben presto, però, lo spazio non fu più sufficiente. Il Museo di Pergamo fu costruito tra il 1910 e il 1930 su progetto dell’architetto Alfred Messel e in poco tempo divenne una delle principali attrazioni di Berlino. Oltre all’imponente altare di Pergamo, vero e proprio capolavoro dell’arte ellenistica, la porta del Mercato di Mileto, alta 17 metri, e la magnifica porta di Ishtar costituiscono il cuore del museo. Ogni ala dell’edificio ospita una delle tre collezioni: parte della collezione di antichità classiche nell’edificio centrale, il Museo del Vicino Oriente al pianoterra dell’ala sud e il Museo di arte islamica al piano superiore.

La Porta del Mercato di Mileto tra i capolavori del Pergamon Museum di Berlino (foto SMB / Becker)
Come si diceva, attualmente sono in corso le opere previste per l’ala nord e per la parte centrale, con interventi che riguardano sia la sala ellenistica che il vasto ambiente con l’Altare di Pergamo. Ma è l’ala sud quella che ha bisogno di una ristrutturazione urgente, poiché le pessime condizioni e il degrado complessivo incidono sulla stabilità delle architetture e sulla sicurezza dei reperti. E poi, nel Museumsinsel Master Plan, è prevista la costruzione della quarta ala, e, successivamente, la costruzione delle sezioni di collegamento ancora mancanti con il Bode-Museum e con il New Neues Museum, nonché la ristrutturazione degli spazi esterni e la realizzazione del ponte sul Kupfergraben, il cosiddetto Pergamonsteg. Basta questo per comprendere questa lunghissima, epocale, chiusura.
Egitto. Aperto a Sharm el-Sheick il nuovo museo, il primo di antichità: 5200 manufatti sulla civiltà dei faraoni. “Per i turisti la possibilità di godere spiagge e cultura”
Il 2020, questo anno terribile caratterizzato dalla pandemia che ha causato vittime in tutto il mondo, è agli sgoccioli. È tempo di bilanci. Per l’Egitto c’è anche qualche segno positivo. Grandi scoperte archeologiche, grandi musei in cantiere sulla dirittura d’arrivo, e nuovi musei aperti al pubblico o, meglio, pronti ad accogliere il pubblico quando potrà tornare a visitare la terra dei faraoni come una nuova offerta culturale. È il caso del nuovo museo di Sharm el-Sheick, inaugurato il 31 ottobre scorso (2020) dal presidente della Repubblica araba d’Egitto. È il primo museo di antichità nella città costiera di Sharm El-Sheikh, famosa in tutto il mondo per il suo sole e le pittoresche spiagge sabbiose sul mar Rosso. Oltre 5200 manufatti raccontano la storia dell’ascesa della civiltà egizia e fanno luce su come gli egiziani vissero in coerenza con la natura e convissero con le sue numerose creature che santificarono. L’apertura di questo museo è in linea con il piano del Ministero per integrare il turismo del tempo libero e della cultura, per offrire ai turisti una miscela unica in cui possono godersi le spiagge e le attività marine e allo stesso tempo dare uno sguardo alla grande civiltà egizia. Lo slogan non lascia dubbi: museo di Sharm El-Sheikh …. Cultura in riva al mare.
Egitto. La missione archeologica egiziana nella necropoli di Saqqara ha scoperto 27 sarcofagi di epoca tarda, risalenti a 2500 anni fa, ancora sigillati. Il ministro el-Anani: “Una scoperta molto emozionante. E penso siamo solo all’inizio”. E ora gli egittologi sperano di trovare all’interno intatto anche il corredo

Il gruppo della missione archeologica egiziana che opera nella necropoli di Saqqara (foto Ministry of Tourism and Antiquites)
“Una scoperta molto emozionante. E penso siamo solo all’inizio”. Ai primi di settembre 2020 l’annuncio è arrivato in un brevissimo video da un emozionato Khaled el-Anani, ministro del turismo e delle antichità: lo scavo della missione archeologica egiziana nella necropoli di Saqqara, diretta da Mustafa Waziri, segretario generale del Consiglio supremo delle Antichità, aveva individuato un pozzo sacro in fondo al quale, a una profondità di 11 metri, si vedevano alcuni sarcofagi dipinti che sembravano inviolati. L’entusiasmo del ministro egiziano non era fuori luogo. A meno di due settimane dall’avvio delle ricerche nel pozzo sacro nella necropoli di Saqqara, a una trentina di chilometri a Sud del Cairo, l’annuncio ufficiale dal ministero del Turismo e delle Antichità egiziano: scoperti 27 sarcofagi di epoca tarda (risalgono a 2500 anni fa) ancora completamente sigillati. “Si ritiene che Saqqara sia stata la necropoli di Menfi, capitale dell’antico Egitto”, ricorda el-Anani. “In questo luogo vennero seppelliti i morti per circa 3mila anni: si tratta infatti di un luogo di grande interesse archeologico. Nel corso dei millenni, molte di queste tombe sono state saccheggiate, è quindi facile capire che trovare un deposito di sarcofagi rimasti indisturbati e non aperti per millenni è una notizia di notevole interesse che lascia sperare gli studiosi che all’interno sia ancora presente l’originale corredo funerario”.

Il ministro Khaled el-Anani (al centro) e il segretario dello Sca Mustafa Waziri (a destra) nel sopralluogo in fondo al pozzo sacro a Saqqara (foto Ministry of Tourism and Antiquites)

Il ministro egiziano Khaled el-Anani si cala nel pozzo sacro per il sopralluogo (foto Ministry of Tourism and Antiquites)
“Il 6 settembre 2020 – comunica il ministero egiziano – il ministro Khaled el-Anani, accompagnato dal segretario dello Sca Mustafa Waziri, ha ispezionato gli scavi della missione archeologica egiziana operante nell’area delle antichità di Saqqara, che hanno portato alla scoperta di un profondo pozzo sepolcrale con più di 13 sarcofagi chiusi da più di 2500 anni. Il pozzo è lungo circa 11 metri, e al suo interno sono state trovate bare di legno colorato accatastate l’una sull’altra. Il ministro era ansioso di andare in fondo al pozzo con Waziri per ispezionare la scoperta e poterla annunciare al mondo. El-Anani ha anche ringraziato i lavoratori del sito per aver lavorato in condizioni difficili pur rispettando le misure precauzionali”.

Alcuni dei sarcofagi scoperti in un pozzo sacro nella necropoli di Saqqara dalla missione archeologica egiziana diretta da Waziri (foto Ministry of Tourism and Antiquites)

I sarcofago dipinti accatastati uno sull’altro in fondo al pozzo sacro a Saqqara (foto Ministry of Tourism and Antiquites)
I primi studi indicano che questi sarcofagi sono completamente chiusi e non sono stati aperti da quando sono stati sepolti all’interno del pozzo. Per ora l’identità e le posizioni dei proprietari di questi sarcofagi, o il loro numero totale, non sono state determinate, ma a queste domande verrà data risposta continuando lo scavo. I risultati, nei programmi del ministero del Turismo e delle Antichità, saranno promossi e pubblicati a breve.

Mustafa Waziri, segretario generale del Consiglio supremo delle Antichità, accanto a un sarcofago dipinto scoperto nel pozzo sacro nella necropoli di Saqqara (foto Ministry of Tourism and Antiquites)

Uno dei 27 sarcofagi dipinti trovati in un pozzo sacro nella necropoli di Saqqara (foto Ministry of Tourism and Antiquites)
Il 19 settembre 2020 il nuovo annuncio. “Due giorni fa, la missione archeologica egiziana guidata da Mustafa Waziri, è stata in grado di scoprire un altro pozzo con 14 sarcofagi, portando il numero di bare scoperte a 27 sarcofagi sigillati. I primi studi confermano che questi sarcofagi sono completamente chiusi e non sono stati aperti da quando sono stati sepolti e che non sono gli unici, è probabile che altri si trovino all’interno delle nicchie ai lati dei pozzi, dove al loro interno sono stati rinvenuti numerosi reperti archeologici e casse di legno. Finora l’identità dei sepolti non è stata individuata. È probabile che le tombe possano ospitare non solo gli esponenti delle classi nobiliari ma anche persone della classe media o operaia”.
Pronto il calendario del ciclo di incontri “…comunicare l’archeologia…” del gruppo archeologico bolognese: dalla grotta di Fumane agli scavi in Oman a un report sull’Antico Egitto, dal museo Classis alla villa dei mosaici di Spello, dal Lupus Italicus ai Pelasgi
Nove incontri per “…comunicare l’archeologia…”: è quanto si propone il Gruppo archeologico bolognese con il tradizionale ciclo di conferenze del primo semestre 2019 che spazierà dall’arte paleolitica alla paleontologia, dai nuovi musei archeologici ai risultati delle missioni archeologiche in Oman, dai collegamenti transappenninici ai segreti dei pelasgi, prevedendo anche per questa primavera escursioni con visite guidate a grandi mostre archeologiche in collaborazione con Insolita Itinera – Viaggi nella storia e nel paesaggio. Il Gruppo archeologico bolognese, costituito nel 1991, aderisce – lo ricordiamo – ai Gruppi Archeologici d’Italia, in collaborazione con i quali sono promosse campagne di ricerca, scavi e ricognizioni d’interesse nazionale, alle quali è dedicata soprattutto la stagione estiva, in collaborazione con le competenti Soprintendenze Archeologiche. Da anni il Gabo collabora con il museo nazionale Etrusco “Pompeo Aria” di Marzabotto, il museo della Preistoria “Luigi Donini” di San Lazzaro di Savena e il museo della Civiltà Villanoviana (Muv) di Castenaso (Bo). Tutti gli incontri si tengono il martedì alle 21 al centro sociale “G. Costa”, in via Azzo Gardino 48 a Bologna.
Si inizia martedì 12 febbraio 2019, con il prof. Giuseppe Sassatelli, già professore ordinario di Etruscologia e Antichità Italiche all’università di Bologna, come presidente di RavennAntica presenta il nuovo gioiello gestito dalla Fondazione: “Classis-Ravenna: Museo della città e del territorio. Un itinerario archeologico per raccontare la storia” (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2018/11/30/lattesa-e-finita-sabato-1-dicembre-classis-ravenna-museo-della-citta-e-del-terrirorio-scrigno-della-memoria-del-territorio-apre-le-porte-nellex-zuccherificio-impo/). E pochi giorni dopo, sabato 16 febbraio 2019, il Gabo promuove una gita a Classe alla scoperta del nuovo museo, accompagnati dall’archeologa Erika Vecchietti. Il ciclo di conferenze riprende martedì 26 febbraio 2019, con “La grotta di Fumane: sulle tracce degli antenati tra la Valpolicella e i monti Lessini” presentata dall’ archeologa Maria Longhena che sabato 13 aprile 2019 accompagnerà gli appassionati del Gabo in gita a Fumane (Vr).

Il manifesto della mostra “Annibale. Un mito mediterraneo” a Palazzo Farnese di Piacenza dal 16 dicembre 2018 al 17 marzo 2019
Quattro gli incontri in marzo. Martedì 5 marzo 2019, Gabriele Nenzioni, direttore del museo della Preistoria di San Lazzaro di Savena (Bo); Elisabetta Cilli, dei Laboratori di Antropologia Fisica e Dna Antico, dipartimento Beni Culturali dell’università di Bologna (sede di Ravenna), e Davide Palumbo, di Biosfera Itinerari Porretta Terme (Bo), ci faranno scoprire “Il lupo che venne dal freddo: dai reperti dell’ex Cava Filo l’origine del lupo italiano (Canis Lupus Italicus)”. Sabato 9 marzo 2019, viaggio a Piacenza per la mostra “Annibale. Un mito mediterraneo” (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2018/12/11/annibale-un-mito-mediterraneo-a-piu-di-duemila-anni-dalla-disfatta-alla-trebbia-alle-porte-di-piacenza-delle-legioni-romane-ad-opera-dei-cartaginesi-annibale-torna-a-piacenza-co/) con le archeologhe Erika Vecchietti e Maria Longhena. Durante la gita soste a Vigoleno e alla chiesa abbaziale e rotonda di S. Giovanni di Vigolo Marchese. Martedì 12 marzo 2019, l’archeologa Erika Vecchietti illustrerà “La Villa dei Mosaici di Spello” che a fine mese, sabato 30 e domenica 31 marzo 2019 sarà inserita nel programma delle visite della gita a Spoleto e Spello. Martedì 19 marzo 2019, Maurizio Cattani, professore associato all’università di Bologna, docente di Preistoria e Protostoria, presenta “Nuove indagini e ricerche dagli scavi archeologici di UniBo in Oman”. Chiude gli incontri del mese, martedì 26 marzo 2019, Claudio Busi, cultore di storia, documentarista e viaggiatore, con un report di viaggio in Egitto e la proiezione del documentario “I fotografi dei faraoni”.
In aprile, interessato dal lungo ponte di Pasqua-25 Aprile-1° Maggio, due soli incontri: martedì 9 aprile 2019, Giuseppe Rivalta, antropologo, biospeleologo e viaggiatore, percorrerà “Le vie transapenniniche nell’antichità”. E martedì 16 aprile 2019, si affronta “La questione pelasgica. Le mura ciclopiche nel Lazio meridionale”, con l’archeologa Erika Vecchietti, che poi accompagnerà il gruppo alla scoperta del Lazio meridionale nel viaggio prevista dal 18 al 23 giugno 2019. Il ciclo “…comunicare l’archeologia…” del primo semestre 2019 chiude martedì 14 maggio, con l’archeologa Daniela Ferrari che intratterrà il pubblico su “I colori del potere”.
Egitto. Sulle note della “Marcia trionfale” dell’Aida la statua colossale di Ramses II trasportata nella sede definitiva, il Grand Egyptian Museum a Giza. Entro la fine dell’anno accoglierà i visitatori nella prima sala aperta del Gem, che sarà il più grande museo monotematico del mondo, all’ombra delle piramidi. Ecco le cifre faraoniche del progetto

Il corteo con i due camion che sostengono il peso della statua monumentale di Ramses II verso il Gem

Le protezioni in gommapiuma attorno alla statua di Ramses II durante il trasporto al Gem (foto Khaled Elfioi)
Quattrocento metri. Solo quattrocento metri è durato l’ultimo viaggio di Ramses II alla sua dimora definitiva. Ma è stato un trasferimento degno di un grande faraone. Il trasferimento della statua colossale di Ramses II, alta 12 metri per 83 tonnellate di granito rosso, dal sito temporaneo sull’altopiano di Giza al Grande museo egizio di Giza, il Gem (Grand Egyptian Museum), alla periferia ovest del Cairo, destinato a diventare il più grande museo monotematico del mondo, è stata un’autentica sfida tecnologica, programmata già dal 2002, che il governo egiziano ha trasformato in un evento mediatico globale, alla presenza del ministro delle Antichità Khaled el-Enany, del ministro della Cultura Inas Abdel Dayem, di Zahi Hawass probabilmente il più famoso egittologo al mondo, insieme ad ambasciatori, scienziati, egittologi e giornalisti, il tutto ripreso passo passo dalla televisione di Stato. Per coprire il breve tratto ci sono volute dieci ore: la grande statua, in piedi, ancorata su due grandi camion dal fondo piatto, procurati dalla Arab Contractors, e protetta da abbondanti salsicciotti di gomma piuma, era preceduta da un drappello di soldati a cavallo e annunciata dalla fanfara militare con le note non solo dell’inno nazionale della Repubblica araba d’Egitto ma anche della Marcia trionfale dell’Aida di Verdi con Radames che “torna vincitor”. Un vero trionfo. Del resto è noto che la grande statua di Ramses II è considerata un simbolo culturale e artistico per tutti gli egiziani, e un tesoro nazionale che è stato onorato con il suo posizionamento al Gem. “Sarà la prima statua che i turisti vedranno una volta entrati nel grande museo”, ha sottolineato il ministro delle Antichità che non ha mancato di elogiare “gli sforzi compiuti dalle varie istituzioni e ministeri egiziani, nonché la cooperazione tecnica e finanziaria egiziano-giapponese, per il loro duro e accurato lavoro che ha contribuito al successo del trasferimento della statua”.
È stato questo il terzo spostamento della statua colossale di Ramses II, realizzata 3200 anni fa, e scoperta nel 1820 dall’esploratore ed egittologo genovese Giovanni Battista Caviglia nel Grande Tempio di Ptah vicino a Menfi, capitale dell’Antico Regno d’Egitto, oggi a una ventina di chilometri a sud del Cairo. La statua fu trovata rotta in sei pezzi. Fu tentato più volte di ricomporla con un restauro, ma ci si riuscì solo alla metà del Novecento. Fu allora che ci fu il primo spostamento dal luogo del ritrovamento al Cairo. Fu infatti il primo ministro egiziano Gamal Abdel Nasser che nel 1955 decise di portare la grande statua, stabilizzata all’interno da barre di ferro, nella grande piazza Bab Al-Hadid, cioè della grande stazione ferroviaria nel cuore del Cairo. E da allora la piazza prese il nome ed è nota come piazza Ramses. Col passare del tempo, però, Ramses Square si rivelò un luogo inadatto, poiché la statua era esposta a inquinamento corrosivo e vibrazioni costanti provenienti dal traffico e dalle metropolitane. Il governo egiziano decise allora di trasferire la statua in una posizione più appropriata. Siamo al secondo trasferimento: nell’agosto 2006 Ramses II dalla piazza della stazione viene portato In un sito temporaneo sull’altopiano di Giza, quindi vicino a quella che era già stata individuata come la sua destinazione finale, il Gem, raggiunta con il terzo trasferimento, il 25 gennaio 2018.

Rendering del Gem progettato da Heneghan Peng Architects con il posizionamento della statua di Ramses II
Il Grand Egyptian Museum di Giza, destinato a surclassare in grandezza quello delle antichità egizie nella centralissima piazza Tahrir e ad ospitare il tesoro di Tutankhamon, è stato progettato da Heneghan Peng Architects che si sono aggiudicati il concorso del 2002. Il Gem doveva essere inaugurato nel 2011. L’apertura è però slittata di anno in anno, tra crisi politiche e finanziarie. Ma forse stavolta ci siamo, almeno per un’apertura parziale, anche grazie al cospicuo contributo nipponico ricordato anche dal ministro el-Enany. Lo ha confermato anche Mostafa Waziri, segretario del Consiglio supremo delle Antichita: “L’inaugurazione parziale del Gem è prevista per ottobre 2018, comunque entro la fine dell’anno. L’inaugurazione finale non prima del 2022”. L’obiettivo del Governo egiziano è di attrarre 4 milioni di visitatori l’anno, raddoppiando i numeri dell’Egizio del Cairo, pari a 2,5 milioni di visitatori. Comunque anche l’apertura parziale è stata definita un “importante avvio per il turismo” in Egitto da Rania el-Mashat, il nuovo ministro del Turismo, settore in crisi causa di rivoluzioni e terrorismo. “L’apertura parziale prevede l’esposizione di circa 5mila oggetti”, ha previsto il ministro el-Enany. “Assieme al colosso di Ramses II, all’entrata del museo saranno collocati altri 87 importanti reperti”. E prima di ottobre dal museo Egizio di piazza Tahrir arriveranno al Gem altre 43 statue.
Ma che cos’è esattamente il Grand Egyptian Museum di Giza? Un’idea ben precisa ce la dà Pier Paolo Raffa, consulente del progetto di allestimento del Gem, che ne ha parlato in un’intervista a “Il giornale dell’architettura.com”. “Il Gem – esordisce – è una monumentale porta per viaggiare nel passato dei faraoni. A 25 km dal centro della moderna città del Cairo e ad appena due dalle piramidi della piana della città storica di Giza, il Grand Egyptian Museum acquista dalla scelta di questa localizzazione una forte identità museale, rito di passaggio dal presente – il Cairo – allo spazio a parte della storia – Giza”. L’opera è faraonica, quasi una sfida all’unica tra le sette meraviglie del mondo antico giunta sino ai giorni nostri, la piramide di Cheope, che sorge a pochi passi. Impressionanti i numeri del cantiere: 5mila addetti che si alternano in tre turni, su 480mila mq di terreno (una superficie oltre otto volte quella della base della Grande piramide). Questa superficie è distribuita tra il museo vero e proprio, il centro conferenze (oltre 130mila mq) e un complesso di edifici con funzioni ausiliarie: laboratori di restauro, biblioteca, children museum e un altro museo dedicato ai visitatori diversamente abili, oltre a caffè, ristoranti e bookshop (più di 30mila mq), cui si aggiungono 300mila mq di aree a verde, incluso un museo open air. “Anche la facciata, strutturata sul modello del cosiddetto triangolo di Sierpinski”, spiega Raffa, “rivestita in pietra traslucida, è concepita per dialogare con i bianchi calcari, lucidi e lisci, che rivestono le piramidi di fronte”.

Rendering del Grand Egyptian Museum di Giza con la vista dall’interno sulla grande piramide (da Il giornale dell’architettura.com)
“Si stima che l’impatto sull’economia dell’Egitto sia di 840 milioni di dollari, tra costruzione del complesso architettonico e operazioni varie annesse, comprese le ricadute su un comparto turistico che deve fare i conti con l’incertezza politica. Il nuovo museo accoglierà 100mila reperti. Soltanto 5500 riguardano la collezione di Tutankhamon, il cui trasferimento dopo 84 anni dallo storico museo del Cairo, da dove proverranno anche gli ingenti pezzi dai depositi mai esposti prima, è già iniziato”. Il GEM – ricorda Raffa – nasce, infatti, per rispondere principalmente all’esigenza di maggiori e più adeguati spazi, oltre a migliori condizioni di conservazione per le collezioni, costrette, per non dire ormai affastellate, in locali inadeguati nella sede storica in piazza Tahrir. Basti pensare che proprio la collezione del faraone bambino è circoscritta a due gallerie in un’unica sala, uno spazio davvero esiguo per un repertorio di tale calibro. “Il museo è strutturato su una serie di livelli che vanno da un parvis monumentale esterno ad una zona coperta: due aree che il visitatore attraverserà muovendosi verso una grande scalinata che sale ad un livello, vetrato e panoramico, da dove avrà la vista sulle piramidi, proprio dall’interno del museo. Quest’ampia rampa ospiterà una selezione di sculture monumentali distribuite su tutta la sua lunghezza, mentre su entrambi i lati si svilupperanno due vaste zone espositive, le gallerie vere e proprie. Quella principale ospiterà unicamente la collezione Tutankhamon, presentata attraverso un allestimento museografico avanzatissimo. Un’interessante peculiarità di questo museo sarà che, nelle sue molteplici zone espositive distribuite su circa 93mila mq, si rappresenteranno molte tipologie del museo moderno: il GEM sarà per questo anche un esempio unico di come la museografia contemporanea può proporre la comunicazione culturale, la conservazione, la ricerca e le molte istanze del museo moderno, sempre in sviluppo”.
Egitto. Scoperti alla periferia del Cairo, dove tremila anni fa sorgeva la grande città di Eliopoli, i frammenti di una statua colossale di Ramses II. Probabilmente veniva dal tempio che il grande faraone della XIX dinastia aveva costruito proprio a Eliopoli. Entusiasmo delle autorità egiziane

Bambini di el-Matariya, un sobborgo del Cairo, si fotografo accanto al frammento della statua colossale di Ramses II appena scoperta
“Una delle più importanti scoperte dell’Egitto”: il ministro egiziano delle Antichità, Khaled al-Anani, ha usato tutti i mezzi a sua disposizione per far sapere al mondo della scoperta da parte di un gruppo di archeologi egiziani e tedeschi dei frammenti di una statua colossale di Ramses II alla periferia del Cairo, nel sobborgo di el-Matariya, oggi poco più di una baraccopoli annessa alla zona industriale, ma quattromila anni fa sede di Eliopoli, una delle più importanti città dell’Antico Egitto, che ospitava – tra l’altro – un grande tempio solare analogo – si ritiene – a quello di Abu Gurab, tra la piana di Giza e Saqqara. “Abbiamo visto il busto e una parte della testa, poi la corona e ancora un frammento dell’orecchio e dell’occhio destro”, continua il ministro. “Accanto alla statua gigante anche un’altra di circa un metro del faraone Seti II, entrambi appartenenti alla XIX dinastia”. E conclude: “Il colosso di Ramses II appena rinvenuto a el-Matariya verrà con tutta probabilità esposto all’ingresso del Grande museo egizio che dovrebbe essere inaugurato il prossimo anno al Cairo”. Non è una novità che le autorità egizie sfruttino le nuove scoperte come promozione della terra dei faraoni, in questo Zahi Hawass è stato insuperabile, ma oggi l’Egitto ha particolarmente bisogno di rialzare attenzione e interesse dei viaggiatori internazionali che latitano dallo scoppio della rivoluzione nel 2011. Il Paese ha bisogno dei turisti. Non è un caso che proprio l’Egitto sia stato il Paese ospite d’onore della recente edizione di TourismA, il salone internazionale dell’archeologia, a Firenze.

Archeologi e autorità, tutti attorno al frammento della testa colossale di Ramses II scoperta al Cairo
Entusiasta anche il capo del dipartimento Antichità egiziane del dicastero, Mahmud Afifi, parlando della monumentale statua di Ramses II in quarzite, ritornata alla luce spezzata in grandi pezzi. E il capo della missione egiziana, il professor Ayman al-Ashmawy: “Proprio a Eliopoli sono stati trovati in passato rovine di un tempio dedicato al grande faraone che ha governato dal 1279 al 1213 a.C. che era uno dei più grandi dell’antico Egitto visto che raggiungeva il doppio delle dimensioni del tempio di Karnak a Luxor”. E ora i frammenti di una statua monumentale che secondo Zahi Hawass “in considerazione delle dimensioni della statua, non possono che appartenere a Ramses II e non a un qualsiasi altro re antico”.
Per sollevare l’enorme testa, trovata separata dal busto, è stato utilizzato un carrello elevatore, mentre il resto della statua, del peso di 7 tonnellate, è stato recuperato con corde e paranchi. Il ministero delle Antichità, viste le non poche polemiche sollevate sul web, ha negato che la gigantesca statua del faraone possa essere stata danneggiata da una scavatrice durante i lavori di recupero: “Soltanto la testa è stata spostata utilizzando la scavatrice. Il tutto è avvenuto sotto la supervisione del team di archeologi tedeschi autore del ritrovamento. Sono state inoltre utilizzate travi di legno e sughero per evitare danni”. Anche il capo il capo della missione archeologica Dietrich Raue assicura che la scultura non è stata danneggiata durante lo spostamento, sottolineando anche che diversi monumenti subirono danni in epoca greco-romana.
Egitto. Sulle orme dei legionari negli insediamenti romani del tardo Impero a Umm al-Dabadib (oasi di Kharga) nel deserto occidentale tra controlli di frontiera e attività agricole. Al progetto Life dell’archeologa Corinna Rossi assegnato l’Erc Consolidator Grant: è la prima volta che viene premiata la ricerca archeologica italiana dall’European Research Council

Il forte romano domina il paesaggio a Umm al-Dabadib (oasi di Kharga) nel deserto occidentale dell’Egitto (foto Maurizio Zulian)
Umm al-Dabadib nell’oasi di Kharga è un puntino nel deserto occidentale egiziano. Ma non di poco conto. Di qui passava il limes (confine) meridionale dell’impero romano. Ma Roma era distante quasi 2000 miglia. Collegamenti e rifornimenti richiedevano tempi lunghi e innegabili difficoltà logistiche. Così i legionari romani e le loro famiglie organizzarono gli insediamenti per garantirsi una certa autonomia logistica. Ed è proprio per capire meglio l’organizzazione di questi insediamenti che Corinna Rossi, laureata in Architettura a Napoli e specializzata in Egittologia a Cambridge, ha ideato il progetto Living In a Fringe Environment (L.I.F.E.). L’eccellenza scientifica della ricercatrice e del suo progetto ha convinto il Consiglio europeo della Ricerca (Erc) ad assegnare proprio a Rossi e al suo Life un Erc Consolidator Grant di 2 milioni di euro per la durata di cinque anni. È la prima volta che la ricerca italiana si aggiudica il Grant Erc europeo in archeologia. Per lo sviluppo del suo progetto Life, Corinna Rossi ha scelto il Politecnico di Milano mentre Partner Institution sarà l’università di Napoli Federico II.
Il progetto si propone dunque di studiare gli insediamenti archeologici Tardo Romani ai confini delle zone desertiche per ricostruire la strategia utilizzata dall’Impero Romano nello sfruttamento e nella gestione delle sue frontiere. La ricerca inizierà ufficialmente il 1° luglio 2016 e i primi passi saranno l’organizzazione del complesso scavo archeologico che aprirà nel 2017 e la creazione di un database che dovrà contenere tutte le informazioni rilevate. Come “caso studio” è stato scelto Umm al-Dabadib, il sito meglio preservato tra quelli situati all’interno dell’Oasi di Kharga, in pieno deserto, a 700 chilometri a sud del Cairo, 250 chilometri ad ovest di Luxor e a 50 chilometri dal primo centro abitato, in ambiente remoto e duro.
Per la ricercatrice, alternative all’Italia non sono state nemmeno considerate. «Il Politecnico di Milano e l’Università Federico II di Napoli”, sottolinea Rossi, “sono le uniche due istituzioni che contengono la combinazione giusta di expertise che servono per portare avanti il mio progetto. Anzi, si potrebbe anche dire il contrario: il progetto stesso è stato ideato sulla base di ciò che è possibile fare grazie a quello che le due istituzioni offrono in termini di competenze”. Tutti i siti Tardo Romani dell’Oasi di Kharga, spiegano al Politecnico, “condividono le stesse caratteristiche architettoniche e sono dotati di simili stanziamenti agricoli”. Kharga è una delle più grandi oasi del deserto occidentale egiziano. Occupa una grande depressione completamente disabitata posta a 700 km a sud del Cairo e a 250 km a ovest di Luxor. L’oasi di Kharga (dall’arabo “kharug”, cioè “uscita”) rappresentava un’importante punto di riferimento lungo le via carovaniere che, nell’antichità, attraversavano il deserto e che permettevano appunto di “uscire” ed entrare nel grande bacino dalla Valle del Nilo. La sua antica importanza strategica fu sfruttata in particolare dai romani, che installarono lungo la via del deserto un forte militare e vari insediamenti in ogni grande oasi. Umm al-Dabadib è una di queste, ed è stata scelta come caso di studio del progetto tutto italiano Life.

Traccia delle canalizzazioni realizzate nel Tardo impero romano per irrigare quest’area di deserto a Umm al-Dabadib nell’oasi di Kharga

L’impressionante forte romano di Umm al-Dabadib che si staglia nel cielo per ben 12 metri (foto Maurizio Zulian)
Lo studio di Umm al-Dabadib permetterà quindi la ricostruzione della strategia romana per il controllo delle vie del deserto che si incontravano in questa Oasi, e offrirà un importante contributo al dibattito sulla difesa dei confini dell’Impero nel periodo storico compreso tra Diocleziano e Costantino e oltre, fino al V secolo d.C. Umm al-Dabadib offre infatti la possibilità unica di studiare un sito Tardo Romano in ottime condizioni, lì sopravvivono in eccellente stato di conservazione sia l’insediamento fondato nel IV secolo d.C., sia l’intero sistema agricolo che rendeva possibile la vita di una grande comunità ai confini del mondo abitabile. “L’insediamento consiste di un forte centrale alto 12 metri, circondato da una massa solida di abitazioni su più livelli, servite da corridoi coperti e non da strade a cielo aperto; questo sistema permetteva agli abitanti di proteggersi efficacemente dal sole e dalla sabbia”, spiega l’egittologa Rossi. Il sistema agricolo consiste di 5 acquedotti sotterranei, lunghi ognuno tra i 2 e i 3 km, e di due più brevi, che portavano acqua a due grandi coltivazioni; il tracciato della centuriazione romana e i resti dei campi sono ancora visibili sulla superficie del deserto.

Il rilievo 3D del forte romano di Umm al-Dabadib realizzato dal 3D Survey Group del Politecnico di Milano
Il 3D Survey Group del Politecnico di Milano si occuperà del rilievo 3D delle rovine architettoniche dell’intero insediamento fortificato, svilupperà e sperimenterà nuove tecniche di rilievo da applicare in ambienti logisticamente complessi come il Deserto Occidentale Egiziano, e coordinerà lo scavo archeologico e l’elaborazione di tutti i dati raccolti. Il Centro Musa-Musei delle Scienze Agrarie della Federico II studierà invece l’imponente sistema agricolo che serviva il sito con analisi archeobotaniche, studio delle ceramiche, analisi delle immagini satellitari. Costruirà un modello dinamico dell’antico sistema agricolo, sulla base del quale verrà creata un’installazione multimediale permanente ai musei delle Scienze Agrarie, situati nella Reggia di Portici. Life proseguirà “con l’apertura di vari fronti di ricerca che coinvolgeranno un team italo-egiziano di specialisti in una decina di campi disciplinari diversi” informa ancora il Politecnico di Milano. Il progetto continuerà la collaborazione già iniziata con le istituzioni egiziane, che punta alla creazione di un Parco Naturale intorno al sito di Umm al-Dabadib e a supportare la richiesta egiziana di riconoscere l’Oasi di Kharga come Area Protetta Unesco.

L’archeologa Corinna Rossi discute con Maurizio Zulian, conservatore onorario del museo Civico di Rovereto
E proprio a Umm al-Dabadib potrebbero incrociarsi gli interessi anche del museo civico di Rovereto che vanta un archivio fotografico unico e inestimabile dei siti del medio Egitto e l’unico protocollo d’intesa del Consiglio supremo delle Antichità dell’Egitto con un ente straniero attivo già dal 2004 con Zahi Hawass (aggiornato e ampliato nel 2015 dall’attuale segretario del Csa, Moustafa Ali Moustafa). Proprio il curatore del database e conservatore onorario per l’Egittologia del museo civico di Rovereto, Maurizio Zulian, in una recente missione all’oasi di Kharga con il responsabile della New Valley, Ahmed Ibrahim Baghat, ha preso contatto con Corinna Rossi per una più stretta futura collaborazione con il museo roveretano per eventuali produzioni di informazione scientifica.



































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