Verona. Al museo Archeologico nazionale si presenta il documentario “Verona romana” realizzato da Archeoclub d’Italia – Sezione di Verona
Venerdì 8 Luglio 2022 al museo Archeologico nazionale di Verona verrà presentato il documentario “Verona romana” realizzato da Archeoclub d’Italia – Sezione di Verona, con la direzione scientifica della soprintendenza A.B.A.P. di Verona in collaborazione con università di Verona e Musei civici di Verona. Ingresso libero. Info: 3465033652.
Verona. Riapre con Archeonaute in sicurezza la villa romana di Valdonega. Visita guidata su richiesta
Lockdown finito. La villa romana di Valdonega a Verona riapre, in sicurezza, grazie all’associazione Archeonaute. Dal 14 giugno 2020 la Villa sarà visitabile ogni martedì e domenica in turni di apertura nei seguenti orari: 16, 17, 18, 19. Prenotazione obbligatoria. Visita guidata su richiesta con contributo minimo volontario (5 euro a persona). Ingresso libero con prenotazione obbligatoria. Posti limitati.
La residenza privata romana di Valdonega venne costruita nel I sec. d.C. al di fuori dell’impianto urbano di Verona. I dati oggi disponibili consentono di interpretarne parte del piano terra, ma si ipotizza che l’edificio fosse articolato su più piani e a livelli diversi, secondo il pendio del terreno. Della villa sono oggi visibili tre ambienti, affacciati su un portico a L (di cui si vedono le basi delle colonne) probabilmente aperto su un cortile o su un giardino e in stretta connessione con essi (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2017/10/10/la-villa-romana-di-valdonega-a-verona-come-non-lavete-mai-vista-in-soprintendenza-focus-sulla-residenza-del-i-sec-d-c-alle-pendici-suburbane-dei-lessini-con-un-filmato-in-3d/).
Verona romana: l’architettura segno del potere di Roma. A Verona Archeofilm incontro con Francesca Ghedini: “L’Arena alla sua costruzione era il più grande anfiteatro dell’impero”
Non solo film. La prima edizione di Verona Archeofilm, promossa da Archeologia Viva e dal Comune di Verona al teatro Ristori, con la direzione artistica di Dario Di Blasi, ha regalato al numeroso pubblico di appassionati presenti anche un interessante incontro culturale con Francesca Ghedini, professore emerito dell’università di Padova, archeologa classica, profonda conoscitrice di Ovidio. Intervistata dal direttore di Archeologia Viva, Piero Pruneti, Ghedini ha declinato sul caso Verona il tema del rapporto tra architettura e potere nel mondo romano. E a Verona, come sottolinea la professoressa, è possibile farlo perché “negli anni ha avuto eccellenti archeologi della soprintendenza che hanno ricercato, studiato, conservato e salvaguardato le notevoli testimonianze della Verona romana” (vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2019/10/21/a-quarantanni-dalla-prima-esperienza-torna-a-verona-il-grande-cinema-archeologico-grazie-ad-archeologia-viva-con-verona-archeofilm-nove-titoli-e-lincontro-con-francesca-ghedini/).
Architettura e potere. “Roma ha creato un impero che è durato secoli: di certo la forza militare è stata fondamentale, ma non è stato il solo motivo che ha favorito la romanizzazione. Va considerata anche la grande attrattività: si poteva vivere meglio sotto i romani, che quando fondavano una città o ne conquistavano una portavano subito i servizi, a cominciare dalle fognature”. Quindi il primo segno di Roma si esprime con la scelta del luogo di fondazione di una colonia. E allora cerchiamo di capire meglio perché Verona è nata qui e non altrove. “Verona sorge qui perché c’è l’Adige e perché qui passa una importantissima via consolare, la via Postumia”, chiarisce Ghedini. “È vero che sul colle di San Pietro esiste già un nucleo abitato precedente, ma la città romana nasce all’interno dell’ansa dell’Adige perché in una posizione che le permette di avere tre quarti di città difesa naturalmente dal fiume, e perché di qui passa la via Postumia che, all’interno delle mura, superate le porte, diventa il decumano massimo, oggi rappresentato dall’asse corso Cavour – corso Porta Borsari”.
La situazione geo-politica. Siamo nel 148 a.C. In quel momento Roma è impegnata a Sud contro Cartagine (terza guerra punica, dal 149 al 146 a.C.), e a Est si sta espandendo verso il Mediterraneo orientale (dal 146 a.C. la Grecia diventa un protettorato romano). Entrambi i fronti sono sostenuti a Roma dal cosiddetto “partito del mare” che punta a fare di Roma una potenza navale nel Mediterraneo. Ma c’è anche il cosiddetto “partito degli agricoltori” che ovviamente ha i suoi interessi soprattutto in pianura Padana, dove la romanizzazione era iniziata con la fondazione della via Emilia tra il 189 e il 187 a.C. collegando Rimini (terminale della via Flaminia, 220 a.C., quindi con Roma) a Piacenza sul Po, che diventa il caposaldo romano in pianura padana. L’espansione di Roma a Nord continua con la fondazione di Aquileia nel 181 a.C., con sbocco nel Nord dell’Adriatico, quasi un punto nel nulla nell’estremo nord-est dell’Italia, in un territorio abitato da popolazioni non romane. Per difendere questo avamposto i Romani realizzano la via Postumia: è il 148 a.C. La strada collega i due porti settentrionali, a Ovest Genova, a Est Aquileia: una grande opera ingegneristica in territorio non romanizzato che prevede strutture invasive e la partizione del territorio. Una situazione vista dalle popolazioni locali come una penetrazione anche militare”.

Piazza delle Erbe a Verona occupa lo spazio del foro romano (da http://www.verona.net)
La fondazione di Verona: il Foro. “È su questa importante via consolare, strategica per i romani, che nasce Verona romana la quale ci ha restituito dei bellissimi segni del potere di Roma. Il primo segno del potere di Roma si manifesta con la realizzazione del foro (oggi piazza delle Erbe) all’incrocio tra la via Postumia (sull’asse Est-Ovest) e il cardo massimo (N-S). Ma cos’ha di speciale il foro di Verona? Qui si incontrano il momento e la celebrazione del sacro, della giustizia, dell’economia e della socialità intesa come incontro. Il foro veronese appare molto allungato (il lato corto è un terzo di quello lungo), discostandosi da quelle che sono le proporzioni canoniche codificate da Vitruvio, dove il lato corto è due terzi di quello lungo. Ciò dimostra che il foro non appartiene alla monumentalizzazione della città del primo periodo imperiale, ma la sua realizzazione è contemporanea alla deduzione della colonia repubblicana, in un sistema urbanistico dominato dal tempio sul lato corto settentrionale”.
Edificato nella seconda metà del I sec. a.C. sul lato settentrionale del Foro, il Capitolium era caratterizzato da un fronte largo 35 m (con tre file di sei colonne), tre celle e portici ai lati, ed era lungo circa 42 m. Su tre lati correva tutt’intorno al tempio un porticato che aveva anche la funzione di archivio. Lungo le sue pareti erano esposte numerose epigrafi e tavole in bronzo, delle quali si sono ritrovati solo frammenti: si trattava di leggi, decreti, liste di magistrati e imperatori, documenti catastali. A sostenere tutta questa struttura c’era un criptoportico (oggi recuperato dagli scavi della soprintendenza e visitabile nell’area archeologica di Corte Sgarzerie: proprio dopo l’incontro con la prof.ssa Francesca Ghedini, il Verona Archeofilm ha proposto il documentario di Davide Borra, di cui qui abbiamo visto il trailer). Il criptoportico si sviluppava per oltre 200 metri sotto il portico. Diviso in due navate larghe 4,5 m da una spina di archi retti da 78 pilastri in pietra e coperta da volte a botte, era debolmente illuminato da finestre “a strombo” affacciate sulla terrazza superiore. Il complesso rimase in vita fino al IV secolo, quando, per effetto dell’affermazione del cristianesimo e probabilmente per un incendio cadde in abbandono.

La ricostruzione del Capitolium di Verona e del triportico, dove erano collocate le tavole catastali
“L’impostazione del tempio a Giove Capitolino, rialzato rispetto al foro, imita il Campidoglio dell’Urbe dedicato alla Triade capitolina. E poi c’è il blocco centrale del foro che è un inno alla romanità – continua Ghedini -. È lì che sorge infatti il complesso curia/basilica, cioè i due luoghi deputati per eccellenza alla gestione della cosa pubblica e della giustizia. E più a Ovest si apre un’altra piazza dominata al centro da un tempio dedicato al culto imperiale. Questo lealismo e completa adesione dimostrano che i veronesi si sentivano romani. Assistiamo quindi a un fenomeno di autoromanizzazione: chiedono di sentirsi romani e diventano romani. Il complesso del foro romano ne è la prova”.
Gli edifici di spettacolo. “Senza sottovalutare il valore simbolico delle mura, che non rappresentano un limite invalicabile, ma piuttosto un segno di potere: la prolessi della grande Verona, di certo l’altra prova del potere e della civiltà di Roma sono gli edifici di spettacolo, cioè l’arena e il teatro, entrambi bellissimi, segno della civiltà romana, esempio del vivere quotidiano. Il teatro di Verona è romano, ma realizzato secondo la tecnica greca, cioè sfruttando il clivio naturale di un colle. A Verona non è una scelta casuale. Il colle di San Pietro permetteva di riprodurre il modello dei grandi santuari tardo-repubblicani. Perché il complesso del teatro si completava con il soprastante tempio della Fortuna Primigenia offrendo una fortissima adesione alla grande architettura romana. E poi c’è l’arena. L’anfiteatro veronese è da sempre considerato il terzo più grande dell’impero, dopo il Colosseo e quello di Capua. Ma se guardiamo la sequenza di realizzazione dei tre anfiteatri, notiamo che l’Arena di Verona (metri 152×123) risale all’epoca giulio-claudia, mentre il Colosseo (metri 187×155) alla successiva età flavia, e l’anfiteatro di Capua (metri 165×136), di fondazione più antica, è stato ampliato come lo conosciamo noi oggi solo nel II sec. d.C. Quindi, al momento della sua costruzione, l’Arena di Verona era l’anfiteatro più grande dell’impero”.
Per Vinitaly, Pasqua e 25 aprile l’associazione Archeonaute accompagna gli ospiti alla scoperta della Verona romana meno nota: la villa romana di Valdonega e il criptoportico di Corte Sgarzerie
Mattina e primo pomeriggio dedicati al Vinitaly con assaggi, degustazioni e affari. E poi ci si può concedere una pausa culturale, un viaggio alla scoperta della Verona romana meno nota, più nascosta: la villa romana di Valdonega e l’area archeologica di Corte Sgarzerie. Grazie ad Archeonaute. L’associazione culturale scaligera, cui la soprintendenza ha dato in gestione i due siti, In occasione di Vinitaly 2019 propone aperture straordinarie delle aree archeologiche del Criptoportico di Corte Sgarzerie e della Villa Romana di Valdonega, con il seguente calendario: Villa Romana di Valdonega, venerdì 5 aprile, ore 16; Criptoportico di Corte Sgarzerie, sabato 6 aprile, ore 18; Villa Romana di Valdonega, domenica 7 aprile, ore 16; Criptoportico di Corte Sgarzerie, lunedì 8 aprile, ore 18; Villa Romana di Valdonega, martedì 9 aprile, ore 16. Visite guidate a cura di un archeologo dell’associazione Archeonaute; contributo volontario richiesto per la visita (minimo 3 euro a persona); le visite hanno durata di circa 40 minuti; posti limitati: prenotazione obbligatoria ad archeonaute@gmail.com; il calendario è passibile di modifiche, consigliamo di scrivere per una verifica; i turni di visita si attiveranno solo con un minimo di iscritti, gli iscritti riceveranno una mail di conferma o disdetta il giorno stesso della visita.
La residenza privata romana di Valdonega venne costruita nel I sec. d.C. al di fuori dell’impianto urbano di Verona. I dati oggi disponibili consentono di interpretarne parte del piano terra, ma si ipotizza che l’edificio fosse articolato su più piani e a livelli diversi, secondo il pendio del terreno. Della villa sono oggi visibili tre ambienti, affacciati su un portico a L (di cui si vedono le basi delle colonne) probabilmente aperto su un cortile o su un giardino e in stretta connessione con essi (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2017/10/10/la-villa-romana-di-valdonega-a-verona-come-non-lavete-mai-vista-in-soprintendenza-focus-sulla-residenza-del-i-sec-d-c-alle-pendici-suburbane-dei-lessini-con-un-filmato-in-3d/).
L’area archeologica di Corte Sgarzerie è uno straordinario palinsesto di strutture archeologiche che consente di percorrere la storia del settore centrale di Verona dall’età romana al Medioevo. Il criptoportico visitabile nell’area si sviluppava per oltre 200 m sotto il portico. Diviso in due navate larghe 4,5 m da una spina di archi retti da 78 pilastri in pietra e coperta da volte a botte, era debolmente illuminato da finestre “a strombo” affacciate sulla terrazza superiore. Il complesso rimase in vita fino al IV secolo, quando, per effetto dell’affermazione del cristianesimo e probabilmente per un incendio cadde in abbandono (https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2014/02/01/a-verona-apre-al-pubblico-il-criptoportico-capitolino-in-corte-sgarzerie/).
Visite guidate straordinarie non solo in occasione di Vinitaly, ma anche di Pasqua e 25 aprile, con prenotazione obbligatoria, contributo richiesto di 3 euro a persona. La visita all’area archeologica di Corte Sgarzerie è sempre alle 18 nei giorni sabato 13 aprile, venerdì 19 aprile, sabato 20 aprile, lunedì (Pasquetta) 22 aprile, mercoledì 24 aprile, venerdì 26 aprile, lunedì 29 aprile, mercoledì 1° maggio, sabato 4 maggio. La visita guidata straordinaria alla Villa Romana di Valdonega è sempre alle 16 nei giorni venerdì 12 aprile, domenica 14 aprile, domenica 21 aprile, martedì 23 aprile, giovedì 25 aprile, sabato 27 aprile, domenica 28 aprile, martedì 30 aprile.
Archeonaute propone anche visite guidate archeologiche nella città di Verona sabato 13 e domenica 14 aprile 2019, alle 10: “Verona e l’Adige, 2000 anni di storia”. L’itinerario si svolge tra il Ponte Scaligero, che si attraverserà per entrare in città, e la Dogana Veneta, che ci accompagnerà all’uscita. Lungo il tragitto si approfondiranno il rapporto tra l’Adige e la Verona romana, medievale e odierna, scoprendo insieme i segni lasciati dal fiume sulla città, e della città sul fiume. La visita guidata rientra nell’ambito del progetto “Adige via d’acqua”, del Canoa Club Verona, che intende attivare un percorso di turismo fluviale per canoe e imbarcazioni a remi nel fiume Adige. Costo: 10 euro a persona. Prenotazione obbligatoria.
Verona romana. Seconda parte della visita guidata del nuovo museo Archeologico al Teatro romano alla scoperta non solo dei ritrovamenti tesori romani ma anche dei tesori dei monaci Gesuati e dei segreti del colle di san Pietro
Il nuovo museo Archeologico al Teatro romano di Verona è una continua scoperta non solo delle testimonianze della Verona romana ma anche dei segreti del colle dove si sistemarono i monaci Gesuati dediti alla cura degli infermi con la produzione e distribuzione gratuita di medicinali. Essi producevano infatti profumi e liquori e furono anche detti “padri dell’acquavite”. La scelta di questo luogo non fu casuale: sotto il colle di San Pietro c’era una fonte molto ricca di acqua necessaria proprio per l’attività dei monaci. Dunque dopo aver fatto la conoscenza nel precedente post del quinto livello dell’ex convento dei Gesuati, da dove inizia il percorso del nuovo allestimento, che affronta – lo ricordiamo – le caratteristiche della città romana, dai quartieri residenziali alle necropoli, fino ai grandi edifici pubblici, i monumenti che ancora oggi rendono famosa Verona: l’Arco dei Gavi, l’Arena e il teatro romano (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2016/07/16/verona-romana-boom-di-visitatori-al-nuovo-museo-archeologico-al-teatro-romano-un-balcone-sulla-citta-iniziamo-la-visita-guidata-del-primo-piano-dalla-citta-romana-alle-necropoli-ai-grandi-monumenti/); oggi cerchiamo di scoprire gli altri ambienti del museo continuando la nostra breve visita guidata. Dal quinto livello si scende al piano sottostante, quello del chiostro, attraverso la curva dell’elegante scalone in pietra che ricalca in parte un percorso romano.

Applicazione in bronzo raffigurante il dio Oceano o un Tritone destinata a decorare la corazza della statua dell’imperatore
Alla fine dello scalone il visitatore entra nel nuovo cortile coperto, dove si ammirano sculture in pietra e bronzo che ornavano i luoghi pubblici della città. Le troviamo all’interno delle grandi vetrine passanti che dividono la corte coperta dalla sala affacciata sul teatro. “Verona”, ricorda Margherita Bolla, direttore del museo, “è tra le città romane dell’Italia settentrionale con il maggior numero di resti di sculture in bronzo, rari perché normalmente il bronzo era rifuso per realizzare altri oggetti”. Invece in età imperiale le sculture in pietra erano realizzate in pregiato marmo bianco, di origine non locale. Prima, fino ai primi decenni del I sec. d.C., qualche volta era impiegata la “pietra gallina”, un tufo ricavato da cave nelle immediate vicinanze della città. Mentre il calcare, pietra tipica delle sculture in ambito funerario, proveniva dalla Valpolicella.
Si entra quindi nel refettorio, dedicato alle grandi sculture romane rinvenute a Verona, per poi accedere alla sezione riservata alla “Scultura di collezione” testimonianza del gusto, della passione per l’antico e dell’amore per la propria città di personaggi veronesi eminenti, come i Giusti, Jacopo Muselli, Gaetano Pinali. “Il collezionismo di materiale archeologico”, continua Bolla, “è stato un fenomeno particolarmente vivo a Verona dal Rinascimento all’Ottocento, con acquisizioni da Roma, dall’Italia, dalla Grecia e dalla Turchia (attraverso il commercio antiquario veneziano). Alcune delle raccolte sono confluite, per donazione o acquisto, nel patrimonio pubblico”. Nel refettorio, al cui è stato sistemato un mosaico trovato in un’antico edificio romano di Verona, con figure di pesci e grandi felini inserite in tre cerchi, è esposta una selezione di queste sculture, purtroppo quasi tutte prive del luogo di ritrovamento, tra cui una riproduzione romana della Venere di Fidia presente nel frontone del Partenone di Atene.

La prima cella monastica conserva i vetri soffiati con reperti di bottiglie, bicchieri, piatti, vasi, anfore
Sul corridoio di collegamento si aprono tre celle del convento dei Gesuati, con una meravigliosa vista sulla città, destinate in origine al riposo dei singoli monaci. Oggi vi sono esposti oggetti di piccole dimensioni, provenienti dal territorio e di collezione: bronzetti preromani e romani, di grande valore scientifico per lo studio dei culti antichi e per la conoscenza degli arredi delle domus (il Museo possiede una raccolta di bronzi fra le maggiori dell’Italia settentrionale); oggetti legati alla vita quotidiana, come vetri dai meravigliosi colori, lucerne, recipienti. Nella prima cella vi sono vetri soffiati con reperti di bottiglie, bicchieri, piatti, vasi, anfore, ecc. Nella seconda cella vi sono bronzetti di divinità greche e romane, tenute in casa per adorazione. Nella terza cella vi sono bronzetti di lari, ovvero piccole statuette in bronzo degli antenati domestici, che venivano adorate e tenute per protezione dai componenti della famiglia. Dopo le celle e lo spazio riservato alle mostre temporanee, il corridoio si allarga in una sala che espone una grande statua romana di oratore con testa di Antonio Canova, una statua di Giove, un pozzo con baccanti e una statua di Diana proveniente da Efeso (Turchia).

L’ex chiesa di San Girolamo con soffitto ligneo del Cinquecento: presenta mosaici policromi e in bianco e nero provenienti dal Veronese
La visita prosegue nel chiostro, quattro loggiati con serie di arcate e volte a crociera, dove sono state risistemate iscrizioni e stele, con numerosi esempi di scultura funeraria, opera di botteghe di lapicidi che in epoca romana lavoravano il calcare locale, tratto dalle cave site in Valpolicella. Dal chiostro si entra nella chiesa del convento (con affreschi e un pregevole soffitto ligneo cinquecentesco), che ospita la sezione dedicata ai mosaici, in bianco e nero e policromi, da Verona e dai dintorni. La chiesa di San Girolamo fu realizzata dai Gesuati che giunsero sotto il colle intorno al 1430. La facciata della chiesa con una bifora si trova allineata al muraglione della scarpata. Pertanto la chiesa é accessibile da due entrate laterali, una collegata al chiostro e l’altra alla grande terrazza. Sull’altare della chiesa è sistemato un trittico dipinto raffigurante la Madonna con bambino fra S. Pietro e S. Giacomo di Giovanni Francesco Caroto (1508). Dalla chiesa si passa alla Grande Terrazza, un eccezionale balcone su Verona, riaperta al pubblico nel 2002 con un allestimento che è rimasto invariato; vi sono esposte, all’aperto, lapidi funerarie (nell’area verso il colle) ed elementi architettonici (nell’area verso il teatro), a integrazione di quanto visto all’interno del museo.
Il percorso museale si conclude al piano inferiore, che accoglie are e lapidi dedicate agli dei romani venerati nel Veronese ed elementi architettonici di grande raffinatezza. È in questa sezione che si apre una specie di pozzo dove, con un po’ di difficoltà, si può intravedere una grande opera di ingegneria idraulica operata dai romani sul colle di San Pietro a tutela del sottostante teatro affacciato sul fiume Adige, opera scoperta dalle ricerche archeologiche dell’area teatrale tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Per eliminare il pericolo di infiltrazione di acqua piovana venne infatti scavata dai romani una profonda intercapedine lungo il perimetro della cavea con scarico direttamente in Adige ai lati dell’edificio scenico. Sempre in quest’ultima sezione si passa attraverso l’ex oratorio dei Gesuati. In questo piccolo luogo di preghiera è posto un pregiato Crocefisso in legno, rinascimentale; ai lati sono la Madonna e San Giovanni (tavole lignee ritagliate, del Settecento). Nel pavimento è stato inserito un mosaico tardo romano, a più colori, con riquadri decorati da cesti e vasi. Infine lungo le pareti ci leggono iscrizioni sacre latine.

Le arcatelle del loggiato superiore del teatro romano di Verona che sorprendono il visitatore all’uscita del percorso museale
La visita del museo termina qui (da dove avremmo cominciato il percorso – sconsigliato – se avessimo scelto le scale, anziché l’ascensore). Ma non sono terminate le emozioni. All’uscita dal convento ci si trova davanti un affaccio unico: sotto di noi la cavea del teatro romano, sulla nostra destra le arcate delle logge che chiudevano in alto le gradinate del teatro (recuperate dagli scavi ottocenteschi di Andrea Monga), davanti a noi l’ansa dell’Adige che chiude la Verona romana con in primo piano il ponte Pietra, uno dei due ponti realizzati dai romani per attraversare il fiume. Solo questo panorama vale un ingresso al museo archeologico del teatro romano di Verona. Buona visita.
Verona romana. Boom di visitatori al nuovo museo Archeologico al Teatro romano un balcone sulla città. Iniziamo la visita guidata del primo piano: dalla città romana alle necropoli ai grandi monumenti pubblici: l’Arco dei Gavi, l’Arena, il Teatro

L’eccezionale panorama sulla città di Verona che si gode dal rinnovato museo Archeologico al Teatro Romano di Verona
Boom di visitatori al rinnovato museo Archeologico al teatro Romano di Verona: dal 28 maggio, giorno dell’inaugurazione, al 30 giugno sono stati più di 20mila. “Dopo tre anni di chiusura per i lavori di restauro e ampliamento, è stato un vero successo”, dichiara il sindaco Flavio Tosi, “grazie anche alla tariffa promozionale di 1 euro che l’amministrazione comunale ha scelto di applicare per festeggiare la restituzione al pubblico di questo storico museo. Un dato importante, questo degli ingressi, in poco più di un mese dalla riapertura e in un periodo ancora non pienamente turistico: moltissimi infatti sono stati i veronesi che hanno potuto scoprire o riscoprire uno spazio espositivo collocato in un contesto straordinario, che lo rende davvero unico”. Ora il complesso museale, dopo articolati lavori di riqualificazione con fondi POR della Regione del Veneto e con il contributo di Fondazione Cariverona, si presenta significativamente ampliato negli spazi espositivi (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2016/05/25/verona-il-28-maggio-riapre-il-museo-archeologico-al-teatro-romano-totalmente-rinnovato-e-ampliato-nuovi-reperti-e-una-vista-privilegiata-sulla-citta/). L’edificio del museo sorge sul fianco del colle di San Pietro a picco sopra il Teatro Romano. Tale collocazione è un elemento fondamentale ed eccezionale della visita: lo splendido panorama del teatro e della città dall’alto consente infatti di porre immediatamente in relazione quanto esposto con il contesto esterno. La direttrice Margherita Bolla conferma che il successo del nuovo museo Archeologico al Teatro Romano è attestato anche dalle note lasciate dai visitatori nel libro delle firme e dalle manifestazioni di gradimento comunicate al personale presente nel museo. Il Museo si pone dunque come una delle mete imperdibili a Verona anche per i cittadini più piccoli, che qui potranno divertirsi durante le tappe previste dal Summer Camp dell’estate 2016 organizzato nei diversi Musei Civici e rivolto a bambini delle scuole primarie (Visite guidate, segreteria didattica e summer camp dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13 e dalle 14 alle 16 tel. +39 045 8036353 – fax +39 045 597140 segreteriadidattica@comune.verona.it).

Il rinascimentale palazzetto Fontana ingresso ufficiale al Teatro Romano e al museo archeologico di Verona
Per chi non ha ancora avuto modo di scoprire i tesori della Verona romana, ecco una piccola visita guidata al nuovo museo Archeologico al Teatro Romano di Verona. Si accede dal rinascimentale palazzetto Fontana sorto sulla struttura scenica del teatro. L’edificio, interamente restaurato, prevede due piani dedicati alla didattica con un allestimento che permette anche attività di laboratorio per le scolaresche. Una volta usciti da palazzo Fontana si apre davanti a noi il teatro romano dominato dai bastioni dell’ex convento dei Gesuati, ora sede del museo a strapiombo sulla cavea romana. Sulla destra la chiesetta dei santi Siro e Libera (X-XIV sec.). Saliti gli spalti del teatro romano, si può scegliere di raggiungere le sale espositive con un ascensore o con una panoramica scalinata che costeggia il teatro. Il consiglio è di procedere con l’ascensore e utilizzare le scale per l’uscita. Il percorso museale attraversa tre piani espositivi. Il primo, situato al quinto livello dell’ex convento, è uno spazio quadrato che si affaccia sul chiostro dei Gesuati; il secondo corrisponde al piano sottostante, quello del chiostro, e si compone del nuovo cortile coperto, dell’ex-refettorio e di una serie di stanze minori tra cui tre celle monastiche; il terzo, ancora inferiore, è costituito dalla sala delle iscrizioni (già portineria del convento).

Il chiostro dell’ex convento dei Gesuati attorno al quale si sviluppa il rinnovato museo Archeologico al Teatro romano
La struttura del complesso permette percorsi differenti, ma quello privilegiato inizia dal piano superiore del convento, con una sintetica introduzione alla Verona romana e alle residenze che vi si trovavano, spesso dotate di arredi lussuosi, come la pregiata fontanella in marmo ornata da teste di Tritoni. I visitatori sono via via condotti nella quotidianità della Verona di due millenni orsono. Apre la sezione “Abitare a Verona” con le testimonianze delle residenze private che si svilupparono in città nei primi secoli dell’età imperiale: qui ci sono gli arredi, a volte di grande raffinatezza; mentre i pavimenti a mosaico sono esposti al piano inferiore, nella chiesetta di San Gerolamo e nel refettorio. Segue la sezione dedicata alle “Necropoli”, scoperte al di fuori delle mura di Verona, lungo le vie consolari. “I più abbienti”, ricorda il direttore Margherita Bolla, “acquistavano le aree meglio visibili dalla strada e costruivano monumenti di varie dimensioni e forme, indicando i nomi dei defunti e dei proprietari su lastre di pietra” che, nel nuovo museo, hanno trovato posto nel chiostro e nella grande terrazza. Il rito di cremazione era quello più diffuso nel Veronese dal I secolo alla metà circa del III secolo d.C. Particolarmente interessante è la cosiddetta tomba del medico, rinvenuta in via Paradiso, l’attuale via G. Trezza. “Era una costruzione a pianta rettangolare in laterizi, con una nicchia su ogni lato”, spiega Bolla. “Purtroppo il corredo è probabilmente incompleto perché la tomba era stata violata in antico. Comunque la qualità e la quantità degli oggetti rimasti indicano il buon livello economico della famiglia, probabilmente derivato proprio dall’esercizio della medicina. Ma è un segnale di ricchezza anche la presenza di materiale di importazione, come l’ambra del Baltico che attraverso l’Ungheria raggiungeva Aquileia dove veniva lavorata e venduta nel Nord Italia”.
Nella successiva sezione, “Gli edifici pubblici”, si tocca con mano la monumentalità di Verona. Uno storico plastico, realizzato in scala 1:10 dall’intagliatore Luigi Sughi, nel 1813, sulla base dei disegni di ricomposizione dell’arco, ormai demolito, e dei rilievi grafici dei blocchi superstiti, eseguiti da Giuseppe Barbieri, ci introduce alla conoscenza dell’Arco dei Gavi. Il monumento fu costruito dall’architetto Lucius Vitruvius Cerdo, nella prima metà del I sec. d.C. sulla via Postumia, in asse con l’attuale corso Castelvecchio, oltre 500 metri fuori dalla città che iniziava a Porta Borsari. A commissionare l’arco fu la potente famiglia dei Gavi, celebrata con iscrizioni e statue (perdute) poste nelle nicchie. L’arco, che ebbe grande fama nel Rinascimento, fu demolito nel 1805 sotto il dominio francese, perché d’intralcio alla circolazione, e ricostruito solo nel 1932, dove lo ammiriamo oggi, a fianco di Castelvecchio, poco distante dal sito originale.
Un altro plastico “storico” annuncia la sezione dedicata all’anfiteatro romano, “L’Arena”, tra i maggiori in Italia per dimensioni, costruito nel I sec. d.C. fuori dalle mura della città e destinato a combattimenti tra gladiatori e cacce ad animali feroci o esotici. “L’anfiteatro, realizzato con calcare bianco e rosato della Valpolicella, laterizi, ciottoli di fiume e schegge in tufo”, ricorda la direttrice, “è composto dall’arena ellittica al centro e dalle gradinate che poggiano su serie di ambienti a volta”. Sulla grande terrazza del museo, che incontreremo più avanti, sono conservate colonne forse del porticato che coronava le gradinate, e un’iscrizione di Licinia. Qui invece è esposto quel poco che è rimasto delle sculture che ornavano l’anfiteatro: alcune avevano funzione onoraria, altre ricordavano i giochi (come un pugile in bronzo e un gladiatore in tufo; altre statue ancora avevano funzione decorativa o religiosa, come la testa femminile che potrebbe rappresentare Diana, dea della caccia venerata negli anfiteatri.
Completa la sezione dedicata agli edifici pubblici la presentazione de “Il Teatro romano” nei suoi vari aspetti: la struttura architettonica, i documenti sugli spettacoli e i reperti dagli scavi, le sculture che celebravano personaggi eminenti; poi la grande varietà di raffinate sculture decorative, destinate in parte alla sospensione in parte a integrare l’architettura. Progettato poco dopo la fondazione di Verona (quindi dopo la metà del I sec. a.C.) e realizzato in età augustea, il grande complesso del teatro occupava tutto il colle di San Pietro con una serie di terrazze e si collegava sulla sommità del colle con un tempio di cui non conosciamo la dedica. Dopo il suo abbandono, numerosi edifici civili e religiosi furono costruiti sopra le rovine del teatro di cui però non si perse mai la memoria.
Conclude il percorso al piano superiore una sezione dedicata al santuario di Iside e Serapide, luogo di culto situato nella zona del complesso teatrale dove erano venerate le due divinità di origine egizia insieme al figlio Arpocrate, la versione greco-romana di Horus. Nel santuario, attivo soprattutto dal II sec. d.C., vennero collocati diversi altari votivi. “Negli scavi effettuati nel teatro”, ricorda Bolla, “sono venuti alla luce diverse sculture in pietre originarie dell’Egitto e in marmo bianco”. Abbiamo così completato il quinto livello dell’ex convento dei Gesuati, e primo piano del percorso del nuovo museo Archeologico al Teatro romano di Verona. La visita guidata continua in un prossimo post.
L’archeologia in zone di guerra protagonista a Rovereto alla rassegna del cinema archeologico e poi un “intrigo biblico” e i segreti sotterranei di Verona romana
L’archeologia in zone di guerra. Giovedì 8 ottobre 2015, nel terzo giorno di programmazione la rassegna internazionale del cinema archeologico di Rovereto con la conversazione alle 17.45 affronta con Savino di Lernia, docente all’università La Sapienza di Roma al lavoro nel deserto libico, il tema della salvaguardia del patrimonio storico nelle zone di conflitto con particolare riguardo per l’archeologia attuale nel Sahara, dove numerose sono le spedizioni di squadre di studiosi italiani.
La conversazione chiude un pomeriggio molto intenso aperto con la proiezione di “Mustang, il regno nascosto”. Si tratta di un viaggio attraverso una regione isolata del Tibet, un museo all’aria aperta nel grande ventre del paese, popolato da settemila abitanti che continuano a vivere come per secoli hanno fatto i loro antenati. Da quando la Cina ha invaso il Tibet, nel 1950, i nuovi governanti hanno bandito molte delle antiche usanze, distruggendo tanta parte di una cultura unica. Il documentario, incredibilmente raro ed eccezionale, mostra quella che è la dura e quotidiana sfida della popolazione per mantenere vive le proprie identità culturali nel mondo moderno. A seguire, “La grotta dipinta di Pont d’Arc: vers un fac-similé”: interessante contributo anche per quanto riguarda gli aspetti tecnici legati alla ricostruzione. dedicato a un tesoro di recente entrato nella lista del patrimonio mondiale dell’Unesco. A partire da quest’anno il grande pubblico ha l’opportunità di scoprirne i pregi visitando la sua replica costituita da una ventina di pannelli.

La ricostruzione del Capitolium di Verona e del triportico, dove erano collocate le tavole catastali
Un “intrigo biblico” attira l’interesse degli appassionati nel programma del mattino: “Biblical conspiracies: secrets of the crucifixion” si interroga sulle modalità della crocifissione a seguito della scoperta archeologica a Gerusalemme dei resti fisici di Mattathiah figlio di Giuda e dell’analisi scientifica di una mano crocefissa: lo studio di questo reperto – si chiedono i registi – potrà dirci come è stato crocefisso Gesù? Invece il programma della serata valorizza il lavoro di Stefania Casini, attrice,conduttrice, ma anche regista delle “Acque segrete di Palermo”. Il documentario svela il volto della capitale del Mediterraneo precedente la cementificazione,quando Palermo era un enorme giardino alimentato da canali sotterranei di origine araba. Merita di essere menzionato pure il lavoro “Alla scoperta di Verona sotterranea. Il sito archeologico di Corte Sgarzerie”, che sviluppa un tema poco noto – quello della Verona Romana – valendosi di tre tipi di tecnica cinematografica: il documentario, il docudramma, la ricostruzione virtuale. In chiusura di serata, un affondo sui “Segreti del Colosseo”. Archeologi e storici svelano i retroscena di questo autentico strumento mediatico del potere imperiale: un contributo quanto mai attuale, alla luce delle moderne polemiche sulla destinazione d’uso del monumento.
Aperta la XXVI Rassegna internazionale del cinema archeologico di Rovereto nel nome di Khaled Asaad, l’archeologo di Palmira decapitato dall’Isis. E sabato “instant movie” di Alberto Castellani con il ricordo personale di Asaad in un’intervista del 2004

All’archeologo Khaled Asaad, decapitato dall’Isis, è dedicata la XXVI rassegna internazionale del cinema archeologico
La XXVI rassegna internazionale del cinema archeologico di Rovereto, dal 6 al 10 ottobre 2015, nel nome di Khaled Asaad, l’archeologo di Palmira “la cui morte e sacrificio – ricorda Dario Di Blasi, direttore della rassegna – hanno dimostrato che la cultura non può coesistere con la guerra e che al tempo stesso è la premessa necessaria per la pace”. Ma non è tutto. Sabato 10 ottobre, durante la serata delle premiazioni dei film in concorso, ci sarà un omaggio ad Asaad con un “instant movie” del regista veneziano Alberto Castellani, che dieci anni fa aveva avuto l’onore di intervistarlo. Era il 18 agosto 2015 quando Khaled al-Asaad è stato ucciso a Palmira dopo aver difeso fino all’ultimo dalla furia dell’Is il sito archeologico, patrimonio dell’Unesco, decapitato dai jihadisti per non aver rivelato il nascondiglio di alcuni inestimabili reperti romani. E ora una petizione tutta italiana sulla piattaforma Change.org chiede la candidatura postuma al Nobel per la Pace di Khaled Asaad. A lanciare l’appello, sottoscritto finora da oltre 12500 utenti in soli 4 giorni, è Anna Murmura, che nella lettera indirizzata al Comitato per i Nobel e alle Accademie di Archeologia e Cultura classica ha chiesto che “l’anno prossimo in febbraio venga proposta la candidatura al Nobel per la pace alla memoria per Khaled Asaad, l’archeologo di Palmira morto per difendere i nostri beni culturali dalle onde barbariche e la cultura classica a cui dobbiamo molto. Difendere la cultura – conclude – vuol dire difendere la pace, la guerra e l’odio nascono dall’ignoranza. Khaled Asaad è un eroe di cui il mondo ha parlato e parla poco. Onore al grande archeologo e al grande uomo”. La petizione è stata sottoscritta anche da Di Blasi. “Ho firmato l’appello che mi è arrivato dal Perù tramite facebook da Giuseppe Orefici, archeologo italiano in sud-america, per assegnare il premio Nobel per la pace a Khaled Asaad. I social network possono essere utili”.

Il poster ufficiale della XXVI Rassegna internazionale del Cinema archeologico di Rovereto dal 6 al 10 ottobre 2015
Brilla sulla XXVI Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico di Rovereto la medaglia assegnata dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, recapitata alla Fondazione Museo Civico di Rovereto alla vigilia della rassegna consacrata quest’anno al dibattito, quanto mai attuale, sul passato e sul presente della culla della civiltà. Il programma cinematografico e di conversazioni della XXVI edizione della Rassegna non si discosta da questo intento e offre un menu ricchissimo di quasi cento film e una decina d’incontri con protagonisti della ricerca archeologica, con la collaborazione preziosa del Centro Studi Ligabue e del Documentary & Experimental Film Center di Tehran che organizza annualmente una delle più importanti manifestazioni di documentari internazionali, ovvero Cinema Veritè. Novità di quest’anno, l’introduzione di una menzione speciale assegnata da un gruppo di Archeoblogger e l’assegnazione del premio speciale Cinem.A.Mo.Re (la Rassegna che promuove Religion Today Filmfestival, Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico e Trento Film Festival). Tra gli appuntamenti in cartellone, Di Blasi ricorda quelli del paesaggio preistorico delle nostre Dolomiti, l’Avventura dei primi uomini in Australia, i misteriosi obelischi in territorio curdo in Turchia, l’eccitante ricerca di un importante personaggio della corte di Hat-shep-sut, primo faraone donna, la ricostruzione della storia della Nike di Samotracia, la principale icona del Louvre parigino, la riscoperta della Verona romana nel suo impianto urbano e la ricostruzione grafica della sua complessa stratificazione archeologica, la storia e anche l’etnografia di tanti siti e luoghi dell’Iran attuale e dell’antica Persia, le splendide immagini di un vero e proprio museo all’aria aperta come quello del territorio del Mustang tibetano, robot sottomarini per scoprire antichi naufragi là dove l’uomo non potrà arrivare, la meravigliosa arte dei tappeti di Bijar e Tabriz, la scoperta dei popoli che abitarono Angkor e che forse ne furono gli artefici, un intrigo nella Bibbia che ci fa sospettare un Gesù sposato, un viaggio nelle varie forme di scrittura nell’antico Egitto, e ancora la provocazione: l’Iliade e l’Odissea possono aver avuto origine nei miti baltici e non in quelli mediterranei? Quanti misteri, quante scoperte e purtroppo quanta barbarie contro l’uomo e le tante sue realizzazioni e culture come in Iraq e in Siria. Quanta leggerezza, dimenticanza e disattenzione verso popoli che stanno per scomparire come i pigmei Babinga o i cavernicoli Tau’t Bato delle Filippine documentati da Giancarlo Ligabue. Partecipiamo quindi per combattere l’ignoranza, l’intolleranza e la barbarie, per la cultura e per la pace in ricordo di Khaled Asaad trucidato a Palmira per difendere l’uomo e la civiltà”.
E così arriviamo alla serata finale con il ricordo di Khaled Asaad nelle immagini che Alberto Castellani ha recuperato nei suoi archivi, tra ricordi ed emozioni di quell’incontro e di quella visita speciale di Palmira. “Il mio film – spiega Castellani – è un saluto di addio a un uomo di 82 anni che, presago dello scempio del Califfato Islamico, era riuscito a nascondere negli ultimi mesi in un luogo sicuro centinaia di statue. Prima che gli uomini della morte conquistassero la “sposa del deserto” e ne trucidassero il suo più fedele custode”. L’incontro con Asaad risale al 2004. “Si stavano levando i primi raggi del sole – ricorda il regista veneziano – quando Palmira ci apparve all’improvviso giù a valle in tutta la sua estensione. L’incontro con il professor Asaad era fissato per il primo pomeriggio: quindi avevamo tutto il tempo per ammirarla in quella magica versione di luce”. La visita alle rovine non era vincolata da orari . Il tempio di Baal invece era aperto dalle 8 alle 13 e dalle 16 alle 19 con qualche riduzione in certi periodi dell’anno, in particolare durante il Ramadan. All’interno del museo era vietato fumare e toccare gli oggetti. “Ed è qui che il prof Khaled Asaad è stato ucciso dopo il tramonto con un coltello, davanti alla folla, dopo un mese di prigionia nelle mani degli estremisti dell’Isis”.
“Il destino di Palmira – ci raccontò il coraggioso direttore del sito Unesco – è quello di proporci testimonianze lungo un periodo di civiltà lungo più di 300 anni. Un autentico faro di civiltà nel contesto del mondo di allora. La sua arte non è però un miscuglio tra occidente ed oriente, una imitazione, per quanto raffinata. L’arte palmirena propone una rielaborazione che introduce ad uno stile assolutamente originale, personale. Un’arte in grado di affermare una identità locale, nel più vasto contesto del mondo orientale. Nell’accommiatarci gli proponemmo alcune immagini da noi girate a Maloula il piccolo villaggio cristiano della Siria che insieme ad altri due paesi vicini, è il luogo in cui viene ancora parlata la lingua aramaica, quella di Gesù. Asaad non ebbe alcuna esitazione. Ci mostrò una lapide e cominciò a leggere ad alta voce. Quel suono antico non lo ho mai dimenticato”. Poi, accomiatandosi, il professore invitò il regista e tutta la troupe a visitare il tempio di Baal, abbastanza vicino. “Ricordo allora di aver goduto, assieme ai miei compagni, di un privilegio inatteso: quello di essere gli unici visitatori. E di provare quasi una ebbrezza nel non condividere con nessuno i propilei, il recinto sacro, il portico, l’ampio cortile interno del tempio. Impossibile allora immaginare – conclude Castellani – che dieci anni più tardi una vampata di fuoco, fumo e polvere avrebbe distrutto quel tempio”.
I catasti di Verona testimoni di due momenti topici della romanizzazione della città: l’estensione del diritto latino e la concessione della cittadinanza romana. Così i due pezzi unici trovati nel criptoportico rivivono con le parole degli esperti

La ricostruzione del Capitolium di Verona e del triportico, dove erano collocate le tavole catastali
Unici sono unici. Ma certo chi ha visitato la mostra “Le istituzioni di Gaio e gli antichi catasti di Verona. Rari documenti del diritto privato e della proprietà fondiaria nel mondo romano” aperta fino a sabato 30 gennaio nella sala Maffeiana della Biblioteca Capitolare di Verona, senza un’adeguata spiegazione diventa difficile la lettura dei due preziosi frammenti bronzei di oltre duemila anni. Non dimentichiamo che prima della scoperta dei catasti di Verona si era a conoscenza solo del catasto di Orange (su pietra) e di Lacimurga (di cui non si conosce il contesto di scavo). Per questo sono state molto apprezzate le visite guidate proposte in questi giorni dagli esperti dell’associazione Archeonaute, capitanate da Marzia Bersani, che gestisce l’apertura dell’area archeologica di Corte Sgarzerie, cioè dell’antico criptoportico romano sotto il Capitolium di Verona, cioè proprio dove quei frammenti di tavole catastali furono trovati nella seconda metà degli anni Novanta del secolo scorso. Cerchiamo allora di saperne di più su questi due speciali reperti con l’aiuto degli archeologi che li hanno studiati.

Ricostruzione dell’interno del triportico di Verona con i frammenti ritrovati e la loro collocazione nella tavola catastale originale
LA SCOPERTA. Entrambi i frammenti – come si diceva – sono stati rinvenuti nello scavo del criptoportico del complesso capitolino in corte Sgarzerie. “Il primo frammento bronzeo ritrovato, che oggi chiamiamo catasto A”, ricorda Giuliana Cavalieri Manasse, già responsabile a Verona della soprintendenza ai Beni archeologici del Veneto, e maggior studioso dei catasti veronesi, “è stato scavato nell’agosto 1996 da Simon Thompson, che aveva subito riconosciuto si trattasse di una lastra con la registrazione di celle di centuriazione. L’entusiasmo fu contagioso. E si cercò subito sperando di trovare altri frammenti della stessa tavola catastale, ma solo tre anni dopo si recuperò il secondo frammento che, comunque, apparteneva a un altro catasto”. Il criptoportico di Verona, dove da un anno è attiva l’associazione Archeonaute con visite guidate, è un’imponente struttura sotterranea, a doppia galleria e pianta a , che sosteneva la terrazza su cui era posto il più importante tempio cittadino, dedicato alla triade capitolina (Giove, Giunone e Minerva). Tale edificio, il più grande di Verona e tra i più vasti dell’Italia romana (35 metri di larghezza, 42 m di lunghezza e circa 26 di altezza) era inquadrato da un triportico a due navate, il cui impianto ricalcava quello del sottostante criptoportico. “Costruito nel corso della seconda metà del I secolo a.C.”, continua Cavalieri Manasse, “il grandioso complesso capitolino (esteso su un’area di circa 6000 mq) ripeteva uno schema architettonico (criptoportico, terrazza, triportico, tempio) assai comune nelle città romane a partire da quest’epoca”. Nel criptoportico, oltre ai due frammenti di tavole catastali, sono stati rinvenuti numerosi minuti pezzi di lastre inscritte, di vario genere e di diverse epoche, lavorate con grande accuratezza e spesso in marmi di pregio. “Leggendo i testi, si deduce che si trattava di atti ufficiali: decreti, liste di magistrati e di imperatori. Questi, insieme alle “formae” (tavole catastali), dovevano essere in origine esposti nel triportico soprastante il criptoportico, che svolgeva quindi funzione di archivio cittadino (tabularium)”. Dopo l’abbandono e il successivo spoglio del complesso, tra la seconda metà del IV e il V secolo d.C., di tali documenti pubblici, demoliti e asportati per riusi e rifusioni, rimasero solo piccoli residui, finiti nel criptoportico quando le sue volte collassarono. “Negli sconvolgimenti che accompagnarono la fine dell’impero romano”, sottolinea l’archeologa della soprintendenza, “gli atti fondiari vennero accuratamente distrutti per cancellare ogni traccia dell’antico regime proprietario. Da qui dipende l’eccezionale rarità dei reperti veronesi”.

La ricostruzione della tavola originale cui apparteneva il catasto A di Verona con la sua posizione nell’angolo alto sinistro
CATASTO A. Il Catasto A è un frammento di bronzo delle dimensioni di 24.1 x 16 cm e dello spessore di 0.4 cm, databile tra il 40 e il 30 a.C. “Osservando la lastra di bronzo”, spiega Cavalieri Manasse, “si capisce che costituiva l’angolo superiore sinistro di una tavola di bronzo, con terminazione superiore a doppio spiovente, che reca incisa una serie di righe orizzontali e verticali formanti un reticolo: sono le celle della centuriazione”. Nei riquadri sono segnate le coordinate relative al posizionamento dei fondi sul terreno centuriato (DD sta per “dextra decumanum”: a destra del decumano massimo; VK per “ultra kardinem”: al di là del cardine massimo), le loro misure in iugeri e sottomultipli dello iugero (l’unità di misura dei terreni agricoli in età romana pari a 2518 mq), i nomi dei proprietari. “Si tratta di un rarissimo esempio di catasto rurale inciso su bronzo (“forma”, in latino)”, continua l’archeologa. “Fu realizzato subito dopo un intervento di centuriazione dell’agro di pertinenza della città, ovvero dopo le operazioni di bonifica, generale riassetto e suddivisione dei terreni, in vista di assegnazioni anche ai veterani delle guerre augustee. In tali documenti che svolgevano al tempo stesso funzione amministrativo-fiscale, venivano registrate anche le proprietà già esistenti come è il caso per i personaggi menzionati nelle iscrizioni di tre delle sei caselle interamente conservate che non sono nuovi assegnatari, ma da tempo proprietari dei terreni”.

La grafica del catasto A di Verona con la posizione dei terreni e dei proprietari all’interno delle celle della centuriazione
Partendo da sinistra, nella prima cella è indicato Caio Cornelio Agatone padrone di un podere di poco più di 43 ettari; nella seconda invece compaiono due proprietari: Caio Minucio, figlio di Tito, e Marco Clodio Pulcro, rispettivamente con circa 35 e 9 ettari. Infine nella terza compaiono Marco Magio e Publio Valerio, che possiedono l’uno intorno a 28 ettari, l’altro poco più di 13. “I nomi di costoro, con l’eccezione del solo Minucius”, ricordano gli studiosi, “sono frequenti nelle iscrizioni veronesi e appartengono a famiglie attestate nella zona già dalla prima metà o dai decenni centrali del I sec. a.C.”. Nella parte superiore della tavola invece le caselle non recano iscrizioni: si potrebbe trattare di “subseciva”, cioè di terreni che per varie ragioni, tra cui la cattiva qualità dei suoli, non potevano essere assegnati o non lo erano ancora stati.
Sul catasto A sono dunque registrate grosse porzioni di terreno appartenenti a personaggi del notabilariato veronese che, secondo Giuliana Cavalieri Manasse, si riferiscono alla centuriazione della Val d’Illasi. Come si è giunti a questa ipotesi? Il territorio veronese in età romana era molto più vasto dell’attuale provincia perché occupava aree oggi sotto Brescia e Mantova. Eppure sono giunti fino a noi solo poche zone che conservano indizi di antiche suddivisioni agrarie. Tracce di centuriazione sono state individuate in val d’Illasi, a nord e a sud della via Postumia (oggi SR 11), che forse ne costituisce il decumano massimo, e nelle Valli Grandi Veronesi, tra il Bastione di San Michele e il Naviglio Bussè e tra il Naviglio Bussè e il Tartaro. L’ipotesi che il frammento di catasto A sia riferibile alla centuriazione della val d’Illasi si basa sulla coincidenza cronologica tra l’epoca di realizzazione di tale intervento agrario e quella di redazione del documento e sul fatto che nel ricco patrimonio epigrafico del territorio tra Tregnago e Colognola ai Colli, in più casi, ricorrono gli stessi gentilizi (nomi di famiglia) presenti nel frammento bronzeo. In particolare a Colognola, presso Pontesello, era conservata almeno fino agli inizi del ‘900 un’epigrafe funeraria, incisa su roccia, menzionante Lucio Magio figlio di Marco. Costui doveva essere il fratello di Marco Magio, figlio di Marco, che figura nel catasto A. È probabile che i due fratelli possedessero terreni nella stessa area centuriata, che andrebbe quindi identificata con la zona della val d’Illasi.

Il frammento bronzeo del catasto B di Verona che certifica la presenza di proprietari terrieri celti
CATASTO B. Una situazione completamente diversa è quella rappresentata dal secondo frammento di bronzo, il catasto B, che misura 12 x 17.5 cm ed è spesso 0.2 cm. “È un inedito”, interviene Giovannella Cresci Marrone, docente di Storia romana all’università Ca’ Foscari di Venezia, che ha approfondito lo studio del frammento. “I due frammenti non appartengono alla stessa lastra. Quella del catasto B è meno spessa, quindi è un catasto diverso che censiva sempre delle proprietà terriere ma in questo caso i proprietari erano celti, e non cittadini romani. Rispetto al catasto A qui sono registrate proprietà terriere più piccole che non sono comprese all’interno di una centuriazione. E poi c’è un elemento anomalo: una linea discontinua che potrebbe rappresentare una strada o un confine”. Vediamo meglio il frammento. Fa parte di una lastra di bronzo, probabilmente una piccola porzione interna, suddivisa come il catasto A in caselle quadrangolari. Si conservano tracce di sette celle, quattro delle quali iscritte. Tra queste è ben leggibile la sola casella centrale, quasi integra. Vi figurano incolonnati a sinistra i nomi dei proprietari (sette in tutto, singoli o famiglie) e a destra le misure delle terre possedute. Lo stesso schema presentavano altre tre celle, a giudicare dai resti di testo superstiti. Anche questo frammento appartiene a una lastra identificabile come una “forma” del territorio veronese, ma diversa da quella di cui fa parte il catasto A. Differenti sono infatti le caratteristiche tecniche della tavola, di spessore molto più sottile, e quelle dell’incisione (reticolo tracciato con segno leggerissimo, grafia con caratteri molto più accurati). Le celle inoltre sono più ampie e non vi figura alcuna coordinata di localizzazione di centuriazione.
“Lo schema a campi quadrangolari”, continua l’esperta, “qui è solo un espediente grafico per posizionare topograficamente le proprietà terriere che, a giudicare dai nomi, sembrano appartenere a vecchi proprietari indigeni. Si tratta senza dubbio di personaggi appartenenti al sostrato celtico della popolazione; tipicamente celtica è infatti l’onomastica (Bitunci, Vindilli, Segomari, ecc). Costoro, diversamente dai personaggi del catasto A, sono proprietari di appezzamenti di terreno di dimensioni piuttosto ridotte (da tre quarti di ettaro a circa 12 ettari)”. Infine, mentre nell’altro documento sono assenti indicazioni connesse alle caratteristiche fisiche del territorio, questo è caratterizzato da una notazione topografica: un solco fortemente inciso, dapprima rettilineo e poi piegato verso destra con andamento spezzato, in cui è forse da riconoscere –come si diceva- una strada”. Il pezzo, parte di una mappa censitaria, è rispetto al precedente di qualche decennio più antico o contemporaneo. “Per ora non abbiamo dati per chiarirlo”, ammette Giovannella Cresci. “Se fosse coevo al catasto A dimostrerebbe l’esistenza a Verona di una enclave di famiglie galliche prive della cittadinanza romana. Se fosse precedente, allora si potrebbe collocare dopo l’89 a.C. quando fu concesso il diritto latino ai transpadani. Comunque i due catasti fissano due momenti importanti della fase di romanizzazione del territorio veronese nel I sec. a.C.: l’estensione del diritto latino e la cittadinanza romana a Verona”.
Scoperte due tavole catastali romane negli scavi del criptoportico di Verona: finora noto solo un altro esemplare in Spagna. Ora in mostra alla Biblioteca Capitolare

Il manifesto della mostra “Le istituzioni di Gaio e gli antichi catasti di Verona” aperta in Biblioteca Capitolare di Verona
La scoperta è di quelle destinate a essere ricordate: dagli scavi della soprintendenza ai Beni archeologici del Veneto a Corte Sgarzerie, nel cuore della Verona romana, lì dove c’è l’antico criptoportico (aperto al pubblico l’anno scorso: vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/?s=sgarzerie) che correva sotto il Capitolium, a un passo dal foro (oggi piazza delle Erbe), sono stati trovati due frammenti bronzei, testimonianza dell’antico catasto romano. Una vera rarità se si pensa che di queste tavole catastali, ben ricordate dalle fonti, si conosceva un solo esemplare in Spagna. E da sabato 17 gennaio a sabato 30 gennaio saranno esposti per la prima volta nella sala Maffeiana della Biblioteca Capitolare di Verona nella mostra “Le istituzioni di Gaio e gli antichi catasti di Verona. Rari documenti del diritto privato e della proprietà fondiaria nel mondo romano”. Che si tratti di mappe catastali romane è evidente dalle informazioni su di esse incise: i confini dei fondi rurali con le coordinate relative alla posizione, alle misure e ai nomi dei proprietari. Per capire queste “mappe” bisogna fare riferimento alla cosiddetta “centuriazione”, cioè al sistema di partizione dell’agro romano in parcelle di territorio, le “centurie”, individuate all’interno di un reticolo regolare con assi ortogonali tra loro. Le due tavole catastali veronesi sono in ottimo stato di conservazione, assicurano in soprintendenza: “Grazie ai nomi dei proprietari sicuramente romani riportati su una delle due tavole è possibile ipotizzare anche una datazione: tra il 40 e il 30 a.C., periodo significativo per Verona, essendo proprio quello che vide insediarsi in città i romani”. L’altra mappa è più problematica ma altrettanto interessante poiché registra nomi che non sono propriamente romani: dovrebbero appartenere a ceppi indigeni preesistenti, e quindi potrebbe essere più antica.
L’inaugurazione della mostra è prevista venerdì 16 gennaio alle 16.30, alla presenza del soprintendente ai Beni archeologici del Veneto, Vincenzo Tiné, e del prefetto della Biblioteca Capitolare mons. Bruno Fasani. La mostra sarà illustrata da Filippo Briguglio, Giuliana Cavalieri Manasse, Giovannella Cresci Marrone. Nei due sabati di apertura della mostra “Le istituzioni di Gaio e gli antichi catasti di Verona”, cioè sabato 17 e sabato 24 gennaio, c’è un’interessante iniziativa proposta dall’associazione Archeonaute Onlus: alle 10.30 e alle 15, organizza visite guidate speciali all’area archeologica di Corte Sgarzerie (luogo di rinvenimento delle tavole catastali) e visita guidata all’esposizione. È richiesto un contributo di partecipazione di 4 euro (comprensivo di visita al sito più ingresso e visita alla mostra). Per info e prenotazioni: archeonaute@gmail.com, oppure tel. 324.0885861 e 347.7696088. Ricordiamo che con l’area archeologica di Corte Sgarzerie si intende il criptoportico: un lungo corridoio coperto che correva sotto la grande piattaforma del Capitolium che reggeva il tempio vero e proprio. Qui erano conservate lapidi e tavole bronzee che riportavano documenti catastali, testi di leggi, decreti. Nel sito sotterraneo di Corte Sgarzerie è ben visibile una porzione dei pilastri ed archi che sostenevano la volta del criptoportico crollata e poggiata su un fianco, oltre a una delle alte finestre che davano un poco di luce e circolo d’aria al lungo corridoio. Il sito è caratterizzato da una grande complessità, con strati di epoca repubblicana, tardo-imperiale e altomedievale che si sovrappongono e si intersecano. Oltre ai resti del criptoportico si può ammirare una strada pedonale romana con il lastricato eccezionalmente preservato e una torre e altro edificio, forse una ghiacciaia, altomedievali.
Commenti recenti