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A Karkemish, città-stato ittita al confine tra Turchia e Siria, torna a risuonare al voce di Sargon II zittita da Nabucodonosor II. La missione italo-turca guidata da Nicolò Marchetti dell’università di Bologna ha scoperto in fondo a un pozzo tre tavolette del grande re assiro fatte sparire dal sovrano babilonese

Un leone in marcia scolpito su un ortostato della città-stato ittita di Karkemish, al confine tra Turchia e Siria

Un leone in marcia scolpito su un ortostato della città-stato ittita di Karkemish, al confine tra Turchia e Siria

Sargon II, grande re assiro

Sargon II, grande re assiro

Nabucodonosor II lo sapeva. La conquista di Karkemish, la potente città in posizione strategica tra l’Anatolia ittita e la Mesopotamia assira, non sarebbe bastata a cancellare il ricordo del grande re assiro Sargon II (721-705 a.C.) che più di cento anni prima, sul finire dell’VIII sec. a.C., aveva costruito un impero in Vicino Oriente, nella Mezzaluna Fertile, conquistando Samaria, Damasco, Gaza e, nel 717, anche Karkemish, città-stato ittita che sorgeva sul corso dell’Eufrate, dove oggi corre il confine tra Siria e Turchia. Lo spettro di Sargon aleggiava ancora. Le sue parole sembravano ancora vive nella memoria della gente. Lui che sintetizzava così la sua vita: “Io sono Sargon, re forte, re di Akkad. Mia madre era una sacerdotessa; mio padre non lo conosco; era uno di quelli che abitano le montagne. Il mio paese è Azupiranu sull’Eufrate. La sacerdotessa mia madre mi concepì e mi generò in segreto; mi depose in un paniere di giunco, chiuse il coperchio con del bitume, mi affidò al fiume che non mi sommerse. I flutti mi trascinarono e mi portarono da Aqqui, l’addetto a raccogliere acqua. Aqqui, immergendo il suo secchio, mi raccolse. Aqqui, l’addetto a raccogliere l’acqua, mi adottò come figlio e mi allevò. Aqqui, l’addetto a raccogliere l’acqua, mi fece suo giardiniere. Durante il periodo in cui ero giardiniere la dea Ishtar mi amò. Per… anni io fui re”. Quella voce doveva essere spenta. Così Nabucodonosor fece distruggere tutti i documenti di Sargon affidandoli all’oblio del tempo. Fino all’arrivo degli archeologi. E la voce di Sargon è tornata a risuonare.

Una delle tavolette di argilla con testi in cuneiforme celebrativi di Sargon II trovata dalla missione archeologica dell'università di Bologna a Karkemish

Una delle tavolette di argilla con testi in cuneiforme celebrativi di Sargon II trovata dalla missione archeologica dell’università di Bologna a Karkemish

Tre preziosi frammenti di tavolette d’argilla, che riportano incisi in caratteri cuneiformi gli scritti del sovrano assiro Sargon II, sono stati scoperti in fondo a un pozzo (a 14 metri di profondità), nel sito di Karkemish, dalla missione archeologica italo-turca avviata nel 2011 dall’università di Bologna insieme agli atenei turchi di Gaziantep e Istanbul. Le tavolette furono gettate in fondo a un pozzo su ordine del re babilonese Nabucodonosor II, per essere per sempre dimenticate. Scrive Sargon: “Ho costruito, aperto nuovi corsi d’acqua, incrementato la produzione di grano, rinforzato le porte con cerniere di bronzo, allargato i granai, costituito un esercito con 50 carri, 200 cavalli, tremila fanti. E ho reso il popolo felice, fiducioso in se stesso”.

La mappa del sito archeologico di Karkemish studiato dalla missione archeologica italo-turca guidata dall'università di Bologna

La mappa del sito archeologico di Karkemish studiato dalla missione archeologica italo-turca guidata dall’università di Bologna

Spesso paragonata a città gloriose come Troia, Ur, Gerusalemme, Petra e Babilonia, Karkemish è stato un centro di straordinaria importanza. Abitato almeno dal VI millennio a.C., a partire dal 2300 acquista un ruolo centrale nella regione e diviene contesa da ittiti, assiri e babilonesi. Solo con l’impero romano inizia il suo declino, che termina nell’Alto Medioevo, attorno al X secolo, quando la città viene definitivamente abbandonata e dimenticata. Ricompare solo alla fine dell’800. Fu allora che una serie di campagne esplorative promosse dal British Museum (ci lavorò anche Lawrence d’Arabia) riportarono per la prima volta alla luce le tracce del suo grande passato. Un’opera di riscoperta che oggi è passata nelle mani dell’Alma Mater, con un progetto di scavo guidato dal prof. Nicolò Marchetti che, al suo quinto anno di attività, è finito – letteralmente – in fondo a un pozzo. Per riemergere con le parole ritrovate del re Sargon II.

L'archeologo Nicolò Marchetti, direttore della missione a Karkemish

L’archeologo Nicolò Marchetti, direttore della missione a Karkemish

Tre frammenti di tavolette d’argilla”, ricorda Marchetti, “che riportano incisi in caratteri cuneiformi gli scritti del sovrano assiro. Frasi autocelebrative, che esaltano le vittorie militari e le misure a favore della popolazione. Frasi che, proprio per il loro carattere propagandistico, furono fatte sparire, gettate in fondo a un pozzo su ordine di Nabucodonosor II, il re babilonese che nel 605, dopo un lungo assedio, strappò Karkemish al controllo assiro. Cancellare le tracce e i simboli del nemico sconfitto è una pratica che attraversa tutta la storia dell’umanità e che ancora oggi, purtroppo, viene praticata”.

Il pozzo di Karkemish in fondo al quale sono stati trovati i frammenti di tre tavolette con testi celebrativi di Sargon

Il pozzo di Karkemish in fondo al quale sono stati trovati i frammenti di tre tavolette con testi celebrativi di Sargon

Il pozzo è stato rinvenuto dalla missione italo-turca nell’area dove un tempo sorgeva il palazzo di re Katuwa, costruito attorno al 900 a.C. e ampliato e modificato da Sargon II. Gli archeologi dell’Alma Mater si sono calati nella stretta imboccatura, scendendo fino a 14 metri sotto al livello del suolo. Lì, sul fondo, è stata trovata una fitta serie di oggetti e utensili di ambito amministrativo, letterario e decorativo: gettoni d’argilla (tokens) per la contabilità, recipienti di bronzo e di pietra, un’armatura di ferro e i tre frammenti di tavolette d’argilla con le parole di Sargon II. Oltre al pozzo, i lavori della missione archeologica dell’Alma Mater hanno portato alla luce anche tre ortostati, lastre di pietra con funzioni sia di sostegno che decorative, in ottime condizioni. In uno è rappresentato un leone in marcia, mentre nelle altre due sono incisi un toro alato e un dio-ibex alato, con un volto umano. Quest’ultimo, in particolare, rappresenta un caso unico nel campo dell’arte neo-ittita. Puliti e restaurati, gli ortostati sono stati lasciati nell’area del palazzo di re Katuwa, ed è stato inoltre completata la rilevazione digitale ad alta precisione della mappa dell’antica città. Tutti interventi che puntano a far nascere un parco archeologico che possa attirare turisti e visitatori a Karkemish, coinvolgendoli in un’esperienza immersiva tra storia e attualità.

 

18 agosto 2015-2016. A un anno dall’uccisione del direttore di Palmira, Khaled Asaad, da parte delle milizie jihadiste, le Gallerie degli Uffizi di Firenze ricordano l’eroico archeologo con un “Omaggio” cui partecipano archeologi impegnati in missioni in Siria

L'archeologo siriano Khaled Asaad, decapitato dall'Isis il 18 agosto 2015

L’archeologo siriano Khaled Asaad, decapitato dall’Isis il 18 agosto 2015

18 agosto 2015 – 18 agosto 2016: un anno. È passato un anno dalla tragica esecuzione da parte dei jihadisti di Khaled Asaad, eroico difensore dei tesori e dell’integrità della sua amata Palmira, la “sposa del deserto”, la città di Zenobia, patrimonio dell’umanità. Proprio l’estremo sacrificio dell’anziano archeologo siriano, da decenni direttore del museo e del sito di Palmira, contribuì a portare all’attenzione del mondo lo scempio che si stava consumando nel cuore del deserto siriano, nell’indifferenza generale. Non erano serviti a nulla, infatti, gli appelli accorati degli archeologi siriani e dei molti colleghi stranieri, a partire dal decano di tutti gli orientalisti, l’italiano Paolo Matthiae, lo scopritore di Ebla, con i quali da anni condividevano missioni archeologiche in ogni angolo della Siria. Quell’uccisione vigliacca accese almeno le coscienze dei potenti. Ma per giungere alla liberazione di Palmira, e scongiurarne la sua distruzione totale, si è dovuto attendere il 27 marzo 2016, grazie all’intervento decisivo delle truppe russe mandate dal presidente Vladimir Putin a sostegno dell’esercito governativo di Bashar al-Assad.

La distruzione del tempio di Baal a Palmira da parte dei miliziani dell'Isis

La distruzione del tempio di Baal a Palmira da parte dei miliziani dell’Isis

Il 18 agosto 2016 non passerà in silenzio. A ricordare l’archeologo Khaled al-Asaad a un anno dalla sua tragica caduta in difesa del patrimonio archeologico, direttore per 40 anni del sito archeologico di Palmira, orrendamente trucidato con pubblica esecuzione (prima decapitato e poi appeso a una colonna della monumentale via colonnata di Palmira) da gruppi jihadisti dello Stato Islamico, ci penseranno le Gallerie degli Uffizi di Firenze. L’incontro pubblico “Omaggio a Khaled al-Asaad” si svolgerà, a ingresso gratuito, giovedì 18 agosto 2016 a partire dalle 10.30, nei locali dell’ex-chiesa di San Pier Scheraggio a Firenze. Insieme al direttore delle Gallerie degli Uffizi, Eike Schmidt, interverranno il comandante del nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Firenze, Lanfranco Disibio, e archeologi che hanno partecipato a missioni internazionali di scavo in Siria: Giuliana Guidoni, funzionaria archeologa del Mibact e Sebastiano Soldi, archeologo del museo Archeologico nazionale di Firenze.

Siria. Liberata Palmira. Primo bilancio delle distruzioni dell’Isis: cancellati il tempio di Baalshamin e il santuario di Bel e le tombe a torre. Devastato il museo. Salvo l’80 per cento del sito. Si discute per la sua ricostruzione. Il museo dell’Ermitage offre la sua collaborazione

L'esercito governativo di Assad ha riconquistato la città e il sito archeologico di Palmira con l'aiuto dei raid aerei russi

L’esercito governativo di Assad ha riconquistato la città e il sito archeologico di Palmira con l’aiuto dei raid aerei russi

Nel giorno di Pasqua liberata Palmira. Ma la “sposa del deserto” sfregiata dall’Isis non sarà più come prima. L’esercito siriano ha ripreso il “pieno controllo” di Palmira, che lo scorso anno era stata conquistata dallo Stato islamico. Lo hanno reso noto fonti militari citate dai media di Damasco e l’Osservatorio siriano per i diritti umani, secondo cui l’esercito è rientrato a Palmira, con il sostegno dei raid russi: più di 200 solo nelle ultime ore dell’attacco. Secondo l’agenzia di stampa Sana le truppe governative e le milizie loro alleate hanno “ripulito” la città da tutti i militanti dell’Isis e “distrutto i loro ultimi covi”, mentre gli artificieri hanno eliminato tutte le mine e gli ordigni lasciati dai terroristi. Dal canto loro, gli attivisti dell’Osservatorio, con sede a Londra, citando “più fonti attendibili”, hanno fatto sapere che i militanti dello Stato islamico hanno ricevuto l’ordine di lasciare Palmira dalla leadership del Califfato a Raqqa. Le tre settimane di guerra per riconquistare la città, secondo l’Osservatorio, sarebbero costate la vita ad almeno 400 militanti e 180 soldati. “Un importante successo nella guerra contro il terrorismo”, proclama il presidente siriano, Bashar al-Assad.

Una veduta aerea del sito archeologico di Palmira: si vedono bene ancora integri il teatro romano e il lungo colonnato

Una veduta aerea del sito archeologico di Palmira: si vedono bene ancora integri il teatro romano e il lungo colonnato

La città di Palmira, sito Unesco patrimonio dell’umanità, ricordiamolo, è una delle più antiche della regione. Esisteva già nel XIX secolo a.C. quando era conosciuta e citata negli antichi documenti con il nome di Tadmor o Tamar, nome registrato anche nella Bibbia che la ricorda come fortificata da Salomone. Per oltre un millennio, però, sulla città cala il silenzio, fino alla conquista da parte dei Seleucidi che, nel 323 a.C. prendono il controllo della Siria. Palmira si mantiene indipendente fino a circa il 19 a.C., nonostante il Paese fosse ormai nelle mani dei Romani. È sotto il regno di Tiberio e poi di Nerone che la città viene annessa all’Impero. Plinio il Vecchio ne racconta le ricchezze del suolo e l’importanza che essa ricopre all’epoca nei commerci tra Roma e l’Oriente, soprattutto Cina, India e Persia. Nel II secolo d.C. Adriano la visita e la proclama città libera, dandole il nome di Palmira Hadriana. Tra la fine del II e l’inizio del III secolo, Settimio Severo o il suo successore, il figlio, Caracalla, concede a Palmira lo statuto di città libera. È nel III secolo che la città diventa famosa sotto il regno della regina Zenobia e del figlio Vaballato, che sognano di formare un impero d’Oriente da affiancare a quello di Roma. La mitica regina, infatti, inizia a ribellarsi al potere della città eterna e conquista Egitto, Palestina e Arabia, spingendosi fino alla Cappadocia e alla Bitinia. Ma la proclamazione di Aureliano a imperatore pone fine alle ambizioni di Zenobia e del figlio. Palmira viene conquistata, abbandonata e diventa base militare per le legioni romane. Dopo un periodo di nuova fioritura con l’impero bizantino, la città va in rovina sotto il dominio arabo.

http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/mediooriente/2016/03/26/siria-ecco-cosa-resta-del-sito-archeologico-di-palmira-video_f8f1ed4d-cf16-4892-ada2-4cabef0e931a.html

 

La foto scattata il 27 marzo 2016 conferma che il tetrapilo non è stato distrutto dai jihadisti

La foto scattata il 27 marzo 2016 conferma che il tetrapilo non è stato distrutto dai jihadisti

Un portale in una distesa di detriti è il muto testimone di quanto resta del grande santuario di Bel a Palmira distrutto dai jihadisti

Un portale in una distesa di detriti è il muto testimone di quanto resta del grande santuario di Bel a Palmira distrutto dai jihadisti

“L’80 per cento dell’architettura dell’antica città siriana non sarebbe stata distrutta dall’Isis, anche se quel 20% non è perdita da poco, se pensiamo solo al tempio romano di Baalshamin e al grande santuario di Bel”, sostiene Selon Maamoun Abdulkarim, direttore di Antichità e Musei in Siria (Dgam), dopo l’esame delle immagini riprese dal drone russo su Palmira liberata. Il colonnato, l’agorà, il teatro, i bagni di Diocleziano, il tempio di Nébo e d’Allat sono ancora in piedi, a testimoniare millenni di arte e di storia, contaminazioni culturali assire, bizantine e greco romane nella città patrimonio dell’Unesco. Distrutto invece il tempio di Bel e Baalshamin, come decine di torri funerarie e l’arco trionfale, e le sculture e i reperti del museo archeologico. Proprio il museo, difeso fino a pagare con la vita dal suo direttore Khaled Asaad, è stato oggetto di saccheggio. “Ci vorranno cinque anni per ricostruirla”, sostiene Maamoun Abdulkarim, direttore di Antichità e Musei in Siria. Dopo la riconquista dell’antica città siriana, la Russia promette il suo aiuto per lo sminamento dell’area e il museo dell’Ermitage di San Pietroburgo offre la collaborazione di un team di esperti per i restauri. Il direttore Abdul-Karim ha detto che un team di esperti farà una stima dei danni. Ma gli esperti internazionali sono scettici. Credere di poter restaurare il sito archeologico potrebbe rivelarsi illusorio, ha dichiarato Annie Sartre-Fauriat, membro della Commissione di esperti dell’Unesco per il patrimonio siriano. E il 1° aprile a Parigi si terrà un incontro proprio su Palmira.

Una sala devastata del museo di Palmira che Khaled Asaad aveva difeso pagando con la propria vita

Una sala devastata del museo di Palmira che Khaled Asaad aveva difeso pagando con la propria vita

Esperti di antichità siriani si sono detti profondamente scioccati dalla distruzione dei jihadisti al museo di Palmira: innumerevoli reperti dispersi e statue demolite. Il museo, infatti, ospita una “importante collezione” dell’arte palmirena, frutto di antiche donazioni. “In quanto custodi del patrimonio di Palmira – ha detto Piotrovsky – potremo aiutare ad analizzare la situazione e dare consigli così che questo sito storico diventi un monumento alla cultura, un monumento alla vittoria sul fanatismo e non una replica moderna, semplice attrazione turistica”. La direttrice generale dell’Unesco Irina Bokova ha detto di sperare in una stretta collaborazione con l’Ermitage.

L'archeologo siriano Khaled Asaad, decapitato dall'Isis nel 2015

L’archeologo siriano Khaled Asaad, decapitato dall’Isis nell’agosto 2015

“Palmira è stata liberata dalle truppe di Assad grazie anche al supporto aereo dell’aviazione russa e di alcuni corpi speciali dispiegati sul campo. Le bande criminali di Daesh sono in ritirata e non hanno potuto portare a termine lo scempio preannunciato del sito archeologico dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Le cancellerie occidentali ed il governo italiano brillano per il loro assordante silenzio, con il quale sembrano voltarsi dall’altra parte mentre qualcuno fa il lavoro sporco della guerra, anche se di liberazione”, denuncia Paolo Romani, presidente del Gruppo Forza Italia al Senato. “Ricordiamo in questa occasione oltre alle centinaia di morti di combattenti siriani due uomini valorosi: Khaled al-Asaad, archeologo e custode dei siti romani, di quell’esempio unico nel mondo della civilizzazione dell’antica Roma, decapitato dai criminali di Daesh perché non ha voluto rivelare il luogo dove erano stati nascosti preziosissimi reperti dell’antica Palmira; e l’anonimo ufficiale delle forze speciali russe che trasmetteva le coordinate dei terroristi del Daesh per effettuare i raid ed ha deciso di indirizzare il fuoco contro se stesso, una volta circondato, pur di non cadere vivo nelle loro mani. È morto da eroe, comunicando la sua ultima posizione così da consentire di eliminare i jihadisti che lo avevano raggiunto. Ora e solo ora, il ministro Franceschini può inviare i caschi blu della cultura approvati dall’Unesco. Grazie al coraggio ed all’abnegazione di tanti altri sconosciuti eroi di guerra”.

Tourisma 2016. Al salone internazionale dell’archeologia di Firenze migliaia di presenze. Matthiae, Morandi Bonacossi e Peyronel su archeologia e ricerca italiana all’estero nei periodi di crisi e di guerra. Il Vicino Oriente in fiamme

L'auditorium del centro congressi di Firenze stracolmo per Tourisma 2016 (foto Valerio Ricciardi)

L’auditorium del centro congressi di Firenze stracolmo per Tourisma 2016 (foto Valerio Ricciardi)

L'archeologo siriano Khaled Asaad, decapitato dall'Isis nel 2015

L’archeologo siriano Khaled Asaad, decapitato dall’Isis nel 2015

Una marea di appassionati e addetti ai lavori, di curiosi e aficionados: ecco Tourisma 2016, il salone internazionale dell’archeologia che ha animato il Palazzo dei Congressi di Firenze dal 19 al 21 febbraio 2016. Tra 10 e 12mila le persone che, si calcola, hanno partecipato alla kermesse promossa dalla rivista Archeologia Viva diretta da Piero Pruneti. E il colpo d’occhio dell’auditorium del centro congressi straboccante nella foto di Valerio Ricciardi ben rende l’atmosfera di calda partecipazione. Partecipazione vissuta comunque non solo in auditorium, sede privilegiata della kermesse, ma anche nelle altre sale messe a disposizione da Firenze Fiere per workshop, presentazioni, assemblee, incontri, come pure negli spazi comuni riservati agli stand espositivi e ai laboratori. Molti i temi toccati, ma uno in particolare ha percorso trasversalmente le tre giornate di lavori: il rapporto dell’archeologia e della ricerca italiana all’estero con le crisi internazionali e la guerra, insieme a un ricordo-omaggio a Khaled al-Asaad, l’archeologo siriano custode per anni del sito Unesco di Palmira decapitato nell’agosto 2015 dall’Isis, affidato a Paolo Matthiae, il decano degli archeologi italiani in Siria, e all’instant movie del regista veneziano Alberto Castellani “Khaled al-Asaad: quel giorno a Palmira”. Toccanti le parole dello scopritore di Ebla: “Khaled Asaad era un uomo giusto, onesto, liberale, ospitale, simpatico. Era un figlio di quella regione, un efficace ambasciatore dei tesori del suo Paese. Lui è stato giustiziato dall’Isis per tre motivi: perché non ha rivelato dove aveva nascosto i tesori portati in salvo da Palmira; perché era ritenuto un servo del regime di Assad; perché era custode di un luogo pagano. In realtà Khaled fu un eccellente servitore del suo Paese”.

La distruzione del tempio di Baal Shimin a Palmira, patrimonio dell'Unesco, da parte dei miliziani dell'Isis

La distruzione del tempio di Baal Shimin a Palmira, patrimonio dell’Unesco, da parte dei miliziani dell’Isis

L'archeologo Paolo Matthiae, lo scopritore di Ebla

L’archeologo Paolo Matthiae, lo scopritore di Ebla

Proprio a Matthiae, professore emerito di Archeologia e storia del Vicino Oriente antico alla Sapienza di Roma, è stato affidato il compito di fare il punto sulla situazione della Mesopotamia in fiamme. “Stiamo assistendo a un inaudito disastro del patrimonio culturale dell’Iraq e della Siria”, spiega, attraverso anche una cinica guerra di comunicazione parallelamente alla guerra vera e propria. “Si parla – è vero – di propaganda dell’Isis. Ma in questo contesto si dicono anche tante stupidaggini. Una delle più ricorrenti è quella che sostiene che l’Isis si finanzia attraverso la vendita delle antichità. Niente di più assurdo. Ci vorrebbero almeno 200 opere originali di Leonardo Da Vinci per finanziare le spese che sostiene l’Isis. E lo si può capire facilmente che le antichità non possono essere remunerative. Basta controllare le quotazioni del mercato antiquario alle aste e si vede che le valutazioni dei reperti archeologici non superano alcune migliaia di euro”. E aggiunge polemico: “Allora viene il sospetto che quando soprattutto negli Usa si fanno queste affermazioni è solo per non dire o non affrontare il vero problema: chi finanzia, chi c’è dietro l’Isis? Se noi lo svelassimo, la guerra sarebbe presto finita. In questo contesto Palmira è un esempio calzante che spiega la non volontà di intervento. Palmira – lo sappiamo – è un’oasi nel deserto, senza consistenti nuclei abitati nelle vicinanze. Quindi, considerando la potenzialità delle forze alleate in campo, difendere e salvaguardare Palmira sarebbe stato un gioco da ragazzi. Invece Palmira è stata lasciata sola, permettendo che poche centinaia di miliziani jiahdisti, si parla di 800, la occupassero facilmente. Con le conseguenze che poi conosciamo tutti. È ridicolo. Perché non si è fatto niente?”.

Il sito di Ebla in Siria: senza la manutenzione la città del III millennio si sta distruggendo

Il sito di Ebla in Siria: senza la manutenzione la città del III millennio si sta distruggendo

In Siria è dal 2010 che sono state interrotte le missioni archeologiche. Oggi le attività di ricerca archeologica sono possibili e continuano in quei territori che sono ancora sotto il controllo dello Stato siriano. Ovviamente lavorano solo gli archeologi siriani perché le missioni straniere sono bloccate. “A Ebla, ad esempio, nel 2010 si stava predisponendo – col pieno appoggio delle autorità governative – il piano per la realizzazione del Parco archeologico di Ebla, che prevedeva il coinvolgimento di cinque villaggi vicini per l’appoggio logistico e di servizio al previsto e auspicato flusso turistico. E a Idlib, la città capoluogo, era già stata realizzata la Casa della Cultura, che doveva fungere da centro logistico e informativo per i turisti, con annesso il rinnovato Museo archeologico di Idlib, che nelle intenzioni doveva diventare il museo di Ebla con reperti e ricostruzioni della grande città del III millennio a.C. La Casa della Cultura”, ricorda amaro Matthiae, “è stata distrutta dall’Isis, mentre il sito di Ebla abbandonato al degrado si sta distruggendo per mancanza di manutenzione. Infatti, senza la necessaria cura (noi la facevamo due volte l’anno) si è praticamente sfaldata. E non potrebbe essere altrimenti trattandosi di strutture in mattoni crudi”.

La storia cancellata con l'esplosivo: così è stata distrutta dall'Is la città assira di Nimrud in Iraq

La storia cancellata con l’esplosivo: così è stata distrutta dall’Is la città assira di Nimrud in Iraq

Daniele Morandi Bonacossi a Tourisma 2016 (foto Valerio Ricciardi)

Daniele Morandi Bonacossi a Tourisma 2016 (foto Valerio Ricciardi)

Purtroppo non c’è solo Ebla: l’archeologia oggi è ferita in Iraq e Siria, come ricorda Daniele Morandi Bonacossi, docente di Archeologia e Vicino Oriente antico all’università di Udine e direttore del Progetto Archeologico Regionale Terra di Ninive, nel Kurdistan iracheno, ampia ricerca interdisciplinare condotta nell’ambito della Missione Archeologica Italiana in Assiria (MAIA). “L’Isis mostra di voler distruggere quanto offende la presenza del monoteismo coranico di matrice salafita e wahabita, perché l’Isis si richiama all’Islam delle origini. Di qui la distruzione di quanto non rientra in questi canoni: moschee, mausolei, chiese, statue antiche, siti archeologici. Di qui le distruzioni del museo di Mosul, dei siti di Nimrud e Hatra, fino a Palmira e alla decapitazione di Khaled Asaad”.

Daniele Morandi Bonacossi (univ. di Udine) in Iraq con Gil J. Stein (Oriental Institute of Chicago)

Daniele Morandi Bonacossi (univ. di Udine) in Iraq con Gil J. Stein (Oriental Institute of Chicago)

Morandi Bonacossi mette in guardia da facili conclusioni. “La furia iconoclasta non è una prerogativa dell’Isis, e soprattutto non ha nulla a che fare con l’Islam”, assicura. “L’iconoclastia è uno strumento politico di potere di cui l’uomo si è sempre servito fin dalle origini, in ogni cultura e in ogni latitudine. Oggi in Isis c’è la volontà di distruggere quegli Stati creati a tavolino dagli inglesi alla caduta dell’impero ottomano. Ma il saccheggio dei siti archeologici in Iraq e Siria non è legato solo all’Isis. Se infatti il saccheggio promosso dagli uomini del Califfo hanno praticamente distrutto il sito della città carovaniera seleucide di Dura Europos e quello della città sumera di Mari, diversa è la responsabilità per la città greco-romana di Apamea che, pur essendo sotto il controllo delle forze governative, ha avuto la stessa tragica sorte”. Un saccheggio annunciato, purtroppo. “Noi archeologi orientalisti”, continua, “avevamo già previsto come sarebbe andata a finire: un grande saccheggio. Lo sapevamo perché lo avevamo visto in Iraq all’indomani della caduta di Saddam Hussein quando, essendo venuto meno il controllo del territorio da parte dell’autorità centrale, le aree archeologiche furono violentate e distrutte da un saccheggio sistematico. E nei saccheggi si porta via di tutto: dalle ceramiche alle sculture, dai rilievi alle monete. E questi “tombaroli” forti dell’esperienza maturata in Iraq, oggi sono assoldati dall’Isis per depredare il nord della Mesopotamia, e per tale “servizio” lo Stato Islamico ha previsto anche una tassa, il khums (il quinto), vale a dire che il 20% dei proventi deve essere versato all’Isis. Le antichità depredate finiscono per la maggior parte nei mercati antiquari degli Usa e dell’Europa. Proprio la quantità di oggetti che raggiungono il mercato antiquario occidentale sono una cartina di tornasole dell’entità del saccheggio in atto. E le cifre sono drammatiche: secondo l’Unesco, il traffico di materiale archeologico da scavi illegali o clandestini produrrebbe un volume di affari di 7 miliardi di euro”.

L'archeologo dello Iulm, Luca Peyronel, in Vicino Oriente

L’archeologo Luca Peyronel in Vicino Oriente

Che fare, allora, di fronte all’Isis? Lo indica Luca Peyronel, professore di Archeologia e Storia dell’Arte del Vicino Oriente antico alla Iulm di Milano, e direttore della missione archeologica italiana nella piana di Erbil in Kurdistan iracheno: “Bisogna continuare a fare ricerca, ovviamente in una situazione di relativa sicurezza, perché la nostra presenza ha un valore etico. E ciò vale anche per la Siria dove, se non è possibile andare fisicamente in missione, almeno si può continuare a studiare e a pubblicare quanto già scavato. E anche la recente creazione dei Caschi blu della Cultura (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2016/02/19/istituiti-i-caschi-blu-della-cultura-sotto-legida-dellunesco-la-prima-task-force-united4heritage-e-italiana-con-tecnici-specializzati-e-carabini/) va letto positivamente a livello internazionale, perché è una importante risposta politica al fondamentalismo”.

Da Nord a Sud: omaggio a Khaled Asaad, l’archeologo siriano custode di Palmira trucidato dall’Isis. Palermo gli intitola la nuova sala del museo archeologico Salinas. Milano un cippo nel Giardino dei Giusti. Videoclip del Gruppo archeologico Bolognese

All'archeologo Khaled Asaad, decapitato dall'Isis, è dedicata la nuova sala del museo archeologico Salinas di Palermo

All’archeologo Khaled Asaad, decapitato dall’Isis, è dedicata la nuova sala del museo archeologico Salinas di Palermo

5 febbraio 2016: per il museo archeologico “Antonino Salinas” di Palermo è una data da ricordare (vedi https://www.youtube.com/watch?v=qHdyhUusisI). Alla presenza dell’assessore regionale ai Beni culturali, Carlo Vermiglio, e del direttore del museo Salinas, Francesca Spatafora, è stata intitolata la nuova saletta dei sarcofagi fenici della Cannita a Khaled al-Asaad, archeologo e curatore del sito archeologico di Palmira (Siria), barbaramente trucidato dai terroristi dell’Isis il 18 agosto del 2015.

La nuova saletta dei sarcofagi fenici al museo archeologico Salinas di Palermo dedicata all'archeologo siriano Khaled Asaad

La nuova saletta dei sarcofagi fenici al museo archeologico Salinas di Palermo dedicata all’archeologo siriano Khaled Asaad

palermo_museo-salinas-khaled-asaad“È la prima volta che in Italia un prestigioso museo archeologico onora così la memoria di quest’uomo giusto, ucciso per essersi impegnato strenuamente per la salvezza dei reperti che custodiva e per essersi rifiutato di rivelare ai miliziani dove fossero conservate le opere più preziose”, affermano i promotori dell’iniziativa. “Per questa coraggiosa resistenza e per avere dedicato buona parte della sua vita alla ricerca e alla difesa di uno dei più importanti siti archeologici al mondo, Palmira, oggi patrimonio dell’Unesco”, l’assessorato regionale ai Beni culturali e il museo Salinas hanno deciso di onorare Khaled al-Asaad “con un segno che rimanga perenne all’interno del nuovo allestimento della più antica Istituzione pubblica della Sicilia, fondata nel 1814”. “La dedica – osserva Spatafora – vuole anche essere di auspicio per un futuro di pace nel nome del dialogo tra culture, in un luogo dove sono rappresentate le memorie delle tante civiltà mediterranee che hanno contribuito a costruire l’identità complessa del nostro presente”.

Francesca Spatafora, direttore del museo archeologico Salinas di Palermo

Francesca Spatafora, direttore del museo archeologico Salinas di Palermo

Il museo Archeologico di Palermo, già museo nazionale dedicato oggi ad Antonino Salinas, – come si diceva – è la più importante e antica istituzione museale dell’Isola. Formatosi nel 1814 come museo dell’Università e divenuto museo nazionale nel 1860, vi confluirono, nel tempo, importantissime collezioni e materiali provenienti da vari siti, tra cui le famose metope del tempio C di Selinunte, scoperte nel 1823 dagli architetti inglesi Angell e Harris, che ne avevano tentato il trafugamento. I sovrani Borboni donarono all’Istituto diversi reperti di grande pregio provenienti da Pompei e da Torre del Greco, mentre scavi e acquisti contribuirono ad accrescere le collezioni. Nel 1865, ad esempio, fu acquistata la prestigiosa raccolta di antichità etrusche costituita da Pietro Bonci Casuccini grazie ai ritrovamenti nei suoi terreni in territorio di Chiusi. Tra le più importanti acquisizioni ricordiamo quella della cosiddetta Pietra di Palermo, con iscrizioni geroglifiche di importanza capitale per la ricostruzione della storia egiziana. Dopo l’unità d’Italia, anche i Savoia donarono al museo diverse opere, tra cui il magnifico ariete in bronzo da Siracusa. Ma fu soprattutto l’afflusso di reperti provenienti da scavi e acquisti effettuati in gran parte della Sicilia che determinò la rilevanza e il ruolo centrale del museo, in particolare sotto la direzione di Antonino Salinas (1873-1914), fermamente convinto che l’Istituto dovesse illustrare la storia siciliana dalla preistoria all’età contemporanea.

Il cippo in memoria e onore di Khaled Asaad al Giardino dei Giusti del Monte Stella di Milano

Il cippo in memoria e onore di Khaled Asaad al Giardino dei Giusti del Monte Stella di Milano

Dal sud al nord: da Palermo a Milano, sempre nel nome di Khaled Asaad. Nel capoluogo lombardo lo scorso novembre, qualche giorno dopo l’attentato di Parigi, il Comune ha posto nel Giardino dei Giusti al Monte Stella un cippo e un albero in memoria dell’archeologo siriano ucciso dall’Isis. “In questi giorni difficili ci vuole coraggio come quello di Khaled, ci vuole saggezza, per guardare avanti”, aveva affermato alla cerimonia di posa il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, citando gli attentati di Parigi del 13 novembre: “Abbiamo voluto una città aperta, ma chiusa a chi porta messaggi di odio, violenza e morte. Dico grazie a Khaled, per quello che ci insegna e per essere qui giusto tra i Giusti”. Per Pisapia, Khaled Al Asaad è stato “un uomo libero che ha dato la vita per la difesa della storia, della cultura e della società. Ed era arabo e musulmano”. Nei giorni scorsi il vicepresidente del Gruppo archeologico Bolognese, Giuseppe Mantovani, è andato a Milano a rendere omaggio a Khaled Asaad al Giardino dei Giusti. E ha realizzato un breve videoclip in omaggio al coraggioso archeologo che qui proproniamo.

Ai Lincei Paolo Matthiae, scopritore di Ebla, per mezzo secolo in Siria, interviene sulla situazione in Vicino Oriente: “Italia in prima linea per salvare il patrimonio dall’odio dell’Isis”

L'archeologo Paolo Matthiae, scopritore di Ebla, per quasi 50 anni ha operato in Siria

L’archeologo Paolo Matthiae, scopritore di Ebla, per quasi 50 anni ha operato in Siria

Dolore e rabbia per quanto sta accadendo nel Vicino Oriente, ma anche una certezza: “L’Italia è e sarà in prima linea per contrastare la distruzione del patrimonio storico e artistico della Siria e dell’Iraq che il sedicente Stato Islamico sta compiendo, mostrando un odio inconcepibile, oltre ogni più orribile previsione”. Paolo Matthiae, accademico dei Lincei, uno dei più grandi archeologi orientalisti non solo tra gli italiani, direttore per 47 anni (1964-2010) della missione archeologica a Tell Mardikh, in Siria, dove ha scoperto l’antica città di Ebla e i suoi straordinari archivi reali, proprio all’Accademia dei Lincei a Roma ha coordinato la conferenza su “Le distruzioni del patrimonio culturale tra passato e futuro. Il dramma della Siria e dell’Iraq, e le iniziative dell’Italia” alla presenza del senatore Francesco Rutelli e dello storico Andrea Giardina.

L'archeologo Paolo Matthiae

L’archeologo Paolo Matthiae

Quanto è a rischio il patrimonio archeologico del Vicino Oriente? Che cosa sta facendo e cosa può fare il mondo civile per fermare questa barbarie? Temi cari allo scopritore di Ebla che sarà uno dei protagonisti alla seconda edizione di Tourisma, il salone internazionale dell’archeologia in programma a Firenze dal 19 al 21 febbraio (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2016/01/18/dal-19-al-21-febbraio-2016-appuntamento-a-firenze-per-tourisma-il-salone-internazionale-dellarcheologia-decine-di-incontri-con-piu-di-duecento-relatori/). Per Matthiae “una sofferenza non facilmente dicibile”. Lui che in Siria ci ha vissuto quasi mezzo secolo, e che la Siria ha visto crescere e aprirsi al mondo. “Negli ultimi decenni era un luogo di concentrazione di attività archeologiche straordinarie. Pensate: nel 1964, quando sono andato in Siria per la prima volta, c’erano 7-8 missioni archeologiche straniere. Quando gli archeologici di tutto il mondo hanno dovuto abbandonare la Siria nel 2010 c’erano un’ottantina di missioni straniere che arrivavano a 120 missioni se si calcolavano quelle congiunte siro-francesi, siro-tedesche, siro-italiane”.

La distruzione del tempio di Baal-Bel a Palmira, patrimonio dell'Unesco, da parte dei miliziani dell'Isis

La distruzione del tempio di Baal-Bel a Palmira, patrimonio dell’Unesco, da parte dei miliziani dell’Isis

“Dopo i disastri della Seconda Guerra Mondiale”, spiega Matthiae, “nessuno di noi avrebbe mai pensato che si potessero ripetere intenzionali distruzioni del patrimonio per odio dell’altro. Un odio assolutamente inconcepibile, perché quando si distrugge un tempio spettacolare di Palmira si distrugge un patrimonio storico siriano, ma anche un patrimonio straordinario dell’umanità non in maniera diversa da quello che è avvenuto a Dresda alla fine della Seconda guerra mondiale”. Per il sedicente Stato Islamico “la cui radice culturale è nel fanatismo wahhabita e salafita, ciò che appartiene al mondo pagano e preislamico è esecrabile e va distrutto”, continua, “ma la furia dell’Is-Daesh non si abbatte solo contro le testimonianze del mondo pagano anteriore all’Islam, ma anche contro opere islamiche e non solo del mondo sciita, ma anche sunnita”.

Il direttore di Palmira, Khaled Asaad, e il tempio di Baal

Il direttore di Palmira, Khaled Asaad, e il tempio di Baal

Accanto all’aspetto teologico, però, la distruzione dei siti storico-archeologici nelle terre conquistate dai miliziani dell’Isis ha anche un aspetto economico. “C’è questo paradosso”, denuncia Matthiae: “l’Is-Daesh distrugge, annienta, polverizza monumenti, opere e centri interi di interesse storico, ma una parte la salva per chi ha un interesse nell’antiquariato. Qui ci sono deplorevoli connivenze nel mondo del Vicino Oriente e Occidentale. Perché ovviamente se si vendono delle cose c’è qualcuno che le acquista”. Su come intervenire per fermare questa barbarie, l’accademico sostiene che “sarebbe un rischio assurdo, impensabile e inattuabile intervenire sullo scenario di guerra”. Tuttavia “l’Italia è in prima linea con una serie di proposte e l’Unione Europea lo riconosce”, conclude Matthiae, che approva la proposta del ministro dei Beni culturali Dario Franceschini sostenuta dal premier Matteo Renzi dell’istituzione di caschi blu dell’Unesco a protezione del patrimonio culturale: “Il fatto che l’Unesco abbia approvato all’unanimità questa proposta italiana è importante per il futuro sotto un duplice aspetto. Da un lato perché appena si creeranno condizioni di sicurezza si potrà intervenire con dei caschi blu. In secondo luogo perché le forze militari di pace possono essere affiancate da forze specializzate per la protezione culturale”.

Siria devastata dai miliziani. Appello del direttore dei musei di Damasco: “Non lasciateci soli”. E il direttore del Turismo di Palmira: “Tre generazioni per superare i danni dell’Isis”

La distruzione del tempio di Baal-Bel a Palmira, patrimonio dell'Unesco, da parte dei miliziani dell'Isis

La distruzione del tempio di Baal-Bel a Palmira, patrimonio dell’Unesco, da parte dei miliziani dell’Isis

Davanti a noi scorrono le immagini drammatiche di una Palmira violentata, umiliata, distrutta: l’antica città carovaniera, oasi monumentale sulla via della Seta, nel cuore del deserto siriano, resa famosa dalla sua regina Zenobia, patrimonio dell’umanità, dall’arrivo a maggio dei miliziani jihadisti dello Stato Islamico non è più la stessa. Ecco i templi di Baal Shamin e di Bell, le tombe a torre nella necropoli antica, l’Arco di Trionfo, cancellati dal passaggio della furia terroristica.“Per superare i danni dell’Isis in Siria ci vorranno tre generazioni. C’è un piano per la distruzione della nostra storia e della nostra identità”, assicura Mohamed Saleh, ultimo direttore del Turismo di Palmira, ospite della XVIII edizione della Borsa Mediterranea del turismo archeologico a Paestum (Salerno). E sull’immagine dei soldati bambini che, lo scorso luglio, nelle rovine del teatro hanno ucciso a colpi di pistola venticinque soldati siriani, Saleh ammonisce: “Quale futuro si può ricostruire con un’intera generazione di bambini che hanno visto i loro coetanei uccidere a sangue freddo? Gli uomini dell’Isis annientano chiunque non la pensi come loro: la cultura è compromessa, non soltanto per la distruzione del nostro patrimonio. Su quanti siano oggi i danni anche nel Museo ancora non lo sappiamo: hanno di certo bruciato per strada e poi buttato nella spazzatura anche cinque mummie”.

L'archeologo Khaled Asaad, per decenni "custode" di Palmira, assassinato dai miliziani dell'Isis

L’archeologo Khaled Asaad, per decenni “custode” di Palmira, assassinato dai miliziani dell’Isis

Ma è da Roma che rimbalza un appello stringente a tutto l’Occidente: “Non lasciateci soli”. A parlare è il professor Maamoun Abdulkarim, direttore generale delle Antichità e dei Musei di Damasco, intervenuto in un’audizione informale delle Commissioni riunite Affari esteri e Cultura della Camera dei Deputati. “Non possiamo rimanere soli. Chiediamo alla comunità internazionale di aiutarci a preservare il nostro patrimonio, innanzitutto chiudendo le frontiere e contrastando il mercato nero. L’Italia è stata tra i primi Paesi ad aiutarci, e lo stesso ha fatto la Germania. La comunità scientifica deve lavorare insieme per proporre nuove soluzioni: noi stiamo facendo di tutto per salvare la nostra eredità culturale, ma il territorio è ricchissimo di siti e le distruzioni continuano”. E continua: “La politica cambia ma l’eredità culturale resta per tutte le generazioni. Abbiamo un solo patrimonio, non uno del governo di Assad e uno dell’opposizione, per questo noi archeologi di Damasco siamo orgogliosi di lavorare andando al di là delle differenze politiche”. Nonostante la situazione critica presente in Siria e in Iraq, il professore ci tiene a precisare che “sono stati salvati migliaia di reperti, tesori continuamente a rischio per gli scontri tra forze governative e ribelli, per i saccheggi e poi ovviamente per l’Isis”. E conclude: “Io rischio la vita ogni giorno e ricevo continuamente brutte notizie: quando hanno ucciso il mio amico e collega Khaled al-Asaad (l’archeologo decapitato lo scorso agosto dall’Isis a Palmira) è stato mostrato al mondo qual è la vita degli archeologi siriani. Se io cado nelle mani dei miliziani mi uccideranno nello stesso modo. Ma né io né i miei colleghi possiamo mollare. Non so quanto resisteremo. L’unica cosa positiva è che abbiamo salvato 300mila opere d’arte, tutte documentate e custodite a Damasco”.

L’avventura di Giancarlo Ligabue, l’eccezionale coraggio di Khaled Asaad a Palmira, le distruzioni in Mesopotamia dalla guerra del Golfo all’Isis: così chiude alla grande la XXVI rassegna del cinema archeologico di Rovereto

La rassegna del cinema archeologico di Rovereto è un omaggio a Giancarlo Ligabue fondatore e anima del Centro studi e ricerche Ligabue di Venezia

La rassegna del cinema archeologico di Rovereto è un omaggio a Giancarlo Ligabue fondatore e anima del Centro studi e ricerche Ligabue di Venezia

La straordinaria avventura di Giancarlo Ligabue, gli effetti della guerra in Mesopotamia e un’eccezionale intervista a Khaled Asaad, il direttore di Palmira decapitato in agosto dalla furia dei miliziani di Isis sono il piatto forte di sabato 10 ottobre 2015, giornata conclusiva della XXVI rassegna internazionale del cinema archeologico di Rovereto. Ad aprire il calendario delle proiezioni pomeridiane “Il meteorite di Saaremaa” di Maurizia Giusti, in arte Siusi Blady, che percorre un’ipotesi affascinante: che i miti baltici abbiano influenzato anche i miti del Mediterraneo. “L’età del Bronzo del Baltico”, spiega, “è più antica di quella del Mediterraneo, e la traccia lasciata dalle sepolture lungo i fiumi ci fa pensare che questi popoli passassero da lì”. Insomma “L’Odissea e l’Iliade potrebbero avere origine Baltica”. Quindi due film dagli archivi del Centro studi e ricerche Ligabue, “Nelle steppe di Gengis Khan” (spedizione sulle piste seguite da Gengis Khan nel XIII secolo) e “I segreti del Karakoum” (la ricerca di una città inghiottita dalle sabbie del deserto del Turkmenistan cinquemila anni fa), introducono l’incontro delle 18 su “L’avventura di Giancarlo Ligabue. Una grande passione per la scienza” con due profondi conoscitori dell’imprenditore-archeologo-esploratore-paleoantropologo, Davide Domenici e Adriano Favaro. L’evento sarà ripreso dall’équipe televisiva di Controcampo.

All'archeologo Khaled Asaad, decapitato dall'Isis, è dedicata la XXVI rassegna internazionale del cinema archeologico

All’archeologo Khaled Asaad, decapitato dall’Isis, è dedicata la XXVI rassegna internazionale del cinema archeologico

Particolarmente ricco anche il programma della serata a fare da cornice alla tradizionale cerimonia di premiazione del film scelto dal pubblico e soprattutto del film vincitore del XII premio “Paolo Orsi” indicato da una qualificata giuria internazionale. Si inizia con la proiezione del film di Lucio rosa “Bambinga, piccoli uomini della foresta” dedicata ai pigmei che abitano la foresta equatoriale africana, superstiti testimoni di epoche antichissime, oggi costretti a un violento impatto con altre civiltà. E poi “Khaled Asaad, quel giorno a Palmira”, un instant movie di Alberto Castellani che ha recuperato un’intervista straordinaria all’ex direttore del sito Unesco di Palmira realizzata nel 2004 cui questa edizione della Rassegna dedica un particolare omaggio. E infine “Iraq”, proposta del servizio cinematografico realizzato per il Centro produzione Rai di Napoli dal giornalista Luigi Necco: i monumenti della Mesopotamia com’erano e come sono ora, dopo le sistematiche distruzioni attuate dall’Isis. Il drammatico confronto è reso possibile dal servizio di Luigi Necco, che subito dopo la prima guerra del Golfo ha percorso tutto il Paese, da Ur a Mossul, per verificare quali danni avessero subito i monumenti della Mezzaluna fertile. Erano quasi tutti intatti: oggi Nimrud, la capitale degli Assiri scavata da Max Mallowan e Agata Christie non esiste più. Per la prima volta visibili i reperti di Aleppo e Damasco sfuggiti alla distruzione perché nascosti in luoghi segreti.

Aperta la XXVI Rassegna internazionale del cinema archeologico di Rovereto nel nome di Khaled Asaad, l’archeologo di Palmira decapitato dall’Isis. E sabato “instant movie” di Alberto Castellani con il ricordo personale di Asaad in un’intervista del 2004

All'archeologo Khaled Asaad, decapitato dall'Isis, è dedicata la XXVI rassegna internazionale del cinema archeologico

All’archeologo Khaled Asaad, decapitato dall’Isis, è dedicata la XXVI rassegna internazionale del cinema archeologico

La XXVI rassegna internazionale del cinema archeologico di Rovereto, dal 6 al 10 ottobre 2015, nel nome di Khaled Asaad, l’archeologo di Palmira “la cui morte e sacrificio – ricorda Dario Di Blasi, direttore della rassegna – hanno dimostrato che la cultura non può coesistere con la guerra e che al tempo stesso è la premessa necessaria per la pace”. Ma non è tutto. Sabato 10 ottobre, durante la serata delle premiazioni dei film in concorso, ci sarà un omaggio ad Asaad con un “instant movie” del regista veneziano Alberto Castellani, che dieci anni fa aveva avuto l’onore di intervistarlo. Era il 18 agosto 2015 quando Khaled al-Asaad è stato ucciso a Palmira dopo aver difeso fino all’ultimo dalla furia dell’Is il sito archeologico, patrimonio dell’Unesco, decapitato dai jihadisti per non aver rivelato il nascondiglio di alcuni inestimabili reperti romani. E ora una petizione tutta italiana sulla piattaforma Change.org chiede la candidatura postuma al Nobel per la Pace di Khaled Asaad. A lanciare l’appello, sottoscritto finora da oltre 12500 utenti in soli 4 giorni, è Anna Murmura, che nella lettera indirizzata al Comitato per i Nobel e alle Accademie di Archeologia e Cultura classica ha chiesto che “l’anno prossimo in febbraio venga proposta la candidatura al Nobel per la pace alla memoria per Khaled Asaad, l’archeologo di Palmira morto per difendere i nostri beni culturali dalle onde barbariche e la cultura classica a cui dobbiamo molto. Difendere la cultura – conclude – vuol dire difendere la pace, la guerra e l’odio nascono dall’ignoranza. Khaled Asaad è un eroe di cui il mondo ha parlato e parla poco. Onore al grande archeologo e al grande uomo”. La petizione è stata sottoscritta anche da Di Blasi. “Ho firmato l’appello che mi è arrivato dal Perù tramite facebook da Giuseppe Orefici, archeologo italiano in sud-america,  per assegnare il premio Nobel per la pace a Khaled Asaad. I social network possono essere utili”.

Il poster ufficiale della XXVI Rassegna internazionale del Cinema archeologico di Rovereto dal 6 al 10 ottobre 2015

Il poster ufficiale della XXVI Rassegna internazionale del Cinema archeologico di Rovereto dal 6 al 10 ottobre 2015

Brilla sulla XXVI Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico di Rovereto la medaglia assegnata dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, recapitata alla Fondazione Museo Civico di Rovereto alla vigilia della rassegna consacrata quest’anno al dibattito, quanto mai attuale, sul passato e sul presente della culla della civiltà. Il programma cinematografico e di conversazioni della XXVI edizione della Rassegna non si discosta da questo intento e offre un menu ricchissimo di quasi cento film e una decina d’incontri con protagonisti della ricerca archeologica, con la collaborazione preziosa del Centro Studi Ligabue e del Documentary & Experimental Film Center di Tehran che organizza annualmente una delle più importanti manifestazioni di documentari internazionali, ovvero Cinema Veritè. Novità di quest’anno, l’introduzione di una menzione speciale assegnata da un gruppo di Archeoblogger e l’assegnazione del premio speciale Cinem.A.Mo.Re (la Rassegna che promuove Religion Today Filmfestival, Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico e Trento Film Festival). Tra gli appuntamenti in cartellone, Di Blasi ricorda quelli del paesaggio preistorico delle nostre Dolomiti, l’Avventura dei primi uomini in Australia, i misteriosi obelischi in territorio curdo in Turchia, l’eccitante ricerca di un importante personaggio della corte di Hat-shep-sut, primo faraone donna, la ricostruzione della storia della Nike di Samotracia, la principale icona del Louvre parigino, la riscoperta della Verona romana nel suo impianto urbano e la ricostruzione grafica della sua complessa stratificazione archeologica, la storia e anche l’etnografia di tanti siti e luoghi dell’Iran attuale e dell’antica Persia, le splendide immagini di un vero e proprio museo all’aria aperta come quello del territorio del Mustang tibetano, robot sottomarini per scoprire antichi naufragi là dove l’uomo non potrà arrivare, la meravigliosa arte dei tappeti di Bijar e Tabriz, la scoperta dei popoli che abitarono Angkor e che forse ne furono gli artefici, un intrigo nella Bibbia che ci fa sospettare un Gesù sposato, un viaggio nelle varie forme di scrittura nell’antico Egitto, e ancora la provocazione: l’Iliade e l’Odissea possono aver avuto origine nei miti baltici e non in quelli mediterranei? Quanti misteri, quante scoperte e purtroppo quanta barbarie contro l’uomo e le tante sue realizzazioni e culture come in Iraq e in Siria. Quanta leggerezza, dimenticanza e disattenzione verso popoli che stanno per scomparire come i pigmei Babinga o i cavernicoli Tau’t Bato delle Filippine documentati da Giancarlo Ligabue. Partecipiamo quindi per combattere l’ignoranza, l’intolleranza e la barbarie, per la cultura e per la pace in ricordo di Khaled Asaad trucidato a Palmira per difendere l’uomo e la civiltà”.

Il tempio romano di Baalshimin a Palmira prima della distruzione

Il tempio romano di Baalshimin a Palmira prima della distruzione

E così arriviamo alla serata finale con il ricordo di Khaled Asaad nelle immagini che Alberto Castellani ha recuperato nei suoi archivi, tra ricordi ed emozioni di quell’incontro e di quella visita speciale di Palmira. “Il mio film – spiega Castellani – è un saluto di addio a un uomo di 82 anni che, presago dello scempio del Califfato Islamico, era riuscito a nascondere negli ultimi mesi in un luogo sicuro centinaia di statue. Prima che gli uomini della morte conquistassero la “sposa del deserto” e ne trucidassero il suo più fedele custode”. L’incontro con Asaad risale al 2004. “Si stavano levando i primi raggi del sole – ricorda il regista veneziano – quando Palmira ci apparve all’improvviso giù a valle in tutta la sua estensione. L’incontro con il professor Asaad era fissato per il primo pomeriggio: quindi avevamo tutto il tempo per ammirarla in quella magica versione di luce”. La visita alle rovine non era vincolata da orari . Il tempio di Baal invece era aperto dalle 8 alle 13 e dalle 16 alle 19 con qualche riduzione in certi periodi dell’anno, in particolare durante il Ramadan. All’interno del museo era vietato fumare e toccare gli oggetti. “Ed è qui che il prof Khaled Asaad è stato ucciso dopo il tramonto con un coltello, davanti alla folla, dopo un mese di prigionia nelle mani degli estremisti dell’Isis”.

Il direttore di Palmira, Khaled Asaad, e il tempio di Baal

Il direttore di Palmira, Khaled Asaad, e il tempio di Baal

La distruzione del tempio di Baal a Palmira da parte dei miliziani dell'Isis

La distruzione del tempio di Baal a Palmira da parte dei miliziani dell’Isis

“Il destino di Palmira – ci raccontò il coraggioso direttore del sito Unesco – è quello di proporci testimonianze lungo un periodo di civiltà lungo più di 300 anni. Un autentico faro di civiltà nel contesto del mondo di allora. La sua arte non è però un miscuglio tra occidente ed oriente, una imitazione, per quanto raffinata. L’arte palmirena propone una rielaborazione che introduce ad uno stile assolutamente originale, personale. Un’arte in grado di affermare una identità locale, nel più vasto contesto del mondo orientale. Nell’accommiatarci gli proponemmo alcune immagini da noi girate a Maloula il piccolo villaggio cristiano della Siria che insieme ad altri due paesi vicini, è il luogo in cui viene ancora parlata la lingua aramaica, quella di Gesù. Asaad non ebbe alcuna esitazione. Ci mostrò una lapide e cominciò a leggere ad alta voce. Quel suono antico non lo ho mai dimenticato”. Poi, accomiatandosi, il professore invitò il regista e tutta la troupe a visitare il tempio di Baal, abbastanza vicino. “Ricordo allora di aver goduto, assieme ai miei compagni, di un privilegio inatteso: quello di essere gli unici visitatori. E di provare quasi una ebbrezza nel non condividere con nessuno i propilei, il recinto sacro, il portico, l’ampio cortile interno del tempio. Impossibile allora immaginare – conclude Castellani – che dieci anni più tardi una vampata di fuoco, fumo e polvere avrebbe distrutto quel tempio”.

Siria. L’Isis distrugge due antichi mausolei islamici a Palmira, perché “simbolo del politeismo”. Per ora l’antica città romana, patrimonio Unesco, è stata risparmiata

Lo monumentali rovine di Palmira, patrimonio dell'Unesco, dominata dal mausoleo islamico dello sheikh Mohammad Ben Ali

Lo monumentali rovine di Palmira, patrimonio dell’Unesco, dominata dal mausoleo islamico dello sheikh Mohammad Ben Ali

Palmira a rischio distruzione da parte delle milizie jihadiste dell’Isis. Un evento temuto, annunciato, ma per ora rimasto – in parte – solo una minaccia. Perché se è vero che al momento non ci sono prove che l’Isis abbia infierito sulla città romana, patrimonio dell’Unesco, è invece certo che sono stati fatti saltare in aria due antichi mausolei, tra cui quello dello sheikh Mohammad Ben Ali, vicino al sito archeologico romano, ritenuti “un simbolo del politeismo”. Appena due giorni fa, in piena avanzata jihadista, era anche trapelato che l’Isis aveva piazzato mine e ordigni nella città vecchia. Per timore di distruzioni centinaia di statue e reperti del sito siriano erano stati trasferiti in altre località il mese scorso quando i jihadisti erano penetrati nella parte moderna della città. Ma poi questa notizia era stata smentita da Ahmad Daas, attivista politico siriano dell’opposizione, secondo cui le notizie circolate al riguardo “sono false”: “Non è vero che l’Is ha collocato degli ordigni tra le rovine di Tedmor e i rapporti che ne parlano sono imprecisi e si basano su fotografie fasulle scattate da alcuni cittadini”, smentendo quanto circolato nei giorni scorsi sui media e sugli osservatori per i diritti umani.

Il colonnato di Palmira, punto di sosta per le carovane di viaggiatori e mercanti che attraversavano il deserto siriano

Il colonnato di Palmira, punto di sosta per le carovane di viaggiatori e mercanti che attraversavano il deserto siriano

La Sposa del Deserto. Dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’umanità, Palmira fiorì nell’antichità come punto di sosta per le carovane di viaggiatori e mercanti che attraversavano il deserto siriano ed ebbe un notevole sviluppo fra il I e il III secolo d.C. Per questo motivo fu soprannominata la “Sposa del deserto”. Il nome greco della città, “Palmyra”, è la traduzione fedele dall’originale aramaico, Tadmor, che significa “palma”. La città è citata nella Bibbia e negli annali dei re assiri, ma in particolare la sua storia è legata alla regina Zenobia che si oppose, secondo la tradizione, ai romani e ai persiani. Poi venne incorporata nell’impero romano e Diocleziano, tra il 293 e 303, la fortificò per cercare di difenderla dalle mire dei Sassanidi facendo costruire, entro le mura difensive, ad occidente della città, un grande accampamento con un pretorio ed un santuario per le insegne per la Legio I Illirica. A partire dal IV secolo le notizie su Palmira si diradano. Durante la dominazione bizantina furono costruite alcune chiese, anche se la città aveva perso importanza. L’imperatore Giustiniano, nel VI secolo, per l’importanza strategica della zona, fece rinforzare le mura e vi installò una guarnigione. Poi sotto il dominio degli arabi la città andò in rovina.

Il mausoleo islamico di Mohammad Ben Ali, discendente del cugino del Profeta Maometto sulla cima di una collinetta a circa 4 chilometri dal sito romano prima dell'esplosione

Il mausoleo islamico di Mohammad Ben Ali, discendente del cugino del Profeta Maometto sulla cima di una collinetta a circa 4 chilometri dal sito romano prima dell’esplosione

Qui sopra, il momento dell'esplosione provocato dai miliziani jihadisti dell'Isis; sotto, quel che resta del mausoleo dopo l'esplosione

Qui sopra, il momento dell’esplosione provocato dai miliziani dell’Isis; sotto, quel che resta del mausoleo

palmira2La distruzione dei Mausolei. L’Isis, attraverso il suo “braccio mediatico” Wilayat Homs, ha pubblicato due foto del mausoleo islamico di Mohammad Ben Ali, discendente del cugino del Profeta Maometto – una costruzione in pietra e fango consumata dall’erosione, in fango sulla cima di una collinetta a circa 4 chilometri dal sito romano – prima e nel momento dell’esplosione, in cui si vedono le pietre proiettate in tutte le direzioni e pennacchi di polvere. Il servizio è intitolato “L’eliminazione dei simboli politeisti”. Si vedono inoltre di militanti che trasportano l’esplosivo al sito storico. L’Onlus, citata dai media, ha confermato l’avvenuta distruzione, e quella di un altro sacrario islamico antico, quello di Abu Behaeddin, una figura storica di Palmira. I jihadisti dell’Isis “considerano questi mausolei islamici contrari alla fede”, cioè una forma di idolatria, e perciò “hanno proibito qualsiasi visita ad essi”, ha detto, citato da Newsweek, Maamoun Abulkarim, direttore delle antichità del governo siriano. Finora non risultano invece essere state distrutte le rovine romane di Palmira del I e II secoli.