Torino. Al museo Egizio, in presenza e on line, l’incontro con Silvana Cincotti “Sulle tracce della memoria: gli scavi di Jean-Jacques Rifaud e la contestualizzazione archeologica” con la presentazione del libro “Les fouilles de Jean-Jacques Rifaud en Égypte” (Franco Cosimo Panini Editore), sesto titolo della collana scientifica del museo Egizio
Giovedì 11 dicembre 2025, alle 18.30, nella sala Conferenze del museo Egizio di Torino (accesso da via Maria Vittoria 3M) presentazione del libro “Les fouilles de Jean-Jacques Rifaud en Égypte” di Silvana Cincotti (Franco Cosimo Panini Editore), dedicato agli scavi di Jean-Jacques Rifaud in Egitto, nell’incontro “Sulle tracce della memoria: gli scavi di Jean-Jacques Rifaud e la contestualizzazione archeologica”. L’ingresso è libero con prenotazione obbligatoria al link https://www.eventbrite.it/…/sulle-tracce-della-memoria… L’incontro è disponibile anche in streaming sulla pagina Facebook e sul canale YouTube del museo Egizio di Torino.
Il libro “Les fouilles de Jean-Jacques Rifaud en Égypte”, in lingua francese, sesto titolo della collana scientifica “Studi del Museo Egizio”, è dedicato alla figura di Jean-Jacques Rifaud, avventuriero e scavatore marsigliese attivo in Egitto nella prima metà dell’Ottocento. Attraverso l’analisi dei documenti appartenenti al Fondo Rifaud, oggi conservato a Ginevra, è stato possibile ricostruire le sue attività di scavo e seguire la dispersione dei reperti da lui rinvenuti, oggi presenti in istituzioni come il Museo Egizio, il Louvre, il British Museum, i Musei del Cairo e i Musei di Berlino e Monaco. Il libro restituisce un ritratto inedito di Rifaud, figura poliedrica e ancora poco conosciuta, contribuendo a ridefinire la conoscenza delle prime campagne di scavo in Egitto e della formazione delle collezioni di antichità egizie.
Silvana Cincotti, storico dell’arte, si è laureata a Siena e ha continuato gli studi all’università Paul Valéry di Montpellier, conseguendo il dottorato di ricerca in Egittologia. Ha partecipato a campagne di inventariazione nell’ambito del progetto MICROPAST dell’Egypt Exploration Society e ha lavorato come epigrafista per la missione francese del CFEETK a Karnak. Ha insegnato Economia dell’arte alla Facoltà di Economia di Torino ed è curatrice di mostre (ricordiamo ad esempio “Incēnsum” ai Musei Reali di Torino). È responsabile del Rifaud Project, un progetto di ricerca dedicato alla contestualizzazione dei reperti delle collezioni egizie e in modo particolare allo studio della Drovettiana.
Firenze. A tourismA 2025 in anteprima mondiale la ricostruzione (profumata) del Primo Annesso Laterale (in scala 1:1) della Tomba di Nefertari (chiusa al pubblico dal 2024) a cura delle egittologhe Donatella Avanzo, Silvana Cincotti e del “naso” Meo Fusciuni che propone un percorso olfattivo. Le protagoniste ne parlano ad “archeologiavocidalpassato”

L’egittologa Silvana Cincotti all’inyterno del Primo Annesso Laterale (in scala 1:1) della Tomba di Nefertari presentato in anteprima mondiale a tourismA 2025 (foto graziano tavan)

L’egittologa Donatella Avanzo a tourismA 2025 con il progetto Nefertari (foto graziano tavan)
Con l’apertura, venerdì 21 febbraio 2025, al Palazzo dei Congressi di Firenze di tourismA 2025, il Salone dell’archeologia e del turismo culturale organizzato per l’undicesimo anno da Archeologia Viva (Giunti Editore), il pubblico ha potuto accedere, e lo potrà fare fino a domenica 23 febbraio 2025, alla tomba ricostruita (e profumata) di Nefertari, a cura delle egittologhe Donatella Avanzo, Silvana Cincotti e del “naso” Meo Fusciuni. Quest’anno, infatti, in anteprima mondiale è visitabile la ricostruzione del Primo Annesso Laterale (in scala 1:1) della Tomba di Nefertari con la Grande Sposa Reale al cospetto delle divinità egizie nella celebre “Sala delle Sette Vacche Sacre, del Toro e dei Quattro Timoni Celesti” immersa nelle antiche fragranze della Valle del Nilo: la ricostruzione è stata possibile grazie al contributo economico della Fabbrica della Scienza di Jesolo diretta da Monica Montellato, e il contributo gratuito della Graphic Report di Conselve (Pd).

Dettaglio della regina Nefertari all’interno della sua tomba a Tebe Ovest come si vedeva nel 2004 (foto graziano tavan)
“Un anno fa (2024, ndr) il Governo egiziano decide di chiudere la tomba della regina Nefertari e di non riaprirla più al pubblico”, ricorda Donatella Avanzo. “Non sappiamo se questa decisione sarà definitiva, ma sappiamo comunque che il deterioramento è progressivo. Anche se la tomba era stata contingentata con poche persone, e un biglietto con un costo altissimo, questo non ha favorito comunque la salute dei dipinti che hanno cominciato di nuovo a sbriciolarsi per le infiltrazioni di umidità”.
“Il progetto Nefertari”, spiega Silvana Cincotti, “nasce soprattutto dal desiderio di sviluppare un concetto di tutela. La tutela del bene culturale, del patrimonio culturale, è fondamentale, per cui al momento in cui abbiamo visitato la tomba nel 2018 ci siamo resi conto che rispetto al passato c’erano delle modifiche. La tomba in questo momento è chiusa. E l’idea è proprio quella di poter parlare dell’importanza della tutela del patrimonio culturale. E la creazione di fotografie digitalizzate o di repliche permette di poter continuare a parlare del bene e soprattutto di conservarlo per sempre. Perché queste immagini nel momento in cui vengono realizzate possono essere ripetute e studiate. Così è permesso agli studiosi l’accesso alle fotografie più precise possibili per sempre”.
“Le infiltrazioni d’acqua nella valle delle Regine”, sottolinea Donatella Avanzo, “hanno fatto cambiare l’atteggiamento anche dei restauratori all’interno della tomba. Ricordo a tutti che negli anni ’80 si decide di restaurarla con un progetto del Paul Getty Museum insieme al Governo egiziano. I restauri termineranno nel ’92. Poi viene riaperta accompagnata da un ciclo di mostre in giro per il mondo. Ma verrà di nuovo chiusa sempre per lo stesso motivo. La tomba è molto fragile, bellissima, e noi abbiamo ricostruito l’annesso proprio della camera Est, perché è quello meglio conservato. E qui si può vedere, grazie al fondamentale contributo economico della Fabbrica della Scienza di Jesolo diretta da Monica Montellato, che ha realizzato la struttura ai fini scientifici, e al contributo gratuito della Graphic Report di Conselve (Pd) che ha riversato le immagini con la tecnica del tatoo wall, una tecnica ormai in uso dalle soprintendenze di molte parti del mondo: loro hanno brevettato questo lavoro e grazie alla loro competenza siamo riusciti a portare a termine la ricostruzione in scala 1:1 della camera dell’annesso della tomba della Regina Nefertari, la sala delle Sette Vacche Celesti e del Toro possente”.

Profumi dell’Antico Egitto a tourismA 2025 con il progetto Nefertari archeo-olfattivo (foto graziano tavan)
Insieme alla tomba di Nefertari – si diceva – i visitatori hanno modo di seguire un percorso olfattivo, che suggerisce le atmosfere sacre dell’antico Egitto riportandolo indietro nel tempo, alla storia del profumo e a Nefertari. All’interno della Sala delle Sette Vacche Sacre, del Toro e dei Quattro Timoni Celesti, si può sentire profumo che nasce dallo studio e dalla collaborazione tra Avanzo, Cincotti e il maestro profumiere Meo Fusciuni che ha ricavato l’antica essenza dopo mesi di collaborazione e studi con le due egittologhe.
“Al Metropolitan di New York”, spiega Silvana Cincotti, “è conservato un contenitore con all’interno degli unguenti che riporta il nome della regina Nefertari. Abbiamo avuto quindi l’idea di poter unire quello che è un altro progetto che portiamo avanti, un laboratorio dedicato all’archeo-olfatto, cioè allo studio delle materie prime olfattive nel mondo antico legandolo alla figura della regina Nefertari, e riproporre con l’utilizzo di tutta una serie di materie prime, lavorando insieme al maestro profumiere Meo Fusciuni, la possibilità di riproporre un profumo che attraverso l’uso di particolari tipi di incenso e di mirre possa ricreare l’odore presente all’interno di questi contenitori che noi troviamo vuoti perché, soprattutto per i ladri che depredavano queste tombe, il prendere gli oli profumati era la cosa più facile, costavano parecchio ed erano facilmente modificabili senza alcun tipo di problema. Quindi era la prima cosa che sparisce. Infatti trovarne all’interno delle tombe è estremamente raro, ma troviamo i fondi dei contenitori e da quelli riusciamo a recuperare informazioni soprattutto oggi con le tecnologie a disposizione, informazioni molto preziose”.

Il profumiere Meo Fusciuni (foto archeologia viva)
“La parte più complessa”, conclude Meo Fusciuni, “è stata ritrovare alcune piante e le materie prime che gli egizi utilizzavano sia nei rituali dei templi che in quelli funerari, atti a consegnare al divino lo spirito di un defunto e trovare l’equilibrio perfetto tra le altre materie prime. Attraverso il mio lavoro per Nefertari, con il quale ho provato a riportare tra noi l’immortalità di una Regina, speriamo di rendere immortale quest’esperienza”.
Alla mostra “Egitto. Dei, faraoni, uomini” a Jesolo (Venezia) la “mummia di Asti” prende un nome e un volto: è la “Signora delle ninfee”. Un giallo svelato con tecniche alla Csi. “Ma la ricerca scientifica non si ferma: sarcofago e mummia custodiscono ancora molti segreti”, conferma la curatrice Donatella Avanzo

Il logo della mostra “Egitto. Dei, faraoni, uomini” che Jesolo ospita dal 26 dicembre 2017 al 15 settembre 2018

Promotori e ospiti all’anteprima della mostra “Egitto. Dei, faraoni, uomini” a Jesolo (foto Graziano Tavan)
Per più di un secolo è stata nota semplicemente come la “mummia di Asti”. Dal 26 dicembre 2017, quando nello Spazio Aquileia a Jesolo (Venezia), sarà inaugurata la mostra “Egitto. Dei, faraoni, uomini” curata da Alessandro Roccati ed Emanuele Ciampini, e prodotta da Cultour Active e Venice Exhibition, di cui il prezioso reperto del museo civico archeologico di Asti è sicuramente uno dei protagonisti, la chiameremo la “Signora delle Ninfee”. E non è un vezzo di Donatella Avanzo, curatore esecutivo della mostra e responsabile del progetto scientifico “Mummia di Asti”, ma l’esito di una ricerca scientifica multidisciplinare (attivata proprio in vista della mostra di Jesolo) che per certi aspetti ricorda più una trama di indagine alla Csi che il diario di una missione egittologica. La mummia e il sarcofago che la conteneva “hanno parlato”, rivelando poco a poco agli studiosi la loro storia e la loro identità, che oggi possiamo leggere come in un film nella sezione 8 della mostra jesolana. “Ma non ci hanno detto tutto”, ammette l’egittologa Avanzo. “Sia il sarcofago che la mummia celano gelosamente ancora alcuni segreti che, alla fine della mostra, nell’autunno 2018, impegneranno a lungo gli esperti di molte discipline. Solo per farvi un esempio: siamo sicuri che tutto il sarcofago sia da ascrivere tra la fine della XXI dinastia e l’inizio della XXII? Da alcune tracce riscontrate, il coperchio potrebbe essere molto più antico, e riutilizzato 3mila anni fa. E ancora: accanto ai monili e amuleti rivelati dalla Tac, posti sul corpo della mummia, cosa è quella placca metallica di una decina di centimetri di cui non riusciamo ancora a capire la natura?”. Rivelazioni e misteri, come nella migliore tradizione non solo dell’egittologia. E allora si capisce perché basterebbe da sola la sezione dedicata alla mummia di Asti a giustificare una visita alla mostra “Egitto. Dei, faraoni, uomini” allo Spazio Aquileia di Jesolo fino al 15 settembre 2018 (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2017/11/17/egitto-dei-faraoni-uomini-jesolo-si-prepara-a-ospitare-per-quasi-un-anno-una-grande-mostra-ideata-dagli-egittologi-ciampini-e-roccati-e-curata-da-donatella-avanzo-con-reperti-dai/) .

Il conte Leonetto Ottolenghi, ritratto da Paolo Arri, conservato alla fondazione Palazzo Mazzetti di Asti

La Tac alla mummia contenuta nel sarcofago di Ankhpakhered, realizzata al Fatebenefratelli di Milano
Il regalo di un mecenate. Come si diceva, da più di un secolo si parla della “mummia di Asti”. La collezione egizia del museo civico Archeologico di Asti, si deve, quasi totalmente, alla munificenza del banchiere ebreo, il conte Leonetto Ottolenghi (1846 – 1904) e dalla donazione Fantaguzzi. La raccolta egizia è composta da circa un centinaio di oggetti, quali un frammento di tabella dell’Antico Regno, due mummie, con i sarcofagi, uno a nome di Ankhpakhered, il bel canopo di Tadiher, amuleti, ushabti e statuette di divinità. La “mummia di Asti” faceva dunque parte dei reperti arrivati nel 1903 al museo di Asti, grazie alla donazione dei discendenti della famiglia Maggiora Vergano. Della mummia si sapeva poco o niente al di là di scarne note di cronache: proprietà della famiglia Ottolenghi che lo acquistò nell’Ottocento e da nove anni custodita dal museo astigiano. Più informazioni c’erano invece per l’altra mummia, quella conservata nel secondo sarcofago della collezione Ottolenghi riccamente effigiato con i gerofiglici che ricordano Ankhpakhered, il sacerdote del dio Min, vissuto tra la XXII e XXIII dinastia, databile tra il 945 e il 715 a.C. Nel 2009 la mummia contenuta fu affidata all’ospedale Fatebenefratelli di Milano per il check-up completo nell’ambito del progetto Ankhpakhered Mummy. I risultati erano giunti dopo due anni di studi e indagine medica. “È stato complicato anche fare l’endoscopia”, avevano spiegato gli esperti, “per l’enorme presenza nella pancia di bende raggomitolate e sistemate negli spazi vuoti degli elementi scheletrici per fare da riempimento. Sicuramente la mummificazione dell’uomo è avvenuta molti mesi dopo la morte, quando era già scheletro”. Ma alla fine, grazie agli studi del centro ricerche Mummy Project, la mummia aveva un nome e soprattutto un volto. “Si tratta di un uomo che è morto a 40 anni non per eventi di natura traumatica ma probabilmente o di vecchiaia o per un infezione al sangue”, aveva ricostruito Sabina Malgora, egittologa e co-direttore insieme a Luca Bernardo di Mummy Project. “Decisiva l’endoscopia anche per la datazione certa della mummia, fra il 400 e il 100 a.C.”. L’uomo si chiamava Wehem-ef-ankh, e proveniva dalla città di Akhim. “Il sarcofago che la conteneva”, ha raccontato Malgora, “ed è questa la storia singolare, deve essere stato trafugato dalla famiglia di Wehem per dargli onorata sepoltura. D’altronde qualche dubbio lo avevamo avuto già due anni fa, quando abbiamo iniziato il complesso studio per svelare il mistero”.

La mummia di Asti, oggi la “Signora delle Ninfee”, sottoposta a tac all’ospedale Cardinal Massaia di Asti

Da sinistra, davanti alla mummia di Asti, Gianfranco Imerito, assessore alla cultura di Asti; Enrico Longo, responsabile Cultour Active; Donatella Avanzo, curatrice (foto Graziano Tavan)
Altra mummia, altre sorprese. Il progetto “Mummia di Asti”, in prospettiva per la mostra di Jesolo, parte nell’autunno 2017. È la stessa Donatella Avanzo, direttore del progetto scientifico, a ricordare alla presentazione in anteprima della mostra al Pala Arrex di Jesolo, il piccolo esercito multidisciplinare di esperti coinvolti. Grazie al supporto e alla collaborazione della Polizia criminale è stato infatti possibile realizzare la ricostruzione del volto e con il reparto di radiodiagnostica dell’ospedale di Asti è stata realizzata una Tac sulla mummia che sta già richiamando l’attenzione dei più grandi studiosi ed egittologi. La ricostruzione del volto e di parte del corpo della mummia astigiana è stata effettuata grazie al supporto e alla collaborazione della Polizia di Stato, con il contributo del Reparto di Radiodiagnostica dell’Ospedale Cardinal Massaia di Asti, al fine di conoscere lo stato di conservazione, stabilirne l’età e poter effettuare in modo scientifico la ricostruzione. I nomi scorrono come nei titoli di coda di un film: Rosa Boano, ricercatrice in Antropologia fisica dell’università di Torino; Ida Grossi, direttore generale Asl di Asti; Federico Cesarani, primario di Radiodiagnostica ospedale di Asti; Leonardo Capitolo, dirigente medico, e Angela Grasso, specializzanda, di Radiodiagnostica università di Torino 2; Massimo Scognamiglio e Gabriella Borgogno, tecnici sanitari di Radiologia medica asl di Asti; Guglielmo Ramieri, professore di Chirurgia Maxillo-facciale dell’università di Torino; Mario Raso, specialista in Chirurgia plastica ricostruttiva dell’istituto nazionale Tumori di Milano; Marinella La Porta, direttore tecnico del laboratorio di Genetica forense della Polizia di Stato di Torino; Valter Capussotto, sovrintendente capo della Polizia scientifica di Torino; Michele Guaschino, scultore; Martina Zambotti, accademia Belle arti per la modellazione al laboratorio Guaschino; Francesco Sculco, artigiano restauratore; Aldo Maschio e Ionel Vitalie, onoranze funebri di Asti; Gian Luigi Nicola, direttore, e Anna Rosa Nicola, restauratrice, del laboratorio di restauro Nicola di Aramengo d’Asti; Silvana Cincotti, egittologa.

La curatrice Donatella Avanzo con l’assessore di Asti Gianfranco Imerito guardano i sarcofagi di Asti e Firenze (foto Graziano Tavan)
Da Tebe a Jesolo (via Asti e Firenze). Al mondo sono solo quattro i sarcofagi conosciuti accomunati da una caratteristica piuttosto rara: la decorazione di fiori sulle bande laterali dell’acconciatura. Uno è conservato al museo Egizio del Cairo; uno al museo Egizio di Firenze; uno al museo Archeologico di Asti; il quarto, ancora inedito, al Detroit Institute of Art. Di questi quattro, ben due sono esposti nella mostra “Egitto. Dei, faraoni, uomini” di Jesolo. “Sono tutti sarcofagi femminili, e in quello di Firenze si notano anche i seni resi sotto le bande dell’acconciatura”, spiega Gloria Rosati, egittologa dell’università di Firenze. “I sarcofagi Asti e Firenze furono acquisiti entrambi con una mummia all’interno; ma, mentre quella di Asti è di genere femminile e presumibilmente la proprietaria stessa del sarcofago, a Firenze si è scoperto che la mummia è invece di un uomo, perciò sarà stata aggiunta al sarcofago, come spesso si è dovuto constatare, per un senso di completezza e per aumentare il prezzo”. Vedere accostati vicini, in mostra, i sarcofagi di Asti e di Firenze, databili tra la fine della XXI dinastia e l’inizio della XXII (circa 950-870 a.C.), si possono meglio apprezzare le notevoli corrispondenze che potrebbe far pensare a un laboratorio comune, attivo a Tebe. “Sono davvero parecchi i paralleli che si possono mettere in evidenza tra i due sarcofagi”, sottolinea Rosati, lanciando un’ipotesi suggestiva: “Chissà mai che a Jesolo non si siano di nuovo trovati accanto due oggetti che magari lo erano stati poco meno di 3mila anni fa, tra le mani di ebanisti e pittori tebani, e che poi hanno visto passare secoli e secoli: uno, quello arrivato ad Asti, ha assolto la sua funzione, ha conservato fino a oggi la sua proprietaria; l’altro probabilmente sì, e poi qualcuno, quando erano passati circa 28 secoli, ha pensato bene di ravvivarne la decorazione”.
(1 – continua)







Missioni di scavo italiane all’estero: il patrimonio culturale dell’Iraq, dell’Azerbaigian, Turchia, Marocco, Oman, raccontato dalla testimonianza diretta degli archeologi responsabili.

Torna nella “città giardino” di Varese, dal 1° al 4 settembre 2022, Varese Archeofilm, la Rassegna internazionale del film di archeologia, arte, ambiente, etnologia, organizzata da associazione “Conoscere Varese” in collaborazione con Comune di Varese, museo Castiglioni e Archeologia Viva/Firenze ArcheoFilm. Quattro nuove serate con il meglio della produzione documentaristica mondiale arricchite dalla presenza di prestigiosi ospiti che approfondiranno i temi dei filmati. Un appuntamento con la storia da non perdere nella splendida cornice dei Giardini Estensi. Ogni sera alle 20.30.





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