Licodia Eubea (Ct). Nella quinta giornata del Festival della Comunicazione e del Cinema archeologico gli ultimi sette film in concorso. In mattinata protagonista il cibo con due film e il “Laboratorio del Gusto”

XV festival della Comunicazione e del Cinema archeologico di Licodia Eubea: la sala proiezioni al Polo culturale della Badia (foto graziano tavan)

Frame del film “La grande Histoire des végétariens / Vegetarians, the Great Odyssey” di Martin Blanchard
È il cibo, nelle sue varie accezioni storico-sociali, culturali e gastronomiche, il protagonista sabato 6 dicembre 2025 della quinta giornata del XV festival della Comunicazione e del Cinema archeologico di Licodia Eubea (Ct) che tra mattino, pomeriggio e sera propone gli ultimi sette film in concorso. Le proiezioni iniziano alle 10 al Polo culturale della Badia con il film in prima regionale “La grande Histoire des végétariens / Vegetarians, the Great Odyssey” di Martin Blanchard (Francia 2025, 52’). Il vegetarianesimo sembrerebbe un fenomeno decisamente contemporaneo, invece ha una storia lunga e spesso poco conosciuta. Dai jainisti indiani agli hippy, dai filosofi romani alla prima Società Vegetariana fondata a Londra nel 1847, il film racconta un’avventura umana incarnata da figure universali che, attraverso le proprie scelte alimentari, si interrogano sul posto dell’umanità nel mondo. Segue il film in prima nazionale “A vineyard Cinderella” di Vassilis Loules (Grecia 2025, 10’). L’umile Cenerentola dei vigneti è stata dimenticata, fino a quando un principe non l’ha trasformata in una regina. La vera storia del vitigno greco Malagousiá è come una fiaba, che ha il sapore delle sue uve e il ritmo di un valzer.
I due film introducono il pubblico, alle 12, al “Laboratorio del gusto” (in programma anche domenica 7 dicembre 2025, ingresso a pagamento, informazioni info@rassegnalicodia.it) appuntamento a cura dell’associazione “Strade degli iblei” che unisce alla convivialità del pranzo il racconto delle eccellenze gastronomiche del territorio narrate dai suoi protagonisti: produttori locali di eccellenze quali vino, cicerchia, grani antichi e altri prodotti. Un appuntamento che conferma il legame tra il Licodia Eubea e il festival che, in un’ottica di scambio, ogni anno affianca al premio cinematografico numerose attività di promozione del territorio licodiano. A guidare i partecipanti saranno Riccardo Randello, responsabile dei presidi Slow Food Catania, e Rosanna Di Pietro, portavoce della Comunità dei produttori Slow Food della Cipolla di Giarratana. Assieme a loro, tanti altri giovani imprenditori agricoli che, con passione e rispetto per la natura, producono olio, pasta, miele, formaggi, vino e tanto altro ancora, integrando saperi antichi e innovazione.

Frame del film “Berg der Steine. Ausgrabungen auf dem Monte Iato / Mountain of Stones. Excavations on Monte Iato” di Andreas Elsener

Frame del film “Abiseo, el bosque cultural de los Chachapoya / Abiseo, cultural forest of the Chachapoya” di Rosemarie Lerner

Frame del film “Alhambra, le trésor du dernier sultanat d’Espagne / Alhambra, the lost paradise” di Marc Jampolsky
Le proiezioni riprendono alle 17 sempre al Polo culturale della Badia con il film in prima nazionale “Berg der Steine. Ausgrabungen auf dem Monte Iato / Mountain of Stones. Excavations on Monte Iato” di Andreas Elsener (Svizzera 2025, 55’). Nel 1971 l’Istituto Archeologico dell’università di Zurigo, in Svizzera, ha avviato uno scavo sul sito di Monte Iato, nella Sicilia occidentale. Nel corso degli anni, gli scavi e le attività connesse sono diventati un importante fattore economico in una delle regioni più povere d’Italia. Il film esplora la storia di questo scavo e la sua evoluzione nel corso di quasi mezzo secolo. Segue il film in prima nazionale “Abiseo, el bosque cultural de los Chachapoya / Abiseo, cultural forest of the Chachapoya” di Rosemarie Lerner (Perù 2025, 21’). Nel sito UNESCO del Parco nazionale del Rio Abiseo, un team del World Monuments Fund Peru esplora le Ande per documentare Gran Pajatén, eredità della civiltà Chachapoya, nota come “il popolo della foresta pluviale”. Abiseo, the Cultural Forest of the Chachapoya, racconta il legame fragile tra natura e storia in un viaggio di riscoperta. Chiude la sessione pomeridiana il film in prima regionale di “Alhambra, le trésor du dernier sultanat d’Espagne / Alhambra, the lost paradise” di Marc Jampolsky (Francia 2024, 52’). L’Alhambra, apparentemente una severa fortezza di Granada, rivela un mondo unico del XIII-XV secolo, creato per gli ultimi sultani di Spagna. Il film racconta la storia di questo paradiso, le sue ragioni, i suoi segreti e la sua straordinaria durata nel tempo.
Alle 20, pausa con “Calici d’autore”, ovvero un aperitivo rinforzato con i prodotti del territorio in compagnia degli ospiti del festival (registi, produttori, archeologi, antropologi e delegazioni artistiche dei film), che si trasforma in un momento conviviale e di confronto informale con il pubblico. Ingresso è a pagamento, e il ticket si può prenotare su https://www.rassegnalicodia.it/shop/.
Alle 21, al Polo culturale della Badia, la sessione serale del Festival con gli ultimi due film in concorso, entrambi prime regionali: apre il film “Anime galleggianti / Floating Souls” di Maria Giménez Cavallo (Usa/Italia 2024, 71’). Ispirato alle Metamorfosi di Ovidio, Anime galleggianti è un viaggio attraverso le mistiche terre della Sardegna. Un’opera ibrida che mischia l’etnografia visuale e musicale con la mitologia classica, l’approccio documentario con la fantasia. I destini intrecciati dei personaggi ovidiani culminano nel Carnevale autoctono, i cui riti scandiscono la ciclicità tra la vita e la morte. Quindi chiude la serata il film “Maasai Eunoto” di Kire Godal (Kenia 2024, 34’). Gli indigeni Masai lottano ancora oggi per mantenere vive le loro tradizioni. Attraverso le voci di guerrieri e anziani durante il loro toccante rito di passaggio nel 2022, Maasai Eunoto segue il passaggio del guerriero Masai allo status di anziano, rivelando il passato e il presente celati dietro una delle cerimonie di iniziazione culturale più importanti dell’Africa.
Catania. Al CUT al via il XV Festival della Comunicazione e del Cinema archeologico di Licodia Eubea. Ecco i film della prima giornata

La sala del Centro universitario Teatrale che ospita la sezione di Catania del Festival della Comunicazione e del Cinema archeoloico di Licodia Eubea (foto fcca)
Ci siamo: è il 2 dicembre 2025. Il giorno tanto atteso è arrivato. Alle 17, al CUT – Centro Universitario Teatrale di piazza Università, a Catania, con la partecipazione di Alessia Russino della cooperativa Passo in Segni che si occuperà del servizio di interpretariato in LIS (lingua dei segni italiana), permettendo così anche al pubblico sordo di partecipare attivamente a incontri e proiezioni, si inaugura ufficialmente la XV edizione del Festival della Comunicazione e del Cinema archeologico di Licodia Eubea organizzato dall’associazione culturale Archeovisiva per la direzione artistica di Alessandra Cilio e Lorenzo Daniele.
Dopo i saluti ufficiali delle Amministrazioni comunali di Catania e Licodia Eubea e dei rappresentati dell’università di Catania, il festival entrerà subito nel vivo con le proiezioni dei primi film. Il XV Festival della comunicazione e del cinema archeologico prenderà il via con la prima regionale di “Chiribiquete, Amazonian memory at stake” di Juan José Lozano (Francia 2025, 52’) che, partendo dalle misteriose pitture rinvenute sulle pareti del parco nazionale di Chiribiquete, in Colombia, ricostruisce la storia dei popoli amazzonici che abitavano quell’area migliaia di anni fa. A seguire sarà il pluripremiato regista ed antropologo culturale palermitano Lorenzo Mercurio a presentare in prima assoluta a Catania il suo film (fuori concorso) “Il grande sogno. Monreale e il suo tesoro” (Italia 2025, 20’), un racconto delle meraviglie del Duomo di Monreale, attraverso il filo conduttore della leggenda del sogno di Guglielmo II, secondo cui il sovrano avrebbe avuto in visione la Madonna che lo avvisava dell’esistenza di un grandioso tesoro. Conclude la prima parte di proiezioni la prima regionale di “Tautavel. Vivre en Europe avant Néandertal” di Emma Baus (Francia 2025, 52’) in cui archeologi e scienziati europei svelano i segreti di un’umanità arcaica: gli Homo Heidelbergensis che, ben prima dei Neanderthal, colonizzarono gradualmente l’Europa.
Dopo la pausa delle 20 per Calici d’Autore al Café Prestipino, in via Etnea 38 a Catania (ingresso a pagamento, ticket su https://www.rassegnalicodia.it/shop/), un piacevole momento di incontro tra il pubblico e le delegazioni artistiche dei film in concorso, accompagnato dalle specialità enogastronomiche della tradizione locale, alle 21, al CUT riprendono le proiezioni con gli ultimi due film della giornata:
si riparte dalla prima nazionale di “Army of Lovers” di Lefteris Charitos (Grecia 2025, 53’), film che porta alla luce la storia perduta del Battaglione Sacro di Tebe, un’unità d’élite composta da 150 coppie omoerotiche che divennero tra i guerrieri più formidabili del mondo antico. Il film indaga non soltanto la localizzazione di questa mitica falange, ma attraverso il rinvenimento di prove sepolte da secoli rivela un capitolo dimenticato di amore, guerra e lotta per la libertà, affrontando il tema dell’omosessualità nell’antichità. Chiude la prima giornata di festival la prima regionale di “Sardaigne, la mystérieuse civilisation des Nuraghes” di Thomas Marlier (Francia 2024, 53’) straordinario e pluripremiato film che attraverso il lavoro di un’équipe internazionale di archeologi e scienziati esplora i misteriosi Nuraghi con tecniche e prospettive inedite, riportando alla luce i segreti di una delle più affascinanti e misteriose culture dell’Età del Bronzo.
Al via il XV Festival della Comunicazione e del Cinema archeologico di Licodia Eubea, il festival delle novità: doppia sede (si apre a Catania): 31 film (molti in prima nazionale); quattro premi; incontri con registi, divulgatori ed esperti; e poi visite guidate, workshop, laboratori del gusto, concerto e serata speciale. Ecco alcune anticipazioni del ricco programma
Manca solo una settimana. Il conto alla rovescia è iniziato per l’apertura della XV edizione del Festival della Comunicazione e del Cinema archeologico di Licodia Eubea, dal 2 al 7 dicembre 2025, che possiamo definire tranquillamente l’edizione delle novità. Leitmotiv dell’FCCA 2025 sarà l’ombra, ovvero ciò che sfugge alla luce della conoscenza, che resta ai margini della narrazione o che il tempo ha velato, ma non cancellato”, spiega Alessandra Cilio, direttore artistico con Lorenzo Daniele. “L’ombra come luogo di attesa, di rivelazione, di ritorno. Nel cinema, come nella ricerca archeologica, la luce è indispensabile, ma è l’ombra a dare profondità, a suggerire l’invisibile. Scavare tra le ombre del mondo antico significa cercare ciò che è rimasto nascosto: frammenti di memoria, voci dimenticate, sguardi che ancora ci osservano da lontano. Ma l’ombra – fa presente Cilio – non appartiene solo al passato. È anche quella parte di noi che fatichiamo a riconoscere: paure, desideri, pensieri rimossi, tutto ciò che la società tende a respingere o marginalizzare. È l’ombra delle differenze negate, delle identità relegate in un angolo, dei tabù che attraversano la storia e ancora oggi condizionano il nostro modo di vedere. Portare luce su queste zone oscure significa dare voce a chi, troppo a lungo, è rimasto confinato in una dimensione liminale”.
Trentun film. Il tema dell’ombra, magnificamente illustrato nell’affiche di Pierluigi Longo (il volto di una Kore greca che cela un Daimon, una creatura perturbante nascosta dietro una superficie di apparente tranquillità), trova piena espressione nelle trentuno opere cinematografiche selezionate (di cui 3 fuori concorso), tra documentari, cortometraggi e lungometraggi provenienti da tutto il mondo: un mosaico che attraversa epoche e contesti differenti, da quelli delle comunità preistoriche alpine alla civiltà nuragica, dal mondo greco e romano ai Longobardi, dall’America precolombiana ai centri di potere della cultura islamica, ai riti di passaggio della tribù dei Maasai o a quelli che caratterizzano la Settimana Santa spagnola. Molti, i film ad essere presentati per la prima volta in Italia, come: Chiribiquete. Amazonian Memory at Stake di Juan José Lozano (Colombia, 2025), Abiseo. El bosque cultural de los Chachapoya di Rosemarie Lerner (Perù, 2025), Army of Lovers di Lefteris Charitos, Brown. An Archaeological Perspective in Four Layers di Sophie Jackson (Regno Unito, 2025), La Festa di Mario Gutierrez Aragón e Pablo Mas Serrano (Spagna, 2025), La grande Histoire des végétariens di Martin Blanchard (Francia, 2025). Spazio anche all’anteprima assoluta de Il grande sogno. Monreale e il suo tesoro di Lorenzo Mercurio, dedicato al celebre monumento normanno e alla sua storia”.

Lorenzo Daniele e Alessandra Cilio direttori artistici del Festival della Comunicazione e del Cinema archeologico di Licodia Eubea (Ct) (foto graziano tavan)
L’edizione delle novità, si diceva. A cominciare dalla doppia sede: non più solo Licodia Eubea ma anche Catania, in un dialogo simbolico tra città e territorio, università e comunità. Con la sua quindicesima edizione, “il Festival della Comunicazione e del Cinema Archeologico – sottolinea Cilio – conferma la propria identità di laboratorio culturale aperto, in cui il cinema diventa strumento di conoscenza e cittadinanza. Da Licodia Eubea a Catania, il festival rinnova un modello di partecipazione che unisce ricerca, arte e formazione, offrendo un racconto sempre nuovo del nostro rapporto con il tempo e con la memoria. Perché l’ombra, in fondo, non è assenza di luce, ma la misura della sua profondità. Ed è lì, tra chiaroscuro e rivelazione, che continua a muoversi questo festival: un patrimonio vivo, in trasformazione, che da quindici anni illumina il passato per far comprendere meglio il presente”.

La sala del Centro universitario Teatrale – CUT che ospita la sezione di Catania del Festival della Comunicazione e del Cinema archeologico di Licodia Eubea (foto fcca)
Catania 2-4 dicembre 2025. Grazie alla nuova collaborazione con l’università di Catania – in particolare con i dipartimenti di Scienze della Formazione e di Scienze umanistiche – l’edizione 2025 del Festival della Comunicazione e del Cinema archeologico elegge a suo quartiere generale il CUT – Centro Universitario Teatrale di Catania che ospiterà ben 13 proiezioni nelle prime due giornate. Altra novità è la traduzione nella lingua dei segni LIS. Perseguendo infatti l’intento di rendere il festival il più possibile inclusivo, quest’anno la serata inaugurale di martedì 2 dicembre 2025 vedrà la partecipazione della cooperativa Passo in Segni che si occuperà del servizio di interpretariato in LIS (lingua dei segni italiana), permettendo così anche al pubblico sordo di partecipare attivamente a incontri e proiezioni, coerentemente con la filosofia del festival di partecipazione condivisa.
La seconda giornata del festival si concluderà al Cinema King con un evento speciale (ingresso a pagamento, informazioni e prenotazioni su www.cinestudio.eu): la proiezione del documentario “Sotto le nuovole” di Gianfranco Rosi cui seguirà l’incontro con Donatella Palermo, produttrice cinematografica di documentari quali Notturno, Fuocoammare, In viaggio, firmati da Gianfranco Rosi e di lungometraggi come Tano da morire e Mi fanno male i capelli di Roberta Torre, Cesare deve morire o Meraviglioso Boccaccio dei fratelli Taviani.
Licodia Eubea 5-7 dicembre 2025. Nel week-end, ovvero da venerdì 5 a domenica 7 dicembre, il Festival della Comunicazione e del Cinema archeologico tornerà nella sua sede storica, il Polo Culturale della Badia di Licodia Eubea. Il legame con il territorio di Licodia Eubea, città-culla dell’archeologia preistorica e oggi roccaforte di un modo alternativo di fare cultura intorno al cinema e al patrimonio, è parte integrante del festival che in questi anni, in sinergia con alcune associazioni culturali del territorio, ha lavorato alacremente per valorizzare un luogo che può vantare bellezze archeologiche, naturalistiche e paesaggistiche. In un’ottica di scambio, anche quest’anno il Festival della Comunicazione e del Cinema archeologico affianca al premio cinematografico, che prevede la proiezione di 18 film, un’attività di promozione del territorio. Una serie di attività collaterali che spaziano dalle visite guidate per i principali luoghi d’interesse di Licodia Eubea ai workshop dedicati agli studenti, dai laboratori del gusto fino ai nuovi workshop sulle eccellenze enogastronomiche della tradizione locale, fino alle proiezioni di cortometraggi d’autore e cine-concerto ed esperienze immersive.
La manifestazione ospita da sempre registi, divulgatori ed esperti del mondo antico provenienti da tutto il mondo, costituendo nel proprio settore un punto di riferimento a livello nazionale e internazionale. Tra gli ospiti in programma, accanto ai registi delle pellicole in concorso, spiccano i nomi di Donatella Palermo, Santino Alessandro Cugno, Giuseppe Carleo e Maurizio Bettini. Donatella Palermo, produttrice cinematografica di documentari, si racconterà al pubblico a Catania la sera del 3 dicembre 2025 al Cinema King, in occasione della proiezione del recente documentario di Rosi Sotto le nuvole (Italia, 2025). Tre gli incontri in programma a Licodia Eubea: venerdì 5 dicembre 2025 l’archeologo Santino Alessandro Cugno racconterà (e mostrerà) come i risultati di uno scavo archeologico possano essere tradotti in un racconto a fumetti; domenica 7 dicembre 2025 sarà la volta di Giuseppe Carleo che presenterà La bocca dell’Anima (Italia, 2024), suo esordio alla regia all’interno della sezione fuori concorso “Finestra sul cinema siciliano”, uno spazio dedicato alle più interessanti produzioni isolane fortemente voluto, nel lontano 2014, dall’amico Sebastiano Gesù. Conosciuto al pubblico teatrale per le sue interpretazioni intense e la scrittura scenica legata alle tradizioni popolari, Carleo con questo film traduce in immagini un racconto che fonde tradizione, magia e religiosità, restituendo un ritratto visionario e poetico della memoria collettiva siciliana. Tra gli incontri più attesi, quello con Maurizio Bettini, professore emerito dell’università di Siena, autore di testi scientifici e divulgativi, ma anche ideatore di trasmissioni radiofoniche come C’era una volta il mito, Sussurri di Hermes e Io sono l’altro (Rai Radio 2) e La Gorgone. Miti dell’occhio e dello sguardo (Rai Radio 3), dedicate all’interpretazione e alla rilettura del mondo classico. Bettini sarà a Licodia Eubea il 7 dicembre 2025 per presentare il suo ultimo libro, Arrogante umanità. Miti classici e riscaldamento globale (Il Mulino, 2025), una riflessione che lega mito, responsabilità e crisi contemporanea.

XIV festival della comunicazione e del cinema archeologico di Licodia Eubea: Massimo Frasca consegna il premio Antonino Di Vita a Tzao Cevoli (foto fcca)
I premi. La XV edizione del Festival della Comunicazione e del Cinema Archeologico vedrà l’attribuzione di più premi, assegnati ad opere e personalità meritorie. E anche qui con una novità: il premio Studenti UniCt. Lo storico Premio “Antonino Di Vita” sarà conferito a chi abbia impegnato la propria professione nella promozione della conoscenza del patrimonio culturale, attraverso la ricerca sul campo, il cinema o la letteratura. Il Premio “ArcheoVisiva”, affidato a una giuria internazionale di registi, studiosi, giornalisti e produttori, premierà l’opera che saprà coniugare rigore scientifico e valore cinematografico. Il Premio “Città di Licodia Eubea” verrà attribuito dal pubblico al film più apprezzato della rassegna. A partire da quest’anno una giuria di studenti universitari attribuirà, infine, il Premio “Studenti UniCt” al miglior cortometraggio in concorso: la sua istituzione rappresenta un passo significativo nel percorso di collaborazione con l’università di Catania, confermando il festival come spazio di confronto e formazione.
Non solo cinema. Il festival propone anche un articolato calendario di attività collaterali e di intrattenimento. A Catania, il 4 dicembre 2025, è prevista la visita guidata “Una città mille volti”, un percorso urbano costruito sullo storytelling dei protagonisti della città, tra luoghi simbolici e storie che ne definiscono l’identità. A Licodia Eubea, il 7 dicembre 2025, si terrà la visita “Alla scoperta di Licodia Eubea”, un’esperienza immersiva tra memoria, paesaggio e comunità. Il Laboratorio del Gusto, in programma nelle mattinate del 6 e 7 dicembre 2025, offrirà un viaggio enogastronomico tra le eccellenze agroalimentari del territorio ibleo: un workshop che unisce formazione e convivialità, trasformando il racconto dei prodotti in narrazione culturale. La sera del 5 dicembre 2025, spazio alla musica e al grande cinema con “Mirabilia. Oltre l’ordinario”: un cine-concerto in cui i capolavori della stagione del cinema muto e le produzioni sperimentali del cortometraggio animato del Novecento incontrano sonorità contemporanee. Le immagini dialogheranno con la chitarra elettrica di Mario Indaco e il barbytos di Giuseppe Severini, su brani inediti composti ad hoc dai Maestri Giovanna Albani e Daniele Maugeri.
Gambolò (Pv). Il popolo dei nuraghi e le città dell’Eldorado hanno conquistato pubblico e giuria del Festival Internazionale del Cinema di Archeologia – Città di Gambolò: ecco i film premiati
Il popolo dei nuraghi e le città dell’Eldorado hanno conquistato pubblico e giuria del Festival Internazionale del Cinema di Archeologia – Città di Gambolò che si è tenuto l’8 e il 9 novembre 2025 al Castello Litta Beccaria di Gambolò (Pv), promosso dal museo Archeologico Lomellino e l’Associazione Archeologica Lomellina in collaborazione con RAM Film Festival e Comune di Gambolò.

Frame del film “Secret Sardinia, mysteries of the Nuraghi – Sardegna segreta, i misteri dei Nuraghi” di Thomas Marlier
PREMIO CITTA’ DI GAMBOLÒ al film più votato dal pubblico “Sardegna segreta, i misteri dei Nuraghi / Secret Sardinia, Mysteries Of The Nuraghi” di Thomas Marlier (Francia 2024, 53’). La Sardegna, una piccola isola del Mediterraneo – poco più grande delle Hawaii – custodisce i resti di un’antica civiltà comparsa quasi 4.000 anni fa. Mentre i faraoni d’Egitto costruivano le loro ultime piramidi, questa potente civiltà dava vita a torri-fortezza chiamate nuraghi, a santuari religiosi e a straordinarie tombe dalla forma geometrica. Chi era il popolo nuragico, costruttore di questi monumenti? Negli ultimi cinque anni, un’équipe internazionale di archeologi e scienziati studia questi resti come mai prima, contribuendo a svelare i segreti di una delle più straordinarie civiltà dell’Età del Bronzo del Mediterraneo.

Frame del film “Le città d’oro, il grande malinteso / Les cités d’Or, le grand malentendu” di Joséphine Duteuil
PREMIO MUSEO ARCHEOLOGICO LOMELLINO, al film scelto dalla giuria di esperti (Sabina Malgora, Antonello Ruggieri, Stefano Gregoriani) “Le città d’oro. Il grande malinteso / Les cités d’Or. Le grand malentendu” di Joséphine Duteuil (Francia 2024, 54’). Cinque secoli dopo la conquista delle Americhe, il documentario esplora la ricerca ossessiva dell’oro, motore principale della colonizzazione. Attraverso le testimonianze degli studiosi e gli scavi archeologici, il film indaga i miti delle leggendarie “Città d’oro” e l’idea di un Eldorado dalle ricchezze infinite. Per i popoli indigeni, l’oro non era una moneta, ma un materiale sacro e spirituale. Il film mette a confronto questa visione con quella dei conquistadores, ossessionati dalla ricchezza materiale. Rivela come questa brama abbia portato a immense violenze e alla distruzione di intere civiltà. Attraverso un viaggio in Colombia, Perù e Bolivia, gli scienziati riscrivono la storia, restituiscono dignità alle antiche culture e mettono in discussione i racconti tramandati dall’Europa. Un viaggio tra mito e realtà che fa luce sul vero rapporto con l’oro nelle Americhe precolombiane.
Gambolò (Pv). Al via la nuova edizione del “Cinema di Archeologia – Festival internazionale del cinema di archeologia – Città di Gambolò” promosso dal museo Archeologico Lomellino in collaborazione con il RAM Film Festival di Rovereto: 11 film e due premi (del pubblico e della giuria)
Sabato 8 e domenica 9 novembre 2025, al Castello Litta-Beccaria di Gambolò (Pv), la nuova edizione del “Cinema di Archeologia – Festival internazionale del cinema di archeologia – Città di Gambolò” promosso dal museo Archeologico Lomellino e dal comune di Gambolò con il contributo di Regione Lombardia, in collaborazione con il RAM Film Festival di Rovereto. Due giornate dedicate ai migliori film internazionali a tema archeologico, con proiezioni, incontri e la premiazione dei film vincitori.
PROGRAMMA DI SABATO 8 NOVEMBRE 2025, 15-18.30: apertura della manifestazione. Si inizia con la proiezione del film “La civiltà perduta dell’Amazzonia / La civilisation perdue d’Amazonie” di Franck Cuveillier, Éric Ellena (Francia/Cile 2024, 53’). E se, tra le grandi civiltà che hanno brillato fin dalla preistoria, ce ne fosse una dimenticata? Una civiltà sommersa, cancellata, nascosta agli occhi del mondo nel rifugio più perfetto che esista sulla Terra: la foresta più grande del pianeta, quella amazzonica? Un piccolo gruppo di scienziati ha deciso di salvarla dall’oblio. Scavano, raccolgono, confrontano le tracce millenarie di piante, animali e esseri umani che hanno condiviso e modellato questo immenso territorio. Si addentrano nella giungla, riscoprono e interpretano migliaia di pitture rupestri lasciate sulle pareti di arenaria in Colombia e in Brasile. Esplorano una foresta che, per millenni, è stata coltivata e trasformata dai suoi primi abitanti. Attraverso i reperti archeologici ritrovati in Cile, ricostruiscono scene di vita dei primi amerindi, la fauna che incontravano e i paesaggi che frequentavano. Segue il film “Campo della Fiera e il pozzo del tempo” di Massimo D’Alessandro (Italia 2024, 50’). Nel cuore dell’Italia centrale, ai piedi della rupe di Orvieto, si trova Campo della Fiera, un luogo straordinario in cui sacralità e storia si intrecciano da oltre duemila anni. Identificato come la sede del leggendario Fanum Voltumnae, santuario federale degli Etruschi. Il sito ha poi visto passare le diverse epoche diventando un centro spirituale e amministrativo dei Romani e successivamente un insediamento francescano. Le indagini archeologiche condotte negli ultimi vent’anni hanno portato alla luce manufatti di inestimabile valore: antichi templi, mosaici, ceramiche pregiate e un profondo pozzo mai esplorato, custode di tesori dimenticati. Attraverso ricostruzioni storiche, interviste esclusive e riprese spettacolari, “Campo della Fiera e il pozzo del tempo” accompagna il pubblico in un affascinante viaggio alla scoperta della vita, del declino e della rinascita di questo sito unico. Uno dei reperti rinvenuti nel pozzo, inoltre, apre uno squarcio nel velo di mistero che avvolge i Templari e un possibile intrigo storico. Quindi il film “Gli umani prima dei Neanderthal / Humans before Neanderthals” di Emma Baus (Francia 2024, 52’). Molto prima dell’arrivo di Homo sapiens, o persino dei Neanderthal, altri esseri umani abitavano il territorio francese durante gli intensi periodi di glaciazione. Un luogo in particolare è stato testimone del loro passaggio: la grotta di Tautavel, ai piedi dei Pirenei. Come riuscivano a sopravvivere in un ambiente così ostile? Sulla base delle più recenti scoperte scientifiche, il film cambia il nostro punto di vista su questi antichi antenati, le cui sorprendenti capacità cognitive continuano a stupirci. Chiude la sezione pomeridiana il film “L’uomo di Val Rosna” di Stefano Zampini (Italia 2024, 20’). Un viaggio nelle ultime giornate dell’Uomo di Val Rosna, cacciatore paleolitico vissuto 14.000 anni fa. Il cortometraggio ne racconta la vita quotidiana, tra caccia, rituali di gruppo e momenti unici: il più antico intervento dentistico conosciuto, la trapanazione di una carie su un dente del giudizio. In un crepuscolo di luce e silenzio, il suo viaggio termina con una sepoltura onorata da una pietra dipinta, simbolo di rispetto e memoria ancestrale. A seguire una cena a tema archeologico presso la Locanda Milano (menù completo 30 euro).

Frame del film “Secret Sardinia, mysteries of the Nuraghi – Sardegna segreta, i misteri dei Nuraghi” di Thomas Marlier
PROGRAMMA SABATO 8 NOVEMBRE 2025, 21-23. Apre la sezione il film “Langobardi – Grimoaldo, il primo re friulano” di Sandra Lopez Cabrera (Italia 2024, 52’). Il docufilm narra le vicende di Grimoaldo, nobile discendente della stirpe di Alboino nato a Cividale attorno al 600, che nel corso di una lunga vita densa di avvenimenti riuscirà a divenire il primo re longobardo di stirpe friulana. Attraverso il racconto della vita di questo nostro illustre antenato friulano avremo anche modo di raccontare le vicende storiche della Penisola e del Friuli longobardo del VII secolo. Il docufilm è strutturato sotto forma di uno storytelling dallo stile cinematografico grazie al quale è possibile assimilare al meglio nozioni storiche ed etnografiche riguardanti le tracce longobarde presenti nei territori interessati. Segue il film “Faragola. Un Mondo Ritrovato” di Claudio d’Elia (Italia 2025, 15’). Il film racconta la storia di Faragola, una delle più lussuose ville romane tra il III e il IV secolo d.C. Con gli occhi di uno dei suoi visitatori ne scoprirete lo splendore degli ambienti e le peculiari caratteristiche costruttive, tra cui il complesso termale e la Coenatio, dove spicca un raro Stibadium in pietra, luogo di sontuosi banchetti. Un viaggio per comprenderne la funzione e il contesto, dal suo massimo splendore al suo declino. Chiude la serata il film “Sardegna segreta, i misteri dei Nuraghi / Secret Sardinia, Mysteries Of The Nuraghi” di Thomas Marlier (Francia 2024, 53’). La Sardegna, una piccola isola del Mediterraneo – poco più grande delle Hawaii – custodisce i resti di un’antica civiltà comparsa quasi 4.000 anni fa. Mentre i faraoni d’Egitto costruivano le loro ultime piramidi, questa potente civiltà dava vita a torri-fortezza chiamate nuraghi, a santuari religiosi e a straordinarie tombe dalla forma geometrica. Chi era il popolo nuragico, costruttore di questi monumenti? Negli ultimi cinque anni, un’équipe internazionale di archeologi e scienziati studia questi resti come mai prima, contribuendo a svelare i segreti di una delle più straordinarie civiltà dell’Età del Bronzo del Mediterraneo.

Frame del film “Il mondo perduto dei Giardini Pensili / Lost world of the Hanging Gardens” di Duncan Bulling
PROGRAMMA DOMENICA 9 NOVEMBRE 2025, 14.30-18. Apre il film “Roma e il suo Fiume” di Mattia Ippoliti (Italia 2024-2025, 52’). I fattori geografici hanno influenzato e influenzano ogni attività umana, ciò è particolarmente evidente guardando alla storia delle città fluviali. Alcune tra le più importanti città europee sono nate e si sono sviluppate lungo i corsi d’acqua, e grazie alla loro presenza. Tuttavia, il loro rapporto con i fiumi è sempre stato segnato da una dicotomia, ai vantaggi topografici si contrappongono i pericoli causati dalle loro esondazioni. Sin dall’antichità le città fluviali hanno dovuto concepire e sviluppare sistemi di gestione e irreggimentazione delle acque che hanno permesso loro di sopravvivere e prosperare. Nel corso del XX secolo i progressi tecnologici e ingegneristici sembravano aver raggiunto un livello tale da permettere di considerare il problema risolto. Oggi i cambiamenti climatici e gli eventi meteorologici estremi da loro causati tornano a minacciare le più belle e importanti città d’Europa. Questo documentario racconta la storia della città di Roma e della sua capacità, nel corso dei secoli, di trasformarsi e adattarsi per soddisfare ai bisogni del contesto urbano e a rispondere alle minacce ambientali e urbane contro le quali, ancora oggi, deve continuare a lottare per poter sopravvivere. Segue il film “Le città d’oro, il grande malinteso / Les cités d’Or, le grand malentendu” di Joséphine Duteuil (Francia 2024, 54’). Cinque secoli dopo la conquista delle Americhe, il documentario esplora la ricerca ossessiva dell’oro, motore principale della colonizzazione. Attraverso le testimonianze degli studiosi e gli scavi archeologici, il film indaga i miti delle leggendarie “Città d’oro” e l’idea di un Eldorado dalle ricchezze infinite. Per i popoli indigeni, l’oro non era una moneta, ma un materiale sacro e spirituale. Il film mette a confronto questa visione con quella dei conquistadores, ossessionati dalla ricchezza materiale. Rivela come questa brama abbia portato a immense violenze e alla distruzione di intere civiltà. Attraverso un viaggio in Colombia, Perù e Bolivia, gli scienziati riscrivono la storia, restituiscono dignità alle antiche culture e mettono in discussione i racconti tramandati dall’Europa. Un viaggio tra mito e realtà che fa luce sul vero rapporto con l’oro nelle Americhe precolombiane. Quindi il film “Diari di scavo – San Cassiano” di Camilla Ferrari, Alberto Gambato (Italia 2025, 6’). La villa rustica rinvenuta a San Cassiano tra il 1994 e il 2004 è direttamente collegata all’epopea della Chora di Adria, un’area produttiva dell’entroterra risalente al VI e V secolo a.C., periodo in cui la città portuale visse il suo massimo splendore, aperta agli scambi commerciali con la Grecia. “Diari di scavo – San Cassiano” riporta alla luce tale sito con il coinvolgimento di archeologi, ricercatori esperti e testimoni diretti, valorizzando le personalità che hanno contribuito a costruire l’identità del Polesine come contesto archeologico di rilevanza internazionale, attraverso il recupero di riproduzioni di archeologia sperimentale, documenti d’archivio, rassegne stampa storiche, fotografie d’epoca, cartografia antica e carte topografiche moderne, che a loro volta contribuiscono a comporre e ad alimentare il patrimonio culturale del Museo dei Grandi Fiumi. Si continua con il film “Il mondo perduto dei giardini pensili / The Lost World of the Hanging Gardens” di Duncan George Bulling (Regno Unito 2024, 55’). Per tre anni lo Stato Islamico ha terrorizzato Mosul e distrutto reperti archeologici di valore inestimabile. Ma la salvezza potrebbe forse arrivare proprio dal passato della città? Tremila anni fa, era la più grande e potente città del mondo: Ninive, capitale del misterioso impero assiro. Oggi, gli scavi archeologici stanno riportando alla luce nuove scoperte, svelando gli enigmi di questa civiltà e restituendo a Mosul l’orgoglio perduto. Come nacque il primo impero dell’umanità? Quali innovazioni permisero di costruire una città con oltre 100.000 abitanti? E se Ninive fosse in realtà il vero luogo dei leggendari Giardini Pensili di Babilonia, una delle Sette Meraviglie del Mondo? Chiude la sezione e il festival il film “Gargano Sacro” di Lorenzo Scaraggi (Italia 2025, 28’). Gargano Sacro segue il viaggio a piedi del regista Lorenzo Scaraggi, che attraversa l’intero promontorio del Gargano, in Puglia, percorrendo 120 chilometri da Rignano Garganico a Vieste. Il documentario esplora un paesaggio di forti contrasti, fra boschi secolari, eremi scavati nella roccia e abbazie millenarie affacciate sull’Adriatico. Le tappe centrali – San Matteo, Pulsano, Monte Sant’Angelo e Monte Sacro – rivelano la profonda sacralità di un territorio dove storia, natura e spiritualità si intrecciano. Ogni passo diventa esperienza intima, grazie al silenzio e alla lentezza che accompagnano il cammino, mentre lo sguardo si posa su antiche pietre e panorami sconfinati. “Gargano Sacro” mostra come la memoria di queste terre possa offrire una rilettura del presente, invitando a sostare e ad ascoltare i ritmi più profondi della Puglia garganica. È un racconto che riconnette con l’essenza del viaggio a piedi, fondendo fede, tradizioni e meraviglia in un’unica, intensa narrazione.
La giornata si concluderà alle 18 con la cerimonia di premiazione e un aperitivo “alla romana” curato da Il Convivio di Laura Mussi. Verranno assegnati due riconoscimenti: Premio “Città di Gambolò”, al film più votato dal pubblico; Premio “Museo Archeologico Lomellino”, al film scelto dalla giuria
Rovereto. Assegnati i premi delle giurie del 36.mo RAM film festival: “Vitrum – il vetro dei romani” di Marcello Adamo vince il premio Paolo Orsi e la menzione speciale Archeoblogger; “Sapiens?” di Bruno Bozzetto il Cultura animata; “Continuations / Hiwadabuki” di Satoru Okabe il Tradizioni e Culture; “Apoleon” di Amir Youssef il premio Storia e Memoria; “O Corpiño” di Blanca Navarrete, Antía Rodeiro il Nuovi Sguardi; “God Science and our Search for Meaning” il Fulldome; “Wind’s Heritage” di Nasim Soheili la menzione speciale CinemAMoRe

Dal RAM film fetsival applauso per la pace: standing ovation al teatro Zandonai di Rovereto (foto graziano tavan)
Tutti in piedi. Per la pace. Contro i conflitti che uccidono le persone e cancellano il patrimonio culturale, memoria storica dell’uomo. La serata delle premiazioni della 36.ma edizione del RAM film festival di Rovereto si è aperta con un fragoroso e partecipato applauso del pubblico del teatro Zandonai che ha prontamente risposto all’appello lanciato Alessandra Cattoi, direttrice della Fondazione museo civico di Rovereto, nel discorso di introduzione: “Siamo qui insieme perché condividiamo interessi e passioni per l’archeologia, per la storia, per il patrimonio culturale. Un patrimonio che non è solo un’eredità che abbiamo ricevuto, ma è un bene fragile e prezioso da conoscere, tutelare e difendere. Un patrimonio che è sempre minacciato dai conflitti, in passato certo, ma quelli di oggi non sono diversi. E non possiamo dimenticare che dietro a ogni conflitto ci sono prima di tutto le persone, le comunità ferite. Per questo vi chiedo di dare con la nostra presenza un segno, per quanto simbolico, della nostra testimonianza: un applauso forte, fragoroso, del RAM Film Festival contro i conflitti. Un applauso per la pace”.

Claudia Beretta e Alessandra Cattoi alla serata delle premiazioni del RAM film festival (foto graziano tavan)
Sei i premi consegnati, per altrettante sezioni del RAM film festival, e due menzioni speciali: Archeoblogger e CinemAMoRe. Particolare attenzione quest’anno al Cinema archeologico con l’attribuzione del premio Paolo Orsi, un riconoscimento biennale in memoria del grande archeologo roveretano per il quale è nato proprio il festival nel 1990.
Premio Cultura Animata. La giuria composta da Andrea Artusi, Diego Cajelli e Andrea Voglino ha assegnato il premio al film “Sapiens?” di Bruno Bozzetto (Italia 2023, 22’). Le sinfonie di diversi autori di musica classica, Verdi, Chopin e Beethoven, fanno da sfondo a tre cortometraggi usciti dalla matita senza eguali di Bruno Bozzetto, dedicati all’essere umano e al suo comportamento nei riguardi della natura e della società. La soluzione, per l’ambiente e per tutti gli altri animali, potrebbe essere un mondo senza Homo Sapiens?
Motivazione: “Solo un maestro del cinema d’animazione riconosciuto a livello internazionale come Bruno Bozzetto poteva riuscire nell’impresa di mettere in scena con tanta ironia e leggerezza, talvolta persino con humor, i dubbi sulla definizione che il genere umano ha dato di sé stesso. Interrogativi che emergono prepotenti di fronte alle laceranti contraddizioni che hanno punteggiato l’evoluzione della specie homo sapiens su temi come la guerra o il rapporto e la violenza contro gli animali e che hanno segnato e segnano la nostra memoria collettiva”.
Menzioni: al film “The Family Portrait – Ritratto di famiglia” di Lea Vidakovic (Croazia/Francia/Serbia 2023, 15’). Mentre l’Impero austro-ungarico vacilla, Andras e sua figlia restano sorpresi dalla visita dell’imprevedibile fratello di Andras, Zoltan, che arriva con la sua grande famiglia. Un’osservazione sociale poetica, cupa e in parte ironica, in cui i legami familiari vengono smontati e analizzati in profondità. E al film “Il fiume e Nina” di Lorenzo Daniele (Italia 2025, 6’). Attraverso la tecnica dello stop motion, i bambini della Scuola dell’Infanzia del IV Istituto Comprensivo “D. Costa” raccontano la storia del territorio di Augusta, in Sicilia orientale: dai primi insediamenti preistorici, all’estrazione del sale, passando per le Guerre Mondiali e l’industrializzazione, con le sue luci e ombre. Un viaggio nella memoria con un messaggio finale di speranza.

Frame del film “Continuations. Hiwadabuki / Continuità. Tetto in corteccia di cipresso” di Satoru Okabe
Premio Tradizioni e culture. La giuria composta da Duccio Canestrini, Corinna del Bianco (Fondazione Del Bianco) e Massimiliano Mollona, ha assegnato (e consegnato al regista presente in sala) il premio al film “Continuations. Hiwadabuki / Continuità. Tetto in corteccia di cipresso” di Satoru Okabe (Giappone 2024, 17’). Per la prima volta in quarant’anni viene ricostruito il tetto di un santuario con l’antica tecnica dell’Hiwadabuki, che usa corteccia di cipresso sovrapposta a mano. Il film documenta un anno di lavoro artigianale e sostenibile, in armonia con la foresta. Non è solo un racconto tecnico, ma un ritratto dello spirito giapponese fatto di preghiera e rispetto. Un’opera rara che custodisce una tradizione millenaria.

Il regista Satoru Okabe mostra il premio Tradizioni e Culture del RAM film festival (foto graziano tavan)
Motivazione: “Siamo in Giappone dove viene documentata la copertura del tetto di un tempio con strati di corteccia di cipresso, una pratica artigianale millenaria che si rende necessaria ogni 40 anni. Molto originale, ben girato e montato. Il ritmo del processo costruttivo si intreccia con quello della natura e di una sorprendente architettura tradizionale”.
Menzioni: al film “Küttepuude hankimine / Legna da ardere” di Liivo Niglas (Estonia 2024, 30’). Il film segue un gruppo di donne Nenets che raccolgono legna nella tundra innevata. Fa parte di una serie sui Nenets della penisola dello Yamal, che esplora la vita quotidiana del popolo nomade allevatore di renne in Siberia occidentale, durante la stagione del parto delle renne in primavera. Le riprese per la serie sono state realizzate per una ricerca etnografica nel 1999. E al film “Tiwanaku: l’eterna saggezza” di Anaïs Pajot (presente in sala) (Bolivia/Francia 2025, 24’). Nel cuore delle Ande boliviane, a 3800 metri, l’enigmatica civiltà di Tiwanaku riemerge dai silenzi della storia, svelando una visione del mondo spirituale ed ecologica. Il documentario ne esplora i misteri attraverso personalità della ricerca e dell’archeologia, e le voci degli Andini, un invito a ripensare i nostri modelli di civiltà e il nostro rapporto con la natura e gli altri esseri umani.
Premio Storia e Memoria. La giuria composta da Isabella Bossi Fedrigotti, Giuseppe Ferrandi e Maurizio Cau ha assegnato il premio al film “Apoleon” di Amir Youssef (Francia/Egitto 2024, 15’). Un gruppo di statuette del Musée de l’Armée (Museo dell’esercito) di Parigi accompagna Napoleone durante la sua spedizione in Egitto. Il film affronta temi politici legati al militarismo e alla colonizzazione, mettendo in discussione le narrazioni storiche tradizionali.
Motivazione: “Quando il cinema poggia su un’idea forte, sa stupire anche con poco. È quanto accade in Apoleon, geniale rilettura in chiave postcoloniale della campagna napoleonica in Egitto. Sfidando la convenzionalità del racconto tradizionale e lavorando in chiave ironica sulla connotazione culturale del materiale conservato nei musei europei, il film di Youssef conduce lo spettatore in un viaggio inatteso alla scoperta dell’altra faccia dell’epopea del generale francese. Un’opera matura, dissacrante e radicale, capace di affrontare con leggerezza una pagina complessa del passato, fino a rimetterne in discussione i presupposti. Osservata dal punto di vista delle statuine conservate nelle sale del Musée de l’Armée, la storia prende tutta un’altra forma”.
Menzione: al film “Diventare Matteotti” di Camilla Ferrari, Alberto Gambato (Italia 2025, 44’). Attraverso immagini d’archivio e documenti privati, il film ricostruisce la formazione del giovane Giacomo Matteotti a Fratta Polesine. Tra solitudine, impegno sociale e passione per lo studio, emergono le radici del suo pensiero politico. Un viaggio tra memorie, lettere e cronache che racconta l’ascesa di Matteotti nel contesto del Polesine, tra tensioni sociali, sfide politiche e ideali profondi.
Premio Nuovi Sguardi. La giuria composta da Valeria Perrone, Elettra Virginia Collini e Matteo Ranzi, ha assegnato il premio al film “O Corpiño” di Blanca Navarrete, Antía Rodeiro (Spagna 2024, 20’). Un documentario etnografico sul santuario di O Corpiño, in Galizia, e sul pellegrinaggio annuale al cosiddetto “santuario degli esorcismi”. Attraverso filmati d’archivio e testimonianze colte e popolari, il film esplora storia, tradizione e aspetti laici della festa, evidenziando anche le critiche verso la rappresentazione mediatica sensazionalistica.
Motivazione: “La giuria ha deciso di assegnare il premio al film documentario O Corpiño per la forza del tema affrontato e per la sensibilità con cui le registe hanno saputo raccontarlo. Il documentario si distingue per l’approfondita valorizzazione del materiale d’archivio attraverso un montaggio che restituisce con efficacia l’evoluzione di una tradizione religiosa radicata nel passato e ancora viva nel presente. Le interviste, condotte con rara delicatezza, offrono punti di vista intimi, mentre la narrazione si mantiene priva di giudizio, invitando ciascuno a confrontarsi con la complessità del rito, tra memoria storica e attenzione al presente”.
Menzione: al film “Apoleon” di Amir Youssef (Francia/Egitto 2024, 15’).
Premio Full Dome. La giuria composta da Chiara SImoncelli, Andrea Cuoghi e Filippo Pontiggia ha assegnato il premio al film “God, Science, and our Search for Meaning / Dio, la scienza e la ricerca del senso della vita” di Dani LeBlanc (Stati Uniti 2024, 30’). Lo spettacolo immersivo esplora le grandi domande dell’esistenza umana. Scritto e narrato da Dan Brown, nel film scienza e religione si confrontano come due linguaggi che cercano di raccontare lo stesso mistero.
Motivazione: “Il film esplora le domande più antiche dell’umanità sull’origine dell’universo e il nostro ruolo dentro di esso, esaminando l’interazione tra scienza e religione, non solo nel passato, ma anche con prospettive rivolte al futuro. Lo fa utilizzando pienamente le potenzialità della tecnologia fulldome, con una narrazione coinvolgente e immersiva, che lascia lo spettatore incantato e incuriosito”.
Premio Cinema Archeologico e Premio Paolo Orsi. La giuria composta da Barbara Maurina (assente), Mireille David Elbiali, Valentina Caminneci e Augusto Marsigliante, ha assegnato il premio al film “Vitrum – il vetro dei romani” di Marcello Adamo (Italia 2025, 52’). “Vitrum” racconta il ritrovamento di un relitto romano al largo della Corsica, con un carico eccezionale di vetro grezzo e manufatti raffinati. Un team internazionale di ricercatrici, a bordo della nave Alfred Merlin, indaga su questa scoperta rara per ricostruire il ruolo rivoluzionario del vetro nell’Impero romano e nelle rotte commerciali del Mediterraneo.
Motivazione: “Un’eccezionale scoperta archeologica dà luogo a un racconto che si dipana dal mare della Corsica fino alle coste siro-palestinesi, toccando il litorale della campania e il porto di Pozzuoli. Un relitto sepolto nelle acque più profonde del Mediterraneo con un prezioso carico, unico nel suo genere. La magia del vetro antico svelati dalle più moderne tecnologie di indagine dei fondali e dalla sinergia scientifica di un team internazionale. Attraverso una vera e propria full immersion nel vivo della ricerca e attraverso la forza di immagini straordinarie, il film sa comunicare al grande pubblico non soltanto il fascino di questo materiale ma anche l’impatto rivoluzionario che ha avuto sulla nostra civiltà”.
Menzione: al film “Secret Sardinia, Mysteries Of The Nuraghi / Sardegna segreta, i misteri dei Nuraghi” di Thomas Marlier (Francia 2024, 53’). In Sardegna, una delle civiltà più antiche e misteriose del Mediterraneo lasciò tracce straordinarie quasi 4.000 anni fa: i Nuragici, costruttori di torri-fortezza, santuari e tombe dalla forma geometrica. Oggi, un’équipe di ricerca internazionale indaga questi resti con metodi innovativi, gettando nuova luce su una cultura affascinante dell’Età del Bronzo.

Antonia Falcone, per la giuria della menzione speciale Archeoblogger, legge la motivazione (foto graziano tavan)
Menzione speciale Archeoblogger. La giuria rappresentata da Antonia Falcone ha assegnato il riconoscimento al film “Vitrum – il vetro dei romani” di Marcello Adamo (Italia 2025, 52’).
Motivazione: “Un documentario che unisce il fascino del ritrovamento archeologico in fondo al mare con il racconto delle tecnologie antiche legate al vetro, in un connubio ideale tra comunicazione accurata di ricerca e narrazione emozionale, cosa che di rado si vede in un film destinato al grande pubblico”.
Menzione CinemAmore. La giuria composta da Eleonora Zen e Michele Bellio ha assegnato il riconoscimento al film “Wind’s Heritage / L’eredità del vento” di Nasim Soheili (Iran 2024, 30). A Nashtifan, nell’Iran orientale, Mohammad Vali Gandami è l’ultimo custode di un sapere antico. A 75 anni si prende ancora cura degli storici mulini a vento, gli aasbad, costruendoli e riparandoli con tecniche tramandate solo attraverso l’esperienza. Le sue mani mantengono viva una tradizione che rischia di svanire con il vento.
Motivazione: “Il film rappresenta pienamente lo spirito dei tre festival nelle tematiche che propone. Con grande capacità di sintesi e uno splendido lavoro fotografico, unisce concetti fondamentali, quali il rispetto delle tradizioni, il senso di comunità e di identità culturale, la spiritualità che accompagna ogni individuo, sottolineata dalla solennità dei ritmi nella narrazione e nelle immagini, l’urgenza di trasmettere i saperi appresi dai propri antenati alle generazioni future, perché nulla venga perso per sempre”.
Rovereto (Tn). Prima giornata della 36ma edizione del RAM film festival: 14 film in programma (con prime internazionali, europee ed assolute) e l’Aperitivo al Giardino con Giorgio Van Straten “Raccontare una storia, raccontare la Storia”. Ecco il programma
Mercoledì 24 settembre 2025, la prima giornata della 36ma edizione del RAM film festival Rovereto Archeologia Memorie, dal 24 al 28 settembre 2025, quest’anno dal titolo “Sguardi sull’acqua”, organizzato dalla Fondazione Museo Civico di Rovereto, apre alle 15 al teatro Rosmini di Rovereto, dove sono in programma dieci film, dalle 15 alle 19.30, e altri quattro nella sezione serale dalle 20.30 alle 23.
Il primo APERITIVO AL GIARDINO è invece in programma alle 18, al museo di Scienze e Archeologia, in borgo S. Caterina, 41: “Raccontare una storia. Raccontare la Storia” con Giorgio Van Straten, scrittore e presidente della Fondazione Alinari per la Fotografia. Modera Alice Manfredi, Fondazione Museo storico del Trentino. Evento tradotto nella Lingua dei Segni Italiana, in collaborazione con AbilNova. Cosa significa raccontare la vita di chi è realmente esistito e le cui vicende personali hanno interagito fortemente con la Storia del nostro paese, dal fascismo alla Resistenza al dopoguerra? L’autore, a partire dalla vita di Nada Parri, la partigiana “Ribelle” del suo ultimo libro, racconta al pubblico cosa abbia voluto dire, per una donna, trovarsi coinvolta nella Storia d’Italia durante la Seconda guerra mondiale. Partecipazione gratuita su prenotazione dal sito www.ramfilmfestival.it. In caso di maltempo presso la Sala Zeni del Museo. Aperitivo con Orto San Marco Sétap – Mangio Trentino e Cantina Vivallis.
Giorgio Van Straten, nato a Firenze nel 1955, ha pubblicato numerosi romanzi, come “Generazione” (1987), “Ritmi per il nostro ballo” (1992), “Corruzione” (1995), “Il mio nome a memoria” (2000, premio Viareggio). Nel 2016 è uscito “Storie di libri perduti” che è stato tradotto in numerose lingue, nel 2023 “Invasione di campo. Quando la letteratura racconta la storia” e nel 2025 “La ribelle. Vita straordinaria di Nada Parri”. Dal 2015 al 2019 è stato direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di New York. Attualmente è presidente della Fondazione Alinari per la Fotografia.
Film del pomeriggio. Si comincia con due film in prima nazionali: “The Revenant Project: Persons, Places, Things / Il “Progetto Ritorno”: persone, luoghi, cose” di Tomislav Zaja (Croazia 2024, 28’) e “Buddhist art / Arte Buddista” di Surapong Wetsuwanmanee (Thailandia 2024, 3’). Quindi una prima internazionale e tre prime assolute: “O Corpiño” di Blanca Navarrete, Antía Rodeiro (Spagna 2024, 20’); “The Love Couple from the Sarcophagus / La coppia di amanti del sarcofago” di Milica Popovic (Serbia 2024, 53’); “Le colline moreniche del Garda. Ambiente, paesaggio ed insediamenti umani” di Mario Piavoli (Italia 2025, 34’); “Mysteries of the Andes: Weaving Knowledge / I misteri delle Ande: tessendo conoscenza” di Daniel Cos-Gayón (Spagna 2025, 13’). Chiudono due film: “Ernesto “Tito” Canal, l’uomo che ha riscritto le origini della Laguna di Venezia” Pierandrea Gagliardi e Rossi Marino (Italia 2024, 64’); e “Continuations/Hiwadabuki (Cypress bark roofing) / Continuità. Tetto in corteccia di cipresso” di Satoru Okabe (Giappone 2024, 17’).

Frame del film “Mission: Mediterranean, The Museum Of The Abyss / Missione Mediterraneo: il museo degli abissi” di Thomas Marlier e Mathieu Pradinaud
Film della sera. Apre una prima assoluta, “Io non dimentico” di Antonello Murgia (Italia 2025, 13’); segue “Crossing the Divide / Superare ciò che ci divide” di Eva Zanettin e Raghav Pasricha (India 2024, 16’). Quindi una prima europea, una prima internazionale, e una prima assoluta: “Fereydoun’s Sons / I figli di Fereydoun” di Hossein Moradizadeh (Iran 2024, 7’); “Les cités d’Or, le grand malentendu / Le città d’oro, il grande malinteso” di Joséphine Duteuil (Francia 2024, 54’); e “Tiwanaku: sabiduría eterna / Tiwanaku: l’eterna saggezza” di Anaïs Pajot (Bolivia/Francia 2025, 24’). Chiude la serata il film “Mission: Mediterranean, The Museum Of The Abyss / Missione Mediterraneo: il museo degli abissi” di Thomas Marlier e Mathieu Pradinaud (Francia 2023, 56’).
Paestum. La Borsa mediterranea del Turismo archeologico annuncia le 5 scoperte archeologiche del 2024 candidate alla vittoria della 11ª edizione dell’International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad”: sono in Cambogia (statue di arenaria); Creta (Grecia) (palazzo che richiama al labirinto); Israele (carico di un naufragio dell’età del Bronzo); Perù (tempio cerimoniale di 5000 anni fa); Turchia (strada colonnata romana)
In Cambogia, nel terreno sabbioso 100 pezzi di statue in arenaria; in Grecia, sull’Isola di Creta, un misterioso palazzo che richiama il mito del labirinto; in Israele, al largo di Haifa il carico di un naufragio nella tarda età del Bronzo; in Perù, un tempio cerimoniale di 5.000 anni sotto una duna di sabbia; in Turchia, una strada colonnata romana lunga 800 metri: sono le cinque scoperte archeologiche del 2024 finaliste della 11ª edizione dell’International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad”: intitolato all’archeologo di Palmira che ha pagato con la vita la difesa del patrimonio culturale, è l’unico riconoscimento a livello mondiale dedicato al mondo dell’archeologia e in particolare ai suoi protagonisti, gli archeologi, che con sacrificio, dedizione, competenza e ricerca scientifica affrontano quotidianamente il loro compito nella doppia veste di studiosi del passato e di professionisti a servizio del territorio. Il Premio International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad”, promosso dalla Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico e da Archeo, sarà consegnato a Paestum venerdì 31 ottobre in occasione della XXVII BMTA, in programma a Paestum dal 30 ottobre al 2 novembre 2025. La Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico e Archeo hanno infatti inteso dare il giusto tributo alle scoperte archeologiche attraverso questo Premio annuale assegnato in collaborazione con le testate internazionali media partner della Borsa: Antike Welt (Germania), arCHaeo (Svizzera), Archäologie in Deutschland (Germania), Archéologia (Francia), Current Archaeology (Regno Unito), Dossiers d’Archéologie (Francia). Il direttore della BMTA Ugo Picarelli e il direttore di Archeo Andreas Steiner hanno condiviso questo cammino in comune, consapevoli che “le civiltà e le culture del passato e le loro relazioni con l’ambiente circostante assumono oggi sempre più un’importanza legata alla riscoperta delle identità, in una società globale che disperde sempre più i suoi valori”. Il Premio, dunque, si caratterizza per divulgare uno scambio di esperienze, rappresentato dalle scoperte internazionali, anche come buona prassi di dialogo interculturale e cooperazione tra i popoli. Inoltre, sarà attribuito uno “Special Award” alla scoperta, tra le cinque candidate, che avrà ricevuto il maggior consenso dal grande pubblico nel periodo 7 luglio – 7 ottobre 2025 sulla pagina Facebook della Borsa (www.facebook.com/borsamediterraneaturismoarcheologico). Ecco le cinque scoperte archeologiche finaliste, annunciate dalla segreteria del Premio.
Cambogia, nel terreno sabbioso 100 pezzi di statue in arenaria. Nel corso di recenti scavi di restauro condotti al Tempio Ta Prohm, una delle più iconiche strutture del complesso di Angkor, l’Autorità Nazionale APSARA ha scoperto più di 100 pezzi di statue di Buddha in arenaria, grazie agli esperti del Dipartimento di Conservazione Monumenti e Archeologia Preventiva. I frammenti recuperati includono una varietà di rappresentazioni, tra cui statue di Buddha protette da un Naga, statue di Avalokite śvara e altri frammenti di statue. L’archeologo Neth Simon, che ha guidato il team di scavo, ha spiegato che la scoperta è avvenuta durante la pulizia di un ammasso di terreno situato sul lato sud del muro in laterite del terzo recinto del tempio Ta Prohm, a una profondità di 10-15 cm e scavando più a fondo sono emersi sempre più frammenti di statua, oltre 100 pezzi, con altezze di circa mezzo metro e larghezze comprese tra 40 e 50 cm, per i quali si ipotizza che appartengano allo stile Bayon, XIII-XIV sec. circa, periodo noto per la sua raffinata arte scultorea e architettonica. Il Bayon fu eretto nei primi anni del XIII sec. come tempio di stato dal Re Jayavarman VII. Situato al centro di Angkor Thom, la sua peculiarità principale sono i numerosi volti sorridenti scolpiti sulle quattro facce delle torri a sezione quadrata che si ergono verso la maestosa torre centrale.
Grecia, sull’Isola di Creta, un misterioso palazzo che richiama il mito del labirinto. Durante la costruzione di un nuovo aeroporto, sulla cima della collina di Papoura, a nord-ovest della città di Kastelli, è stato scoperto un monumento risalente a 4000 anni fa, che si ritiene risalga alla civiltà minoica. L’edificio con mura circolari e stanze intricate, del diametro di 48 mt e con superficie di 1800 mq, che si sviluppa in otto anelli, era adibito forse a funzioni religiose. La struttura circolare, che ricorda una gigantesca ruota, ha fatto scattare l’accostamento al mito di Arianna. La civiltà minoica, del resto, risale all’età del Bronzo ed è sorta sull’isola di Creta circa dal 2700 a.C. al 1400 a.C. e l’edificio si inquadra in un periodo importante di Creta, che vede nel giro di pochi decenni la nascita sull’isola di imponenti palazzi come quello di Cnosso e Festo. La presenza di molte ossa di animali, rinvenute tra i reperti di ceramica, suggerisce un uso per feste rituali, che prevedevano cibo, vino e altre offerte. E se i palazzi minoici erano disposti su planimetrie quadrate o rettangolari, la struttura scoperta è circolare, forma che si trova più spesso nelle tombe minoiche. Potrebbe essere, dunque, un tumulo con le strutture di rinforzo, che seguono il modello del cerchio con elementi circolari e a raggiera, che potevano dar luogo a diverse stanze. Il culto degli antenati e i rituali, che prevedevano l’utilizzo di tumuli, sono diffusi nella Grecia nell’età del bronzo.
Israele, al largo di Haifa il carico di un naufragio dell’età del Bronzo. Risalente a circa 3400 anni fa, nella tarda età del Bronzo, a 90 km dalla costa e sul fondale a 1800 mt di profondità, ritrovato il relitto di una nave mercantile con centinaia di anfore intatte, l’unico così al largo e di un’epoca così antica. La grande pila di anfore è stata scoperta grazie ai rilievi condotti da Energean, compagnia di gas naturale, che opera nelle piattaforme al largo, durante l’esplorazione del fondale marino alla ricerca di nuove opportunità di scavo per l’apertura di altri pozzi. Jacob Sharvit, capo dell’unità marina dell’Autorità israeliana, che si occupa di reperti antichi, ipotizza che la nave fosse lunga 12-16 mt per trasportare prodotti di largo consumo, come olio, vino e frutta e che sia affondata all’improvviso per una tempesta o un attacco pirata, eventi comuni nella tarda età del Bronzo, definendo il ritrovamento “una scoperta che cambia la storia a livello mondiale”. La posizione del relitto, lontano da qualsiasi linea di costa visibile, rivela l’abilità dei marinai di navigare attraverso il Mediterraneo senza vedere la terraferma, sfidando le ipotesi accademiche precedenti, che suggerivano una navigazione esclusivamente costiera, in quanto i relitti antichi trovati finora nel Mediterraneo erano in acque poco profonde, uno al largo dell’isola disabitata di Dokos, in Grecia; altri due al largo delle coste turche, Uluburun e la barca di Capo Gelidonya che si è schiantata sugli scogli. Qui lo scenario completamente diverso ha richiesto un sommergibile robotizzato ad alta tecnologia per intervenire sul relitto.
Perù, un tempio cerimoniale di 5000 anni sotto una duna di sabbia. Nel distretto di Zaña (scritto anche Saña), nel Perù nord-occidentale, i ricercatori hanno scoperto ciò che restava delle mura di un tempio a più piani e, incastrati tra le mura, gli scheletri di tre adulti. Il sito del tempio fa parte del complesso archeologico Los Paredones de la Otra Banda-Las Ánimas. Per Luis Armando Muro Ynoñán, direttore del progetto archeologico dei paesaggi culturali di Úcupe – Valle di Zaña, trattasi di un complesso religioso in uno spazio archeologico definito da muri costruiti in fango, con una scalinata centrale, da cui si saliva a una specie di palco nella parte centrale, le cui pareti erano decorate con intricati fregi raffiguranti immagini del corpo umano con una testa di uccello, tratti felini e artigli di rettile; le parti superiori delle pareti, invece, erano rivestite di un intonaco fine con un disegno pittorico. È stato portato alla luce anche un altro monumento risalente a un periodo compreso tra il 600 e il 700 d.C., che sarebbe avvenuto durante il periodo Moche del Perù, popolazione che praticava sacrifici umani e noti per i grandi templi e le opere d’arte, tra cui calici di ceramica modellati in modo da sembrare teste umane.
Turchia, una strada colonnata romana lunga 800 metri. Durante scavi archeologici condotti nella Torre Hıdırlık, uno dei simboli storici più rilevanti di Antalya, rinomata località turistica nel sud della Turchia, è stata scoperta una strada colonnata di epoca romana, che si sviluppa su una lunghezza di 800 mt. Nel 133 a.C. la città fu annessa dai Romani ed è per questo che la romanità del luogo conserva importanti vestigia, tra le quali la porta di Adriano, un arco trionfale realizzato intorno al 130 d.C. in onore dell’imperatore. La Torre romana Hıdırlık rappresenta uno dei monumenti più antichi sopravvissuti nella città di Antalya. Situata all’incrocio tra Kaleiçi, il quartiere storico della città, e il Parco Karaalioğlu, si caratterizza per essere costruita con blocchi di pietra giallo-marrone, un dettaglio che conferisce un’aura di antichità e maestosità. La Direzione del Museo di Antalya e la Municipalità metropolitana mirano a trasformare la torre in un sito culturale e turistico di rilievo. Il direttore del progetto della Municipalità, Ezgi Öz, ha dichiarato che la strada, già scavata per circa 100 mt, sembra estendersi fino a Üçkapılar, rivelando così un collegamento diretto con il mare, con una lunghezza totale di 800 mt. Il completamento del progetto porterà alla realizzazione di una vasta terrazza panoramica, la più grande in Turchia, che consentirà al pubblico di ammirare le strutture storiche esposte attraverso coperture di vetro, oltre ad aree pedonali in legno per garantire un’esperienza completa e immersiva.
Nel 2015 il Premio è stato assegnato a Katerina Peristeri, responsabile degli scavi, per la scoperta della Tomba di Amphipolis (Grecia); nel 2016 all’INRAP Institut National de Recherches Archéologiques Préventives (Francia), nella persona del presidente Dominique Garcia, per la Tomba celtica di Lavau; nel 2017 a Peter Pfälzner, direttore della missione archeologica, per la città dell’Età del Bronzo presso il villaggio di Bassetki nel nord dell’Iraq; nel 2018 a Benjamin Clément, responsabile degli scavi, per la “piccola Pompei francese” di Vienne; nel 2019 a Jonathan Adams, responsabile del Black Sea Maritime Archaeology Project (MAP), per la scoperta nel Mar Nero del più antico relitto intatto del mondo; nel 2020 a Daniele Morandi Bonacossi, direttore della Missione Archeologica Italiana nel Kurdistan Iracheno e ordinario di Archeologia e Storia dell’Arte del Vicino Oriente Antico dell’università di Udine, per la scoperta di dieci rilievi rupestri assiri raffiguranti gli dèi dell’Antica Mesopotamia; nel 2021 alla scoperta di “centinaia di sarcofagi nella necropoli di Saqqara in Egitto”; nel 2022 a Zahi Hawass, direttore della Missione Archeologica che ha scoperto “la città d’oro perduta”, fondata da Amenhotep III, riaffiorata dal deserto nei pressi di Luxor; nel 2023 ad Agnese Carletti sindaco di San Casciano dei Bagni in rappresentanza dell’amministrazione comunale titolare dell’area e a Jacopo Tabolli responsabile scientifico dello scavo per la scoperta delle 24 statue di bronzo di epoca etrusca e romana riaffiorate dal fango a San Casciano dei Bagni (provincia di Siena); nel 2024 al MOLA Museum of London Archaeology per la scoperta a Londra, nel quartiere di Southwark, dei resti di un mausoleo romano.
Archeologia in lutto. Si è spento a 79 anni Giuseppe Orefici, uno dei massimi esperti della cultura Nazca, e più in generale delle civiltà precolombiane dell’America Latina. Le sue ricerche da Nazca a Cahuachi, da Tiwanaku a Rapa Nui. Una vita dedicata anche alla divulgazione scientifica
Dici Nazca, in Perù, e pensi a Giuseppe Orefici. Dici Cahuachi, ancora in Perù, e pensi a Giuseppe Orefici. Ma la formula potrebbe valere anche per Tiwanaku in Bolivia, o Rapa Nui (l’isola di Pasqua). Perché Giuseppe Orefici ha dedicato la vita a riportare alla luce le tracce di antiche civiltà sepolte sotto la sabbia del Sudamerica. Il grande archeologo bresciano si è spento venerdì 27 giugno 2025 all’età di 79 anni, dopo una lunga malattia. Era nato infatti a Brescia nel 1946, e qui aveva ancora la sua casa in centro storico, anche se la sua casa è stata per gran parte della sua vita il Sudamerica, dove è stato direttore del Centro de Estudio Arquelogicos Precolombinos, a Nazca (Perù), e del Proyecto Nasca. I suoi interessi scientifici furono sempre focalizzati sullo studio delle civiltà Nasca e Tiahuanaco con particolare riferimento all’architettura e ai petroglifi. Lui infatti era architetto, e dal 1982 ha messo a disposizione le sue grandi conoscenze tecniche tecnico-storico-artistiche al servizio dell’archeologia conducendo numerose indagini archeologiche in Perù, Bolivia, Cile, Messico, Cuba e Nicaragua. Dal 1984 ha diretto lo scavo archeologico, lo studio e la valorizzazione del centro cerimoniale di Cahuachi, il progetto più importante, uno degli ultimi a cui attendeva, “in quel deserto – come amava spesso ripetere – in cui l’uomo si annulla e viene assorbito dall’infinito”. Giuseppe Orefici lascia la moglie Elvina, la figlia Sarah e il nipote Giulio. Fino alle 12 di lunedì 30 giugno 2025 è aperta la camera ardente allestita alla Casa del Commiato di via Bargnani 25, a Brescia. Quindi sarà celebrato l’ultimo saluto prima della traslazione al Tempio Crematorio.
“Esprimiamo le nostre più sentite condoglianze per la scomparsa del Dott. Giuseppe Orefici (1946–2025), eminente archeologo italiano che ha dedicato oltre quattro decenni allo studio e alla conservazione del patrimonio culturale peruviano”, scrive il museo Raimondi di Lima (Perù), che conserva e valorizza l’eredità del naturalista più noto del Perú, il milanese Antono Raimondi. “La sua instancabile attività nel centro cerimoniale di Cahuachi e il suo inestimabile contributo alla conoscenza della civiltà Nasca lasciano un’impronta indelebile nella storia dell’archeologia e nel legame tra l’Italia e il Perù. In questo momento di dolore, siamo vicini ai suoi familiari, colleghi e amici, riconoscendo con profondo rispetto il suo lascito e il suo impegno per la cultura”.
Ho avuto la fortuna di conoscere e incontrare Giuseppe Orefici più volte a Rovereto, alla Rassegna internazionale del Cinema archeologico, invitato dall’amico Dario Di Blasi, legati da una profonda stima reciproca (vedi A Rovereto la XXVII rassegna internazionale del cinema archeologico: in cinque giorni più di 50 film da 14 Paesi, conversazioni e incontri con i protagonisti della ricerca archeologica. Le anticipazioni del direttore Dario Di Blasi | archeologiavocidalpassato). Amabile, ironico, con quel sorriso che ti conquistava al primo sguardo, amava la conversazione, anche più leggera, ma appena toccavi i “suoi” temi preferiti, eccolo subito accalorarsi dimostrando il rigore scientifico e la passione che metteva nelle sue ricerche. Perché Orefici non si è mai limitato a scavare: ha documentato, interpretato, raccontato. Partecipando a incontri, tavole rotonde, conferenze, o facendo da consulente scientifico per film e documentari. È proprio Giuseppe Orefici a inaugurare, nel 2021, la nuova rubrica “Storie di vita”, condotta da Dario Di Blasi e prodotta da Streamcult in streaming e on demand (vedi “Storie di vita”: inizia con Giuseppe Orefici, 40 anni di impegno a Nazca (Perù), Tiahuanaco (Bolivia), Isola di Pasqua (Cile), la rubrica prodotta da Streamcult in streaming e on demand condotta da Dario Di Blasi che incontra personalità del campo dell’archeologia, della cinematografia e della cultura per raccontare le loro esperienze, le loro passioni e il loro lavoro | archeologiavocidalpassato).
Tra le sue pubblicazioni, piace ricordare quella su “Nasca: arte e società del popolo dei geoglifi”, Jaca Book, Milano, 1993; “Cahuachi. Capital Teocratica Nasca”. Lima: University of San Martin de Porres, 2012; “Mensajes de nuestros antepasados: petroglifos de Nasca y Palpa”, Apus Graph Ediciones, Lima, 2013; e ancora quella scritta con Giancarlo Ligabue Ligabue “Rapa Nui”, Erizzo, 1994; o quella con Rosa Lasaponara e Nicola Masini “The Ancient Nasca World New Insights from Science and Archaeology”, Springer International Publishing, 2016. Come si nota due sono i temi forti sui quali Giuseppe Orefici si è soffermato con maggiore attenzione: le linee di Nazca e la piramide di Cahuachi. Le linee di Nazca – ricordiamolo – sono geoglifi, linee tracciate sul terreno, del deserto di Nazca, e visibili solo dall’alto che vanno a formare più di 800 disegni, che includono i profili stilizzati di animali comuni nell’area come la balena, il pappagallo, la lucertola lunga più di 180 metri, il colibrì, il condor e l’enorme ragno lungo circa 45 metri. Cahuachi fu un centro cerimoniale della civiltà Nazca dal I fino al VI secolo, situato a circa 30 km. dall’attuale città di Nazca. Nel sito sono presenti oltre 40 monticelli sulla cui cima vi sono strutture fatte in adobe (impasto di argilla, sabbia, e paglia essiccata per farne mattoni). Proprio Orefici, con Nicola Masini, ha evidenziato una relazione spaziale, funzionale e religiosa tra i geoglifi e i templi di Cahuachi. Con l’ausilio di tecniche di telerilevamento aereo e satellitare, i ricercatori italiani hanno rilevato e analizzato cinque gruppi di geoglifi, ciascuno caratterizzato da motivi, pattern e funzioni distinte. Il più significativo è caratterizzato da motivi meandriformi o a zig-zag dalla chiara funzione cerimoniale, attraversati da trapezoidi e linee che convergono verso le piramidi di Cahuachi. A una probabile funzione di calendario solare sono da attribuirsi alcuni geoglifi costituiti da figure geometriche, linee e centri radiali allineati verso i solstizi e gli equinozi. Secondo i due studiosi i geoglifi di Atarco erano la sede di eventi legati al calendario agricolo e servivano anche a rafforzare la coesione sociale dei vari gruppi di pellegr0ini, provenienti da diversi villaggi del territorio Nasca, che condividevano antenati e credenze religiose comuni.
Su Nazca nel 2018 viene prodotto il film “Gli ultimi segreti di Nazca / The last secrets of Nasca” di Jean Baptiste Erreca (Francia, 2018; 52’). Nel sud del Perù, ai piedi delle Ande, i Nazca costruirono città e disegnarono un’immensa rete di linee geometriche e geoglifi. Chi rappresentavano queste figure enigmatiche visibili solo dal cielo e qual era il loro significato? Un team di archeologi di tutto il mondo sta sfruttando le ultime tecnologie per scoprire uno dei più grandi segreti dell’umanità. Le loro ultime campagne di scavo hanno portato alla luce nuove mummie, tessuti favolosi, ceramiche e misteriosi teschi allungati… Il film vince il premio Mann nel 2020 (vedi La seconda edizione di archeocineMANN vinta dal film “Gli ultimi segreti di Nazca” sugli enigmatici geoglifi di Nasca e la piramide di Cahuachi. Ora per cinque giorni i film della rassegna sono on demand | archeologiavocidalpassato) e il premio Firenze Archeofilm nel 2021 (vedi film “Gli ultimi segreti di Nazca / The last secrets of Nasca” di Jean Baptiste Erreca | archeologiavocidalpassato).
Ma c’è un film di una “non addetta ai lavori” che riassume la figura di Giuseppe Orefici archeologo, ricercatore, uomo: è stato prodotto nel 2020 da Petra Paola Lucini con la consulenza scientifica dello stesso Orefici, “Cahuachi. Labirinti nella sabbia”: un viaggio nel tempo, una torre e un orologio astronomico diventano un ponte che unisce le vite e i sogni di due persone. Cremona, una città in pianura, una ragazza che cura la torre e il sogno del Prof. Orefici di riportare alla luce antiche civiltà nel deserto di Cahuachi, sigillano un incontro. La promessa all’archeologo di ritrovarsi prima o poi si materializza nelle immagini di questa storia. Il film è stato presentato, tra gli altri, nel 2021 alla Rassegna del Documentario e della Comunicazione archeologica di Licodia Eubea (Ct), nel 2022 al Firenze Archeofilm e nel 2023 a Torre de’ Picenardi (Cr) (vedi Torre de’ Picenardi (Cr). Presentazione del film “Cahuachi. Labirinti nella sabbia” di Petra Paola Lucini. Introduce lo storico Bruno Festa | archeologiavocidalpassato).
Nuoro. Al museo Archeologico nazionale aperta la mostra “Isole e idoli”, oltre 70 opere conta reperti archeologici e opere dei maestri moderni per comprendere come il potere simbolico e mitico delle figure arcaiche, custodite entro i confini dell’insularità, si sia rigenerato, a distanza di secoli, nelle forme del moderno
Quale legame profondo unisce un’isola ai suoi simulacri? E come hanno assorbito e interpretato tale legame i maestri del Novecento in viaggio fra Mediterraneo e Mari del Sud? La mostra “ISOLE E IDOLI”, a cura di Chiara Gatti e Stefano Giuliani col contributo di Matteo Meschiari, dal 27 giugno 2025 al 16 novembre 2025, che inaugura la stagione estiva del museo Archeologico nazionale “Giorgio Asproni” di Nuoro, nasce per rispondere a queste domande e per comprendere come il potere simbolico e mitico delle figure arcaiche, custodite entro i confini dell’insularità, si sia rigenerato, a distanza di secoli, nelle forme del moderno.
Una selezione di oltre 70 opere conta reperti archeologici in arrivo dai maggiori musei di archeologia della Sardegna, dal Menhir Museum di Laconi e dai Musei della Bretagna, oltre al prestito eccezionale concesso dal dipartimento di Antichità greche, etrusche e romane del Musée du Louvre di Parigi. Accanto a questi, le opere dei maestri moderni giungono da importanti collezioni europee, fra cui la National Gallery Prague (per le sculture lignee di Gauguin), la Galleria d’arte moderna di Milano, il Musée départemental Maurice Denis, il museo della Città di Locarno, la Fondation Giacometti e gli Archives Henri Matisse, cui si aggiungono l’Archivio Florence Henri e collezioni private italiane come Diffusione Italia International Group srl e la collezione di stampe di Enrico Sesana.

Statua Menhir maschile da Bau Caddore (2800-2500 a.C.) conservato al museo della Statuaria Preistorica della Sardegna di Laconi (foto nicola castangia)
In bilico fra neolitico e alba del Novecento, fra archeologia ed avanguardia, fra gli idoli cicladici e le sculture lignee che Gauguin intagliò nei suoi anni di Tahiti, il percorso fluttua fra passato e presente in cerca di ritorni, sentimenti condivisi, eredità genetiche, spinte effusive destinate a riaffiorare a fasi alterne, come nei cicli geologici, e a guidare le mani degli autori tese a plasmare forme affini. Non, dunque, l’idea del viaggiatore che, esplorando, trova, assorbe e replica. Ma il concetto, più vitale, che l’antico e il moderno si tocchino al di fuori del tempo e dello spazio, fortissimamente nutriti da una medesima necessità: rappresentare l’altrove attraverso statue, steli, monoliti che personifichino l’invisibile in terra. Un affondo dedicato alla Sardegna preistorica offre, infine, un approfondimento sul mondo dell’idolo in terra sarda, articolato intorno a quattro nuclei tematici principali: il toro (simbolo maschile associato al culto del potere e della fertilità), la Dea Madre (figura femminile legata alla nascita e alla continuità della vita), il “capovolto” (rappresentazione dell’aldilà e del rovesciamento rituale), e le statue menhir antropomorfe, veri idoli scolpiti nella pietra e destinati a dominare il paesaggio come presenze eterne.
L’allestimento, curato dall’architetto Giovanni Maria Filindeu, organizza l’insieme delle opere esposte in una forma spaziale che richiama la configurazione di un arcipelago formato da piccoli raggruppamenti tematici. A guidare l’articolazione degli elementi, sia a parete che a pavimento, sono l’uso intenzionale e critico del colore e la scelta dei materiali. In particolare, il celenit (un aggregato di fibre di legno e cemento) utilizzato per le basi espositive, oltre all’impiego della sabbia lavata, legante naturale ed evocativo, i cui toni algidi sposano la palette estiva delle trame che disegnano mappe metafisiche.

“Donne al lago” (1927) pittura e tempera su carta di Giuseppe Biasi dalla collezione d’arte della Fondazione di Sardegna (foto fondazione banco sardegna)
Ponendosi criticamente come una riflessione sui concetti odierni di alterità, primitivismo e sulle loro ricadute nel cuore del dibattito postcoloniale – esteso ben oltre la storia dell’arte – la mostra affonda dentro ragioni antropologiche connaturate alla presenza di figure totemiche nei circoscritti perimetri di un’isola e spiega quanto maestri del calibro di Gauguin, Pechstein, Miró, Arp o Matisse, nel corso dei loro viaggi, abbiano rielaborato tale convivenza, proiettando le loro stesse icone statuarie nella dimensione assoluta del sacro.
Partendo dalla prima “fuga” di Gauguin verso la Bretagna, nel 1886, secondo un concetto di isola come luogo ideale, immune dalle derive del mondo civilizzato, il percorso narra l’esperienza di Jean Arp, che collezionava statuette cicladiche, irretito dal loro magnetismo concentrato in un pugno, e di Max Pechstein approdato nel 1914 nell’arcipelago di Palau, dove visse a contatto con le comunità locali sull’isola di Angaur e vi ritrasse volti maschili solenni come divinità. “Vedevo gli idoli scolpiti in cui una trepidante pietà e il timore reverenziale di fronte all’imperscrutabile potere della natura avevano impresso speranza, paura e soggezione, davanti al loro ineluttabile destino”. Joan Miró, nei suoi appunti quotidiani, evocava le statue Moai dell’Isola di Pasqua, come riferimento potente per nuove forme scultoree, riconoscendo in esse l’incarnazione di uno spirito ancestrale. E ancora, Alberto Giacometti che aveva trovato la propria isola fra i massi erratici del Maloja, fece di ogni suo ritratto un idolo, un custode del tempio, inginocchiato al cospetto dell’immateriale.

Idolo schematico in marmo della cultura di Keros-Syros (Antico Cicladico II, 2700-2300 a.C.) conservato al Louvre di Parigi (foto musée du louvre)
“Non serve – scrive Chiara Gatti nel suo testo – il revisionismo postcoloniale per affermare che, nella loro statura ieratica, non vi sia nulla di primitivo, esotico, conturbante. È astrazione allo stato puro. Sono dee madri, pietose e grandiose allo stesso tempo, come prefiche egizie, come offerenti etrusche, come ancelle rubate alla pittura vascolare greca. E i loro sguardi che scrutano nel vuoto, immersi in un’attesa casoratiana, ricordano l’immobilità disarmata della Melencolia di Dürer, allegoria dell’intelletto umano che medita sul destino del cosmo”. Scrive Matteo Meschiari nel suo testo a catalogo: “Il punto è cercare di capire non tanto la sociologia, la filosofia e la geopolitica dell’essere e vivere l’isola, quanto in che modo la geomorfologia Terra-Mare contenga in sé dei fossili di pensiero mitico, in che modo l’incontro tra roccia e acqua sia una specie di campo morfogenetico in grado di generare mito. Gli stereotipi concettuali legati all’isola sono un filtro oscurante: esclusione, separatezza, solitudine, naufragio, arroccamento, prigione, esilio, confino, sono solo i più diffusi, ma appena ci spostiamo in culture Ocean-centered come quella vichinga o quella polinesiana, ci rendiamo conto che l’Occidente è impastoiato in un paradigma coloniale geocentrico che dà sempre priorità alle terre, uno sguardo continentale che perpetua un modello geografico egemonico dove il mare è il vuoto. Per chi vive in mare, al contrario, l’acqua è il centro del mondo, le sue mappe indicano paesaggi sommersi e moti di correnti, mentre le isole, soprattutto quelle oceaniche, sono piccole pause, zone di sospensione nell’immensità salata, e l’arcipelago è un iperoggetto bucherellato tenuto assieme dal dinamismo delle acque, dal pieno del mare”.











































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