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Roma-Eur. Al museo delle Civiltà presentazione (anche in streaming) del libro di Eugenio Fantusati e Marco Baldi “Abu Erteila 2008-2020. Twelve Years of Research in a New Meroitic Site” sulla missione archeologica in Sudan di ISMEO e Accademia russa delle Scienze

La copertina del libro “Abu Erteila 2008-2020. Twelve Years of Research in a New Meroitic Site” di Eugenio Fantusati e Marco Baldi
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Locandina dell’incontro al Muciv su Abu Erteila (foto muciv)

Mercoledì 15 settembre 2021, alle 17, al museo delle Civiltà di Roma-Eur, presentazione del volume di Eugenio Fantusati e Marco Baldi “Abu Erteila 2008-2020. Twelve Years of Research in a New Meroitic Site”. Dopo i saluti istituzionali del museo delle Civiltà, interverranno il min. plen. Mohamed Elmouataz Jaffar E. Osman, ambasciata della Repubblica del Sudan a Roma; dr Hatim Elnour, NCAM General Director; S.E. Gianluigi Vassallo, ambasciatore d’Italia a Khartoum; amb. Fabrizio Lobasso, vice direttore per i Paesi dell’Africa sub-sahariana, ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale; prof. Adriano Rossi, presidente ISMEO. È possibile partecipare all’incontro in presenza mostrando all’ingresso la certificazione verde COVID-19 (Green Pass). Contestualmente, l’evento sarà trasmesso in diretta streaming sul canale YouTube accessibile al seguente link: https://youtu.be/KvbqAKXdcs4.

Il tempio maggiore di Abu Erteila in Sudan nella ricostruzione 3D (foto muciv)

Abu Erteila è situata nel moderno Sudan a Nord-Est della città di Shendi in corrispondenza della bocca del Wadi El-Hawad, circa 9 chilometri dalla necropoli di Meroe e meno di 5 chilometri dalla riva orientale del Nilo. Una missione archeologica congiunta italo-russa di ISMEO e dell’Istituto per gli Studi Orientali dell’Accademia russa delle Scienze, attiva sul campo dal 2008, ha portato alla luce i resti di un insediamento che ebbe la sua massima fortuna nel corso del I secolo d.C. Esso ebbe il suo nucleo in un tempio a più ambienti eretto per volontà della coppia reale Natakamani-Amanitore, e fiancheggiato da un edificio residenziale coevo. Un ulteriore edificio culturale di minori dimensioni, dedicato al dio leone Apedemak, fu presumibilmente costruito in epoca precedente. Numerosi rinvenimenti parrebbero indicare la consacrazione del tempio maggiore alla dea Iside: ne rappresentano testimonianza preminente arredi decorati e iscritti realizzati in arenaria ferrosa, riconosciuti dal National Corporation for Antiquities and Museums of Sudan (NCAM) fra le principali scoperte degli ultimi anni dell’archeologia nubiana.

Gea 2021-Ica: “Archeologia e inclusione”. Contributo 11: “Missione Archeologica ISMEO in Turkmenistan” per lo studio nella regione del fiume Murghab (Turkmenistan meridionale) del fenomeno urbano in relazione all’antico sistema idrico

istituto-centrale-per-l-archeologia_logoPer l’edizione 2021 delle Giornate Europee per l’Archeologia, l’ICA – Istituto centrale per l’Archeologia propone il tema guida dal titolo “Archeologia e inclusione. Missioni archeologiche italiane all’estero e comunità locali dei paesi ospitanti: interazioni, coinvolgimento, formazione”. Undicesimo contributo: “Missione Archeologica ISMEO in Turkmenistan”.

Dal 1990 la Missione Archeologica italo-turkmena è impegnata nella regione del fiume Murghab (Turkmenistan meridionale) in numerosi progetti di ricerca. Tali progetti mirano allo studio del fenomeno urbano in relazione all’antico sistema idrico del conoide alluvionale del fiume tra la media età del Bronzo e l’inizio del Ferro (2400-900 a.C.), mediante lo studio della cartografia antica, lo scavo stratigrafico e la ricognizione di superficie. La Margiana dell’età storica è stata spesso considerata a torto un’area storicamente e archeologicamente marginale, posta tra due grandi civiltà, quella dell’Indo a Est e quella mesopotamica a Ovest. In tale regione, la Missione ha proceduto all’analisi e alla ricognizione di un’area di oltre 20mila km2, registrando circa 2000 siti che datano dalla media età del Bronzo al periodo islamico (3° millennio a.C.- 7° – 8° secolo d.C.). Il progetto iniziale, congiunto tra l’Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente (IsMEO) di Roma, la Turkmen State University (TSU) e l’Institute of Archaeology of the USSR Academy of Sciences (IARAN) si è concluso nel 2009. Nel 2014 nasce il nuovo progetto TAP – Togolok Archaelogical Project, che ha come obiettivo principale lo studio del complesso urbano di Togolok 1. Tra il Bronzo Finale (1500 – 1300 a.C.) e l’inizio dell’età del Ferro (1300 – 900 a.C.) la regione del Murghab è interessata da un graduale abbandono dei territori e delle aree urbane più settentrionali e dallo spostamento degli insediamenti più a sud, a causa di un importante fenomeno di inaridimento climatico. Tali aree, parzialmente convertite a pascolo, cominciano ad essere occupate da una popolazione semi-nomade, archeologicamente affine alle culture “Andronovo” delle steppe poste a Nord. Infatti, gli scavi e le ricognizioni portate avanti finora attestano la presenza di due gruppi apparentemente distinti, che convivono negli stessi territori e sfruttano le medesime risorse per la loro sopravvivenza. Lo scavo del sito urbano di Togolok 1, posto in una di queste aree di maggiore interazione interculturale, diviene fondamentale per la comprensione di tale fenomeno. Ad oggi, le campagne di scavo condotte sul sito hanno evidenziato nella fase finale di vita dell’insediamento un’occupazione pastorale semi-stagionale, caratterizzata da strutture leggere, quali tende o semplici ripari, L’interazione con la cultura sedentaria locale si evidenzia chiaramente dalla ricca cultura materiale e dai resti archeobotanici ed archeozoologici che attestano un’economia mista molto complessa. L’indagine dell’insediamento urbano di Togolok 1 pone quindi in una nuova luce il fenomeno di interazione/integrazione tra la popolazione sedentaria e quella semi-nomade e sulla fase di transizione tra la fine dell’età del Bronzo e l’inizio dell’età del Ferro nella Margiana preistorica. La comprensione del complesso processo insediativo e di adattamento all’ambiente da parte delle popolazioni che hanno abitato la Margiana dell’età del Bronzo rimane infatti uno degli obiettivi principali della Missione Archeologica italo-turkmena nella regione centroasiatica.

(11 – continua)

Gea 2021-Ica: “Archeologia e inclusione”. Contributo 1: la missione congiunta irano-italiana dell’università di Bologna e dell’ISMEO a Tol-e Ajori nel Fars (Iran)

istituto-centrale-per-l-archeologia_logoPer l’edizione 2021 delle Giornate Europee per l’Archeologia, l’ICA – Istituto centrale per l’Archeologia propone il tema guida dal titolo “Archeologia e inclusione. Missioni archeologiche italiane all’estero e comunità locali dei paesi ospitanti: interazioni coinvolgimento formazione”. Primo contributo: “La missione congiunta irano-italiana dell’università di Bologna e dell’ISMEO nel Fars”.

Nell’ambito dell’edizione 2021 delle Giornate europee dell’Archeologia, l’ICA condivide volentieri il video della Missione archeologica congiunta iraniano-italiana nel Fars. Nel 2020 la missione, supportata dall’università di Bologna e dall’ISMEO, dall’università di Shiraz, dal Research Institute for Cultural Heritage and Tourism-RICHT e dall’Iranian Centre for Archaeological Research-ICAR, grazie alla sua natura di missione congiunta e alla disponibilità del MAECI e dell’Ambasciata d’Italia a Tehran, ha potuto realizzare i suoi progetti nonostante l’impossibilità dei membri italiani di recarsi in Iran a causa della pandemia. Gli scavi della porta monumentale proto-achemenide di Tol-e Ajori, 3.5 km a SW di Persepoli (Fars centrale), conclusi con la campagna 2018, sono stati ripresi per realizzare i lavori previsti in relazione alla decisione del ministero della Cultura iraniano di esporre ai visitatori questo eccezionale monumento – una copia persiana della Porta di Ishtar di Babilonia ricostruita nei musei di Berlino: decisione che rappresenta un segno di apprezzamento per la collaborazione in Iran della missione dell’università di Bologna e dell’ISMEO, data la collocazione di Tol-e Ajori nell’area del sito Unesco di Persepoli. Poiché la Porta di Tol-e Ajori è costruita con mattoni cotti intorno a un nucleo di mattoni crudi che aveva costretto gli archeologi a riempire nuovamente le trincee scavate nelle campagne effettuate dal 2011, prerequisito per la musealizzazione del monumento era il completamento della costruzione del tetto permanente decisa dalle autorità iraniane. Poiché la costruzione della copertura è ripresa nell’estate del 2020, i co-direttori della missione congiunta hanno deciso di recuperare il ritardo sulla tabella di marcia effettuando i lavori di scavo propedeutici a quelli di conservazione, anch’essi necessari per realizzare la musealizzazione del sito. Grazie alla disponibilità di internet nel sito di Tol-e Ajori, il co-direttore italiano e i suoi collaboratori italiani hanno seguito i lavori, durati dal 15 ottobre 2020 al 19 marzo 2021, via Whatsapp, potendo dialogare con i colleghi iraniani sul campo. Contemporaneamente, una riunione quotidiana tra i membri delle due squadre, iraniana e italiana, ha permesso l’illustrazione dettagliata del lavoro svolto durante la giornata e la pianificazione del lavoro per il giorno successivo: un’esperienza unica e pionieristica di “scavo telematico” che è stata l’unica soluzione possibile per permettere alla missione Italiana di mantenere fede al proprio impegno, e che ha prodotto risultati di ottima attendibilità scientifica, anche e soprattutto per la serietà e competenza dei colleghi iraniani impegnati sul campo. La formula della “missione congiunta” ha dimostrato qui tutta la sua validità, perché l’inclusività e il coinvolgimento di archeologi iraniani e italiani in un progetto scientifico veramente condiviso durato dieci anni hanno permesso la crescita parallela dei componenti della missione indipendentemente dalla loro nazionalità, grazie alla quale la prosecuzione dell’attività nel 2020-21 ha potuto mantenere immutato l’approccio metodologico dello scavo. Alla profonda interazione tra archeologi iraniani e italiani fa riscontro nei confronti della comunità locale un approccio mirante a superare le diffidenze dei proprietari dei terreni ricompresi nell’area attorno alla Terrazza di Persepoli sottoposta a vincolo archeologico. Nei confronti delle comunità locali la missione congiunta ha dall’inizio adottato una politica di inclusione, prospettando i grandi vantaggi di uno sviluppo economico legato al turismo sostenibile.

(1 -continua)

Torino. Al museo Egizio il prof. Andrea Manzo, direttore delle missioni de “L’Orientale” e dell’ISMEO ad Aksum in Etiopia e a Mersa/Wadi Gawasis in Egitto, su “Egitto e Africa. Uno sguardo dal Sudan orientale”- Conferenza on line in collaborazione con Acme

La locandina del prof. Andrea Manzo al museo Egizio di Torino

Lo studio dei rapporti tra Egitto e Africa ha avuto importanti sviluppi negli ultimi anni, ma se la nostra conoscenza delle regioni di transito è aumentata, lo stesso non si può dire delle aree più meridionali coinvolte in questi rapporti, dove molte delle risorse africane apprezzate nell’Egitto antico erano disponibili. Le missioni archeologiche de “L’Orientale” e dell’ISMEO a Mersa/Wadi Gawasis e nelle pianure tra Sudan ed Eritrea hanno contribuito notevolmente allo studio di queste dinamiche. Martedì 2 marzo 2021, alle 18, il museo Egizio di Torino in collaborazione con ACME ospita la conferenza online “Egitto e Africa. Uno sguardo dal Sudan orientale”, a cura del professor Andrea Manzo. La conferenza si terrà in lingua italiana e sarà introdotta da Christian Greco, direttore del museo Egizio. La conferenza verrà trasmessa in diretta streaming sulla pagina Facebook e sul canale YouTube del museo Egizio.

Il prof. Andrea Manzo impegnato nella missione archeologica nel Sudan orientale (foto museo egizio)

Il rapporto con l’entroterra africano ha caratterizzato, pur con variazioni importanti nell’intensità e nelle modalità, tutta la storia faraonica. Nel corso di questa conferenza, i risultati dei due progetti di ricerca delle missioni archeologiche de “L’Orientale” e dell’ISMEO a Mersa/Wadi Gawasis, sulla costa egiziana del Mar Rosso, e nei bassopiani tra Sudan e Eritrea, saranno passati in rassegna e contestualizzati nel quadro dei più recenti sviluppi degli studi condotti in Nubia. In particolare, verranno evidenziati gli apporti che dallo studio delle aree marginali, ovvero delle regioni non immediatamente prossime la valle del Nilo, possono derivare alla nostra comprensione della storia dell’Egitto e di tutta l’Africa nordorientale. In questa prospettiva, verranno discussi alcuni recenti risultati delle ricerche condotte nel Sudan orientale.

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Il prof. Andrea Manzo dell’università “L’Orientale” di Napoli

Andrea Manzo è professore ordinario di Antichità nubiane e Archeologia e antichità etiopiche all’università “L’Orientale” di Napoli. I suoi interessi di ricerca sono l’origine e lo sviluppo delle relazioni economiche e culturali tra le popolazioni protostoriche dell’Africa nordorientale, con particolare riferimento ai contatti avvenuti lungo la valle del Nilo e il mar Rosso. Negli ultimi anni si è dedicato alle culture antiche delle aree marginali dell’Africa nordorientale, in riferimento anche al ruolo di queste regioni nei contatti tra culture e alle dinamiche d’interazione con gli Stati, con particolare attenzione al Deserto Orientale egiziano-sudanese, al Sudan sudorientale ed alla costa del mar Rosso. Ha partecipato a campagne di scavo in Italia, Egitto, Eritrea e Etiopia e dirige le missioni de “L’Orientale” e dell’ISMEO ad Aksum in Etiopia, a Mersa/Wadi Gawasis, in Egitto, e nei bassopiani eritreo-sudanesi.

ArcheocineMANN: al via la seconda edizione, tutta on line, tutta gratuita, con dieci film in concorso e quattro prime nazionali. Ecco il programma

Siete pronti? Tutti all’archeocineMANN con…un semplice click! Dieci film in concorso per il Premio Mann con quattro prime nazionali. E poi film, fuori concorso, della produzione del museo Archeologico nazionale di Napoli. Una serata speciale. E incontri con i protagonisti. Tutto on line. Tutto gratuito per la seconda edizione di archeocineMANN, il festival internazionale del cinema di Archeologia, Arte e Ambiente, organizzato da museo Archeologico nazionale di Napoli in collaborazione con Archeologia Viva/Firenze Archeofilm. L’appuntamento si rinnova online, per non perdere la preziosa occasione di far dialogare arti  solo apparentemente diverse: da mercoledì 2 a domenica 5 dicembre 2020 archeocineMANN arriva in streaming (con accesso gratuito). E dal 6 al 10 dicembre 2020 on demand. Con un semplice click (necessario registrarsi sul portale www.streamcult.it) si potrà assistere, senza barriere spazio-temporali, al meglio della produzione cinematografica dedicata a momenti e civiltà del passato che hanno fatto la storia. La definizione del programma di archeocineMANN, così come l’organizzazione dell’infrastruttura informatica e delle riprese, sono a cura dei Servizi Educativi del Museo (Lucia Emilio, responsabile, con Elisa Napolitano ed Antonio Sacco) insieme ad Archeologia Viva, Firenze Archeofilm. Il supporto tecnico è di Fine Art Produzioni. Ricco il programma, come ricorda il direttore Paolo Giulierini: “Da Olimpia a Canne, dall’Egitto delle Piramidi alla Arles dei  Gladiatori, da Stonehenge al Perù, dai draghi del Medioevo alle ultime ore di Pompei: il museo Archeologico di Napoli vi invita a un viaggio nel tempo e nello spazio partendo dai nostri capolavori”. Vediamo il programma.

Si inizia mercoledì 2 dicembre 2020, alle 10, con due film che concorrono per il Premio Mann: “Olimpia, alle origini dei Giochi” di Olivier Lemaitre (Francia, 52’), e “Apud Cannas”, regia e supervisione 3D di Francesco Gabellone (Italia, 16’). Alle 15, per la sezione “Mann fuori concorso”, “La genesi del MANN. Un viaggio con il Cartastorie” di Damiano Falanga Alcubierre. Produzione: MANN. Realizzazione: Fondazione Il Cartastorie. Quattro episodi: “Scavando tra le carte”, “Il passeggero artista”, “Il tempo dell’Impero Venuti”, “Le stanze vuote”. Segue un’altra produzione MANN: trailer di “Thalassa. Il Racconto”, di Antonio Longo. Testi Antonio Longo e Salvatore Agizza. Alle 16, altri due film per il Premio Mann: “Gladiatori, il ritorno” di Emmanuel Besnard, Gilles Rof (Francia, 26’) e in prima nazionale “Il mondo di Cheope” di Florence Tran (Francia, 52’). Tra i due film, l’incontro / intervista con Patrizia Piacentini, ordinario di Egittologia dell’università Statale di Milano.

Seconda giornata, giovedì 3 dicembre 2020. Alle 10, per il Premio Mann, il film “Mesopotamia in memoriam: appunti su un patrimonio violato. La stagione dei grandi Imperi” di Alberto Castellani (Italia, 60’). Alle 15, per la sezione “Mann fuori concorso”, “La genesi del MANN. Un viaggio con il Cartastorie” di Damiano Falanga Alcubierre. Produzione: MANN. Realizzazione: Fondazione Il Cartastorie. Quattro episodi: “Scavando tra le carte”, “Il passeggero artista”, “Il tempo dell’Impero Venuti”, “Le stanze vuote”. Segue un’altra produzione MANN: trailer di “Thalassa. Il Racconto”, di Antonio Longo. Testi Antonio Longo e Salvatore Agizza. Alle 16, per il Premio Mann, due film in prima nazionale: “Stonehenge. Un grande cimitero” di Nick Gillam-Smith (Austria, 50’) e “Gli ultimi segreti di Nazca” di Jean Baptiste Erreca (Francia,  52’). Tra i due film, l’incontro / intervista con Giuliano Volpe, archeologo e scrittore, dell’università di Bari.

Giovedì 3 dicembre 2020, serata speciale “Giovedì sera al Mann”. Alle 20.45, il film “La Signora Matilde. Gossip dal Medioevo” di Marco Melluso, Diego Schiavo (Italia, 50’). Interviene Syusy Blady (Maurizia Giusti) autrice conduttrice televisiva e “turista per caso”, protagonista del film nei panni di Matilde di Canossa.

Frame del film “Le ultime ore di Pompei” di Pierre Stine

Terza giornata, venerdì 4 dicembre 2020. Alle 10, per il Premio Mann, il film “Mostri e miti” di Carsten Gutschmidt (Germania, 52’). ). Alle 15, per la sezione “Mann fuori concorso”, “La genesi del MANN. Un viaggio con il Cartastorie” di Damiano Falanga Alcubierre. Produzione: MANN. Realizzazione: Fondazione Il Cartastorie. Quattro episodi: “Scavando tra le carte”, “Il passeggero artista”, “Il tempo dell’Impero Venuti”, “Le stanze vuote”. Segue un’altra produzione MANN: trailer di “Thalassa. Il Racconto”, di Antonio Longo. Testi Antonio Longo e Salvatore Agizza. Alle 16, per il Premio Mann, in prima nazionale il film “Le ultime ore di Pompei” di Pierre Stine (Francia, 90’).

Ultima giornata, sabato 5 dicembre 2020. Alle 11, attenzione: solo diretta streaming, il film “Agalma”, vita al museo Archeologico nazionale di Napoli,  film documentario scritto e diretto da Doriana Monaco con le voci di Sonia Bergamasco e Fabrizio Gifuni, selezionato alla 17.ma edizione delle Giornate degli Autori di Venezia 77. Il film è  frutto  di tre anni di lavoro sulla quotidianità  di uno dei più importanti musei del mondo, che ha aperto le porte alla giovane regista allieva di FilmaP – Atelier di cinema del reale di Ponticelli.  “Agalma” è anche un omaggio al classico  “Viaggio in Italia” di  Roberto Rossellini, oggi più che mai significativo: al centro del racconto c’è  il rapporto segreto e sempre nuovo che nasce tra i visitatori e le meraviglie dell’antichità greco-romana, ma anche il respiro appassionato di chi pianifica ogni giorno la vita del museo. Tutto fa emergere il Mann come un grande organismo produttivo, che rivela la sua natura di cantiere materiale e intellettuale. In squadra con la regista, i fonici Filippo Puglia e Rosalia Cecere, il compositore Adriano Tenore, gli aiuti regia Marie Audiffren ed Ennio Donato e per la post produzione la montatrice Enrica Gatto e la colorist Simona Infante. Il film ha ricevuto la menzione speciale al Perso Lab 2019.

Il film “Enquêtes archéologiques. Persépolis, le paradis perse / Indagini archeologiche. Persepoli, il paradiso persiano” di Angès Molia, Raphaël Licandro

Alle 16, per il Premio Mann, il film “Persepoli, il paradiso persiano” di Angès Molia, Raphaël Licandro (Francia, 26’). Segue l’incontro / intervista con Pierfrancesco Callieri, ordinario di Archeologia dell’Iran preislamico all’università di Bologna – ISMEO. Quindi si procede alla cerimonia di consegna del Premio Mann seconda edizione. Chiude archeocineMANN il film fuori concorso “Scritto sulla pietra” di Farhad Pakdel (Iran, 17’).  

Roma. Seconda tappa verso la nuova sede del museo nazionale di Arte Orientale. All’Eur, il Muciv apre due mostre: una con i reperti delle missioni archeologiche italiane dell’Ismeo in Libia, l’altra con i reperti dagli scavi in Pakistan, Iran e Afghanistan

Il museo Pigorini si affaccia su piazza Marconi all’Eur ospita la prima selezione di oggetti delle collezioni del Mnao

A dicembre 2017 più di 650 preziosi reperti provenienti dalla Spagna moresca alla Birmania, dall’Iran all’area himalayana, dall’India alla Corea, esposti in oltre 60 vetrine allestite al museo nazionale Preistorico ed Etnografico “Luigi Pigorini” all’Eur di Roma. Ora due nuove importanti mostre temporanee: “Impressioni d’Africa” e “Città, palazzi e monasteri. Le avventure archeologiche dell’IsMEO/IsIAO in Asia”: il work in progress “Aperti per lavori” procede come da programma che, per la fine del 2019, vedrà l’apertura del museo nazionale di Arte Orientale “Giuseppe Tucci” nella nuova sede in piazza Marconi all’Eur, con oltre 10mila mq di nuovi percorsi espositivi e spazi per servizi aggiuntivi (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2017/12/20/roma-a-50-giorni-dalla-chiusura-di-palazzo-brancaccio-al-pigorini-delleur-apre-la-mostra-aperti-per-lavori-con-la-prima-selezione-di-650-oggetti-delle-collezioni-del-museo/). L’appuntamento venerdì 2 febbraio 2018 alle 16.30 al museo delle Civiltà, negli spazi del museo delle Arti e tradizioni popolari “Lamberto Loria” all’Eur, per l’inaugurazione di due importanti mostre temporanee: “Impressioni d’Africa” e “Città, palazzi e monasteri. Le avventure archeologiche dell’IsMEO/IsIAO in Asia”, a coronamento dell’allestimento provvisorio delle collezioni d’arte orientale, trasportate dalla precedente sede di Palazzo Brancaccio in via Merulana. Le mostre sono state realizzate nel quadro delle molteplici attività di valorizzazione e promozione del prestigioso patrimonio acquisito dal Museo delle Civiltà che ha accorpato in sé, in base alla Riforma Franceschini, quattro importanti musei romani: museo preistorico etnografico “Luigi Pigorini”, del museo delle arti e tradizioni popolari “Lamberto Loria”, del museo dell’alto Medioevo “Alessandra Vaccaro”, del museo dell’arte orientale “Giuseppe Tucci”.

L’arco dell’imperatore Marco Aurelio a Tripoli in un’immagine dei primi del Novecento

La mostra “Impressioni d’Africa” è aperta al museo delle Arti e tradizioni popolari “Lamberto Loria” all’Eur

La prima mostra, allestita in sala Loria, “Impressioni d’Africa”, a cura di Egidio Cossa, Mariastella Margozzi e Margherita Bedello, ci porta alle collezioni di quello che fu il museo Italo-africano di Roma: racconta, attraverso dipinti, sculture e oggetti d’artigianato, le peculiarità di una collezione ricca e particolare, sulla quale le vicende storiche e culturali seguite alla seconda guerra mondiale e alla fine del colonialismo, hanno calato un progressivo e prudente sipario. Si tratta di un numero assai elevato di oggetti, tra cui diverse migliaia di carattere etnografico e centinaia di carattere militare ed economico, testimonianze della storia italiana in Africa, delle conquiste, dei rapporti con le popolazioni locali, delle produzioni agricole e artigianali preesistenti alle conquiste coloniali e poi inglobate nell’economia nazionale. I materiali scelti per la mostra vengono presentati per la prima volta al pubblico dopo l’acquisizione dal museo delle Civiltà della collezione che fino a qualche anno fa apparteneva all’IsMEO – Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente. Il contesto e l’allestimento in cui oggi essa viene proposta al pubblico è certo quello più adatto a farne scoprire e comprendere pienamente l’interesse artistico e tutta la valenza storica e antropologica. In Africa settentrionale, infatti, sono state portate avanti importanti campagne di scavo archeologico italiane: non è un caso che parte cospicua della mostra sia dedicata alla documentazione delle rovine di Leptis Magna, presentate attraverso il prezioso plastico realizzato all’inizio degli anni Trenta direttamente sul sito archeologico libico e accompagnate da fotografie d’epoca, incisioni e dipinti che raccontano le vicende relative allo scavo e la grande suggestione che scaturì dalla scoperta dell’antica città romana. Ognuna delle opere esposte costituisce una documentazione insostituibile di un’epoca e di un pensiero sull’Africa che, nonostante il tempo trascorso, riesce a restituire il fascino di un’esperienza condivisa da moltissimi artisti tra ‘800 e ‘900, dagli ottocentisti orientalisti come Pompeo Mariani, Augusto Valli, Giorgio Oprandi, Giuseppe Valeri ai più realistici pittori di Colonia, animati dal desiderio di raccontare il quotidiano di quelle terre e di quei popoli senza il velo poetico dei primi, come Eduardo Ximenes, Teodoro Wolf Ferrari, Mario Ridola, Giuseppe Rondini, Milo Corso Malverna.

Un rilievo dell’arte di Gandhara esposto nella mostra “Città, palazzi, monasteri. Le avventure archeologiche dell’IsMEO/IsIAO in Asia”

La seconda mostra, in sala Dossier, “Città, palazzi, monasteri. Le avventure archeologiche dell’IsMEO/IsIAO in Asia”, a cura di Gabriella Di Flumeri, Laura Giuliano, Michael Jung e Giovanna Lombardo, ci fa rivivere le missioni in Pakistan nella Valle dello Swat, in Afghanistan nella regione di Ghaznì e in Iran, nella regione orientale del Sistan. Le ricerche archeologiche furono condotte dall’IsMEO (Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente) fondato nel 1933 da Giovanni Gentile e dall’insigne tibetologo Giuseppe Tucci, che già a partire dal 1929 aveva intrapreso una serie di viaggi di studio e di scoperte nella regione himalayana e che nel 1947 assunse la carica di presidente dell’Istituto, dando nuovo impulso alle ricerche archeologiche in Asia. Tra il 1950 e il 1955 vengono condotte diverse spedizioni in Nepal, in particolare nell’area del Karakorum, e della seconda metà degli anni cinquanta solo le felici campagne archeologiche in Pakistan, Afghanistan e in Iran. L’attività della Missione Archeologica Italiana dell’IsMEO/IsIAO in Pakistan, iniziata nel 1956 è proseguita fino a oggi. I primi scavi sistematici vennero condotti nell’abitato di epoca storica di Udegram e nell’area sacra buddhistica di Butkara I, ove furono rinvenuti numerosissimi rilievi in scisto appartenenti all’Arte del Gandhara aventi come soggetto la vita del Buddha storico.

Il primo scavo sistematico di Shahr-e Sokhta fu diretto da Maurizio Tosi (Ismeo) dal 1967

Il sito Shahr-e Sokhta la “città bruciata”, in Iran, è fondamentale per lo studio dello sviluppo culturale nell’Altopiano iranico; la città, infatti, fu importante per la lavorazione e il commercio a lunga distanza delle pietre semipreziose. I materiali di questo sito, ceramiche, ami, punte di lancia, sigilli, documentano lo sviluppo di un centro urbano proprio nel momento della nascita e della diffusione dell’urbanizzazione nel Vicino Oriente. Infine, sono esposti i reperti provenienti da Ghazni, in Afghanistan, tra questi meritano particolare attenzione soprattutto i marmi dal palazzo, scavato dalla Missione Archeologica Italiana tra il 1958 e il 1966 e datato all’XI secolo; oltre ad essere una rara testimonianza dell’architettura palaziale medioevale, il palazzo costituisce, con la sua lunga iscrizione in versi persiani, un esempio di come l’eredità iranica pre-islamica sia stata recuperata all’interno della comunità musulmana.

Roma, a 50 giorni dalla chiusura di Palazzo Brancaccio al Pigorini dell’Eur apre la mostra “Aperti per lavori” con la prima selezione di 650 oggetti delle collezioni del museo di Arte orientale “Tucci”. E a gennaio mostra sulle missioni Ismeo, dallo Swat in Pakistan a Ghanzi in Afghanistan a Shahr-e Sokhta in Iran

Il museo Pigorini si affaccia su piazza Marconi all’Eur ospiterà la prima selezione di oggetti delle collezioni del Mnao

Filippo Maria Gambari, direttore del museo delle Civiltà, che accorpa il museo Pigorini, il museo Tucci, il museo dell’Alto Medioevo e il museo delle Arti e tradizioni popolari

Chiudere per rinascere. Lasciare la vecchia sede nel cuore di Roma per raddoppiare gli spazi espositivi nella nuova all’Eur. Il direttore del museo delle Civiltà, Filippo Maria Gambari, l’aveva detto, respingendo ogni accusa e polemica: per il museo d’Arte orientale “Giuseppe Tucci” il 31 ottobre 2017 non si celebra il de profundis. Semplicemente – anche se si tratta di un progetto complesso e ambizioso – le ricche e preziose collezioni hanno lasciato Palazzo Brancaccio in via Merulana a Roma, ormai inadeguato perché si tratta di una residenza privata data in affitto, e iniziato a traslocare in piazza Marconi all’Eur: un’operazione di almeno tre anni (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2017/10/31/il-museo-nazionale-darte-orientale-giuseppe-tucci-a-roma-non-chiude-ma-raddoppia-il-direttore-del-muciv-anticipa-lambizioso-progetto-per-il-trasferimento-in-tre-an/). Sono passati cinquanta giorni dalla chiusura della sede di Palazzo Brancaccio, e all’Eur arrivano le preziose collezioni del museo Tucci: un laborioso e impegnativo trasferimento del museo d’arte orientale che si prevede di concludere per la fine di gennaio 2018. Intanto ecco il primo evento.

Il ritratto di Batmalkû e Hairan sul rilievo funerario palmireno conservato al museo Tucci di Roma

In attesa dell’innovativa esposizione negli spazi recentemente acquisiti dal Mnao programmato per la fine del 2019, giovedì 21 dicembre 2017, alle 16:30 si inaugura la mostra “Aperti per lavori” che consentirà al pubblico di rivedere nel contesto dei locali del museo Preistorico etnografico “Luigi Pigorini” tutte le sezioni del museo d’Arte orientale: più di 60 vetrine con oltre 650 preziosi reperti provenienti dalla Spagna moresca alla Birmania, dall’Iran all’area himalayana, dall’India alla Corea. “Aperti per lavori” è una mostra  temporanea destinata a crescere nel tempo – spiega la direzione del Muciv –: “Man mano che gli oggetti arriveranno all’Eur sarà arricchita, rendendo il pubblico partecipe di questo work in progress”. Insieme alla celebre stele di Palmira, alle porcellane cinesi, alle armature giapponesi, alle divinità tibetane, ai celandon coreani e ai rilievi del sud Arabia, i visitatori troveranno fin dal 21 dicembre anche nuovi percorsi descrittivi che consentiranno di riavviare da subito l’importante attività didattica e culturale precedentemente svolta nella vecchia sede di via Merulana. “Entro la fine di gennaio sarà poi aperta al pubblico una mostra tematica temporanea sulle missioni archeologiche dell’IsMEO, presso l’altra sede del museo delle Civiltà nel Palazzo delle arti e tradizioni popolari, nella quale saranno esposti i rarissimi fregi di arte del Gandhara nella valle dello Swat in Pakistan, con episodi della vita del Buddha, i preziosi marmi dal Palazzo del Sultano Mas’ud III a Ghazni in Afghanistan e i reperti provenienti dall’antica città di Shahr-i Sokhta sulle vie carovaniere tra Vicino Oriente e Asia centrale”.

Il museo nazionale d’Arte orientale “Giuseppe Tucci” a Roma non chiude ma raddoppia: il direttore del Muciv anticipa l’ambizioso progetto per il trasferimento in tre anni delle collezioni da Palazzo Brancaccio in via Merulana all’Eur. Ecco i progetti di mostre e allestimenti temporanei fino all’apertura nel 2019

Palazzo Brancaccio, sede storica del museo nazionale d’Arte orientale “Giuseppe Tucci”, in via Merulana a Roma

Cosa c’è di vero nella chiusura del museo nazionale d’Arte orientale “Giuseppe Tucci” in via Merulana a Roma il 31 ottobre 2017? Che fine faranno le preziose collezioni? Sono solo notizie false, quelle fake news di cui tanto si parla? Respinge tutti questi allarmi Filippo Maria Gambari, direttore del museo delle Civiltà, istituto autonomo che ha accorpato il museo Tucci, e che da tempo è bersaglio di petizioni, manifestazioni, post, con domande sul futuro del museo e delle sue collezioni, sulla valorizzazione del suo patrimonio, sulla possibilità di poterlo rivedere. Gambari non si limita a smentire che la chiusura del 31 ottobre sia la tomba del Mnao, ma cerca di rispondere a ogni dubbio sollevato anticipando quanto verrà illustrato al pubblico nell’incontro “Aperti per lavori. Le prospettive e i progetti del museo delle Civiltà”, in programma il 1° novembre 2017, alle 10.30, al museo Preistorico etnografico “Luigi Pigorini” all’Eur di Roma. Così si scopre che c’è un preciso progetto di potenziamento delle collezioni di via Merulana, finanziato come investimento con circa 10 milioni di euro su fondi Cipe nel triennio 2017-2019: “Un passo di adeguamento e potenziamento del museo delle Civiltà”, sottolinea Gambari, “ma anche un’occasione unica per una reale rinascita e innovazione del museo d’Arte orientale Giuseppe Tucci”.

Filippo Maria Gambari, direttore del museo delle Civiltà, che accorpa il museo Pigorini, il museo Tucci, il museo dell’Alto Medioevo e il museo delle Arti e tradizioni popolari

Tre anni per rinascere. Il direttore del Muciv snocciola le tappe del progetto. “Si parte in dicembre 2017 con la mostra “Aperti per lavori”:  su una superficie circa pari all’attuale superficie museale saranno disponibili al pubblico, in una mostra temporanea negli spazi disponibili del museo Preistorico etnografico nazionale Pigorini, i più rappresentativi materiali delle diverse sezioni del museo (circa un 40% del totale). A gennaio 2018 è prevista una prima presentazione antologica temporanea delle collezioni Ismeo e Isiao nei locali del museo di Arti e tradizioni popolari. Verso maggio 2018 si inaugurerà nel Salone delle Scienze del museo Pigorini una mostra temporanea di costumi cinesi, in occasione degli scambi Italia-Cina nell’ambito del progetto Via della Seta 4.0. Verso ottobre, per il centocinquantenario dell’avvio delle relazioni diplomatiche tra Italia e Thailandia, si inaugurerà una grande mostra in cui saranno esposti, con altri in prestito, i reperti da quest’area provenienti dalle collezioni del museo d’Arte orientale e del museo Pigorini. Nel 2019 saranno aperti gradualmente tutti i nuovi allestimenti delle sezioni d’arte orientale, aggiornati e finalmente resi consoni ai principi più avanzati della museografia europea, nei nuovi spazi Inail a lato dello sviluppo delle sezioni Preistoriche ed etnografiche (che si estendono su una superficie che risulta oltre il doppio delle attuali e più fruibile), con caffetteria, bookshop, oggettistica e tutto quanto risulta indispensabile per un museo nazionale contemporaneo, concepito come aperto e inclusivo e non come un salotto antiquario. Tutto questo ovviamente non era e non sarebbe mai stato possibile a Palazzo Brancaccio in via Merulana”.

Il museo Pigorini si affaccia su piazza Marconi all’Eur dove si articoleranno tutte le sedi del museo delle Civiltà

Il Mnao muoverà dunque dal centro storico di Roma all’Eur. Proprio il museo delle Civiltà, come previsto alla sua fondazione nel 2016, è al momento fortemente impegnato nel trasferimento – e nel riallestimento molto rapido all’Eur in nuovi spazi messi a disposizione dall’Inail sempre nel complesso di piazza Guglielmo Marconi – del museo d’Arte orientale “Giuseppe Tucci”. “Un compito complesso”, continua Gambari, “perché è la prima volta, dallo spostamento un po’ tumultuoso all’Eur del museo Pigorini tra il 1975 e il 1977, che si rilocalizza in Roma un grande museo nazionale. Ben consapevoli di questo, dopo un’approfondita fase di progettazione, si è giunti al programma di lavoro che tutto il personale del Muciv, che comprende anche il personale del Mnao con tutti gli specialisti delle singole sezioni, sta affrontando con grande professionalità e senso di responsabilità”. Attualmente le collezioni in via Merulana sono fruibili solo in parte perché, anche senza contare i depositi, circa un quarto delle sale espositive sono chiuse al pubblico, a causa di un principio di incendio per un cortocircuito dell’impianto di condizionamento nell’agosto 2016, che ha costretto a uno sgombero d’urgenza il museo.

I preziosi interni di Palazzo Brancaccio che ha ospitato le collezioni di arte orientale

Il museo d’Arte orientale occupa gli spazi di Palazzo Brancaccio in via Merulana a Roma dal 1957. “Quella sede, provvisoria e in affitto da privati, fu scelta solo perché sede dell’Ismeo, oltre che di una parte della soprintendenza di Ostia. Con il trasferimento verso la fine degli anni ’90 di quest’ultima e dell’Ismeo (proprio per l’improponibilità del protrarsi della locazione) cessa ogni legame strutturale per la permanenza del Mnao in affitto in una sede privata (in contraddizione con quanto disposto in anni recenti dalla spending review e con tutte le prescrizioni della Corte dei Conti sulla valorizzazione del demanio dello Stato e sulla riduzione delle locazioni passive) che, nonostante tutti i canoni versati in circa 60 anni di affitto (più o meno un totale corrispondente a 5 volte l’indennità di esproprio), non ha mai potuto essere acquisita al patrimonio pubblico proprio per i suoi evidenti difetti strutturali. La valorizzazione di Palazzo Brancaccio, di cui l’ex Mnao occupa solo alcuni appartamenti e che ha gli evidenti limiti di una residenza privata vincolata, può e deve avvenire attraverso usi pubblici o privati compatibili e idonei con tale destinazione”.

Le vetrine del museo di Arte orientale in una sala di Palazzo Brancaccio a Roma

La sede di via Merulana – ribadisce Gambari – non è adeguata, in una visione moderna, a ospitare il museo nazionale d’Arte orientale perché si tratta di un condominio in cui i servizi comuni (portineria, scale, ascensore), ormai con evidenti problemi gestionali e di sicurezza, sono condotti da privati, a questo si aggiungano anche probabili contenziosi dell’eredità della principessa Brancaccio che possono interagire con relazioni contrattuali legati al Palazzo. “I problemi strutturali sono notevoli: i passaggi tra le sale sono tipici di una residenza e non adatti all’affluenza di un grande pubblico, manca qualsiasi montacarichi, manca l’ascensore (quello storico, per poche persone, è completamente fuori standard per il servizio al pubblico, e categoricamente proibito a qualsiasi trasporto di materiali anche leggeri). Il cortocircuito con principio d’incendio del 2016 ha messo in evidenza difetti impiantistici e obbliga, per la concessione ex-novo della certificazione di legge, all’adeguamento di impianti e struttura agli alti standard attuali, che mal si adattano, per costi e per impatto sull’apparato murario e decorativo, all’intervento in una delicata struttura residenziale antica di alto pregio in proprietà privata”.

La pianta con la nuova organizzazione degli spazi delle diverse collezioni accorpate nel museo delle Civiltà

E così il “Tucci” andrà all’Eur. “I risparmi operativi alla fine saranno consistenti, anche senza considerare le economie di scala nella gestione accentrata in un’unica struttura attorno a piazza Guglielmo Marconi delle diverse componenti museali del Muciv, ma la motivazione prevalente è quella di valorizzare e potenziare con un’amministrazione corretta, non di risparmiare. L’affitto per un po’ meno di un milione di euro annui dall’Inail (cioè in una sostanziale partita di giro all’interno del patrimonio dello Stato, non un versamento a privati) di oltre 10mila mq di edifici pensati e costruiti dall’origine per ospitare musei, magazzini e mostre rispetto ai 3mila mq di porzioni di un palazzo nobiliare in via Merulana, affittati per circa 700mila euro annui, è ovviamente più vantaggioso e non paragonabile. Gli spazi previsti nella nuova sede di circa mille mq destinati a servizi museali in locazione (ristorazione/caffetteria di qualità, un ampio bookshop specializzato, un temporary shop) saranno anche fonte di canoni che abbatteranno a bilancio consuntivo la locazione stessa. Il fatto che la proprietà di via Merulana abbia offerto un affitto ridotto per 480mila euro, a fronte della limitazione del museo quasi alle sole sale espositive, evoca altre considerazioni. Nel nuovo contratto sarebbero infatti esclusi i locali occupati dalla biblioteca, da un laboratorio e da parte degli uffici”.

Shiva e Parvati: il prezioso rilievo fa parte delle collezioni del museo di Arte orientale

Un futuro per il Mnao nella tradizione o snaturato? Gambari tranquillizza ricercatori e appassionati. “Il museo nazionale d’Arte orientale tendeva già ad essere, pur senza spazi adeguati e senza idonee possibilità di sviluppo, molto più di un museo di oggetti artistici. All’interno del nuovo museo delle Civiltà manterrà la propria identità (e l’intestazione a Giuseppe Tucci), ma si legherà alle eccezionali e non esposte al pubblico collezioni etnografiche dall’Asia del museo Pigorini (come si vedrà già nella mostra sulla Thailandia tra un anno) e si potrà finalmente aprire anche a tutta una serie di visioni trasversali e rivolte a un’utenza più ampia, in una logica di presentazione non solo di oggetti ma di culture, civiltà e occasioni di dialogo e relazioni interculturali. Il nuovo allestimento – conclude – consentirà l’integrazione multimediale, la realtà aumentata, le sollecitazioni emozionali, il multilinguismo, con una realizzazione innovativa che sarà poi estesa di ritorno anche alle sezioni del museo Pigorini, del museo dell’Alto Medioevo, del museo delle Arti e tradizioni popolari”.

Annunciate le cinque grandi scoperte archeologiche del 2016 in lizza per il terzo International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad” promosso da Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico e Archeo: in Egitto i graffiti di 120 navi; in Francia opere architettoniche di Neanderthal; in Iraq città dell’età del Bronzo; in Pakistan città indo-greca; in Inghilterra tavolette lignee romane

L’archeologo siriano Khaled Asaad, decapitato dall’Isis il 18 agosto 2015: a lui è dedicato l’International Archaeological Discovery Award

Ugo Picarelli, direttore della Bmta

In Egitto, l’edificio della barca di Sesostri III e i graffiti di 120 navi ad Abido; in Francia, la prima opera architettonica dei Neanderthal in una caverna di Bruniquel; in Iraq, la grande città dell’Età del Bronzo presso il piccolo villaggio curdo di Bassetki; in Pakistan, la città indo-greca di Bazira; nel Regno Unito, le 400 tavolette di epoca romana ritrovate nella City di Londra. Di cosa stiamo parlando? Si tratta delle prime cinque scoperte archeologiche del 2016, candidate alla vittoria della terza edizione dell’International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad”, l’unico riconoscimento a livello mondiale dedicato al mondo dell’archeologia e in particolare ai suoi protagonisti, gli archeologi, che con sacrificio, dedizione, competenza e ricerca scientifica affrontano quotidianamente il loro compito nella doppia veste di studiosi del passato e di professionisti a servizio del territorio. Ad annunciarlo Ugo Picarelli, direttore della Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico, e  Andreas Steiner, direttore della rivista Archeo, che hanno inteso dare il giusto tributo alle scoperte archeologiche attraverso un Premio annuale assegnato in collaborazione con le testate internazionali, tradizionali media partner della Borsa:Current Archaeology (Regno Unito), Antike Welt (Germania), Dossiers d’Archéologie (Francia),  Archäologie der Schweiz (Svizzera). Il Premio sarà assegnato alla scoperta archeologica prima classificata, secondo le segnalazioni ricevute da ciascuna testata. Inoltre, sarà attribuito uno “Special Award” alla scoperta, tra le prime cinque classificate, che avrà ricevuto il maggior consenso dal grande pubblico attraverso la pagina Facebook della Borsa (www.facebook.com/borsamediterraneaturismoarcheologico) nel periodo 5 luglio – 29 settembre. I premi saranno consegnati venerdì 27 ottobre – in occasione della XX BMTA, nell’area archeologica della città antica di Paestum dal 26 al 29 ottobre – alla presenza dei direttori delle testate che intervisteranno i protagonisti. Nella 1ª edizione (2015) il Premio è stato assegnato a Katerina Peristeri, responsabile degli scavi della Tomba di Amphipolis (Grecia); la 2ª edizione (2016) ha premiato l’Inrap (Institut National de Recherches Archéologiques Préventives, Francia), nella persona del presidente Dominique Garcia, per la scoperta della Tomba celtica di Lavau, alla presenza di Fayrouz Asaad archeologa e figlia di Khaled al-Asaad e Mohamad Saleh ultimo direttore per il Turismo di Palmira. I direttori Picarelli e Steiner hanno condiviso questo cammino in comune, consapevoli che “le civiltà e le culture del passato e le loro relazioni con l’ambiente circostante assumono oggi sempre più un’importanza legata alla riscoperta delle identità, in una società globale che disperde sempre più i suoi valori”. Il Premio, dunque, si caratterizza per divulgare uno scambio di esperienze, rappresentato dalle scoperte internazionali, anche come buona prassi di dialogo interculturale e cooperazione tra i popoli. Vediamo meglio le prime cinque scoperte archeologiche in nomination per il terzo International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad”

i resti di una grande città del Bronzo scoperta in Iraq, vicino al villaggio curdo di Bassetki dalla missione dell’università di Tubinga

GRANDE CITTÀ DELL’ETÀ DEL BRONZO NEL NORD DELL’IRAQ  Gli archeologi dell’Istituto di Studi del Vicino Oriente Antico dell’Università di Tubinga (IANES) hanno scoperto una grande città dell’Età del Bronzo nel nord dell’Iraq, presso il piccolo villaggio curdo di Bassetki non lontano dalla città di Dohuk, nella regione autonoma del Kurdistan, fondata intorno al 3000 a.C. e la cui storia si protrasse per 1200 anni. Gli archeologi hanno anche scoperto strati di insediamento risalenti all’impero accadico (2340-2200 a.C.), che è considerato il primo impero del mondo nella storia umana. I ricercatori sono coordinati dal prof. Peter Pfalzner dell’Università di Tubinga e dal dott. Hasan Qasim della Direzione delle Antichità di Dohuk. La città possedeva un muro difensivo, che correva intorno alla parte superiore della città già nel 2700 a.C. e che doveva proteggere i suoi abitanti dai nemici. Sono stati rinvenuti, anche, frammenti di tavolette cuneiformi assire risalenti al 1300 a.C. circa, che ha suggerito l’esistenza di un tempio dedicato al dio mesopotamico della tempesta Adad. Con la misurazione geomagnetica gli archeologi hanno individuato una vasta rete stradale, vari quartieri residenziali, grandi case e un edificio sontuoso dell’Età del Bronzo. Gli abitanti della città sconosciuta seppellivano i loro morti fuori dal perimetro cittadino. La città era collegata ai vicini insediamenti mesopotamici ed anatolici tramite un percorso viario risalente al 1800 a.C. circa.

La città indo-greca di Bazira, l’attuale Barikot, scoperta dalla missione dell’Ismeo nella valle dello Swat in Pakistan

CITTÀ INDO-GRECA DI BAZIRA IN PAKISTAN La scoperta della città di Bazira, l’attuale Barikot, nella valle pakistana dello Swat, grazie al lavoro di Francesco Palmieri dell’ISMEO, è stata asseverata dagli esami sui materiali rinvenuti che si sono appena conclusi. La valle, nota alle cronache per il suo emirato talebano e l’attentato a Malala Yusufzai e alle sue compagne di scuola, sembra rientrata nella normalità, è meta del turismo archeologico con nuovi siti scavati e il Museo inaugurato nel 2013. Lo scavo di Barikot, l’antica Bazira (12 ettari inclusa l’acropoli) riguarda circa un ettaro dei quartieri sud-occidentali dell’antica città. Lo scavo condotto dalla Missione e dal Directorate of Archaeology and Museums della Provincia del Khyber-Pakhtunkhwa è finanziato dal progetto ACT nell’ambito dell’accordo italo-pakistano di riconversione del debito. Bazira fu assediata e conquistata dai macedoni di Alessandro Magno verso la fine del quarto secolo a.C. L’archeologia aveva datato la città al periodo indogreco, quasi due secoli dopo Alessandro, al tempo del re Menandro, il re greco di fede Buddhista, le cui monete sono state ritrovate nello scavo. La città si sviluppò e fu poi abbandonata alla fine dell’Impero Kushana nella seconda metà del terzo secolo d.C. anche in concomitanza con un devastante terremoto. Lo scavo presenta livelli cospicui della città indogreca, che finora era nota grazie al monumentale muro di cinta (metà del secondo secolo a.C.) esposto per molti tratti, con i suoi bastioni e terrapieni. Per la costruzione del muro di cinta indogreco fu tagliata artificialmente una stratigrafia molto antica lungo il perimetro delle mura, esponendo i resti di un villaggio preistorico. Lo studio dei materiali ha rivelato che i livelli urbani pre-indogreci trovati dentro la città, sono databili con assoluta certezza alla metà del terzo secolo a.C., addirittura un secolo più antichi delle mura cittadine, quindi in piena fase Maurya. Non solo, ma anche che effettivamente il villaggio protostorico rivelato dalla trincea di fondazione all’esterno del muro di cinta, risale al 1.100-1.000 a.C.

L’edificio della barca funeraria di Sesostri III e i graffiti di 120 navi scoperti ad Abido, in Egitto, scoperta dalla missione dell’università della Pennsylvania

L’EDIFICIO DELLA BARCA DI SESOSTRI III E I GRAFFITI DI 120 NAVI AD ABIDO IN EGITTO La spettacolare scoperta è stata effettuata ad Abido Sud (città dell’antico Egitto, rinvenuta intorno l’odierna el-‛Arābah el-Madfūnah sul deserto occidentale presso el-Bályanā, a circa 530 chilometri a sud del Cairo), dalla Missione del Penn Museum (University of Pennsylvania) diretta da Josef Wegner. Nei pressi del complesso funerario di Sesostri III (1878-1841), infatti, tra il 2014 e il 2016, è stata liberata dalla sabbia una struttura sotterranea già nota dal 1904 (Arthur Weigall, Egypt Exploration Fund), ma mai scavata. Si tratta di una camera rettangolare (21 x 4 m) in mattoni crudi con copertura a volta a botte, sulle cui pareti stuccate di bianco è stato individuato un gran numero, 120, di graffiti che rappresentano imbarcazioni di diverso tipo e grandezza (da 10 cm al 1,5 m), più alcune immagini di gazzelle, bovini e fiori. La resa dei particolari è molto precisa grazie alla presenza di alberi, vele, cabine, timoni, remi e vogatori. Anche se l’utilizzo della struttura non è ancora del tutto chiaro, è probabile che il cosiddetto “Boat building” ospitasse la barca funeraria del faraone di XII dinastia, di cui si sono conservate alcune tavole deposte in una cavità al centro della stanza. Molto interessante è anche il ritrovamento di oltre 145 “giare da birra”, sepolte lungo il viale d’accesso alla camera, molte delle quali con il collo rivolto proprio verso l’ingresso. La presenza di queste ceramiche è stata spiegata come sepoltura simbolica di contenitori di acqua, su cui far galleggiare la barca reale nel viaggio nell’aldilà o come deposito dei vasi effettivamente usati per la lubrificazione del terreno durante il traino del natante nella struttura.

Le stalagmiti della caverna di Bruniquel, in Francia, prima opera architettonica dell’uomo di Neanderthal scoperta dall’università di Bordeaux

LA PRIMA OPERA ARCHITETTONICA DEI NEANDERTHAL IN UNA CAVERNA DI BRUNIQUEL NEL SUD DELLA FRANCIA Quattrocento pezzi di stalagmiti, assemblati in modo da formare due anelli imponenti, al centro dei quali venivano forse accesi dei fuochi, costruiti molto probabilmente dagli uomini di Neanderthal, che erano capaci di realizzare progetti complessi di architettura. Lo studio è stato coordinato da Jacques Jaubert dell’Università di Bordeaux. Scoperti nelle profondità della caverna di Bruniquel, nel sud della Francia nel 1992, questi anelli sono stati studiati solo ora. Gli uomini di Neanderthal vissero in Europa tra i 400mila e i 40mila anni fa. Fino all’arrivo dall’Africa degli Homo Sapiens, nostri progenitori diretti, furono gli unici esseri umani a popolare il continente. Della loro esistenza e del loro aspetto sappiamo soprattutto grazie ai frammenti di scheletri rinvenuti dai paleontologi. In Italia uno degli esemplari meglio studiati è l’Uomo di Altamura, un Neanderthal caduto nella grotta di Lamalunga (Bari) e lì rimasto intrappolato fino al suo ritrovamento. Gli anelli sono composti da circa 400 pezzi di stalagmiti, con dimensioni che vanno dai 2 ai quasi 7 metri, e risalgono a 176.000 anni fa. Il che fa di questa costruzione la più antica finora conosciuta realizzata dall’uomo. La loro società aveva già degli elementi di modernità, come l’organizzazione dello spazio, l’uso del fuoco e l’occupazione delle caverne. La loro presenza, a 366 metri dall’entrata della grotta, dimostra che questi antenati dell’uomo avevano già dominato l’ambiente sotterraneo. Che gli anelli siano stati costruiti con pezzi di dimensioni simili indica che la loro costruzione è stata progettata attentamente, anche se la funzione non è del tutto chiara. Le ipotesi formulate vanno dal rifugio al significato simbolico. Si sapeva dal 1992 delle strutture fatte con stalagmiti, ma non si conosceva la data di realizzazione. L’equipe di Jaubert è riuscita a datare la polvere che ha ‘saldato’ tra loro le stalagmiti dopo che erano state deposte. E questo ci permette di attribuire la costruzione a Neanderthal.

Una delle 400 tavolette lignee di età romana scoperte nella City di Londra durante lo scavo per la realizzazione di un edificio

NELLA CITY DI LONDRA 400 TAVOLETTE DI EPOCA ROMANA  Nella City di Londra, durante i lavori per la costruzione di un edificio per la multinazionale della comunicazione Bloomberg, sono state rinvenute 405 tavolette di epoca romana. L’area del ritrovamento è quello dove una volta sorgeva il tempio di Mitra. Delle tavolette scoperte ne sono state decifrate 87 e risultano di estrema importanza in quanto forniscono una serie di interessanti informazioni relative agli abitanti della città. In particolare prima e dopo la rivolta di Boudicca, la regina della tribù degli Iceni, che nel 61 d.C. condusse la più importante rivolta antiromana, per cui la città di Londinium fu letteralmente rasa al suolo. Alcune delle tavolette documentano la rapida ripresa della città dopo la distruzione. Ad esempio in una di esse è riportato un contratto datato 21 ottobre 62 d.C. e fa riferimento ad un carico di provvigioni da consegnare. In una tavoletta in particolare, datata 65 d.C. appare il nome Londinium, e rappresenta il riferimento scritto più antico della capitale. È grazie al fango del torrente Walbrook (ora interrato) che le tavolette si sono conservate. La mancanza di ossigeno ha impedito il deterioramento del legno. Ovviamente sono rimaste solo le incisioni sul legno mentre lo strato di cera è scomparso. Le tavolette hanno una estrema importanza dal punto di vista archeologico e storico, in quanto documentano la Londra del I secolo d.C. e quindi anche della prima generazione di londinesi. Con le tecnologie più avanzate utilizzate dal Dipartimento Archeologico del Museum of London, sono infatti emersi nomi, professioni, date relative agli abitanti dell’antica Londra, che danno testimonianza di una città in espansione e in pieno fermento.

“Le piramidi viste dagli Arabi. L’antico Egitto secondo la visione arabo-islamica”: incontro a Roma con l’archeologo Generoso Urciuoli

La classica immagini delle piramidi egizie nella piana di Giza

L’archeologo Generoso Urciuoli

Qual era il rapporto tra il mondo dei faraoni e i nuovi conquistatori arabi? In che modo il mondo islamico si relazionò con il passato di quel territorio dalla cultura millenaria? Si può parlare di un’egittomania di matrice arabo/islamica? In che modo gli studiosi islamici si rapportarono con la scrittura geroglifica? Si potrebbe affermare che lo studio dell’antico Egitto è iniziato a partire dal IX secolo? Può un territorio, indipendentemente dalle cesure e dalle Civiltà che si sono susseguite, rimanere intriso di memoria culturale, compresi anche alcuni aspetti religiosi? Domande intriganti, temi che mostrano come si possa affrontare un argomento noto come la civiltà del Nilo da un’altra angolazione, meno usuale: risposte e temi che saranno trattati all’interno della conferenza “Le piramidi viste dagli Arabi. L’antico Egitto secondo la visione arabo-islamica”, giovedì 16 marzo 2017, alle 16.30, in sala Spinelli a Palazzo Baleani, in corso Vittorio Emanuele II 244 a Roma, promossa dal Centro Studi Petrie, in collaborazione con l’ISMEO (Associazione Internazionale di Studi sul Mediterraneo e l’Oriente). Protagonista dell’incontro Generoso Urciuoli, laureato in Civiltà Bizantina all’università di Torino, e un percorso di formazione in ambito archeologico con un master in tecniche di scavo archeologico e corsi di alta specializzazione in “instrumentum domesticum” (Pontificio Istituto Archeologia Cristiana di Roma), in ceramica e Archeologia subacquea (Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera). Con Urciuoli il punto di vista sull’Antico Egitto non sarà eurocentrico ma verrà proposta la visione arabo-islamico tramite l’analisi di documenti redatti dagli scrittori arabi di epoca medievale.