Rovereto porta nella capitale serba tre film per la rassegna internazionale del Cinema archeologico di Belgrado
Sono stati ben tre i film “messi a disposizione dell’Istituto Italiano di Cultura di Belgrado dai loro autori grazie a Dario Di Blasi e alla preziosa collaborazione della Fondazione Museo Civico di Rovereto” per la 18ma edizione della rassegna internazionale del Cinema archeologico di Belgrado, organizzata dal 23 al 30 marzo 2017 alla cineteca Jugoslava di Belgrado, organizzata dal museo nazionale di Belgrado in collaborazione proprio con l’Istituto Italiano di Cultura di Belgrado, uno dei suoi principali promotori fin dalla prima edizione. La Rassegna serba offre agli esperti del settore e al vasto pubblico di appassionati la possibilità di conoscere le produzioni più recenti nel settore dell’archeologia e delle discipline affini. L’Istituto Italiano di Cultura di Belgrado ha partecipato alla 18ma edizione della Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico sostenendo e promuovendo la presentazione di tre documentari, in lingua italiana con sottotitoli in serbo, dedicati a luoghi e momenti diversi del ricco patrimonio archeologico italiano. I film presentati sono stati, venerdì 24 marzo 2017, “Selinunte, città tra due fiumi” (Italia, 2015), regia di Alessandra Ragusa e Antonino Pirrotta; lunedì 27 marzo 2017, “Cirene Atene d’Africa” (Italia, 2016), regia di Giuseppe Dromedari; martedì 28 marzo 2017, “I confini del mare Tirreno e Adriatico diviso tra Etruschi, Fenici e Focesi” (Italia, 2016), regia di Maurizia Giusti.
Film archeologico. “Tà gynaikeia. Cose di donne” di Lorenzo Daniele e Alessandra Cilio dopo Rovereto conquista anche Atene: premio miglior sceneggiatura all’Agon Archeological Film Festival

Memi Spiratou, presidente di Agon Archeological Film Festival di Atene, premia il regista Lorenzo Daniele e l’archeologa lAlessandra Cilio
Le “Donne” di Alessandra Cilio conquistano Atene. Dopo Rovereto. Proprio a un anno dalla menzione “Archeoblogger” alla XXVI rassegna internazionale del Film archeologico di Rovereto (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2015/10/15/ta-gynaikeia-cose-di-donne-di-alessandra-cilio-vince-il-premio-archeoblogger-vera-novita-della-xxvi-rassegna-internazionale-del-cinema-archeologico-di-rovereto-incarna-il/) il film “Tà gynaikeia. Cose di donne” del regista siciliano Lorenzo Daniele è stato premiato ad Atene all’Agon Archeological Film Festival, una tra le più importanti competizioni europee di cinema archeologico che si è svolta nella capitale greca dal 17 al 23 ottobre. Oltre ottanta i film in concorso provenienti da tutto il mondo, solo quattro i documentari di produzione italiana selezionati da Memi Spiratou, presidente dell’Agon, e dalla sua equipe che da venti anni porta avanti una manifestazione di alto livello organizzativo e culturale. “Tà gynaikeia” si è aggiudicato il premio per la migliore sceneggiatura, scritta dall’archeologa Alessandra Cilio, da anni impegnata nell’ambito della comunicazione dell’antico attraverso i media. Il documentario, prodotto interamente in Sicilia nel 2015 dalla Fine Art Produzioni, cofinanziato dalla Filmcommission Ufficio Speciale per il Cinema e l’Audiovisivo nell’ambito del progetto “Sensi Contemporanei”, col patrocinio del Comune di Troina dove sono state girate parecchie scene del film e della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici dell’Università di Catania, ha ottenuto da un anno a questa parte importanti riconoscimenti oltre ad essere stato proiettato in numerosi cinema a livello regionale e nazionale. Tra le nove categorie di premi assegnati all’Agon Film Festival (tra queste anche un premio speciale intitolato al pioniere della documentaristica subacquea Francesco Alliata), quello alla sceneggiatura attribuito al film siciliano, rappresenta dunque un vanto per una terra, la Sicilia, dove il cinema documentario ha origini lontane e continua ancora a essere protagonista nel panorama cinematografico internazionale. “La vittoria di questo premio”, commenta il regista, “è per noi una grande gioia, ma ciò che ci rende veramente soddisfatti è la presenza a manifestazioni come l’Agon che contribuiscono a divulgare il cinema documentario, che soffre, soprattutto in Italia, di un deficit di distribuzione. Festival e rassegne rappresentano per i produttori di questo genere cinematografico, una grande risorsa e per questo vanno sostenuti con grande impegno”. E sottolinea: “Abbiamo prodotto Cose di donne con l’intenzione di esplorare la storia della Sicilia da un punto di vista femminile, combinando le informazioni sull’antico che provengono dalla ricerca archeologica con le storie di donne siciliane contemporanee. Abbiamo cercato di tradurre i rigorosi dati scientifici in morbido racconto, in storie capaci di veicolare non solo informazioni, ma anche contenuti di importanza universale. È così che presente e passato si intrecciano, formando un’unica storia”.
Il film segue un duplice registro: da una parte ci sono i reperti (ripresi grazie alla preziosa collaborazione con il museo Archeologico “Paolo Orsi” di Siracusa e il museo Archeologico di Gela), le informazioni storiche, i miti e i culti legati al mondo femminile in Sicilia; dall’altra donne di oggi, donne vere, in carne e ossa, appartenenti a generazioni diverse, diverse anche per provenienza e vissuto: la scrittrice Simonetta Agnello Hornby, l’attrice Donatella Finocchiaro, la fotografa Letizia Battaglia, l’imprenditrice vinicola Arianna Occhipinti, la ricercatrice Angela Catania, ma anche donne non conosciute che hanno vissuto la seconda guerra mondiale, come Concetta Venezia e Angela Guagliardo. Ciascuna donna ha una storia da raccontare e ognuna di esse trova sempre un collegamento con il mondo antico, mostrando come in fondo presente e passato non siano così distanti. Cosa lega queste figure tra loro? “Il fatto di essere donne. E quello di essere siciliane”, spiega Alessandra Cilio. “Sono storie personali, diverse l’una dall’altra, rivolte ora al passato, ora al futuro. Eppure, questi frammenti insieme, costruiscono un unico racconto, che porta con sé un’eredità comune, quella dell’essere femmine in Sicilia, un luogo che mostra una natura tutta femminile. Lo testimonia la grande varietà di miti, leggende e culti legati all’universo femminile, che nel tempo si sono avvicendati e in parte sovrapposti, divenendo elemento di coesione per tutte quelle popolazioni che hanno occupato la nostra Isola: dalle tribù indigene ai Greci; dai Romani ai Bizantini; dagli Arabi ai Cristiani”.
A Licodia Eubea (Ct) al via la VI Rassegna del Documentario e della Comunicazione archeologica: 12 filmati, 3 incontri, 2 premi; visite guidate, degustazioni e la mostra fotografica “Con l’Africa nel cuore” del regista veneziano Lucio Rosa
Dodici filmati in programma, tre incontri con ospiti d’eccezione, due premi, escursioni e visite guidate alla scoperta del territorio, degustazioni, mostre fotografiche e una sezione dedicata ai ragazzi. Questi gli ingredienti principali della VI Rassegna del Documentario e della Comunicazione Archeologica di Licodia Eubea, in provincia di Catania (28-30 ottobre 2016), organizzata da Archeoclub d’Italia di Licodia Eubea “Mario Di Benedetto” e da Fine Art Produzioni srl insieme alla Scuola di specializzazione in Beni archeologici dell’università di Catania, con il sostengo della Direzione generale Cinema del Mibact e del Comune di Licodia Eubea, e il patrocinio della Rassegna internazionale del Cinema archeologico di Rovereto. Può una manifestazione culturale valorizzare un luogo, la sua storia, i suoi paesaggi ma soprattutto la sua identità più autentica?, si sono chiesti Alessandra Cilio e Lorenzo Daniele, direttori artistici della rassegna. “Noi – assicurano – ci abbiamo creduto e continuiamo a farlo con passione e ostinazione, anche per questa nuova edizione, la sesta che organizziamo a Licodia Eubea. Viviamo tempi critici, in cui sembra quasi che il mondo abbia perso le proprie coordinate, dilaniato da guerre, attentati e indifferenza diffusa. Mai come oggi, dunque, è necessario rivolgersi al nostro patrimonio culturale e ai messaggi che esso ci può tramandare per ritrovare noi stessi, per recuperare, in un passato condiviso, la nostra identità di uomini e donne”. E i segnali ci sono: “Abbiamo constatato con piacere che sempre più registi decidono di dedicarsi alla documentaristica archeologica, adottando approcci creativi e linguaggi contemporanei, e di questo abbiamo voluto tener conto nella selezione dei film, privilegiando le piccole produzioni capaci di dar vita a lavori originali, che tuttavia rimangono troppo spesso relegati all’ambito locale. Immancabili poi, come ogni anno, gli incontri con ricercatori, registi e critici cinematografici, ma anche le attività ludico-didattiche dedicate alle scuole e l’organizzazione di visite guidate nel territorio per locali, turisti ed escursionisti. E poi la mostra fotografica che quest’anno avrà come tema l’Africa vista con gli occhi del regista Lucio Rosa. Novità della VI Rassegna, infine, le visite guidate in notturna al museo civico “Antonino Di Vita”, che ogni sera diventerà la location d’eccellenza di suggestivi aperitivi culturali. Gli ingredienti ci sono, dunque, tutti perché anche questa edizione della Rassegna possa essere un punto di riferimento per la riscoperta dell’archeologia attraverso i media”.

Il regista veneziano Lucio Rosa premiato a Licodia Eubea: sua la mostra fotografica “Con l’Africa nel cuore” alla VI Rassegna
I documentari selezionati per Licodia Eubea offrono al pubblico una panoramica di luoghi affascinanti sparsi nel mondo, in cui la mano dell’uomo e quella della natura si stringono in rapporti unici e irripetibili, come nelle siciliane terre di Ispica, Lipari, Selinunte e Catania, Cirene e Bilad Chinquit in Africa, o in luoghi carichi di mistero come il sito pakistano di Mohenjo-daro o l’etrusca Vetulonia. Anche quest’anno, la location d’eccellenza sarà l’ex chiesa di San Benedetto e Santa Chiara, situata in piazza Stefania Noce, nel cuore del borgo licodiano. Si inizia dunque venerdì 28 ottobre 2016. L’apertura ufficiale della rassegna alle 17.30 con gli interventi di Giacomo Caruso, presidente Archeoclub d’Italia di Licodia Eubea; Alessandra Cilio e Lorenzo Daniele, direttori artistici della rassegna; Giovanni Verga, sindaco di Licodia Eubea; Maria Grazia Patanè, soprintendente Beni culturali e artistici di Catania; Laura Maniscalco, dirigente Sezione Archeologica della soprintendenza di Catania. A seguire, verrà inaugurata la mostra fotografica del regista, fotografo e produttore veneziano Lucio Rosa dal titolo “Con l’Africa nel cuore”. Si tratta della prima nazionale di una personale straordinaria, che raccoglie scatti inediti di etnie quali i Dassenech, gli Ari, i Mursi, i Karo e gli Afar in Etiopia, i Pokot in Kenia e i Babinga in Congo: popoli illustri, eredi di storie millenarie e di una cultura che li rende unici al mondo. Con la proiezione del film “Cirene, Atene d’Africa” (Italia), di Giuseppe Dromedari, apre alle 18 la sezione Cinema e Archeologia. Segue il film “Eis pegàs. Alle sorgenti” (Italia) di Andrea Giannone. E alle 20, il regista Lucio Rosa inaugura gli Incontri di Archeologia, occasione per presentare la mostra fotografica “Con l’Africa nel cuore”. E alle 20.30, Aperitivo al museo: visita guidata al museo civico “Antonino Di Vita” con degustazione di prodotti enogastronomici.
Sabato 29 ottobre 2016. La mattinata del secondo giorno di Rassegna è pensata per i ragazzi. “A Licodia Eubea tradizione vuole che anche i più piccoli abbiano uno spazio speciale”, spiega Alessandra Cilio. “Così l’ex chiesa di San Benedetto e Santa Chiara e l’antistante piazza verranno letteralmente invasi dagli alunni delle scuole primarie del comprensorio ibleo, che assisteranno alla proiezione di speciali docu-cartoon e parteciperanno a “Giocare nel mondo antico. Storie di sfide e passatempi per grandi e piccini”, laboratorio di archeologia sperimentale sul gioco nel mondo antico, interamente gestito dall’archeologa Elena Piccolo”. Le proiezioni della sezione Ragazzi e Archeologia dedicata a film d’animazione e docu-fiction iniziano alle 10.30 con il corto “Valios e il tesoro di Griko” (Grecia) di Luis Santos, seguito da “Greektoys. La trottola” (Grecia) di Luis Santos . Chiude “Selinunte, città tra due fiumi” (Italia) di Alessandra Ragusa e Antonino Pirrotta. La sezione Cinema e Archeologia inizia nel pomeriggio alle 17.30 con due corti di Francesco Gabellone: “Il teatro romano di Catania” (Italia) e “L’anfiteatro romano di Catania” (Italia). Segue “Il Carnevale eoliano. L’Isola delle Maschere” (Italia) di Francesco Cannavà. Alle 19, per Incontri di Archeologia “Fra la scena e la tomba: conversazione sulla maschera greca” interviene Fabio Caruso ricercatore IBAM CNR di Catania. L’incontro con il ricercatore consentirà di esplorare i molteplici significati simbolici della maschera nel mondo greco, legati tanto alla vita che alla morte. Alle 19.30, riprende la sezione Cinema e Archeologia con il film “Sulle note del mistero. La musica perduta degli Etruschi” (Italia) di Riccardo Bicicchi. Chiude la giornata, alle 20, Aperitivo al Museo con visita guidata del museo civico “Antonino Di Vita” e degustazione di prodotti enogastronomici.
E così si arriva a domenica 30 ottobre 2016. Al mattino, alle 10.30, possibilità di visite guidate al centro storico di Licodia Eubea e ai suoi principali luoghi di interesse con i volontari dell’Archeoclub d’Italia “Mario Di Benedetto”. Le proiezioni della sezione Cinema e Archeologia iniziano alle 17 con il film “Mohenjo Daro. Le guerre degli Dei” (Italia) di Diego D’Innocenzo, cui segue il film “Bilad Chinquit. Il paese di Chinquetti” di Lucio Rosa. Alle 18.30 chiude gli Incontri di Archeologia “Una finestra sul documentario siciliano” con il regista Antonio Bellia e il direttore della “Rassegna Itinerante del Cinema d’Autore” Beppe Manno che si presteranno a un dibattito sulla storia e lo sviluppo di questo genere cinematografico. La VI Rassegna del Documentario e Comunicazione archeologica chiude, alle 20, con la cerimonia di premiazione. Verrà assegnato il premio “Archeoclub d’Italia” al film che, nel corso della manifestazione, avrà ottenuto maggiori consensi dal pubblico della Rassegna, invitato ad una partecipazione attiva attraverso la compilazione di apposite schede di gradimento. A consegnare il premio sarò Antonella Stellino , presidente dell’Archeoclub d’Italia di Alcamo. Quindi gran finale con l’assegnazione del premio “Antonino Di Vita”, istituito in onore dell’illustre professore, archeologo di fama internazionale e appassionato comunicatore, fortemente legato al piccolo borgo licodiano. Il premio viene annualmente riconosciuto a quanti abbiano speso la propria vita professionale nella promozione della conoscenza del patrimonio culturale attraverso l’uso di media quali il cinema, la stampa e il web. Il premio sarà consegnato da Maria Antonietta Rizzo Di Vita, professore di Etruscologia e Antichità italiche all’università di Macerata. “Un palinsesto ricchissimo”, conclude Alessandra Cilio, “in una cornice – quella licodiana – caratterizzata da un invidiabile patrimonio storico-artistico, paesaggi incontaminati, una tradizione enogastronomica dalle origini remote e da una popolazione cordiale ed ospitale. Tutte valide ragioni per non perdersi la sesta edizione della Rassegna del Documentario e della Comunicazione Archeologica”.
Fabio Martini da Rovereto: “Rinato in 3D il cervello del ragazzino di 17mila anni fa della grotta paleolitica del Romito in Calabria”. Team di scienziati tra Firenze, Roma e California punta a studiare l’evoluzione del linguaggio nell’Homo Sapiens e a curare la dislessia
Dall’Homo Sapiens di 17mila anni fa all’Homo Sapiens di oggi: sono passati quasi 20 millenni ma il cervello dell’uomo, nel suo aspetto esterno, non sembra cambiato. Stessa disposizione delle vene, stesse volumetrie delle diverse aree. Un risultato eccezionale della ricerca che potrebbe portare grandi risultati nella moderna medicina, ad esempio nella cura della dislessia. Lo ha annunciato a Rovereto Fabio Martini, docente di archeologia preistorica all’università di Firenze, a margine della sua seguita e apprezzata conversazione “L’origine dell’arte. Documenti e problemi di interpretazione” in “Arte, culto e spiritualità”, sezione speciale della 27. Rassegna internazionale del Cinema archeologico diretta da Dario Di Blasi. “Oggi possiamo sapere e toccare con mano un cervello di un nostro antenato di 17mila anni fa, grazie alla ricostruzione in 3D che un team ha realizzato negli Usa partendo dalla scatola cranica di un ragazzo ritrovato nella grotta del Romito a Papasidero in Calabria, uno dei siti archeologici italiani più interessanti per la presenza di scheletri paleolitici, frequentato dall’Homo sapiens tra 23mila e 10mila anni da oggi”, spiega Martini. “Naturalmente non possiamo dire come quel cervello “funzionava”, come pensava, come interagiva col mondo esterno, ma sicuramente questo risultato raggiunto è destinato a fornirci importanti informazioni nuove e finora impensabili. Prima della fine dell’anno – annuncia — saranno pubblicati su una importante rivista scientifica i risultati di questo progetto che, insieme alla ricostruzione 3D del cervello, prevede anche la ricostruzione del Dna dell’antico preadolescente”. Due elementi che rappresentano una prima tappa per la raccolta dei dati che permetteranno di disegnare l’evoluzione del cervello umano, in particolare delle aree e dei geni che sovrintendono al linguaggio. Con risvolti pratici anche immediati, come la possibilità di trovare forme di cura per la dislessia. Allo studio sta lavorando un’equipe eterogenea di studiosi italiani di diversi atenei – archeologi, neuroscienziati, fisici, antropologi molecolari – coadiuvati dall’università della California Irvine.

La grotta del Romito a Papasidero in calabria, dove è stato trovato lo scheletro di un ragazzino di 17mila anni fa
Tutto parte dallo scheletro del Romito 9, ritrovato a Papasidero nel 2011 (insieme altri due scheletri: Romito 7 e Romito 8) dall’equipe di Fabio Martini, a distanza di alcuni decenni da ritrovamento dei primi 6 resti. “Romito 9”, spiega Martini, “è lo scheletro di un ragazzino di 10 anni morto tra le aspre colline di quella che oggi è la Calabria. La causa della sua morte non è nota. Ma la presenza di decorazioni con conchiglie e ocra rossa trovate attorno al suo corpo deposto delicatamente fa pensare che il piccolo fu amato e pianto. Le ossa del cranio a quell’età sono ancora plastiche, in sviluppo, tanto da lasciare, seppure in maniera invisibile all’occhio umano, l’impronta del cervello, rilevabile con le tecnologie sofisticate di oggi. Un ritrovamento dunque eccezionale”. A “leggere” queste “tracce” invisibili ci ha pensato il fisico Claudio Tuniz del Centro Internazionale di Fisica Teorica Abdus Salam di Trieste, il quale ha realizzato il modello informatico, che poi ha permesso di stampare in 3D, negli Usa, il cervello di 17mila anni fa. Tuniz ha fatto la ricostruzione teorica, grazie alle tecnologie avanzate del suo laboratorio. Ha preso il cranio, lo ha posto in modo da permettere una rotazione completa e ha realizzato circa 4mila radiografie, più o meno 10 per ogni grado della rotazione completa. La mappa ha permesso la stampa del cervello – come si diceva -, in California, dove sono disponibili le strutture necessarie e dove opera un altro specialista italiano, Fabio Macciardi, studioso di neuroscienze dell’università della California e docente di genetica medica all’università di Milano.
Per raggiugere l’altro grande obiettivo ambizioso, l’estrazione del Dna dallo scheletro Romito 9 di 17mila anni fa è intervenuta la professoressa Olga Rickards, ordinario di antropologia molecolare all’università di Tor Vergata di Roma, che è riuscita a sequenziarlo. Risultato non facile. “Oggi molti ricercatori lavorano per trovare i geni legati alle patologie del linguaggio”, interviene Macciardi, che si occupa di schizofrenia, autismo e disturbi le linguaggio. “Ma si tratta di una competenza molto complessa e si rischia di perdersi in un mare di informazioni genetiche. Serve scegliere solo quelle importanti che sono, probabilmente, sia quelle conservate nei millenni, sia quelle sviluppate nell’evoluzione”. Ciò vale anche per il cervello in 3D e la sequenza del Dna “archeologico”. “Sui dati ottenuti abbiamo realizzato molti confronti con quelli contemporanei. E il nostro obiettivo è realizzare lo stesso lavoro su 70 scheletri molto più antichi. Potremmo così ottenere una vera e propria mappa dell’evoluzione del cervello e del linguaggio degli ultimi 200mila anni. Sapere con precisione quali sono i geni del linguaggio”. Ma anche ‘datarli’. “Alcuni antropologi – continua Macciardi – pensano che il linguaggio sia nato insieme all’arte, al pensiero simbolico (50 – 60mila anni fa). Altri addirittura pensano a 500mila anni fa. Due estremi su cui potremmo essere più chiari incrociando i dati morfologici e genetici delle diverse fasi evolutive. Ma si tratta di studi costosi che hanno bisogno di finanziamenti che bisognerà trovare”.

Denti (canini atrofici) di cervo perforati, utilizzati come pendenti, dipinti di ocra rossa posti attorno al corpo del ragazzino Romito 9
Lo scheletro del ragazzino di 17mila anni fa, riprende l’archeologo Martini, “ha raccontato e racconterà molto. Gli strumenti di oggi ci permettono di realizzare molte ricerche. È la prima volta che la tecnologia ci permette di toccare con mano un cervello antico. Possiamo vedere chiaramente che l’area del linguaggio, è quasi uguale, nella morfologia, ad oggi. È lo studio più completo su un individuo così antico”. Anche da un punto di vista storico-archeologico il ragazzo denominato Romito 9 – l’ultimo dei nove scheletri trovati nella grotta del Romito, il più antico – ha permesso ai ricercatori di fare passi avanti. “È la prima volta che troviamo una sepoltura di quell’epoca. E abbiamo molte indicazioni. Si colma così una lacuna su riti funerari sconosciuti in quell’età. Abbiamo ora un tassello che ci mancava”.
“Il mondo che non c’era”: dopo Firenze arriva a Rovereto la grande mostra sulle culture precolombiane con i preziosi reperti della Collezione Ligabue. Un meraviglioso viaggio tra vita, costumi e cosmogonie del Centro e Sud America prima di Colombo

L’arte precolombiana protagonista nella mostra “Il mondo che non c’era” promossa dalla Fondazione Giancarlo Ligabue
Sedici culture per scoprire “Il mondo che non c’era”: un meraviglioso viaggio tra vita, costumi e cosmogonie del Centro e Sud America prima di Colombo, raccontato attraverso duecento opere d’arte. Dopo il successo al museo Archeologico nazionale di Firenze (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2015/09/11/in-mostra-a-firenze-il-mondo-che-non-cera-viaggio-alla-scoperta-delle-civilta-precolombiane-del-centro-e-sud-america-con-i-tesori-mai-visti-della-collezione-ligabue-in-dia/) giunge a Palazzo Alberti Poja di Rovereto sede della Fondazione Museo Civico di Rovereto, la grande mostra che ci fa conoscere appunto “Il mondo che non c’era” (1° ottobre 2016 – 6 gennaio 2017) con gli straordinari reperti della Collezione Ligabue che accompagnano il visitatore nel cuore delle civiltà precolombiane: un corpus di opere – esposte al pubblico in gran parte per la prima volta proprio grazie a questo progetto – espressione delle grandi civiltà della cosiddetta Mesoamerica (gran parte del Messico, Guatemala, Belize, una parte dell’Honduras e del Salvador), del territorio di Panama, e delle Ande (Colombia, Ecuador, Perù e Bolivia, fino a Cile e Argentina). Quegli oggetti precolombiani parlano di Olmechi e Maya, Aztechi e Tairona, Chavin e Tiahuanaco, Moche e Inca.
Un viaggio tutto da vivere. Proviamo a percorrerne insieme qualche tratto attraverso 16 oggetti emblematici esposti in mostra a Rovereto. Tra il III e il I sec. a.C., nello Stato di Guerrero, in Messico, si sviluppa la cultura di Mezcala ben rappresentata in mostra da un’enigmatica statuetta antropomorfa in diorite. La Venere in ceramica cava policroma a ingobbio beige chiaro e rosso mattone, nuda, il sesso sottolineato tramite incisione, piccole braccia staccate dal tronco con le mani congiunte sul ventre, rappresenta invece la cultura Chupícuaro (IV-I sec. a.C.), ancora in Messico ma nello Stato di Guanajuato. Più recente la cultura jalisco, espressione della statuetta antropomorfa in ceramica a ingobbio rosso mattone e ocra gialla: siamo sempre in Messico tra il I sec. a.C. e il III d.C. Con l’urna funeraria con l’effigie del dio Cocijo si entra nella successiva cultura zapoteca, che in Messico inizia con la fase Monte Albán (II sec. a.C. – II d.C.) e continua fino a circa l’800 d.C. Cocijo era il dio zapoteco della pioggia, del fulmine e del tuono.
Bellissima la maschera in serpentino verde scuro a superficie levigata, volto a forma di un triangolo rovesciato, fronte e naso larghi, labbra spesse e sopracciglia marcate: il reperto ci porta dritto nella cultura Teotihuacán (450-650 d.C), sempre in Messico. Invece tra Messico e Guatemala si localizza la cultura Maya (600-800 d.C.) del vaso cilindrico con divinità dell’inframondo: questo grande bicchiere è tipico di una forma della ceramica di stile codex che si utilizzava per bere la cioccolata durante le feste date dai membri dell’élite dirigente. Questi ultimi se li regalavano volentieri tra loro e poi ne rendevano imperitura la funzione destinandoli al proprio corredo funebre: è ciò che ha permesso ad un buon numero di queste ceramiche di giungere così ben conservate fino ai nostri giorni. Spostandoci in Costarica, e tornando indietro di qualche secolo, troviamo la cultura Guanacaste (100-500 d.C.) con il pendente antropomorfo in pietra verde (giadeite) levigata e lucidata. Il pendente raffigura probabilmente il cosiddetto “dio ascia”, forse una divinità o un operatore rituale, la cui ricorrenza come soggetto iconografico risale al periodo olmeco. A Panama invece con l’olla in terracotta policroma sulla quale sono raffigurati una divinità e un alligatore, ci imbattiamo nella cultura Coclé (850-1000 d.C.).
Il viaggio continua lungo la cordigliera delle Ande in Ecuador dove si sviluppò l’antica cultura Valdivia – Chorrera (2000-1000 a.C.) cui appartiene il mortaio zoomorfo di serpentino verde in forma di giaguaro stilizzato. Prime “tracce” dell’El Dorado si riscontrano nella cultura tairona della Colombia (700-1000 d.C.) con pendenti in oro a forma di rana scolpita a sbalzo con foro sul collo. Nelle Ande del Nord, il lavoro dei metalli preziosi appare molto presto, circa verso la metà del primo millennio a.C. Proprio l’arte andina dell’oreficeria spingerà alla ricerca dell’El Dorado, uno dei grandi miti motori dei Conquistatori spagnoli. La bottiglia in ceramica a forma di sciamano della cultura Chavin-Cupisnique (1000 a.C) ci porta in Perù. Il personaggio seduto, con le braccia poste sopra le cosce e un volto dai tratti realistici, vestito con un perizoma, i lobi forati per due orecchini circolari, e una grande gobba, non era certo una persona comune, né un personaggio qualsiasi, bensì un essere con abilità sciamanica, abile per esempio nelle profezie dotato di capacità magiche speciali. Sempre in Perù troviamo la più famosa cultura Nazca (400-600 d.C.) a Rovereto ricordata da una bella coppa cerimoniale in terracotta ingobbiata, decorata su due registri sovrapposti: in alto una serie di teste trofeo stilizzate viste di profilo e ornate da corone plumarie; in basso corre un motivo formato da volti femminili giustapposti, conosciuto col nome di “facce di bambina”: le figure esprimono concetti e simboli appartenenti alla sfera della religione e non alle mode dell’arte decorativa, cioè simboli ritenuti dotati di un’efficacia che li rendeva attivi non solo nell’aldilà ma nella vita quotidiana.
Particolarmente interessante il vaso antropomorfo in ceramica della cultura Moche del Perù (100 a.C. – 200 d.C.): rappresenta il volto di un personaggio che porta al naso un anello d’oro. Le caratteristiche del volto, la fattura e l’anatomia che raggiunge livelli eccellenti di naturalismo – come in moltissimi vasi della cultura moche, che rappresentano governanti, malattie, mutilazioni e appunto volti – fanno pensare che una persona reale abbia posato per il ceramista. La più recente delle culture che si sono sviluppate in Perù è la cultura Inca (1300-1450 d.C.) che ritroviamo nel vaso urpu, terracotta dipinta con rilievo a forma di felino e manici per il trasporto. Questa anfora, conosciuta col nome di urpu o ariballo con termine greco, era destinata al trasporto d’acqua e, più spesso, della chicha, o aqha, il vino ottenuto dalla fermentazione del mais. Il nostro viaggio, prima della tappa conclusiva in Perù, si concede una deviazione in Argentina alla scoperta dell’antichissima cultura Las Bajas dei Tehuelche (2000-1000 a.C.), che ritroviamo nell’ascia cerimoniale intagliata in pietra e decorata a forma di otto con motivi geometrici. Questo tipo di ascia doppia di solito veniva utilizzata durante le cerimonie sacre e ha sempre mantenuto un grande significato simbolico.
Il nostro speciale viaggio si chiude in Perù con la straordinaria maschera funebre in rame ricoperto da lamina d’oro della cultura chimú-lambayeque (1300 d.C.). Nel Cinquecento, il cronista spagnolo Miguel Cabello de Valboa raccolse il mito che narrava l’arrivo dal mare dell’eroe fondatore Ñaymlap e del suo seguito regale. Approdato in quel tratto della costa pacifica che da lui avrebbe preso il nome, Ñaymlap era preceduto da un suonatore di buccina marina e da un servitore che precedeva i suoi passi spargendo polvere di conchiglie. Il capostipite delle genti di Lambayeque deriva il nome da un uccello acquatico (namla). Tra gli attributi, le ali e gli “occhi alati”, riproducenti le macchie oculari di alcuni uccelli o combinazione dell’occhio umano con ali. Il mito narra che in punto di morte sul dorso del sovrano crebbero ali ed egli volò al cielo lasciando la sua immagine intagliata nello smeraldo: l’idolo Yampallec, “icona di Ñaymlap”, che avrebbe assicurato al suo popolo prosperità e potere. Sedotto da un dèmone-femmina, l’ultimo sovrano, Fempellec, volle trasferire altrove la sacra immagine. Trenta giorni di piogge e un anno di siccità mutarono la fertile valle in terra desolata. Le maschere funerarie in oro, o rame dorato come questo esemplare, riproducono fattezze e attributi dell’antenato mitico: gli “occhi alati” e i dischi auricolari (orejeras) – gli stessi dei sovrani dei moche – contornati da una serie di globuli sbalzati, probabile simbolo della Luna, madre dell’umidità notturna, o del Sole padre della luce e della pioggia. Applicata al fardo funerario – l’involto di tessuti che copriva il corpo in posizione fetale – la maschera manifestava la partecipazione del defunto alla regalità divina dell’Antenato-Uccello. Dagli occhi cadono lacrime raffigurate da globuli di quarzo (in altri esemplari di resina di algarrobo).

L’imprenditore e collezionista veneziano Inti Ligabue, presidente della Fondazione Giancarlo Ligabue
Promossa dalla Fondazione Giancarlo Ligabue di Venezia con il sostegno della Provincia Autonoma di Trento, del Comune di Rovereto, dalla Fondazione Museo Civico di Rovereto e di Mezcala Expertises, main sponsor Ligabue Group, la mostra “Il mondo che non c’era” presenta dunque un nucleo scelto di opere delle antiche culture Americane della vasta Collezione Ligabue. A quasi due anni dalla sua scomparsa (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2015/01/26/e-morto-giancarlo-ligabue-imprenditore-archeologo-paleontologo-mecenate-sostenne-130-spedizioni-nei-cinque-continenti-fondo-il-centro-studi-ricerche-e-stato-lo-scienziato-veneziano-piu-famoso-a/), questa esposizione vuole essere infatti anche un omaggio alla figura di Giancarlo Ligabue (1931- 2015) – paleontologo, studioso di archeologia e antropologia, esploratore, imprenditore illuminato, appassionato collezionista – da parte del figlio Inti che, con la “Fondazione Giancarlo Ligabue” da lui creata, continua l’impegno nell’attività culturale, nella ricerca scientifica e nella divulgazione e dopo l’esperienza del Centro Studi e Ricerche fondato oltre 40 anni fa dal padre Giancarlo. Oltre infatti ad aver organizzato più di 130 spedizioni in tutti i continenti, partecipando personalmente agli scavi e alle esplorazioni – con ritrovamenti memorabili conservati ora nelle collezioni museali dei diversi paesi – Giancarlo Ligabue ha dato vita negli anni a un’importante collezione d’oggetti d’arte, provenienti da moltissime culture. Una parte di questa collezione è il cuore della mostra aperta a Rovereto e che ha già affascinato il pubblico toscano e la stampa nazionale, curata da Jacques Blazy (tra i membri del comitato scientifico, André Delpuech capo conservatore al Musée du Quai Branly di Parigi e l’archeologo peruviano Federico Kauffmann Doig), specialista delle arti pre- ispaniche della Mesoamerica e dell’America del Sud. “Ringrazio per questa occasione Rovereto, città che da moltissimo tempo è un esempio significativo del nostro Paese per le scelte e le iniziative culturali, e con la quale – attraverso il sindaco Francesco Valduga e la Fondazione Museo Civico di Rovereto e Giovanni Laezza che la presiede – abbiamo avviato una cooperazione che ci rende orgogliosi e che ci procura nuovi e vitalissimi stimoli per future iniziative”, ricorda Inti Ligabue. “Ringrazio anche il direttore del Museo Civico di Rovereto, Franco Finotti e lo staff; e infine, in modo particolare, anche per la solida amicizia che viene da una lunga collaborazione dico un grazie a Dario Di Blasi, persona che è stata al centro di molte iniziative comuni con il Centro Studi e Ricerche prima e adesso con la Fondazione Giancarlo Ligabue”.
A Rovereto la XXVII rassegna internazionale del cinema archeologico: in cinque giorni più di 50 film da 14 Paesi, conversazioni e incontri con i protagonisti della ricerca archeologica. Le anticipazioni del direttore Dario Di Blasi
Più di cinquanta film in cinque giorni nella sezione principale all’auditorium Melotti, con tre conversazioni, una tavola rotonda e un laboratorio didattico; e altri tre film con altrettante conversazioni nella sezione “Arte, culto e spiritualità” nella sala conferenze del Mart: ecco in cifre la 27. Rassegna internazionale del cinema archeologico in programma a Rovereto (Trento) promossa dalla Fondazione Museo Civico di Rovereto, diretta, ideata e curata da Dadio Di Blasi. “Per molti anni”, scrive Di Blasi nella presentazione della Rassegna, “ho cercato filmati, preparato programmi cinematografici e coinvolto archeologi e uomini di cultura con l’intenzione di far conoscere e interagire tra loro culture e civiltà diverse, anche discordi tra loro, di luoghi ed epoche differenti, convinto di portare un sia pur piccolo contributo alla conoscenza e quindi alla tolleranza. In ventisette anni e altrettante edizioni della Rassegna ho visto con orrore ogni sorta di guerre, crudeltà e sopraffazioni, la guerra nei Balcani, la strage delle torri gemelle, un Medio oriente sempre in fiamme, eccidi di ogni tipo in Africa, migrazioni epocali a causa d’infiniti conflitti, non ultima l’anno scorso l’uccisione di Khaled al-Asaad a Palmira. Anche se malferma la speranza di contribuire alla conoscenza, alla tolleranza e alla pace non è mai morta comunque”. E continua: “Nella proposta di questa XXVII edizione lo spirito e le intenzioni sono e rimangono quelle originali. Il palinsesto cinematografico spazia nelle culture e civiltà di tutti i continenti, così come gli approfondimenti che coinvolgono l’America precolombiana, Pompei, l’Africa dei primi uomini, l’Egitto, l’arte parietale con le prime forme di spiritualità, il mito del mondo classico, ma soprattutto la domanda se i musei al giorno d’oggi abbiano ancora un ruolo e una funzione nella formazione e nella cultura, pur senza indulgere nella significativa ironia di chi disse, a proposito di musei, che Il sonno della ragione genera mostre”.
La proposta di questa edizione – riassume Di Blasi – è, come sempre e soprattutto, una proposta cinematografica con film provenienti da 14 paesi ma che documentano epoche e territori diversissimi, la preistoria: Quand homo sapiens faisait son cinema (Francia), venerdì 7, al mattino; Dawn of humanity (Usa), sabato 8, al mattino; la Francia del Re sole: Marly, le Chateau disparu du Roi Soleil (Francia), mercoledì 5, al pomeriggio; mille anni di cultura islamica in Iran: Die Freitagsmoschee von Isfahan (Iran), venerdì 7, al pomeriggio; l’impero Khmer in Cambogia: Aux sources d’Angkor (Francia), mercoledì 5, alla sera; l’epopea vichinga con la scoperta dell’Islanda: Wiking Women-Sigrun’s wrath and discovery of Iceland (Germania), venerdì 7, alla sera; il popolamento delle Antille: Empreinte amerindienne (Francia), giovedì 6, al pomeriggio; il favoloso Perù: Chavin de Huantar. El teatro del Màs Allà (Spagna), giovedì 6, al pomeriggio; la sempre misteriosa Etruria: I confini del mar Tirreno e Adriatico diviso tra etruschi, fenici e focesi (Italia), venerdì 7, al pomeriggio; Sulle note del mistero. La musica perduta degli Etruschi (Italia), venerdì 7, alla sera; e il racconto “del mio eroe dell’infanzia”, Annibale: Tras la huella de Anibal (Spagna), venerdì 7, al pomeriggio.
Anche nella XXVII Rassegna ci sono alcuni approfondimenti con protagonisti della ricerca: in tre mattine nella sala conferenze del Mart -Museo d’arte moderna e contemporanea per la sezione “Arte, Culto e Spiritualità”: Fabio Martini, archeologo preistorico dell’università di Firenze, il 5 ottobre propone “L’origine dell’arte. Documenti e problemi d’interpretazione “; Silvia Romani, docente di Mitologia classica e lingua greca all’università di Torino, il 6 ottobre “La terra di mezzo. Raccontare storie per comprendere il mondo“, e quindi Francesco Tiradritti, egittologo, docente all’università di Enna, il 7 ottobre “Ricerche nel cenotafio di Harwa: iniziazione e resurrezione nell’Egitto del VII sec a.C.“. In alcuni pomeriggi e mattine, al contrario nell’auditorium Melotti del polo museale, Giuseppe Orefici, archeologo, responsabile della missione a Nazca, giovedì 6, al pomeriggio, racconta “Centri cerimoniali e geoglifi a Cahuachi- Nazca”; Massimo Osanna, soprintendente di Pompei, venerdì 7, al pomeriggio, “Nuove scoperte nei santuari pompeiani”; e Damiano Marchi, antropologo, docente all’università di Pisa, sabato 8, al mattino, “Homo naledi. Nuovi fossili scoperti in Sudafrica: è questa la zona d’origine del genere Homo?“. “A conclusione di queste giornate”, annuncia Di Blasi, “sabato 8, al pomeriggio, abbiamo voluto inserire anche una sorta di tavola rotonda dibattito per capire se il ruolo dei musei nella formazione di cultura sia ancora attuale. La proposta di dibattito con Cinzia Dal Maso, giornalista e blogger, e Piero Pruneti, direttore di Archeologia Viva, quali moderatori è “Agitare prima dell’uso. Nuovi orizzonti del Museo”. Partecipano Daniele Jallà, presidente Icom Italia; Anna Maria Visser, università di Ferrara; Carmelo Malacrino, direttore museo Archeologico nazionale di Reggio Calabria; Valentino Nizzo, direzione generale musei del MIBACT; Franco Marzatico, soprintendente ai Beni Culturali di Trento”. La rassegna chiude sabato 8 alla sera al teatro Zandonai di Rovereto con la cerimonia di premiazione e la proiezione del film più gradito dal pubblico con il premio “Città di Rovereto – Archeologia Viva”.
Archeologia in lutto. È scomparso Alfredo Castiglioni, protagonista col fratello Angelo di mezzo secolo di ricerche in Africa: esploratore, archeologo, antropologo, etnologo, autore di libri, film, reportage
Archeologia in lutto. Inseparabili, entusiasti del loro lavoro e delle loro ricerche, capaci di farti rivivere con le parole e le immagini emozioni e scoperte dei loro numerosi viaggi, soprattutto in Africa: sono Alfredo e Angelo Castiglioni, fratelli gemelli, esploratori, archeologi, antropologi, etnologi di fama internazionale. Ora la “coppia” si è rotta: Alfredo Castiglioni si è spento domenica 14 febbraio 2016, stroncato da un infarto a 79 anni al suo rientro dall’Eritrea dove dal 2012 stava lavorando col fratello Angelo al progetto per il recupero della “città segreta” di Adulis. Era nato a Milano il 18 marzo 1937. Laureato in economia alla Cattolica di Milano, era famosissimo insieme al fratello Angelo per le imprese di esplorazione in Africa, dal Sahara alla Namibia, raccolte in libri di antropologia e archeologia. Ricordiamo “L’armata perduta di Cambise”, il popolo blu dei Tuareg, la cultura Masai. I risultati delle loro ricerche compiute nel Sahara libico sud occidentale nel 1982 sui graffiti preistorici della Valle del Bergiug, risalenti a 10-12mila anni fa, sono stati esposti nell’ambito del XXVI festival di Spoleto. Il 12 febbraio 1989 hanno ritrovato l’antica città mineraria di Berenice Panchrysos, citata da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia. Il ritrovamento è stato giudicato da Jean Vercoutter “una delle grandi scoperte dell’archeologia“. Con il materiale raccolto in oltre 50 anni di ricerche e donato al comune di Varese è stato aperto un gioiellino: il museo Castiglioni nella dépendance di Villa Toeplitz a Varese.

Alfredo Castiglioni è stato insignito nel 1991 dal presidente della repubblica Cossiga della medaglia d’oro per la cultura
Alfredo Castiglioni non era solo un uomo dalla grande storia personale e dal grande passato – lo ricordano le cronache di varesenews.it -, ma anche uno studioso che ha fatto collezione di benemerenze insieme al fratello per la sua attività di ricercatore: come la medaglia d’oro per meriti della cultura e dell’Arte, conferita nel 1991 dall’allora presidente della repubblica Francesco Cossiga o l’Ambrogino d’oro conferito sempre nel 1991, o il sigillo Longobardo dato per meriti nel 2005 dalla Regione Lombardia. I fratelli Castiglioni hanno fondato l’associazione CeRDO (Centro Ricerche sul Deserto Orientale) e sono membri del Sudan Archealogical Research Society di Londra, della Società internazionale di studi nubiani e dell’IICE (Istituto italiano per la civiltà egizia). Hanno pubblicato 16 libri e realizzato cinque film a lungometraggio, nonché numerosi documentari di divulgazione archeologica e hanno scritto articoli per diverse riviste di archeologia o di ricerca scientifica (Archeologia Viva, Archeo, Egyptian Archaeology, The Sudan Archaeological Research Society, Bulletin de la Société Francaise d’Egyptologie).

“Sulla via degli elefanti”: il film in ricordo di Alfredo che Angelo Castiglioni presenterà a ottobre alla rassegna del cinema archeologico di Rovereto

Angelo e Alfredo Castiglioni tra Siusy Bladi alla rassegna internazionale del cinema archeologico di Rovereto
Archeologia Viva, si diceva. Chi scrive ha avuto modo di conoscere e apprezzare i fratelli Castiglioni nelle loro frequentazioni da collaboratori e amici di Firenze proprio nei convegni della rivista Archeologia Viva e di Rovereto alla rassegna internazionale del cinema archeologico. E la vicinanza a Rovereto è confermata anche ora che Alfredo è mancato. Lo annuncia il direttore Dario Diblasi: “Angelo Castiglioni ha voluto essere presente anche quest’anno alla rassegna, prevista a ottobre 2016, con il film Sulla via degli elefanti: sarà l’occasione per ricordare il fratello Alfredo”. E per restare a Rovereto, è stato con il museo civico roveretano che è iniziato il progetto Adulis dei fratelli Castiglioni. La missione in Corno d’Africa è stata ricordata alle esequie di Alfredo Castiglioni, cui ha partecipato anche l’ambasciata di Eritrea con una corona e un suo rappresentante che è salito sul pulpito “per dire grazie ai fratelli Castiglioni, a nome dell’ambasciatore, e del console generale a Milano” e “per rendere l’ultimo omaggio a un grandissimo amico dell’Eritrea. L’importante progetto è tuttora in corso, nel sito di Adulis. Noi siamo fiduciosi che il progetto proseguirà, anche per rendere viva la memoria di Alfredo tra i suoi amici e gli appassionati di archeologia. Ma non nego che Alfredo mancherà tanto all’Eritrea, e al popolo Eritreo”. E l’archeologa Serena Massa, commossa: “Ho avuto l’onore di conoscere Alfredo durante gli scavi ad Adulis, e conoscere il grande studioso ma anche il grande uomo”.
(3 – continua)



































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