Napoli. Record di visitatori per Canova al Mann: oltre 300mila visitatori in tre mesi. E nel 2020 arriva un altro grande del Neoclassicismo: Berthel Thorvaldsen

Tanto pubblico attorno alle “Tre Grazie” uno dei capolavori di Antonio Canova esposti nella mostra al Mann

Il manifesto della mostra “Canova e l’Antico” al museo Archeologico nazionale di Napoli dal 28 marzo al 30 giugno 2019
Canova lascia il Mann battendo ogni record di visitatori e prepara la strada a un altro grande artista del Neoclassicismo, Berthel Thorvaldsen. Si è conclusa il 1° luglio 2019 al museo Archeologico nazionale di Napoli, la mostra “Canova e l’antico”, promossa con il museo statele Ermitage di San Pietroburgo e con la collaborazione di Ermitage Italia: l’esposizione, che è stata organizzata insieme a Villaggio Globale International e ha raccolto nell’atrio e nel Salone della Meridiana del Mann oltre 110 capolavori del Maestro di Possagno, è stata accompagnata da un’ottima risposta di pubblico e critica. I numeri confermano il feeling, ed è già record: in poco più di tre mesi di programmazione, dal 28 marzo al 1° luglio 2019, oltre 300mila visitatori sono stati al MANN, segnando un trend in crescita di oltre il 40% rispetto allo stesso periodo del 2018.
“Mentre salutiamo i capolavori di Canova tracciando l’entusiasmante bilancio di una mostra che resterà nella storia recente della città”, interviene il direttore del Mann, Paolo Giulierini, “annunciamo come in un simbolico passaggio di consegne la prossima esposizione dedicata al Neoclassicismo: nel novembre del 2020, in virtù dei recenti accordi con il museo Thorvaldsen di Copenaghen, il Mann ospiterà una importante mostra dedicata all’artista danese che visse e lavorò a Roma, dopo un breve passaggio per Napoli, ispirato dalle antichità classiche e da Canova”.
“Dei Uomini Eroi”: al museo Ermitage di San Pietroburgo la più grande mostra su Pompei mai realizzata in Russia con 200 opere dal museo Archeologico nazionale di Napoli e dal parco archeologico di Pompei

L’arco trionfale fulcro della mostra “DEI, UOMINI, EROI. Dal museo Archeologico nazionale di Napoli e dal parco archeologico di Pompei” al museo Ermitage di San Pietroburgo (foto Paolo Soriani)

I firmatari del protocollo di San Pietroburgo: da sinistra, Massimo Osanna (Pompei), Paolo Giulierini (Mann), Michail Piotrovskij (Ermitage)
Dei Homines Heroes: la scritta in caratteri cubitali latini campeggia sul grande arco trionfale rosso pompeiano, colore che avvolge tutto l’ambiente circostante. Attraversare quell’arco significa fare un viaggio indietro nel tempo di duemila anni e approdare in una città romana particolare, speciale: Pompei. Siamo a San Pietroburgo, al museo statale dell’Ermitage, per la precisione nelle ampie sale del Manege del Piccolo Ermitage (un palazzo a due piani eretto tra il Palazzo d’Inverno, antica residenza imperiale dei Romanov, e il Nuovo Ermitage, il primo palazzo in Russia a venire espressamente costruito per ospitare le collezioni del Museo). È qui che, ancora per pochi giorni – fino al 23 giugno 2019 -, si potrà attraversare quell’arco trionfale, fulcro della mostra “DEI, UOMINI, EROI. Dal museo Archeologico nazionale di Napoli e dal parco archeologico di Pompei”, e immergersi nell’atmosfera dell’antica Pompei. La fine improvvisa di Pompei – avvenuta tra il 24 agosto o, come suggerirebbero anche le più recenti scoperte, in ottobre (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2018/10/16/pompei-la-scoperta-di-uniscrizione-a-carboncino-nella-casa-con-giardino-sposterebbe-la-datazione-delleruzione-del-vesuvio-del-79-d-c-da-agosto-a-ottobre-lannuncio-durante/) – ha in molti casi cristallizzato scene, situazioni e persone, colte di sorpresa in quel tragico momento, nelle attività consuete. Una città intera, con le sue case, gli edifici pubblici, le vie, i negozi, le fabbriche, i templi e i mercati, con i suoi abitanti ma anche con i tanti oggetti in uso nei diversi ambienti, è stata riportata in luce a partire dal 1748 e continua tuttora a rivelare nuovi siti e nuove opere. Poi, a fine giugno, le quasi 200 opere, tra affreschi, statue, mosaici, bronzi e preziosi vetri, torneranno a Napoli e Pompei.

Il rosso pompeiano domina nell’allestimento della mostra “Dei, uomini, eroi” all’Ermitage di San Pietroburgo (foto Paolo Soriani)
A 185 anni dalla prima mostra su Pompei in Russia – era il 1834 -, sempre a San Pietroburgo, mostra che, nonostante fosse esposto un solo dipinto “L’ultimo giorno di Pompei” di Karl Brjullov, fu un successo clamoroso, fortemente ispiratore e in merito al quale scrissero anche Puskin e Gogol, l’esposizione “DEI, UOMINI, EROI. Dal museo Archeologico nazionale di Napoli e dal parco archeologico di Pompei” verrà ricordata in Russia come la più importante mai realizzata su Pompei e sulle città vesuviane, grazie ai capolavori che i due partner Italiani – il Mann, vero forziere di testimonianze delle città sepolte dal Vesuvio nel 79 a.C., e il parco archeologico di Pompei – hanno concesso alla luce dell’importante accordo di collaborazione sottoscritto nel 2015 con il museo statale Ermitage. “Dei, uomini, eroi”, organizzata dal Dipartimento di Antichità Classiche dell’Ermitage, guidato da Anna Trofimova, è curata per la parte italiana da Paola Rubino De Ritis, Valeria Sanpaolo e Luana Toniolo, con la direzione scientifica di Paolo Giulierini, direttore del Mann, e Massimo Osanna, professore ordinario all’università di Napoli “Federico II” e Alfonsina Russo, direttrice ad interim del parco archeologico di Pompei; per il museo Ermitage è curata dalla stessa Anna Trofimova e Andrey Zuznecov. L’esposizione si avvale del supporto organizzativo di Villaggio Globale International, della collaborazione di Ermitage Italia, dell’Ambasciata d’Italia a Mosca, del Consolato Generale d’Italia e dell’Istituto Italiano di Cultura di San Pietroburgo, ed è accompagnata nel nostro Paese da catalogo Electa, con contributi di Luigi Gallo, Massimo Osanna, Federica Rossi, Valeria Sanpaolo, Luana Toniolo e Anna Trofimova.
“Siamo orgogliosi di aver portato per la prima volta una mostra epocale su Pompei all’Ermitage”, commenta Paolo Giulierini, direttore del Mann. “Si tratta in fondo di quei tesori che determinarono la rinascita del gusto per l’antico, il Neoclassicismo, di cui la mostra di Canova in corso al Mann, promossa con il museo Ermitage, dà conto. In questo quadro europeo si deve cogliere pertanto l’operazione culturale che lega Napoli e San Pietroburgo, intimamente connesse anche dalla musica e dall’architettura settecentesca, con sviluppi futuri che vanno ben oltre le esposizioni”. E Alfonsina Russo, al momento dell’inaugurazione della mostra (aprile 2019), direttrice ad interim di Pompei: “Come all’epoca degli Zar, infervorati dalle suggestioni dei ritrovamenti e delle decorazioni delle case pompeiane, anche oggi l’interesse per Pompei travalica i confini nazionali. Oggi, senz’altro, con una prospettiva scientifica e grazie alla stretta sinergia tra grandi Istituzioni, quali quelle coinvolte per questa grande mostra che dimostrano di essere capaci di diffondere il senso profondo della cultura e della storia italiana e di saper valorizzare gli aspetti più artistici, a volte quelli meno conosciuti, di una civiltà che ci ha rappresentato e condotto al presente. Dei, Uomini, Eroi sintetizza già dal titolo, e dunque attraverso i reperti e gli affreschi esposti, quelli che erano i protagonisti attorno ai quali ruotava la vita dei pompeiani. Dai cittadini, impegnati nelle attività di tutti i giorni, di cui Pompei ci ha lasciato testimonianze uniche, agli Dei e agli Eroi da cui traevano ispirazione e che per questo erano presenti nelle raffinate decorazioni parietali, e non solo della domus, pompeiane”.

L’affresco con Dioniso e Arianna dalla Casa del Bracciale d’Oro di Pompei (foto parco archeologico di Pompei)
Vediamo di scoprire un po’ meglio i tesori che da Napoli e Pompei sono giunti sulle rive della Neva, a San Pietroburgo. Dunque gli “Dei” e gli “Eroi” innanzitutto: non solo quelli presenti nei decori e nelle opere di edifici pubblici come l’imponente “Erma di Mercurio” dal Tempio di Apollo o il Busto di Giove dal Capitolium, dedicato a Giove, Giunone e Minerva – entrambi in prestito dal Mann – ma anche e soprattutto all’interno della mura domestiche, nei Larari, nelle cucine e negli Atri. Gli splendidi affreschi con “Zeus in trono” dalla Casa dei Dioscuri e “Achille e Briseide” dalla Casa del Poeta Tragico (Mann), il “Dioniso e Arianna” e “Alessandro e Rossane” dalla Casa del Bracciale d’Oro e “Eracle e Deianira” e “Giunone ed Ebe” dalle ville di Stabia del parco archeologico di Pompei e ancora l’eccezionale tarsia in marmo con “Scena dionisiaca” riemersa dalla Casa dei Capitelli colorati, conservata nelle collezioni del museo Archeologico nazionale di Napoli, raccontano le gesta di divinità e eroi, rappresentandoli secondo l’uso del tempo da soli o con gli attributi che ne rendono immediata l’identificazione. L’usanza di ornare i giardini con raffigurazioni di divinità è testimoniata da statue come quelle provenienti dalla Villa A di Oplontis – la piccola e raffinata Venere realizzata verso la fine del I secolo a. C., che ancora conserva labili tracce di colore, o la statua di Nike – mentre i rilievi neoattici in mostra, inseriti a Pompei lungo le pareti delle abitazioni, ricordano la moda del tempo e l’interesse dei proprietari per le opere della Grecia.
Tuttavia il grande merito degli scavi vesuviani, promossi negli ultimi due decenni della prima metà del XVIII secolo da Carlo III di Borbone nelle città di Pompei, Ercolano e Stabiae, è stato quello di regalarci un inedito spaccato della vita quotidiana degli antichi romani, fino a quel momento pressoché sconosciuta; è in questo senso che la sezione della mostra dedicata agli “Uomini”, ricca anche delle rappresentazioni scultoree e pittoriche delle élites cittadine, assume particolare rilevanza. Dell’impressionante mole di oggetti d’uso comune riemersi a Pompei – crateri in bronzo, suppellettili in vetro e ceramica, pentole e padelle – sono stati selezionati per la mostra di San Pietroburgo esemplari di grande interesse, suddivisi per tipologia e materiali, che consentono di ricostruire le usanze, i commerci, le attività artigianali e quelle quotidiane: dall’educazione alla tavola. Un braciere dalla terme Stabiane ormai in disuso, uno scaldaliquidi in bronzo dalla Villa di Arianna di Stabia, con rubinetto a testa di leone e tre cigni ad ali spiegate sul bordo del fornello, alti candelabri per illuminare i triclini o un cratere come quello di Giulio Polibio ageminato con effetti policromi; così come la bellissima cassaforte in ferro e bronzo con complessi e ingegneristici sistemi di chiusura, posta solitamente nell’atrio, lì dove il padrone di casa presentava se stesso, e – ancora – tavoli di marmo riccamente decorati (bellissimo quello prestato dal parco archeologico di Pompei con due animali fantastici) illustrano tanti aspetti degli usi pompeiani.

Il rilievo da Pompei del capomastro (structor) Diogenes mostra gli strumenti utilizzati per le attività edili (foto parco archeologico di Pompei)
Il rilievo del capomastro (structor) Diogenes mostra gli strumenti utilizzati per le attività edili – un filo a piombo, una cazzuola, una mazza a taglio ortogonale, uno scalpello e un archipendolo – e i 4 affreschi dai praedia della ricca pompeiana Giulia Felice, offrono uno sguardo emozionante sui piccoli, grandi fatti che si svolgevano nel foro, in una giornata di mercato (le nundinae): “Vendita di vasellame”, “Vendita di tessuti” “Lettura di editto”, “Punizione dello scolaro”. Quindi, da Napoli, oggetti di grande raffinatezza e prestiti eccezionali, come l’assoluto unicum del “Vaso blu”, capolavoro in vetro blu e cammeo che costituisce una delle opere iconiche del Mann (scoperto dai Borbone nella necropoli di Pompei nel 1837) e le lastre in vetro cammeo di “Arianna” e “Dioniso e Arianna” dal parco archeologico di Pompei.
Non si potevano dimenticare il teatro e i giochi gladiatori. Ricchi arredi in marmo per i giardini delle case pompeiane recanti a rilievo raffigurazioni teatrali, così come le matrici in gesso di maschere selezionate per l’occasione testimoniano la passione degli abitanti di Pompei per il teatro, mentre affreschi, elmi e schinieri in bronzo, decorati con scene mitologiche che raccontano a loro volta di Dei ed Eroi – riaffiorati dalle ceneri del tempo – ricordano ai visitatori dell’Ermitage l’importanza e la diffusione nel mondo romano dei giochi gladiatori, tanto amati dal popolo, e fanno sognare le meraviglie conservate in Italia nelle due prestigiose sedi campane. “Dei, Uomini, Eroi” è dunque un evento di assoluto rilievo per Napoli e per il museo russo. È nota del resto la passione degli Zar e delle classi aristocratiche russe per Pompei, testimoniata anche dalla presenza di un nucleo di antichità pompeiane all’Ermitage e dal travolgente gusto “alla pompeiana” diffuso nelle decorazioni di palazzi, suppellettili e nella letteratura della Grande Madre Russia. Così come è noto l’interesse che il mondo e la cultura russi hanno sempre dimostrato per le città vesuviane, la costiera amalfitana e le isole campane, specialmente Capri, a partire dai vedutisti che hanno immortalato nelle opere i paesaggi italici. Un amore evidente anche ai tempi di Caterina la Grande, quando le musiche di Cimarosa e Paisiello allietavano i teatri e la corte di San Pietroburgo.

Il corridoio sopraelevato della sala del Maneggio con l’esposizione di documenti storici (foto Paolo Soriani)
Ma non è finita. Nel corridoio sopraelevato sono esposti per l’occasione documenti storici – foto ottocentesche, stampe antiche, volumi e acquarelli – su Pompei e gli scavi in corso a quel tempo e, vera chicca, una selezione di circa 70 opere di proprietà dell’Ermitage, in gran parte mai esposte prima d’ora e conservate nei depositi, provenienti dalle antiche città vesuviane. Si tratta per lo più di doni, come nel caso della statua di “Bambino con un uccellino” (un marmo alto 65 cm) o della “Bilancia a stadera con un busto di Caligola” rinvenuti a Pompei nel 1845 e nel 1846 alla presenza di Nicola I e regalati allo Zar dal re di Napoli Ferdinando II. Una testimonianza concreta dei rapporti e dell’amicizia che ha sempre legato Napoli alla Russia.
“Canova e l’Antico”, mostra-evento al museo Archeologico nazionale di Napoli: 120 opere del “novello Fidia” dialogano con i capolavori dell’arte antica, greco-romana e pompeiana, che l’hanno ispirato
Scriveva Stendhal: “Il Canova ha avuto il coraggio di non copiare i greci e di inventare una bellezza, come avevano fatto i greci: che dolore per i pedanti! Per questo continueranno ad insultarlo cinquant’anni dopo la sua morte, ed anche per questo la sua gloria crescerà sempre più in fretta. Quel grande che a vent’anni non conosceva ancora l’ortografia, ha creato cento statue, trenta delle quali sono capolavori!”. E già a vedere alcune opere del Canova che scorrono nel video di Ars Invicta, trailer di presentazione della mostra-evento “Canova e l’Antico” al museo Archeologico nazionale di Napoli dal 28 marzo al 30 giugno 2019 ci dà un assaggio della grandezza di questo artista celebrato da Stendhal. E che per tutto il corso della sua attività artistica ha seguito il monito di Johann Joachim Winckelmann, padre del Neoclassicismo: “Imitare, non copiare gli antichi” per “diventare inimitabili”. Al Mann, a Napoli, per la prima volta 12 grandi marmi e oltre 110 opere del sommo scultore per mettere a fuoco, nel “tempio” dell’arte classica, il legame fecondo tra Canova e l’Antico.

Il manifesto della mostra “Canova e l’Antico” al museo Archeologico nazionale di Napoli dal 28 marzo al 30 giugno 2019
Per la prima volta si mette a fuoco in una mostra quel rapporto continuo, intenso e fecondo che legò Canova al mondo classico, facendone agli occhi dei suoi contemporanei un “novello Fidia”, ma anche un artista capace di scardinare e rinnovare l’Antico guardando alla natura. “L’ultimo degli antichi e il primo dei moderni”: definizione che ben si attaglia al sommo Antonio Canova e alla sua arte sublime, celebrata per la prima volta a Napoli, al museo Archeologico nazionale nella mostra-evento co-promossa dal Mibac-Mann con il museo statale Ermitage di San Pietroburgo nell’ambito dell’importante protocollo di collaborazione che lega le due Istituzioni. La mostra “Canova e l’Antico” ha ottenuto il sostegno della Regione Campania, i patrocini del Comune di Napoli, della Gypsotheca-Museo Antonio Canova di Possagno e del museo civico di Bassano del Grappa ed è stata realizzata con la collaborazione di Ermitage Italia.
“Perché Canova ha tanto senso? Perché sentiamo così profondamente la mostra “dell’ultimo degli antichi e il primo dei moderni”, fra gli artisti del ‘700?”, si chiede il governatore della Campania, Vincenzo De Luca. “La risposta è nella mostra proposta dal Mann, che dimostra non solo l’eccellenza del museo che la ospita, ormai fra le più importanti istituzioni culturali europee, e lo straordinario intuito del suo direttore che riesce a tessere una fitta rete di rapporti interni e internazionali: negli ultimi mesi con la Cina, oggi con l’Ermitage di San Pietroburgo. Soprattutto, però, la mostra prova l’universalità “politica” dell’arte e la sua perenne contemporaneità. Da San Pietroburgo, giungono a Napoli prestiti unici e irripetibili, come i gruppi scultorei di Canova che, per la prima volta, vivranno un emozionante confronto con i modelli che hanno ispirato l’autore. A San Pietroburgo, reperti provenienti dal Mann e dal Parco Archeologico di Pompei danno vita alla mostra “Pompei. Uomini, dei ed eroi”. È il significato dell’arte come patrimonio universale e collettivo. Ed è, per noi, motivo di orgoglio sentirci protagonisti di questa eccezionale interazione, condividere la capacità quasi “olfattiva” del Mann di intercettare, per questo magma in movimento che è la Campania, un “sistema” dell’arte, unico nel suo genere, che possa indicare nuovi orizzonti nella gestione della cultura della nostra nazione”.
“Se la scoperta di Ercolano e Pompei sono alla base della nascita del Neoclassicismo”, interviene il direttore del Mann, Paolo Giulierini, “la figura di Canova ne è, forse, la massima espressione artistica. Riflettere poi sul fatto che “il moderno Fidia” trasse ispirazione dal patrimonio antico di Napoli, anche in termini di statuaria, e ricevette numerose commesse tanto da consentirci, oggi, di poter proporre un “itinerario canoviano”, fornisce la risposta al perché di una mostra di Canova all’Archeologico di Napoli, curata magistralmente da Giuseppe Pavanello. Cardine dell’esposizione è il nucleo di sculture proveniente dall’Ermitage, museo con il quale il Mann è legato da un protocollo quadriennale propiziato dalla lungimiranza di Maurizio Cecconi con l’ausilio di Villaggio Globale International. Per questo mi sento in dovere di ringraziare il professor Michail Piotrovskij, direttore del museo statale Ermitage, e il curatore del dipartimento canoviano dottor Sergej Androsov. Fondamentali prestiti sono stati forniti anche dalla Gipsoteca di Possagno, dal museo di Bassano del Grappa, dal museo nazionale di Kiev e dall’Accademia di Napoli che concorrono a creare uno straordinario percorso artistico incardinato sul tema che parte dalla fase creativa (dal bozzetto al disegno, dal modello alla copia in gesso) fino all’opera d’arte definitiva”.

Il famoso gruppo delle Tre Grazie di Antonio Canova, capolavoro conservato all’Ermitage di San Pietroburgo
Curata da Giuseppe Pavanello, tra i massimi studiosi di Canova e organizzata da Villaggio Globale International, la mostra, riunirà al museo Archeologico nazionale di Napoli, oltre ad alcune ulteriori opere antiche di rilievo, più di 110 lavori del grande artista, tra cui 12 straordinari marmi, grandi modelli e calchi in gesso, bassorilievi, modellini in gesso e terracotta, disegni, dipinti, monocromi e tempere, in dialogo con opere collezioni del Mann, in parte inserite nel percorso espositivo, in parte segnalate nelle sale museali. Prestiti internazionali connotano l’appuntamento: come il nucleo eccezionale di ben sei marmi provenienti dall’Ermitage di San Pietroburgo, che vanta la più ampia collezione canoviana al mondo – L’Amorino Alato, L’Ebe, La Danzatrice con le mani sui fianchi, Amore e Psiche stanti, la testa del Genio della Morte e la celeberrima e rivoluzionaria scultura delle Tre Grazie – ma anche l’imponente statua, alta quasi tre metri, raffigurante La Pace, proveniente da Kiev e l’Apollo che s’incorona del Getty Museum di Los Angeles. A questi si aggiungono, tra i capolavori in marmo che hanno entusiasmato scrittori come Stendhal e Foscolo riuniti ora nel Salone della Meridiana del museo Archeologico napoletano, la bellissima Maddalena penitente da Genova, il Paride dal museo civico di Asolo, la Stele Mellerio, vertice ineguagliabile di rarefazione formale e di pathos. Straordinaria la presenza di alcuni delicatissimi grandi gessi come l’Amorino Campbell e il Perseo Trionfante, restaurato quest’ultimo per l’occasione e già in Palazzo Papafava a Padova – entrambi da collezioni private – o il Teseo vincitore del Minotauro e l’Endimione dormiente dalla Gypsotheca di Possagno (paese natale di Canova) che ha concesso, con grande generosità, prestiti davvero significativi.

Preziosa tempera su carta di Antonio Canova con Teseo e Piritoo alla corte di Diana, conservato alla Gypsoteca di Possagno
Fondamentale in tal senso anche il supporto della soprintendenza ABAP dell’area metropolitana di Venezia e delle province di Belluno, Padova e Treviso, che in questi anni sta conducendo una delicata azione sul territorio, non solo di tutela delle opere d’arte, ma anche di salvaguardia e affermazione del loro valore testimoniale rispetto alle drammatiche vicende della prima Guerra Mondiale, che le ha viste tragicamente protagoniste, talvolta riportando ferite di cui va mantenuta viva la memoria. Sempre nell’ambito della collaborazione con l’Istituzione di Possagno, altro elemento peculiare della mostra sarà la possibilità di ammirare tutte insieme e dopo un attento restauro, le 34 tempere su carta a fondo nero conservate nella casa natale dell’artista: quei “varj pensieri di danze e scherzi di Ninfe con amori, di Muse e Filosofi ecc, disegnati per solo studio e diletto dell’Artista”, come si legge nel catalogo delle opere canoviane steso nel 1816, chiaramente ispirati alle pitture pompeiane su fondo unito e, in particolare, alle Danzatrici. Con le tempere, lo scultore del bianchissimo marmo di Carrara sperimentava, sulla scia di quegli esempi antichi, il suo contrario, i “campi neri”, intendendo porsi come redivivo pittore delle raffinatezze pompeiane ammirate in tutta Europa, alle quali, per la prima volta, quei suoi “pensieri” possono ora essere affiancati.
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