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Paestum. L’Egitto per il secondo anno consecutivo si aggiudica l’International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad” promosso dalla Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico: l’8a edizione alla scoperta della “città d’oro fondata da Amenhotep III, riaffiorata dal deserto in Egitto”

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La città d’oro perduta scoperta da Zahi Hawass a Tebe Ovest (foto ministry of Tourism and Antiquities)

paestum_BMTA22-XXIV-edizione_logoAlla fine il fascino dell’Antico Egitto si è imposto sulle scoperte a Pompei, sulla romanità in Inghilterra, sui santuari rupestri dell’Anatolia, e i templi buddisti del Pakistan. La scoperta della “città d’oro fondata da Amenhotep III, riaffiorata dal deserto in Egitto” si è aggiudicata l’8a edizione dell’International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad”, promosso dalla Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico e dalla rivista Archeo. Dopo i sarcofagi della necropoli di Saqqara (premio 2021) ecco la città d’oro di Amenhotep III: quindi per il secondo anno consecutivo è stata premiata una scoperta nella valle del Nilo. Il Premio sarà consegnato a Zahi Hawass già ministro delle Antichità e direttore della Missione archeologica venerdì 28 ottobre 2022, alle 18, alla presenza di Fayrouz Asaad, figlia archeologa di Khaled; Stefano Ravagnan, inviato speciale del ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale per la crisi in Siria; e Mohamad Saleh, ultimo direttore del Turismo di Palmira, in occasione della XXIV Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico che si tiene a Paestum da giovedì 27 a domenica 30 ottobre 2022 al Tabacchificio Cafasso (sito di archeologia industriale “simbolo della Piana del Sele”, così definito da Gillo Dorfles), nell’area archeologica e al museo Archeologico nazionale, e alla Basilica.

paestum_bmta_Award Khaled al-Asaad-2022_locandinaL’International Archaeological Discovery Award, il Premio intitolato a Khaled al-Asaad, direttore dell’area archeologica e del Museo di Palmira dal 1963 al 2003, che ha pagato con la vita la difesa del patrimonio culturale, è l’unico riconoscimento a livello mondiale dedicato al mondo dell’archeologia e in particolare ai suoi protagonisti, gli archeologi, che con sacrificio, dedizione, competenza e ricerca scientifica affrontano quotidianamente il loro compito nella doppia veste di studiosi del passato e di professionisti a servizio del territorio. La Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico e Archeo, la prima testata archeologica italiana, hanno inteso dare il giusto tributo alle scoperte archeologiche attraverso un Premio annuale assegnato in collaborazione con le testate internazionali, tradizionali media partner della Borsa: Antike Welt (Germania), Archäologie in Deutschland (Germania), Archéologia (Francia), as. Archäologie der Schweiz (Svizzera), Current Archaeology (Regno Unito), Dossiers d’Archéologie (Francia).

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La Tomba di Lavau, sepoltura di un principe celtico del V secolo a.C.

Nel 2015 il Premio è stato assegnato a Katerina Peristeri, responsabile degli scavi, per la scoperta della Tomba di Amphipolis (Grecia); nel 2016 all’INRAP Institut National de Recherches Archéologiques Préventives (Francia), nella persona del presidente Dominique Garcia, per la Tomba celtica di Lavau; nel 2017 a Peter Pfälzner, direttore della missione archeologica, per la città dell’Età del Bronzo presso il villaggio di Bassetki nel nord dell’Iraq; nel 2018 a Benjamin Clément, responsabile degli scavi, per la “piccola Pompei francese” di Vienne; nel 2019 a Jonathan Adams, responsabile del Black Sea Maritime Archaeology Project (MAP), per la scoperta nel mar Nero del più antico relitto intatto del mondo; nel 2020 a Daniele Morandi Bonacossi, direttore della Missione Archeologica Italiana nel Kurdistan Iracheno e ordinario di Archeologia e Storia dell’Arte del Vicino Oriente Antico dell’università di Udine, per la scoperta di dieci rilievi rupestri assiri raffiguranti gli dèi dell’Antica Mesopotamia; nel 2021 alla scoperta di “centinaia di sarcofagi nella necropoli di Saqqara in Egitto”.

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La stanza degli schiavi scoperta a Civita Giuliana nella villa suburbana a nord di Pompei (foto bmta)

Le cinque scoperte archeologiche del 2021 finaliste dell’8ª edizione dell’International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad” sono: Egitto, dal deserto riaffiora la città fondata da Amenhotep III a Luxor; Italia, Pompei, a Civita Giuliana scoperta la stanza degli schiavi; Pakistan, nel sito di Barikot il più antico tempio buddhista urbano della valle dello Swat; Regno Unito, in Inghilterra nella contea di Rutland uno straordinario mosaico con scene dell’Iliade; Turchia, in Anatolia il sito di Karahantepe un santuario rupestre di oltre 11mila anni fa (vedi Paestum. International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad” 2022 promosso da Bmta e Archeo: annunciate le 5 scoperte archeologiche del 2021 candidate. Egitto: la città fondata da Amenhotep III a Luxor; Italia: la stanza degli schiavi a Civita Giuliana; Pakistan: il più antico tempio buddhista urbano della valle dello Swat; Regno Unito: a Rutland mosaico con scene dell’Iliade; Turchia: in Anatolia a Karahantepe santuario rupestre di oltre 11mila anni fa | archeologiavocidalpassato).

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La città fondata da Amenhotep III scoperta a Tebe Ovest (foto bmta)

L’edizione 2022 dell’International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad” va dunque alla scoperta della “città d’oro fondata da Amenhotep III, riaffiorata dal deserto in Egitto” (vedi Egitto. Zahi Hawass ha scoperto a Tebe Ovest la “città d’oro perduta”, edificata da Amenhotep III e utilizzata anche da Tutankhamon e Ay: è la più grande città mai trovata, con distretto amministrativo e industriale (“Scoperta paragonabile alla tomba di Tut”). Informazioni sulla vita quotidiana degli antichi egizi. Si spera dia risposte al perché Akhenaten e Nefertari si spostarono ad Amarna | archeologiavocidalpassato). Sotto la sabbia per migliaia di anni “la più grande città mai trovata in Egitto” in buono stato di conservazione e con mura quasi complete è stata ritrovata dalla equipe di Zahi Hawass, alla ricerca in verità del tempio funerario di Tutankhamon. Il sito si trovava vicino al palazzo del faraone Amenhotep III (1391-1353 a.C.), dall’altra parte del fiume Nilo rispetto alla città e capitale di Tebe (oggi Luxor). Le iscrizioni geroglifiche indicano che la città era chiamata Tjehen-Aten, o Aton “abbagliante” e che fu fondata dal nonno di Tutankhamon, Amenhotep III. Acclamata “città d’oro perduta”, non è una città – che esisteva già ed era Tebe – esattamente perduta, visto che alcuni muri a zig-zag erano già stati scoperti negli anni ’30 dai francesi Robichon e Varille a 100 mt di distanza, e finora non ha prodotto alcun reperto d’oro: “La chiamo d’oro perché fondata durante l’età d’oro d’Egitto” ha dichiarato Hawass. Gli ambienti conservano oggetti legati alla vita quotidiana: preziosi anelli, scarabei, vasi di ceramica colorata, mattoni di fango con i sigilli a cartiglio di Amenhotep III, oltre a iscrizioni geroglifiche su tappi di argilla dei vasi di vino, hanno contribuito a datare l’insediamento. È stata individuata anche una panetteria, una zona per cucinare e preparare il cibo, con forni e stoviglie di stoccaggio. La seconda zona, ancora in gran parte sepolta, coincide con il quartiere amministrativo e residenziale, circoscritta da un muro a zig-zag. La terza area era predisposta per i laboratori: lungo un lato è la zona di produzione dei mattoni di fango usati per costruire templi e annessi, nell’altro un gran numero di stampi da fonderia per l’elaborazione di amuleti e delicati elementi decorativi. Due sepolture insolite di una mucca o di un toro sono state trovate all’interno di una delle stanze, mentre sorprendente la sepoltura di una persona con le braccia distese lungo i fianchi e i resti di una corda avvolta intorno alle ginocchia. A nord dell’insediamento è stato scoperto un grande cimitero con un gruppo di tombe scavate nella roccia di diverse dimensioni.

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Il santuario rupestre di oltre 11mila anni fa scoperto in Anatolia nel sito di Karahantepe (foto bmta)

Per quanto riguarda, invece, lo “Special Award” per il maggior consenso sulla pagina Facebook della BMTA, è risultata la scoperta di “un santuario rupestre di oltre 11mila anni fa, il sito di Karahantepe in Turchia”. L’università di Istanbul, con l’équipe guidata dal professore Necmi Karul, ha scoperto un ambiente sotterraneo di 23 metri di diametro e profondo metri 5.50, con ben conservata la scultura di una imponente testa dai tratti umani, affiorante dalla parete rocciosa che pare “guardare come da una finestra” una serie di undici alti pilastri scolpiti a forma di fallo. Un tempio sacro che affonda le radici nella preistoria, con numerosi artefatti in pietra lavorata e almeno 250 monoliti. Inoltre, nell’ambito della cerimonia dell’International Archaeological Discovery Award, sarà conferito il Premio “Paestum Mario Napoli” 2022 all’Associazione della Stampa Estera in Italia, consegnato al presidente Esma Cakir, quale riconoscimento per i 110 anni dall’istituzione. Ogni anno la Borsa assegna il Premio Paestum, istituito nel 2005 e intitolato dal 2018 all’archeologo Mario Napoli scopritore della Tomba del Tuffatore, a quanti contribuiscono, con il loro impegno, alla valorizzazione del patrimonio culturale, alla promozione del turismo archeologico e al dialogo interculturale.

Paestum. International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad” 2022 promosso da Bmta e Archeo: annunciate le 5 scoperte archeologiche del 2021 candidate. Egitto: la città fondata da Amenhotep III a Luxor; Italia: la stanza degli schiavi a Civita Giuliana; Pakistan: il più antico tempio buddhista urbano della valle dello Swat; Regno Unito: a Rutland mosaico con scene dell’Iliade; Turchia: in Anatolia a Karahantepe santuario rupestre di oltre 11mila anni fa

paestum_bmta_Award Khaled al-Asaad-2022_locandinaAnnunciate le 5 scoperte archeologiche del 2021 candidate alla vittoria della 8ª edizione dell’International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad” promosso dalla Borsa Mediterranea del Turismo archeologico e dalla rivista Archeo. Le cinque scoperte archeologiche del 2021 finaliste sono: Egitto: dal deserto riaffiora la città fondata da Amenhotep III a Luxor; Italia: Pompei, a Civita Giuliana scoperta la stanza degli schiavi; Pakistan: nel sito di Barikot il più antico tempio buddhista urbano della valle dello Swat; Regno Unito: in Inghilterra nella contea di Rutland uno straordinario mosaico con scene dell’Iliade; Turchia: in Anatolia il sito di Karahantepe un santuario rupestre di oltre 11mila anni fa. Il Premio, assegnato alla scoperta archeologica prima classificata, sarà selezionato dalle 5 finaliste segnalate dai direttori di ciascuna testata e sarà consegnato venerdì 28 ottobre 2022, in occasione della XXIV BMTA in programma a Paestum dal 27 al 30 ottobre 2022, alla presenza di Fayrouz Asaad, archeologa e figlia di Khaled. Inoltre, sarà attribuito uno “Special Award” alla scoperta, tra le cinque candidate, che avrà ricevuto il maggior consenso dal grande pubblico nel periodo 4 luglio – 30 settembre sulla pagina Facebook della Borsa (www.facebook.com/borsamediterraneaturismoarcheologico).

paestum_BMTA22-XXIV-edizione_logoLa Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico e Archeo hanno inteso dare il giusto tributo alle scoperte archeologiche attraverso un Premio annuale assegnato in collaborazione con le testate internazionali media partner della Borsa: Antike Welt (Germania), Archäologie in Deutschland (Germania), Archéologia (Francia), as. Archäologie der Schweiz (Svizzera), Current Archaeology (Regno Unito), Dossiers d’Archéologie (Francia). Il direttore della Borsa Ugo Picarelli e il direttore di Archeo Andreas Steiner hanno condiviso questo cammino in comune, consapevoli che “le civiltà e le culture del passato e le loro relazioni con l’ambiente circostante assumono oggi sempre più un’importanza legata alla riscoperta delle identità, in una società globale che disperde sempre più i suoi valori”. Il Premio, dunque, si caratterizza per divulgare uno scambio di esperienze, rappresentato dalle scoperte internazionali, anche come buona prassi di dialogo interculturale e cooperazione tra i popoli. L’International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad” – giunto alla 8ª edizione e intitolato all’archeologo di Palmira, che ha pagato con la vita la difesa del patrimonio culturale – è l’unico riconoscimento a livello mondiale dedicato al mondo dell’archeologia e in particolare ai suoi protagonisti, gli archeologi, che con sacrificio, dedizione, competenza e ricerca scientifica affrontano quotidianamente il loro compito nella doppia veste di studiosi del passato e di professionisti a servizio del territorio.

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Scoperti in Kurdistan dieci rilievi rupestri assiri con gli antichi dei della Mesopotamia (foto Bmta)

Nel 2015 il Premio è stato assegnato a Katerina Peristeri, responsabile degli scavi, per la scoperta della Tomba di Amphipolis (Grecia); nel 2016 all’INRAP Institut National de Recherches Archéologiques Préventives (Francia), nella persona del presidente Dominique Garcia, per la Tomba celtica di Lavau; nel 2017 a Peter Pfälzner, direttore della missione archeologica, per la città dell’Età del Bronzo presso il villaggio di Bassetki nel nord dell’Iraq; nel 2018 a Benjamin Clément, responsabile degli scavi, per la “piccola Pompei francese” di Vienne; nel 2019 a Jonathan Adams, responsabile del Black Sea Maritime Archaeology Project (MAP), per la scoperta nel mar Nero del più antico relitto intatto del mondo; nel 2020 a Daniele Morandi Bonacossi, direttore della Missione Archeologica Italiana nel Kurdistan Iracheno e ordinario di Archeologia e Storia dell’Arte del Vicino Oriente Antico dell’università di Udine, per la scoperta di dieci rilievi rupestri assiri raffiguranti gli dèi dell’Antica Mesopotamia; nel 2021 alla scoperta di “centinaia di sarcofagi nella necropoli di Saqqara in Egitto”.

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La città fondata da Amenhotep III scoperta a Tebe Ovest (foto bmta)

Egitto: dal deserto riaffiora la città fondata da Amenhotep III a Luxor. Sotto la sabbia per migliaia di anni “la più grande città mai trovata in Egitto” in buono stato di conservazione e con mura quasi complete è stata ritrovata dalla equipe di Zahi Hawass, alla ricerca in verità del tempio funerario di Tutankhamon. Il sito si trovava vicino al palazzo del faraone Amenhotep III (1391-1353 a.C.), dall’altra parte del fiume Nilo rispetto alla città e capitale di Tebe (oggi Luxor). Le iscrizioni geroglifiche indicano che la città era chiamata Tjehen-Aten, o Aton “abbagliante” e che fu fondata dal nonno di Tutankhamon, Amenhotep III. Acclamata “città d’oro perduta”, non è una città – che esisteva già ed era Tebe – non era esattamente perduta, visto che alcuni muri a zig-zag erano già stati scoperti negli anni ’30 dai francesi Robichon e Varille a 100 mt di distanza, e finora non ha prodotto alcun reperto d’oro: “la chiamo d’oro perché fondata durante l’età d’oro d’Egitto” ha dichiarato Hawass. Gli ambienti conservano oggetti legati alla vita quotidiana: preziosi anelli, scarabei, vasi di ceramica colorata, mattoni di fango con i sigilli a cartiglio di Amenhotep III, oltre a iscrizioni geroglifiche su tappi di argilla dei vasi di vino, hanno contribuito a datare l’insediamento. È stata individuata anche una panetteria, una zona per cucinare e preparare il cibo, con forni e stoviglie di stoccaggio. La seconda zona, ancora in gran parte sepolta, coincide con il quartiere amministrativo e residenziale, circoscritta da un muro a zig-zag. La terza area era predisposta per i laboratori: lungo un lato è la zona di produzione dei mattoni di fango usati per costruire templi e annessi, nell’altro un gran numero di stampi da fonderia per l’elaborazione di amuleti e delicati elementi decorativi. Due sepolture insolite di una mucca o di un toro sono state trovate all’interno di una delle stanze, mentre sorprendente la sepoltura di una persona con le braccia distese lungo i fianchi e i resti di una corda avvolta intorno alle ginocchia. A Nord dell’insediamento è stato scoperto un grande cimitero con un gruppo di tombe scavate nella roccia di diverse dimensioni (vedi Egitto. Zahi Hawass ha scoperto a Tebe Ovest la “città d’oro perduta”, edificata da Amenhotep III e utilizzata anche da Tutankhamon e Ay: è la più grande città mai trovata, con distretto amministrativo e industriale (“Scoperta paragonabile alla tomba di Tut”). Informazioni sulla vita quotidiana degli antichi egizi. Si spera dia risposte al perché Akhenaten e Nefertari si spostarono ad Amarna | archeologiavocidalpassato).

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La stanza degli schiavi scoperta a Civita Giuliana nella villa suburbana a nord di Pompei (foto bmta)

Italia: Pompei, a Civita Giuliana scoperta la stanza degli schiavi. Nella villa suburbana a nord di Pompei, a Civita Giuliana, la stanza degli schiavi offre uno spaccato straordinario su una parte del mondo antico che normalmente rimane all’oscuro. Lo stato di conservazione eccezionale dell’ambiente e la possibilità di realizzare calchi in gesso di letti e altri oggetti in materiali deperibili costituisce una “fotografia antica” della vita degli schiavi, generalmente trascurata dalla storia, concentrata sulle gesta dei potenti. Gli stallieri erano schiavi che abitavano in questa stanza disadorna dove sono state trovate tre brandine in legno e una cassa lignea contenente oggetti in metallo e in tessuto, che sembrano far parte dei finimenti dei cavalli. Inoltre, appoggiato su uno dei letti, è stato trovato un timone di un carro, di cui è stato effettuato un calco. Quello che colpisce è l’angustia e la precarietà di questo ambiente, una via di mezzo tra dormitorio e ripostiglio di appena 16 mq, che possiamo ora ricostruire grazie alle condizioni eccezionali di conservazione create dall’eruzione del 79 d.C. I letti sono composti infatti da poche assi lignee sommariamente lavorate che potevano essere assembrate a seconda dell’altezza di chi li usava. Due hanno una lunghezza pari a 1,70 m circa, ma un altro misura appena 1,40 m per cui potrebbe essere di un ragazzo o di un bambino. Al di sotto delle brandine si trovavano pochi oggetti personali, tra cui anfore poggiate per conservare possedimenti privati, brocche in ceramica e il “vaso da notte.” L’ambiente era illuminato da una piccola finestra in alto e non presentava decorazioni parietali. Era dunque probabilmente un dormitorio per un gruppo di schiavi, ma è possibile che fosse una piccola famiglia vista la presenza della brandina a misura di bambino. L’ambiente, comunque, serviva anche come ripostiglio, come dimostrano otto anfore stipate negli angoli lascati appositamente liberi per tal scopo. Il rinvenimento è avvenuto non lontano dal portico dove all’inizio del 2021 fu scoperto un carro cerimoniale attualmente oggetto di interventi di consolidamento e restauro (vedi Pompei. Trovata la “stanza degli schiavi” nella lussuosa villa suburbana di Civita Giuliana, saccheggiata dai tombaroli. L’eccezionale nuova scoperta segue quella della stalla con tre cavalli e del carro cerimoniale. L’ambiente, che ospitava una famigliola, è perfettamente conservata e permetterà di acquisire nuovi interessanti dati sulle condizioni abitative e di vita degli schiavi a Pompei e nel mondo romano | archeologiavocidalpassato).

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Il più antico tempio buddhista urbano della valle dello Swat nel sito di Barikot in Pakistan (foto bmta)

Pakistan: nel sito di Barikot il più antico tempio buddhista urbano della valle dello Swat. La scoperta di uno dei più antichi templi buddhisti al mondo nell’antica città di Barikot, nella regione dello Swat, è il frutto dell’ultima campagna di scavo della Missione Italiana in Pakistan dell’ISMEO (Associazione Internazionale di Studi sul Mediterraneo e l’Oriente) con la direzione del professor Luca Maria Olivieri del Dipartimento di Studi sull’Asia e sull’Africa Mediterranea dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. L’antichissimo tempio buddhista (la datazione si attesta intorno alla seconda metà del II secolo a.C., ma probabilmente risale ad età più antica, al periodo Maurya, dunque III secolo a.C.) è considerato un rinvenimento molto importante perché rivela nuovi dettagli sull’organizzazione architettonica e sulla vita nell’antica città, sui rapporti tra i sovrani greci dell’epoca e il Buddhismo, nonché sulla diffusione della religione in tutta la regione. “La scoperta di un grande monumento religioso fondato in età indo-greca rimanda senz’altro a un grande e antico centro di culto e di pellegrinaggio”, ha spiegato Olivieri, sottolineando che “l’attribuzione ad età così antica per il Buddhismo in questa regione è di enorme importanza”. Barikot è nota nelle fonti greche e latine come una delle città assediate da Alessandro Magno, l’antica Bazira o Vajrasthana; fu occupata ininterrottamente dalla protostoria (1700 a.C.) al periodo medievale (XVI secolo), con oltre 10 metri di stratigrafia archeologica. Il tempio ritrovato ha una forma a podio absidato con cella circolare e stupa interno, forma finora unica e che rimanda evidentemente all’India, tanto che gli archeologi italiani e pachistani pensano possa risalire almeno all’età indo-greca. Il monumento fu abbandonato quando, ai primi del IV secolo, la città bassa fu distrutta da un disastroso terremoto (vedi Pakistan. La missione italiana nello Swat dell’Ismeo/università Ca’ Foscari Venezia ha scoperto uno dei più antichi templi buddhisti nel Gandhara, nell’antica città di Barikot, risalente al II sec. a.C. Ecco i risultati delle ricerche e le prospettive future | archeologiavocidalpassato).

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Mosaico romano con scene dell’Iliade scoperto in Inghilterra nella contea di Rutland (foto bmta)

Regno Unito: in Inghilterra nella contea di Rutland uno straordinario mosaico con scene dell’Iliade. Un magnifico mosaico romano, in cattive condizioni di conservazione, è stato scoperto sotto i campi arati nella regione delle Midlands orientali, il primo mosaico mai rinvenuto in Inghilterra con scene tratte dall’Iliade di Omero: presumibilmente decorava una grande sala da pranzo all’interno di una villa romana risalente alla fine del III o all’inizio del IV secolo d.C. Il sito è sotto la protezione ufficiale del governo su consiglio dell’Historic Buildings and Monuments Commission for England (conosciuto anche come Historic England). Il mosaico raffigura lo scontro tra Achille ed Ettore al termine della guerra di Troia e misura mt 7×11. Al momento del ritrovamento si trovava poco sotto la superficie, scoperto nel 2020 da Jim Irvine, figlio del proprietario terriero Brian Naylor, incappato in frammenti di vasellame durante una passeggiata in un campo di grano. Osservando in seguito le immagini satellitari Jim aveva notato un segno molto chiaro del raccolto, come se qualcuno avesse disegnato sullo schermo del computer con un pezzo di gesso, per cui contattò gli archeologi del Leicestershire County Council. Historic England con un finanziamento urgente inviò una squadra di archeologi nell’agosto 2020 con ulteriori lavori nel settembre 2021 a cura della School of Archaeology and Ancient History dell’università di Leicester con John Thomas, vicedirettore dei Servizi Archeologici dell’Università e project manager degli scavi. Il ritrovamento offre nuove prospettive su usi e tradizioni degli abitanti dell’epoca, la loro conoscenza della letteratura classica e fornisce anche informazioni sull’individuo che ha commissionato il mosaico, una persona benestante con una buona conoscenza dei classici. Parte del sito non è ancora stata scavata, ma le indagini geofisiche che rivelano le strutture sottostanti, mostrano un complesso di edifici, tra cui fienili a corridoio, strutture circolari, forse depositi di grano, e una presunta sala da bagno. Il lavoro continua anche con il contributo di David Neal, uno dei maggiori esperti di mosaici romani.

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Il santuario rupestre di oltre 11mila anni fa scoperto in Anatolia nel sito di Karahantepe (foto bmta)

Turchia: in Anatolia il sito di Karahantepe un santuario rupestre di oltre 11mila anni fa. Il sito archeologico di Karahantepe, a circa 25 miglia a Sud-Est del suo più famoso gemello Göbeklitepe, sta gettando nuova luce sull’ingegnosità e la sorprendente creatività del popolo neolitico di questa parte della Turchia sudorientale. La scoperta dell’università di Istanbul con l’équipe guidata dal professore Necmi Karul mostra un ambiente sotterraneo di 23 mt di diametro e profondo mt 5.50, con ben conservata la scultura di una imponente testa dai tratti umani, affiorante dalla parete rocciosa che pare “guardare come da una finestra” una serie di undici alti pilastri scolpiti a forma di fallo. Un tempio sacro che affonda le radici nella preistoria e che potrebbe essere stato il cuore di una processione di sacerdoti e possibili fedeli che si muovevano lungo una traiettoria che coinvolgeva altri tre templi collegati. Ha numerosi artefatti in pietra lavorata con almeno 250 monoliti, per lo più con pilastri a T, così come molte sculture in pietra e disegni unici. Come a Göbeklitepe questo sito è coperto da molte strane raffigurazioni di esseri umani, simboli e animali, a volte coinvolti in attività molto strane e una sorprendente rappresentazione 3D di una testa umana con un collo serpentino, che emerge dalla roccia. Molti manufatti sono ora esposti al Museo Archeologico di Şanlıurfa. Karahantepe è un’intera città sacra, con tanto di sistema idraulico per la distribuzione dell’acqua. I grandi megaliti di cui è costruita, a differenza di quelli rozzi e nudi delle più tardive costruzioni europee, sono coperti di elaborate decorazioni, incisioni che rappresentano soprattutto la fauna locale una volta presente sul sito, gru, cinghiali e altri animali da caccia, ma anche ghepardi, volpi, avvoltoi e perfino qualche rara testa umana. Le uniche rappresentazioni femminili sono oscene, una probabile indicazione di una società grossolanamente maschilista, un’ipotesi già suggerita dalla marcata abbondanza di falli maschili scolpiti nella pietra. Dopo essere stato abitato per millenni, intorno all’8mila a.C. il sito principale è stato abbandonato in un lasso di tempo relativamente breve: ma prima di andarsene, pare che gli abitanti lo abbiano deliberatamente sepolto, un lavoro immane, conseguito per motivi oggi inimmaginabili.

Paestum, XXIII Borsa mediterranea del Turismo archeologico: assegnato alla scoperta di “centinaia di sarcofagi nella necropoli di Saqqara in Egitto” la 7ma edizione dell’International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad”, scelta tra le cinque più importanti del 2020. A novembre sarà consegnato anche il premio della 6° edizione (saltato per il Covid) andato alla scoperta di dieci rilievi rupestri assiri raffiguranti gli dèi dell’Antica Mesopotamia presso il sito di Faida (Iraq)

paestum_XXIII_BMTA_2021La scoperta di “centinaia di sarcofagi nella necropoli di Saqqara in Egitto” la 7ma edizione dell’International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad”, promosso dalla Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico e da Archeo: la XXIII edizione si svolgerà a Paestum dal 25 al 28 novembre 2021. L’International Archaeological Discovery Award, il Premio intitolato a Khaled al-Asaad, direttore dell’area archeologica e del Museo di Palmira dal 1963 al 2003, che ha pagato con la vita la difesa del patrimonio culturale, è l’unico riconoscimento a livello mondiale dedicato al mondo dell’archeologia e in particolare ai suoi protagonisti, gli archeologi, che con sacrificio, dedizione, competenza e ricerca scientifica affrontano quotidianamente il loro compito nella doppia veste di studiosi del passato e di professionisti a servizio del territorio. La Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico e Archeo, la prima testata archeologica italiana, hanno inteso dare il giusto tributo alle scoperte attraverso un Premio annuale assegnato in collaborazione con le testate internazionali, tradizionali media partner della Borsa: Antike Welt (Germania), Archäologie in Deutschland (Germania), Archéologia (Francia), as. Archäologie der Schweiz (Svizzera), Current Archaeology (Regno Unito), Dossiers d’Archéologie (Francia). Nel 2015 il Premio è stato assegnato a Katerina Peristeri, Responsabile degli scavi, per la scoperta della Tomba di Amphipolis (Grecia); nel 2016 all’INRAP Institut National de Recherches Archéologiques Préventives (Francia), nella persona del presidente Dominique Garcia, per la Tomba celtica di Lavau; nel 2017 a Peter Pfälzner, direttore della missione archeologica, per la città dell’Età del Bronzo presso il villaggio di Bassetki nel nord dell’Iraq; nel 2018 a Benjamin Clément, responsabile degli scavi, per la “piccola Pompei francese” di Vienne; nel 2019 a Jonathan Adams, responsabile del Black Sea Maritime Archaeology Project (MAP), per la scoperta nel mar Nero del più antico relitto intatto del mondo.

L’impressionante distesa dei sarcofagi scoperti dalla missione archeologica egiziana a Saqqara alla presentazione agli ambasciatori e ai media (foto Ministry of Tourism and Aniquities)

Ecco le cinque scoperte archeologiche del 2020 finaliste della 7ma edizione dell’International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad”. Egitto: centinaia di sarcofagi rinvenuti a Saqqara, patrimonio Unesco a 30 km a Sud del Cairo; Germania: la verità sul Disco di Nebra, il reperto più analizzato della storia archeologica tedesca; Indonesia: nell’isola di Suwalesi le pitture rupestri più antiche del mondo con un cinghiale dipinto in ocra rossa di 45500 anni fa; Israele: a Gerusalemme sotto il Muro del Pianto si celavano tre stanze di 2000 anni fa; Italia: le numerose scoperte di Pompei, un Thermopolium, un carro cerimoniale, le origini Etrusche della città. Come detto, la 7ma edizione dell’International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad” va alla scoperta di “centinaia di sarcofagi nella necropoli di Saqqara in Egitto”. Il Premio sarà consegnato a Mostafa Waziry, Segretario Generale del Consiglio Supremo delle Antichità di Egitto, venerdì 26 novembre 2021. alle 18, alla presenza di Fayrouz, archeologa e figlia di Khaled al-Asaad, in occasione della XXIII Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico. Per quanto riguarda, invece, lo “Special Award” per il maggior consenso sulla pagina Facebook della BMTA, è risultata la scoperta delle “tre stanze di 2000 anni fa sotto il Muro del Pianto di Gerusalemme”.

Rilievo 7 a Faida (Kurdistan iracheno) dell’VIII-VII sec. a.C. (foto di Alberto Savioli / LoNAP)

Nella stessa cerimonia sarà premiata anche la scoperta archeologica riferita all’anno 2019 vincitrice della 6a edizione, ma non conferita in quanto la BMTA nel novembre 2020 fu annullata a causa del lockdown: Daniele Morandi Bonacossi, direttore della Missione Archeologica Italiana nel Kurdistan Iracheno e Ordinario di Archeologia e Storia dell’Arte del Vicino Oriente Antico dell’Università di Udine, per la scoperta di dieci rilievi rupestri assiri raffiguranti gli dèi dell’Antica Mesopotamia presso il sito di Faida, a 50 km da Mosul (vedi Il ritrovamento dei dieci rilievi rupestri di Faida nel Kurdistan iracheno da parte dell’università di Udine premiato come la scoperta archeologica più importante del 2019 con l’assegnazione della sesta edizione dell’International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad” promossa dalla Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico e da Archeo | archeologiavocidalpassato).

I sarcofagi in legno inviolati e sigillati, risalenti a 2500 anni fa, scoperti dalla missione egiziana nella necropoli di Saqqara (foto Ministry of Tourism and Antiquities)

A Saqqara, patrimonio Unesco a 30 km a sud del Cairo, ritrovati centinaia di sarcofagi. A novembre 2020, un prezioso tesoro di 50 sarcofagi in legno è stato rinvenuto nella necropoli da un team di archeologi guidato da Zahi Hawass. Il ritrovamento getta nuova luce sulla storia di Saqqara durante il Nuovo Regno, il periodo della storia egizia compreso tra il XVI secolo a.C. e l’XI secolo a.C. Le preziose bare sono state trovate in 52 pozzi sepolcrali, profondi tra i 10 e 12 metri, che facevano parte del tempio funerario dedicato alla regina Naert, moglie del re Teti, il primo faraone della VI dinastia del Vecchio Regno. Sempre a novembre 2020, vicino alla piramide di Djoser (la prima struttura di cemento completa esistente al mondo e la più antica piramide a gradoni di tutto l’Egitto), oltre 100 sarcofagi, risalenti a due epoche, Tolomeo e Tardo Periodo, e più di 40 statue con maschere e mummie dorate di 2500 anni, ben conservate in pozzi profondi di 12 mt. (vedi Egitto. Nella necropoli di Saqqara la missione egiziana scopre 100 sarcofagi inviolati e sigillati di 2500 anni fa, 40 statue dorate di Ptah Soker, 20 scatole di legno di Horus, e poi statuette, amuleti, ushabti e 4 maschere in cartonnage dorato. I sarcofagi andranno tra il Grand Egyptian Museum, il National Museum of Egyptian Civilization, il museo della Nuova Capitale Amministrativa e il museo Egizio di piazza Tahrir. Le mummie al National Museum of Egyptian Civilization | archeologiavocidalpassato). A ottobre, la scoperta di 3 pozzi funerari di 10, 11 e 12 metri di profondità e contenenti più di 59 sarcofagi antropomorfi e policromi di ben 2.600 anni fa, risalenti alla XXVI dinastia, disposti in diverse camere, impilati l’uno sull’altro e appartenenti a sacerdoti, alti funzionari e personalità di spicco dell’alta società. Inoltre, le sabbie dell’area cimiteriale hanno portato alla luce ben 28 statue lignee del dio principalmente venerato nella necropoli,

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Le statue dorate di Ptah Soker, dio della necropoli di Saqqara, trovate dalla missione egiziana a Saqqara (foto Ministry of Tourism and Antiquities)

Ptah-Sokar-Osiris, e un gran numero di amuleti, ushabti e altri oggetti, inclusa la statua di bronzo con intarsi in agata rossa, turchese e lapislazzuli del dio Nefertum (vedi Egitto. La missione archeologica egiziana nella necropoli di Saqqara conferma l’eccezionalità della scoperta in tre pozzi sacri. Il ministro: “Siamo arrivati a 59 sarcofagi in legno ancora sigillati, di 2500 anni fa; 28 statue del dio Ptah Sokar e un gran numero di amuleti e ushabti. E non è finita” | archeologiavocidalpassato). A settembre 2020, 27 sarcofagi intatti sepolti da più di 2500 anni e mai aperti, con bare in legno ottimamente conservate, dipinte con colori vivaci, trovati insieme ad altri manufatti più piccoli, all’interno di un pozzo nel sito sacro (vedi Egitto. La missione archeologica egiziana nella necropoli di Saqqara ha scoperto 27 sarcofagi di epoca tarda, risalenti a 2500 anni fa, ancora sigillati. Il ministro el-Anani: “Una scoperta molto emozionante. E penso siamo solo all’inizio”. E ora gli egittologi sperano di trovare all’interno intatto anche il corredo | archeologiavocidalpassato). Tutti questi straordinari tesori antichi, ritrovati in tempi diversi dalla missione archeologica egiziana con a capo Mustafa Waziri, Segretario Generale del Consiglio Supremo delle Antichità, verranno trasferiti al GEM Grand Egyptian Museum per essere esposti, dopo i dovuti restauri.

Il famoso disco di Nebra (museo di Halle, in Sassonia) dell’età del Bronzo, una delle più antiche rappresentazioni del cielo

La verità sul Disco di Nebra, scoperto nella Germania centrale, il reperto più analizzato di sempre. Il Disco di Nebra è una lastra in metallo con applicazioni in oro risalente all’Età del Bronzo, che raffigura chiaramente fenomeni astronomici e simboli di forte impronta religiosa, considerato la più antica rappresentazione del cielo e uno dei ritrovamenti archeologici più importanti del XX secolo. Il reperto è un disco in bronzo del diametro di 32 cm e dal peso di 2 kg su cui sono riportate, in lamina d’oro, le possibili figure del Sole, della falce lunare e un insieme di 32 piccoli dischetti che potrebbero rappresentare le stelle. Di questi 32 dischetti aurei, 29 sono ben visibili, mentre i restanti si sono staccati, lasciando però una traccia evidente sulla superficie del disco di bronzo. Scoperto nel 1999 da alcuni saccheggiatori di tombe all’interno di una cavità in pietra sul monte Mittelberg, vicino Nebra, a 252 metri di quota, nella foresta dello Ziegelroda, a 180 km a sud-ovest di Berlino, ora è al museo regionale della preistoria di Halle, in Sassonia-Anhalt. Il disco è stato principalmente esaminato dall’archeologo Harald Meller (Ente per l’Archeologia e la Conservazione dei monumenti storici di Halle), dall’astronomo Wolfhard Schlosser (Università di Bochum) e dai chimici esperti in archeologia Ernst Pernicka (archeometallurgia), Heinrich Wunderlich (tecnica e metodo delle costruzioni) e da Miranda J. Aldhouse Green (Università del Galles), archeologa e studiosa delle religioni dell’Età del Bronzo. In una pubblicazione della rivista scientifica “Archaeologia Austriaca” lo stesso Meller, insieme a dodici suoi collaboratori, ha riproposto una sintesi di tutte le più recenti indagini a favore dell’attribuzione del disco al 1600 a.C., ovvero all’Età del Bronzo, con le prove inequivocabili circa l’esattezza del luogo di ritrovamento che, al di là delle dichiarazioni dei due (certo poco attendibili) scopritori, si avvale ora di una dati scientifici difficilmente oppugnabili: l’aumentata concentrazione, nel terreno, di particelle d’oro e di rame, spiegabili con la prolungata permanenza del reperto nel terreno, e la corrispondenza tra la terra sul luogo del ritrovamento e tracce di essa rinvenute su una delle asce e sul disco stesso. La datazione del reperto si avvale dei risultati dell’analisi al radiocarbonio effettuati su resti organici (tracce di corteccia di betulla) prelevati dal manico di una delle spade rinvenute insieme al disco. Le controprove predisposte affrontano, su larga scala, “l’accusa” mossa al disco di non essere, cronologicamente e territorialmente, contestuali agli altri componenti del ritrovamento. Argomento centrale diventa, così, la composizione chimica dei metalli (per la quale non esiste ancora un metodo di datazione scientifica) e il luogo di provenienza degli stessi. Dal confronto con un database, che riunisce ben 50mila miniere metallifere preistoriche sul territorio europeo (e basandosi sull’esame geochimico della concentrazione degli isotopi del piombo) è emersa con evidenza l’origine del rame impiegato nel disco da depositi nelle Alpi orientali, nell’odierna Austria (miniera di Mitterberg, presso Salisburgo), mentre l’oro delle decorazioni proviene, con grande probabilità, dal fiume Carnon, nella regione della Cornovaglia (Inghilterra sudoccidentale).

Nell’isola di Suwalesi (Indonesia) le pitture rupestri più antiche del mondo con un cinghiale dipinto in ocra rossa di 45500 anni fa (foto bmta)

In Indonesia nell’isola di Suwalesi le pitture rupestri più antiche del mondo con un cinghiale dipinto in ocra rossa di 45500 anni fa. Datata a 45500 anni fa la pittura rupestre del cinghiale delle verruche di Celebes, trovata nella grotta calcarea di Leang Tedongnge e che potrebbe essere la più antica pittura rupestre conosciuta al mondo. Per fare un confronto, le pitture rupestri di Lascaux, in Francia, sono datate a circa 17500 anni fa; quelle più antiche delle grotte di Altamira, in Spagna, a 36000 anni fa. La grotta si trova in una valle racchiusa da ripide falesie calcaree ed è accessibile solo da uno stretto passaggio della grotta e solo nella stagione secca, poiché il fondovalle è allagato durante la stagione delle piogge. “L’isolata comunità Bugis, che vive in questa valle nascosta afferma che non era mai stata visitata prima dagli occidentali” ha spiegato Adam Brumm dell’Australian Research Center for Human Evolution della Griffith University, co-leader del team di ricerca condotto con Arkenas, il principale centro di ricerca archeologica dell’Indonesia, Pusat Penelitian Arkeologi Nasional. Il dipinto in ocra rossa mostra un cinghiale con una corta cresta di peli eretti e un paio di verruche facciali simili a corno davanti agli occhi, una caratteristica dei cinghiali di Sulawesi maschi adulti, specie endemica dell’isola. “Gli esseri umani hanno cacciato i cinghiali di Sulawesi per decine di migliaia di anni” ha spiegato l’archeologo indonesiano Basran Burhan. “Questi maiali erano l’animale più comunemente raffigurato nell’arte rupestre dell’era glaciale dell’isola, il che suggerisce che siano stati a lungo apprezzati sia come cibo sia come fulcro del pensiero creativo e dell’espressione artistica”. L’arte rupestre realizzata nelle grotte calcaree può essere datata utilizzando l’analisi della serie di uranio dei depositi di carbonato di calcio, i “popcorn delle caverne”, che si formano naturalmente sulla superficie della parete della caverna usata per dipingere. A Leang Tedongnge, un piccolo “popcorn” si era formato sul piede posteriore di una delle figure di maiale, dopo che era stata dipinta; una volta datato, ha fornito un’età minima per il dipinto: visto che è questo deposito a essere stato datato a 45500 anni fa, la scena era quindi stata dipinta qualche tempo prima. Numerosi esempi di arte rupestre primitiva sono stati datati in precedenza, comprese rappresentazioni di animali e scene narrative che sono eccezionali sia per la qualità della loro esecuzione sia per la rarità, di almeno 43900 anni.

Sotto il Muro del Pianto a Gerusalemme scoperte tre stanze di duemila anni fa (foto bmta)

A Gerusalemme sotto il Muro del Pianto si celavano tre stanze di 2000 anni fa. Si tratta di un complesso sotterraneo che comprende tre ambienti contenenti oggetti di uso quotidiano. Quella porzione di muro, nei pressi del Secondo Tempio (o Tempio di Erode), era stata distrutta dai Romani nell’anno 70 a.C. Infatti, un tempo esistevano due templi sacri a Gerusalemme, principali luoghi di culto costruiti sul Monte del Tempio, ma furono entrambi distrutti dapprima dai Babilonesi e poi, appunto, dai Romani. Le stanze erano nascoste dietro uno strato di roccia. Gli archeologi erano ignari del fatto di aver scoperto delle nuove strutture collegate tra loro da scalinate. Barak Monnickendam-Givon, co-direttore degli scavi per conto dell’Autorità per le antichità israeliane, ha spiegato che “Siamo convinti che tutto ciò che ora comprende la piazza del Muro occidentale fosse sostenuto da un colonnato. Scaveremo ulteriormente per dimostrarlo. Una volta conclusi gli scavi ci sarà una netta divisione tra l’attività liturgica riservata alla preghiera dei fedeli e quella turistica, con i visitatori che verranno a scoprire il sito archeologico”. Tehila Sadiel, il secondo co-direttore responsabile degli scavi, ha precisato che “Tra i vari oggetti, abbiamo rinvenuto delle stoviglie di terracotta, alcune basi di lampade a olio usate per fare luce, una tazza di pietra eccezionale per il periodo e un frammento di “qalal”, un ampio contenitore di pietra usato per l’acqua, forse legato alle pratiche ebraiche del rituale di purificazione”. Del resto, nel corso dei millenni, Gerusalemme è stata costruita e ricostruita più volte da tutte le popolazioni che l’hanno abitata e conquistata. Gli strati di abitazioni, strade e luoghi sacri si sovrappongono tra loro ed è quindi facile trovare nascosto sotto qualche piano di mattoni un nuovo strato di storia. Sotto il Muro del Pianto ci sono già dei tunnel che si possono visitare e che corrono lungo i 485 metri di muro che circondavano l’antico Tempio e che oggi sono nascosti sotto le case della Città Vecchia.

Anello con sigillo raffigurante il suicidio di Aiace Argento e corniola) dal santuario di Fondo Iozzino (foto Graziano Tavan)

A Pompei, numerose scoperte: un Thermopolium, un carro cerimoniale, le origini Etrusche della città. Il geografo greco Strabone faceva risalire le origini di Pompei agli Osci, una popolazione di ceppo sannitico appartenente alla Campania preromana, per tanti secoli ritenuta la più valida, anche se la fondazione di Pompei, avvenuta almeno 700 anni prima della sua tragica fine, 79 d.C., continuava a essere avvolta dal mistero. Le ultime campagne di scavo raccontano che Pompei sarebbe stata una città etrusca per lingua e per cultura, seppur costruita con uno stile diverso rispetto a quello che contraddistingue i suoi fondatori. La scoperta presentata dal direttore Massimo Osanna e dall’archeologo Carlo Rescigno si basa sulle centinaia di anfore, vasi, ampolle e coppe con iscrizioni ritrovate nello scavo del santuario costruito lungo la strada che collegava la città al mare, una costruzione a pianta rettangolare e a cielo aperto, riemersa a poche centinaia di metri dalle mura meridionali della città, in quello che viene indicato come il “Fondo Iozzino” (vedi Nella Palestra Grande agli scavi la mostra “Pompei e gli Etruschi”: 800 reperti provenienti da musei italiani e europei. 2^ parte: dalla Pompei – città nuova etrusca – in una Campania multietnica fino al suo tramonto, e alla memoria di alcune usanze etrusche | archeologiavocidalpassato). Le coppe ritrovate recano graffiti con frasi rituali accompagnate dal nome di chi ha fatto l’offerta presso il santuario, nomi tutti Etruschi, alcuni dei quali mai ritrovati prima nei territori della Campania, ma conosciuti nei centri di origine etrusca di Lazio e Toscana. La divinità onorata su questi oggetti, inoltre, è sempre indicata con il nome generico “Apa”, che in etrusco significa “Padre” e rappresenta un chiaro riferimento alla cultura religiosa degli Etruschi. A tutto ciò si aggiunge il santuario di Apollo, la principale area sacra pompeiana, dove gli scavi storici e quelli più recenti hanno fatto emergere delle coppe con iscrizioni ancora una volta in alfabeto e lingua etrusca (vedi Aperta al museo Archeologico nazionale di Napoli la mostra “Gli Etruschi al Mann”: un inedito focus sulla realtà di una Campania etrusca con 600 reperti (di cui 200 visibili per la prima volta). I tesori “scoperti” nei depositi del Mann costituiranno una nuova sezione permanente del museo napoletano | archeologiavocidalpassato).

Un lato del bancone del termopolio scoperto nella Regio V di Pompei con decorazione di anatre, un gallo e un cane da guardia al guinzaglio (foto Luigi Spina)

L’ambiente quasi integro di un Thermopolium, bottega alimentare alla quale si aggiungeva uno street food con piatti di vario tipo, dalle lumache a una sorta di paella. Il Termopolio della Regio V, una delle tavole calde di Pompei, con l’immagine della Nereide a cavallo, era già stato parzialmente scavato nel 2019. Ora è riaffiorato per intero con nuove ricche decorazioni di nature morte, rinvenimenti di resti alimentari, ossa di animali e di vittime dell’eruzione del vulcano. Nella nuova fase di scavo, sull’ultimo braccio di bancone tornato alla luce, sono emerse ulteriori scene di nature morte, con rappresentazioni di animali. Frammenti ossei degli stessi animali sono stati rinvenuti all’interno di recipienti ricavati nello spessore del bancone, contenenti cibi destinati alla vendita. Tra questi, le due anatre germane esposte a testa in giù, pronte a essere preparate e consumate, un gallo e un cane al guinzaglio. Sono state rinvenute, inoltre, ossa umane, sconvolte a causa del passaggio di cunicoli realizzati nel XVII secolo da scavatori clandestini in cerca di oggetti preziosi e vario materiale da dispensa e da trasporto (nove anfore, una patera di bronzo, due fiasche, un’olla di ceramica comune da mensa). Per la prima volta si è scavato un simile ambiente per intero ed è stato possibile condurre tutte le analisi che le tecnologie odierne consentono da un team interdisciplinare composto da antropologo fisico, archeologo, archeobotanico, archeozoologo, geologo, vulcanologo, per capire cosa venisse venduto e quale era la dieta alimentare (vedi Pompei. Nuova scoperta eccezionale nella Regio V: torna alla luce un termopolio (una tavola calda dell’epoca) intatto, con ricche decorazioni di nature morte, rinvenimenti di resti alimentari, ossa di animali e di vittime dell’eruzione. Il direttore del parco archeologico Osanna descrive la scoperta. E il ministro Franceschini: “Pompei esempio di tutela e gestione” | archeologiavocidalpassato).

Il carro da parata, un unicum in Italia, scoperto nella villa suburbana di Civita Giuliana a Pompei (foto parco archeologico di Pompei)

Il rinvenimento di un carro cerimoniale, un reperto straordinario emerso integro dallo scavo della villa suburbana in località Civita Giuliana, a nord di Pompei, oltre le mura della città antica rientra nell’ambito dell’attività congiunta finalizzata al contrasto delle attività illecite a opera di scavi clandestini nell’area a opera di “tombaroli”. Un grande carro cerimoniale a quattro ruote, con i suoi elementi in ferro, decorazioni in bronzo e stagno di carattere erotico (si trattava forse di un carro nuziale oppure destinato al culto di Cerere o Venere), i resti lignei mineralizzati, le impronte degli elementi organici (dalle corde a resti di decorazioni vegetali), è stato rinvenuto quasi integro nel porticato antistante alla stalla dove già nel 2018 erano emersi i resti di 3 cavallo, tra cui uno bardato. Gli scavi, che hanno permesso di verificare anche l’estensione dei cunicoli dei clandestini, in parte al di sotto e a ridosso delle abitazioni moderne, con conseguenti difficoltà sia di tipo strutturale che logistico, a causa dei 6 mt di profondità. A Pompei sono stati ritrovati in passato veicoli per il trasporto, come quello della casa del Menandro, o i due carri rinvenuti a Villa Arianna, ma niente di simile al carro di Civita Giuliana, un carro cerimoniale, probabilmente il Pilentum, utilizzato non per gli usi quotidiani o i trasporti agricoli ma per accompagnare momenti festivi della comunità, parate e processioni (vedi Nuova eccezionale scoperta nella lussuosa villa di Civita Giuliana (Pompei): scoperto un carro da parata (pilentum) integro, con decorazioni erotiche, forse per una cerimonia nuziale. Osanna: “Un unicum in Italia. Grazie all’intesa Parco archeologico di Pompei e Procura di Torre Annunziata per contrastare le attività dei tombaroli” | archeologiavocidalpassato).