Fabio Martini da Rovereto: “Rinato in 3D il cervello del ragazzino di 17mila anni fa della grotta paleolitica del Romito in Calabria”. Team di scienziati tra Firenze, Roma e California punta a studiare l’evoluzione del linguaggio nell’Homo Sapiens e a curare la dislessia
Dall’Homo Sapiens di 17mila anni fa all’Homo Sapiens di oggi: sono passati quasi 20 millenni ma il cervello dell’uomo, nel suo aspetto esterno, non sembra cambiato. Stessa disposizione delle vene, stesse volumetrie delle diverse aree. Un risultato eccezionale della ricerca che potrebbe portare grandi risultati nella moderna medicina, ad esempio nella cura della dislessia. Lo ha annunciato a Rovereto Fabio Martini, docente di archeologia preistorica all’università di Firenze, a margine della sua seguita e apprezzata conversazione “L’origine dell’arte. Documenti e problemi di interpretazione” in “Arte, culto e spiritualità”, sezione speciale della 27. Rassegna internazionale del Cinema archeologico diretta da Dario Di Blasi. “Oggi possiamo sapere e toccare con mano un cervello di un nostro antenato di 17mila anni fa, grazie alla ricostruzione in 3D che un team ha realizzato negli Usa partendo dalla scatola cranica di un ragazzo ritrovato nella grotta del Romito a Papasidero in Calabria, uno dei siti archeologici italiani più interessanti per la presenza di scheletri paleolitici, frequentato dall’Homo sapiens tra 23mila e 10mila anni da oggi”, spiega Martini. “Naturalmente non possiamo dire come quel cervello “funzionava”, come pensava, come interagiva col mondo esterno, ma sicuramente questo risultato raggiunto è destinato a fornirci importanti informazioni nuove e finora impensabili. Prima della fine dell’anno – annuncia — saranno pubblicati su una importante rivista scientifica i risultati di questo progetto che, insieme alla ricostruzione 3D del cervello, prevede anche la ricostruzione del Dna dell’antico preadolescente”. Due elementi che rappresentano una prima tappa per la raccolta dei dati che permetteranno di disegnare l’evoluzione del cervello umano, in particolare delle aree e dei geni che sovrintendono al linguaggio. Con risvolti pratici anche immediati, come la possibilità di trovare forme di cura per la dislessia. Allo studio sta lavorando un’equipe eterogenea di studiosi italiani di diversi atenei – archeologi, neuroscienziati, fisici, antropologi molecolari – coadiuvati dall’università della California Irvine.

La grotta del Romito a Papasidero in calabria, dove è stato trovato lo scheletro di un ragazzino di 17mila anni fa
Tutto parte dallo scheletro del Romito 9, ritrovato a Papasidero nel 2011 (insieme altri due scheletri: Romito 7 e Romito 8) dall’equipe di Fabio Martini, a distanza di alcuni decenni da ritrovamento dei primi 6 resti. “Romito 9”, spiega Martini, “è lo scheletro di un ragazzino di 10 anni morto tra le aspre colline di quella che oggi è la Calabria. La causa della sua morte non è nota. Ma la presenza di decorazioni con conchiglie e ocra rossa trovate attorno al suo corpo deposto delicatamente fa pensare che il piccolo fu amato e pianto. Le ossa del cranio a quell’età sono ancora plastiche, in sviluppo, tanto da lasciare, seppure in maniera invisibile all’occhio umano, l’impronta del cervello, rilevabile con le tecnologie sofisticate di oggi. Un ritrovamento dunque eccezionale”. A “leggere” queste “tracce” invisibili ci ha pensato il fisico Claudio Tuniz del Centro Internazionale di Fisica Teorica Abdus Salam di Trieste, il quale ha realizzato il modello informatico, che poi ha permesso di stampare in 3D, negli Usa, il cervello di 17mila anni fa. Tuniz ha fatto la ricostruzione teorica, grazie alle tecnologie avanzate del suo laboratorio. Ha preso il cranio, lo ha posto in modo da permettere una rotazione completa e ha realizzato circa 4mila radiografie, più o meno 10 per ogni grado della rotazione completa. La mappa ha permesso la stampa del cervello – come si diceva -, in California, dove sono disponibili le strutture necessarie e dove opera un altro specialista italiano, Fabio Macciardi, studioso di neuroscienze dell’università della California e docente di genetica medica all’università di Milano.
Per raggiugere l’altro grande obiettivo ambizioso, l’estrazione del Dna dallo scheletro Romito 9 di 17mila anni fa è intervenuta la professoressa Olga Rickards, ordinario di antropologia molecolare all’università di Tor Vergata di Roma, che è riuscita a sequenziarlo. Risultato non facile. “Oggi molti ricercatori lavorano per trovare i geni legati alle patologie del linguaggio”, interviene Macciardi, che si occupa di schizofrenia, autismo e disturbi le linguaggio. “Ma si tratta di una competenza molto complessa e si rischia di perdersi in un mare di informazioni genetiche. Serve scegliere solo quelle importanti che sono, probabilmente, sia quelle conservate nei millenni, sia quelle sviluppate nell’evoluzione”. Ciò vale anche per il cervello in 3D e la sequenza del Dna “archeologico”. “Sui dati ottenuti abbiamo realizzato molti confronti con quelli contemporanei. E il nostro obiettivo è realizzare lo stesso lavoro su 70 scheletri molto più antichi. Potremmo così ottenere una vera e propria mappa dell’evoluzione del cervello e del linguaggio degli ultimi 200mila anni. Sapere con precisione quali sono i geni del linguaggio”. Ma anche ‘datarli’. “Alcuni antropologi – continua Macciardi – pensano che il linguaggio sia nato insieme all’arte, al pensiero simbolico (50 – 60mila anni fa). Altri addirittura pensano a 500mila anni fa. Due estremi su cui potremmo essere più chiari incrociando i dati morfologici e genetici delle diverse fasi evolutive. Ma si tratta di studi costosi che hanno bisogno di finanziamenti che bisognerà trovare”.

Denti (canini atrofici) di cervo perforati, utilizzati come pendenti, dipinti di ocra rossa posti attorno al corpo del ragazzino Romito 9
Lo scheletro del ragazzino di 17mila anni fa, riprende l’archeologo Martini, “ha raccontato e racconterà molto. Gli strumenti di oggi ci permettono di realizzare molte ricerche. È la prima volta che la tecnologia ci permette di toccare con mano un cervello antico. Possiamo vedere chiaramente che l’area del linguaggio, è quasi uguale, nella morfologia, ad oggi. È lo studio più completo su un individuo così antico”. Anche da un punto di vista storico-archeologico il ragazzo denominato Romito 9 – l’ultimo dei nove scheletri trovati nella grotta del Romito, il più antico – ha permesso ai ricercatori di fare passi avanti. “È la prima volta che troviamo una sepoltura di quell’epoca. E abbiamo molte indicazioni. Si colma così una lacuna su riti funerari sconosciuti in quell’età. Abbiamo ora un tassello che ci mancava”.
L’ha ribloggato su Archeonewsblog.
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La foto in basso figura denti (canini atrofici) di cervo perforati, utilizzati come pendenti e non conchiglie!
gentile Cristina, grazie della segnalazione. Didascalia già corretta