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Venezia. Dalla Grande Madre steatopigica alle figurine schematizzate e astratte, alla bellezza idealizzata degli artisti mesopotamici: focus con la curatrice Caubet sulla mostra “Idoli. Il potere dell’immagine” promossa dalla Fondazione Ligabue

Inti Ligabue, presidente della fondazione Giancarlo Ligabue alla mostra “Idoli. Il potere dell’immagine” (foto Graziano Tavan)

La locandina della mostra “Idoli. Il potere dell’immagine” a Venezia dal 15 settembre 2018 al 20 gennaio 2019

La cosiddetta “Venere Ligabue”, star della mostra, in clorite, capolavoro della Civiltà dell’Oxus (2200-1800 a.C.), proveniente dall’Iran Orientale: fa parte della Collezione Ligabue

Inti Ligabue, sorridente, si mette in posa senza dover insistere. Alle sue spalle, nella vetrinetta, è esposta una statuetta battriana del III millennio a.C. Non è una statuetta qualsiasi, come sottolinea orgogliosamente il presidente della Fondazione Giancarlo Ligabue: “È un’opera iconica alla quale è stato attribuito il nostro nome: Venere Ligabue. Gli studiosi la conoscono bene. Fu acquistata da mio padre agli inizi degli anni Settanta e diventata famosa anche grazie agli studi importantissimi da lui condotti in un’area del Turkestan afghano, che oggi identifichiamo appunto come Battriana: l’antico nome di un luogo e di una civiltà che egli, tra i primi, illustrò in un volume (“Battriana” – Erizzo 1988) che è tuttora una pietra miliare in questo campo”. Sabatino Moscati, uno dei più grandi archeologi italiani, non esitò a dire che le scoperte e gli studi di Giancarlo Ligabue sulla Battriana obbligavano “a riscrivere una parte della storia dell’archeologia del Vicino Oriente antico”. La Venere Ligabue è uno dei tanti manufatti affascinanti esposti nella mostra “Idoli. Il potere dell’immagine” aperta fino al 20 gennaio 2019 a Palazzo Loredan, a Venezia, curata da Annie Cubet (“Anch’ella grande archeologa e curatrice onoraria al Musée du Louvre”, riprende Inti, “che sono lusingato abbia accettato di sviluppare il progetto scientifico dell’esposizione”), oltre 100 opere tra Occidente e Oriente, dalla penisola Iberica alla Valle dell’Indo, dalle porte dell’Atlantico fino ai remoti confini dell’Estremo Oriente, dal 4000 al 2000 a. C. L’alba della civiltà (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2018/08/15/a-venezia-la-mostra-idoli-il-potere-dellimmagine-terzo-grande-evento-della-fondazione-giancarlo-ligabue-una-finestra-sulla-rivoluzione-neolitica-e-la-ra/).

Statuette cicladiche dalla sessualità ibrida nella mostra “Idoli” a Venezia (foto Graziano Tavan)

Tutte le statuette in mostra, che riportano talvolta i segni delle ripetute manipolazioni o di riparazioni coeve – a dimostrazione di un loro utilizzo costante e di un ruolo chiave negli eventi sociali e religiosi ricorrenti – sono custodi di storie e miti di straordinaria suggestione; testimoni di usi e di bisogni simili e, in seguito, di quel “grande arazzo di culture interconnesse” che si venne a creare tra la fine del IV e per tutto il III millennio a.C. “Non possiamo non farci affascinare dalle figure steatopigie dell’Arabia”, fanno notare gli archeologi, “o dalle statuette cicladiche dalla sessualità ibrida o ancora dalle più enigmatiche sculture della preistoria cipriota, quelle statuine stanti del tipo plankshaped (con i tratti del volto resi da una molteplicità di segni geometrici incisi, l’abbigliamento elaborato e spesso del tipo “a due teste”), di cui sono in mostra importanti esemplari del museo Archeologico di Nicosia; o ancora dalla visione naturalistica ma idealizzata che si sviluppa in Mesopotamia nell’Età del Bronzo. I geni raffigurati in questo periodo dagli artisti della Civiltà dell’Oxus, sviluppata in Asia centrale (complesso Battriano-Margiano), narrano di battaglie cosmiche, di esseri dalla doppia identità animale e umana, ricompongono i fili del racconto mitologico ove il “Drago dell’Oxus” – detto anche “Lo Sfregiato” per il profondo squarcio che gli deturpa il volto – con il corpo coperto di squame di serpente, era la controparte selvaggia della “Dama dell’Oxus”: forse spirito astrale, forse principessa Battriana. Non possiamo non farci sedurre dai miti di queste prime civiltà e dal potere dell’immagine”.

Figura steatopigia in basalto del IV millennio a.C. proveniente dall’Arabia Saudita e conservata in una collezione privata di Londra

“Il tipo più antico esposto in mostra”, scrive la curatrice Annie Caubet, “è l’onnipresente figura steatopigia, la cosiddetta “Grande Madre”, ereditata da una lunga tradizione neolitica. Nuda e sontuosamente voluttuosa, occupò da sola lo scenario iconografico di gran parte del mondo antico fino all’arrivo di nuove immagini alla fine del IV millennio a.C. In mostra sono presenti esemplari provenienti da regioni distanti tra loro come la Sardegna, le Cicladi, Cipro e l’Arabia. I volumi delle diverse parti del corpo, taluni accentuati, altri ridotti, ma sempre attentamente equilibrati, danno vita a un insieme dinamico e potente. Quando, tra il 3300 e il 3000 a.C., gran parte del mondo antico fu teatro della rivoluzione urbana che portò alla nascita delle prime città, la profonda trasformazione sociale ed economica si tradusse in cambiamenti radicali nel campo delle rappresentazioni visive. I concetti metafisici continuarono a essere incarnati in immagini tridimensionali, ma l’ideale steatopigio fu abbandonato a favore di visioni del tutto nuove. Il contrasto tra le due fasi può essere osservato con particolare chiarezza negli esemplari realizzati in periodi successivi nella stessa area, come la Sardegna o le Cicladi. Si affermarono due tendenze opposte e complementari: una portata all’astrazione e alla schematizzazione estrema; l’altra realistica, ma stemperata da una tendenza all’idealizzazione. Entrambe erano spesso adottate contemporaneamente”.

Figura femminile fallica del Tardo Neolitico da Cipro (museo di Nicosia)

Ma attenzione, fa presente Caubet: “Composte con volumi netti e geometrici, le immagini astratte non sono tali nel senso dell’estetica del Novecento. Piuttosto, sono visioni schematiche del corpo, in cui alcune parti sono assenti e altre accentuate, soprattutto gli occhi e il triangolo pubico, secondo una sorta di sineddoche (pars pro toto) visiva. Gli occhi, la sede della vita e dell’identità, erano – anche in contesti diversi – l’elemento principale delle statuette modellate nella penisola iberica, in Egitto, a Cipro, in Anatolia, in Siria e in Mesopotamia. Talvolta il triangolo pubico compare in modo discreto sul bordo di un disco completamente astratto, come negli idoli circolari di Kültepe o in quelli cicladici a forma di violino. In altri casi finisce con il rappresentare il corpo intero, come negli idoli di terracotta dell’Asia centrale composti da un triangolo dotato di occhi e seni. Solitamente, queste immagini astratte sono di genere femminile, anche se talvolta contengono un’altra sineddoche visiva: nelle immagini femminili falliche, tutto il corpo o solo alcune parti, la testa e le braccia, assumono la forma di un pene eretto. Cipro e l’Anatolia crearono capolavori raffiguranti questo ideale androgino: si voleva riprodurre una natura irrealisticamente completa? – si chiede Caubet -. In contrasto con quest’estetica astratta, all’incirca nello stesso periodo, alla fine del IV millennio a.C., si venne affermando una visione naturalistica ma idealizzata del corpo umano. Uno dei centri principali di questa tendenza si trovava nella Mesopotamia meridionale. La cultura di Uruk, così chiamata dal nome della città di Gilgamesh dove fu inventata la scrittura, estese il proprio dominio su gran parte dell’Asia occidentale e segnò in modo significativo lo sviluppo dell’Egitto e la nascita della civiltà faraonica”.

Figura incinta distesa in marmo tipo “spedos” dalle Cicladi, oggi in collezione privata inglese

“Gli artisti della Mesopotamia – ricorda ancora la curatrice – crearono capolavori di bellezza idealizzata come la cosiddetta “Dama di Warka” (Baghdad). Una tipologia di statuette femminili nude idealizzate, create intorno alla metà del III millennio a.C., si diffuse nel Levante e in Egitto e rimase estremamente popolare fino alla fine dell’antichità. Depositate nelle tombe e collocate nei templi, queste statuine probabilmente facevano parte anche del culto domestico. La maggior parte era in argilla cotta, con alcune eccezioni in avorio o pietra. Il confronto tra l’estetica idealizzata della Mesopotamia e quella delle isole Cicladi, nell’Egeo, non è stato tentato spesso, ma apre nuove prospettive sull’arte dell’Età del Bronzo del III millennio a.C. Gli artisti delle Cicladi sfruttarono al meglio la qualità del marmo locale, così come avrebbero fatto i loro successori del periodo classico greco. I tipi iconografici creati intorno al 2800 a.C. resistettero e si evolvettero per diversi secoli: un corpo nudo, le braccia incrociate sulla vita a proteggere la pancia, spesso mostrata in stato di gravidanza. Benché nei musei siano spesso esposte in verticale, queste statuette erano in realtà concepite per essere collocate in posizione supina, con le gambe leggermente piegate, i piedi puntati verso il basso e la testa reclinata all’indietro come a guardare il cielo. Pur rimanendo nei limiti della tipologia, singoli scultori come il prolifico “maestro di Goulandris” o il “maestro di Sutton Place” introdussero innumerevoli variazioni di stile e proporzioni. Le statuette cicladiche venivano depositate nelle tombe probabilmente dopo essere state utilizzate nei luoghi di culto pubblici in occasione di rituali ricorrenti; le ripetute manipolazioni lasciavano tracce di usura e segni di rottura sui pezzi, che spesso venivano riparati con cura. Le statuette cicladiche erano importate e imitate a Creta e in Anatolia”.

Tourisma 2017: a Firenze per tre giorni il più importante evento europeo sulla promozione dei beni culturali. Trenta convegni, 240 relatori, sette laboratori, cento espositori. L’Egitto ospite speciale. Ricostruita la camera funeraria di Tutankhamon. E poi Longobardi, Etruschi, Preistoria, Vicino Oriente, turismo culturale

L'auditorium del centro congressi di Firenze stracolmo per Tourisma 2016 (foto Valerio Ricciardi)

L’auditorium del centro congressi di Firenze stracolmo per Tourisma 2016 (foto Valerio Ricciardi)

Ci siamo. Ancora poche ore, si può dire, e Firenze aprirà le porte alla terza edizione di TourismA 2017, il Salone internazionale dell’Archeologia, che si terrà al Palazzo dei Congressi di Firenze dal 17 al 19 febbraio. Nei tre giorni sono previsti oltre trenta fra convegni e workshop, con 240 relatori, sette laboratori didattici. Un centinaio gli espostori nel settore fieristico, fra cui cinque Paesi stranieri: Algeria, Cipro, Croazia, Egitto (special guest 2017), Giordania, Turchia. Sarà visitabile la camera funeraria di Tutankhamon ricostruita per la prima volta a grandezza naturale (grazie a Cultour Active) ed è esposta la copia in bronzo del meraviglioso Apoxyomenos di Lussino. Fra gli ospiti speciali: Alberto Angela, Franco Cardini, Valerio Massimo Manfredi, Giuliano Volpe, Louis Godart, Zahi Hawass, Alberto Sironi. Il ministro Dario Franceschini consegnerà a Piero Angela il premio speciale “R. Francovich” attribuito dalla Sami per la comunicazione scientifica. Il ministro greco della cultura Lydia Koniordou lancerà da TourismA il suo appello per la restituzione dei Marmi del Partenone da parte del British Museum. “L’archeologia ha un’attrattiva incredibile”, sottolinea Cristina Giachi, vicesindaco di Firenze. “A TourismA non si trattano solo buone pratiche dal punto di vista della conservazione ma si approfondiscono i temi legati alla valorizzazione dei patrimoni archeologici che si dimostrano in grado di attrarre molto pubblico. Più volte siamo andati a parlare di queste buone prassi in realtà dove si stenta a vedere il potenziale attrattivo di questa ricchezza. Un terreno, oggi, di grande attenzione perché riguarda Paesi interessati dal fuoco incrociato delle guerre e del terrorismo: questo patrimonio è spesso saccheggiato e molti reperti sono trafugati e, venduti sul mercato illegale, diventano un mezzo di sostentamento degli stessi gruppi terroristici”. Per avere il programma completo vedi http://www.tourisma.it/programma-2017/

Franco Cardini, professore emerito di Storia medievale alla Scuola Normale superiore di Pisa

Franco Cardini, professore emerito di Storia medievale alla Scuola Normale superiore di Pisa

ANTEPRIMA A PALAZZO VECCHIO L’inaugurazione di TourismA 2017 in realtà non è venerdì 17, ma giovedì 16 febbraio, alle 20.45 nel Salone de’ Cinquecento di Palazzo Vecchio alla presenza di Dario Nardella, sindaco di Firenze; Andrea Pessina, soprintendente Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Firenze Pistoia e Prato; Piero Pruneti, direttore di Archeologia Viva; e Giuliano Volpe, presidente Consiglio superiore Beni culturali e paesaggistici. Il moment clou la lectio magistralis su “Firenze ai tempi di Dante e Boccaccio: idealità e realtà nella vita medievale” tenuta da Franco Cardini, professore emerito di Storia medievale alla Scuola Normale Superiore di Pisa. A Cardini riceverà il premio speciale “R. Francovich” per la divulgazione del Medioevo. Quindi la Società Archeologi medievisti italiani assegnerà il premio “R. Francovich” al miglior museo o parco archeologico a tema medievale. Infine premio speciale alla memoria di Mario Monicelli per la saga di Brancaleone.

L'archeologo Zahi Hawass davanti alla maschera di Tut in un'immagine esclusiva per SC Exhibitions

L’archeologo Zahi Hawass davanti alla maschera di Tut in un’immagine esclusiva per SC Exhibitions

OMAGGIO A TUTANKHAMON  L’Egitto sarà l’ospite speciale della terza edizione di TourismA. E a illustrarlo sarà un testimonial d’eccezione, il noto archeologo Zahi Hawass che venerdì 17 aprirà la manifestazione con un convegno interamente dedicato alla tanto discussa figura di Tutankhamon: Zahi Hawass presenterà al pubblico presente “Ultime notizie dalla tomba del faraone bambino”. Per il direttore dell’Ente del Turismo egiziano in Italia, Emad Fathy, “la partecipazione dell’Egitto in qualità di Paese ospite costituisce un’occasione importante per promuovere la destinazione in collaborazione con i tour operator. Il nostro intento è quello di rivolgersi a una parte importante del target di riferimento del Paese, vale a dire agli appassionati di archeologia e a tutti quei viaggiatori che amano il mondo antico”. L’Egitto, sottolinea dal canto suo Piero Prunetti, direttore di TourismA, “è una vera miniera di meraviglie archeologiche e ha dato un contributo fondamentale allo sviluppo dell’archeologia mondiale. La collaborazione tra Egitto e Italia in questo campo ha prodotto risultati eccellenti grazie anche alle missioni archeologiche italiane in terra egiziana”.

La ricostruzione della camera funeraria di Tutankhamon in scala 1:1 in esclusiva nella mostra "Omaggio a Tutankhamon" a Oderzo

La ricostruzione della camera funeraria di Tutankhamon in scala 1:1 esposta in esclusiva a Firenze per Tourisma 2017

LA CAMERA FUNERARIA DI TUT E sempre per celebrare la civiltà della terra del Nilo, arriva in anteprima assoluta per la Toscana, l’unica copia esatta della celebre tomba di Tutankhamon scoperta dall’inglese Haward Carter nel lontano 1922. È questo uno dei «regali» più attesi dal pubblico della manifestazione fiorentina (oltre diecimila presenze nella passata edizione) che potrà visitare (gratuitamente) la meravigliosa camera funeraria, ricostruita in scala 1:1 dalle abili mani dell’artigiano e appassionato di egittologia Gianni Moro (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2015/04/10/legitto-a-oderzo-omaggio-a-tutankhamon-prorogata-a-grande-richiesta-la-mostra-di-palazzo-foscolo-visita-guidata-con-legittologa-avanzo-serata-speciale-con-i-fratelli-castiglioni-e-il-fi/). Si tratta di una vera e propria opera d’arte, proprio come l’originale rivenuta nella Valle dei Re, a cui si è giunti dopo anni di studio e lavoro su progetto scientifico delle università di Torino, Padova e Venezia. Riprodotta al millimetro in scala reale, la tomba del “faraone fanciullo” salito al trono all’età di otto anni e morto a soli diciannove, ripropone anche le copie esatte di gioielli, oggetti e perfino il famoso trono regale. Non solo. All’interno della tomba così come la scoprì Carter, vi erano anche tre anfore contenenti tre diversi tipi di vino. Uno di questi, il più alcolico e dolciastro, che doveva aiutare secondo le credenze a far rinascere il sovrano, era denominato Shedeh. Ebbene, con la stessa etichetta oggi quel vino – grazie al ritrovamento nella tomba stessa di Tutankhamon di alcuni semi utilizzati e alla disponibilità di un produttore vinicolo di Treviso che si è cimentato nell’impresa – è stato riprodotto e sarà presentato per la prima volta proprio a TourismA. Per costruire la copia perfetta della tomba sono stati necessari tre anni. Pazienza, rigore e passione le armi vincenti dell’équipe che adesso può mostrare al pubblico una delle più incredibili scoperte dell’egittologia. “Entrando nella tomba di Tutankhamon che abbiamo ricostruito”, spiega l’egittologa e ideatrice del progetto scientifico Donatella Avanzo, che a Firenze interverrà prima di Zahi Hawass, “si respira un fascino sospeso, come se fossimo accolti anche noi nell’aldilà del sovrano. Sono sicura che per i visitatori sarà un viaggio incredibile”.

Il cosiddetto Tesoro, uno dei simboli di Petra, che per primo si svela alla vista dei turisti

Il cosiddetto Tesoro, uno dei simboli di Petra, che per primo si svela alla vista dei turisti

TURISMO ARCHEOLOGICO Tra le novità di quest’anno, la prima conferenza sul Turismo archeologico. Opportunità per operatori e destinazioni a cura del Centro internazionale Studi Economia del Turismo, in programma sempre venerdì 17 al mattino. TourismA è infatti anche una grande occasione per parlare di parchi, musei e turismo culturale con proposte di nuovi tour nei Paesi mediterranei più ricchi di testimonianze del passato: saranno presenti – come detto – Egitto, Giordania, Turchia, Croazia, Cipro, Algeria. Per la Croazia interverrà (venerdì pomeriggio) il ministro del Turismo Gari Cappelli, per presentare il nuovissimo museo di Lussino dedicato alla preziosa statua greca dell’Apoxyomenos (a TourismA verrà esposta la fedele copia in bronzo) a suo tempo restaurata dall’Opificio delle Pietre Dure. L’Ente del Turismo Egiziano (Eta) sarà presente con uno stand che ospiterà alcuni dei principali tour operator italiani specializzati, come Agenzia Viaggi Rallo, che da ventotto anni organizza i Viaggi di Archeologia Viva, Mistral Quality Group e Tui. L’area espositiva di TourismA 2017 ospiterà, inoltre, l’Ufficio Cultura e Informazioni della Turchia, l’Ente del turismo della Giordania l’Ente nazionale per il turismo di Cipro, il Consolato Generale d’Algeria che parteciperà con il tour operator Unitour e la Croazia che sarà presente con il Muzej Apoksiomena di Lussino. Storici tour operator specializzati in viaggi culturali presenteranno al pubblico i loro itinerari archeologici, come I Viaggi di Maurizio Levi e Tucano Viaggi, insieme a operatori dedicati a specifiche destinazioni, come “Sardegna Insolita” e “Fantastiche Dolomiti”. Le nuove proposte del turismo culturale in Algeria, Egitto, Giordania e Sicilia saranno presentate da enti del turismo e tour operator in quattro incontri che si succederanno all’interno della Rassegna “Viaggi di Cultura e Archeologia” sabato 18 febbraio dalle 14 alle 18.30. Il pubblico troverà, inoltre, tutte le novità dell’editoria archeologica e le guide di viaggio di Polaris Editore. Si parlerà anche di turismo digitale, storytelling e social media per la comunicazione dei beni culturali con il convegno e workshop su Archeosocial e il convegno sul Digital Storytelling (venerdì pomeriggio e domenica mattina).

Il ministro alla cultura Dario Franceschini annuncia per il 25 Aprile un lunedì speciale con musei aperti

Il ministro alla cultura Dario Franceschini consegnerà il premio “Francovich” per la divulgazione scientifica a Piero Angela

ARRIVA IL MINISTRO Spetterà invece al ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo Dario Franceschini in persona consegnare sabato 18 alle 11 a Piero Angela l’ambito Premio speciale “Riccardo Francovich” per il suo impegno nella divulgazione scientifica. Alla cerimonia che vede protagonista il popolare conduttore televisivo è presente Giuliano Volpe, presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali e della Società Archeologi Medievisti Italiani che promuove il prestigioso riconoscimento. Il Premio ordinario viene invece assegnato alle Catacombe di Napoli e all’Area archeologica di Santa Maria di Siponto come migliori siti d’interesse medievale.

Il parco archeologico-naturalistico di Belverde completa la scoperta della preistoria in Valdichiana

Il parco archeologico-naturalistico di Belverde completa la scoperta della preistoria in Valdichiana

LONGOBARDI, ETRUSCHI, PREISTORIA, VICINO ORIENTE, PERSONAGGI Altri protagonisti di TourismA 2017 sono i Longobardi (sabato mattina), con lo storico Franco Cardini che rivede – e corregge – la loro cattiva nomea di distruttori. E Giampietro Brogiolo, ordinario di Archeologia medievale dell’università di Padova, interviene con “Ultime notizie dal fronte (archeologico)”. Omaggio doveroso anche ai “padroni di casa” gli Etruschi, con l’intera mattina di sabato 18 su “Riti e misteri etruschi: sepolture anomale e sacrifici umani”: da non perdere la presentazione di una scoperta sconvolgente in Valdichiana che fa parlare addirittura di sacrifici umani. Partecipa anche l’Università di Firenze con il rettore Luigi Dei ad aprire le comunicazioni (domenica 19 al pomeriggio) sulle ricerche dell’Ateneo fra Oriente e Africa. Poi il fascino misterioso della preistoria d’Italia: quando e come fu popolata la Penisola? Ne parleranno venerdì 18 al pomeriggio gli esperti di sei diversi atenei che da decenni svolgono indagini nel settore. Inoltre, per la prima a Firenze, arriva Ötzi, l’Uomo del Similaun, che non cessa di stupire con le notizie fornite dallo studio della sua mummia e che verranno presentate (venerdì pomeriggio) in anteprima a TourismA da Gunther Kaufmann curatore del Museo dell’Alto Adige. Spazio anche alle ultime scoperte a Pompei illustrate direttamente dal soprintendente Massimo Osanna (sabato 18, al pomeriggio). Tra speranze di rinascita e cronache di distruzione, si parlerà (venerdì pomeriggio) dello stato dei beni culturali in Iraq e Siria (con le ultime da Palmira): Paolo Brusasco, docente di Archeologia del Vicino Oriente antico all’università di Genova su “L’arte violentata della Mesopotamia: estinzione del patrimonio e orizzonti di rinascita”. Tanti i nomi della divulgazione storico-archeologica a corredare il già ricco programma. Sarà lo scrittore-archeologo Valerio Massimo Manfredi a farci rivivere (sabato 18, al pomeriggio) i terribili momenti (per i Romani) della battaglia di Teutoburgo, mentre sapremo qualcosa di più delle donne nell’antica Roma grazie all’intervento del’archeologa e scrittrice Marisa Ranieri Panetta (domenica pomeriggio) con “Messalina imperatrice trasgressiva da… morire”. La ministra greca della cultura Lydia Koniordou sarà presente (domenica 19, al mattino) insieme a Louis Godart, consigliere culturale del presidente della Repubblica italiana, per sostenere la causa della restituzione ad Atene dei marmi del Partenone che sono al British Museum. Mentre il gran finale toccherà ad Alberto Angela che parlerà di Leonardo e la Gioconda. Ma per le migliaia di appassionati che da anni seguono il popolare divulgatore scientifico e scrittore, non sarà possibile, come nei precedenti incontri, intrattenersi con lui alla fine del suo intervento. “Per impegni di lavoro”, avvertono gli organizzatori, “Alberto Angela dovrà ripartire subito dopo il suo intervento, per cui non potrà rilasciare dediche o autografi”.

Laboratori didattici nello spazio fieristico di Tourisma (foto Valerio Ricciardi)

Laboratori didattici nello spazio fieristico di Tourisma (foto Valerio Ricciardi)

LABORATORI  A grande richiesta è stata ampliata infine la proposta di Archeolaboratori per grandi e piccoli, dove sarà possibile simulare lo scavo di una tomba etrusca, sperimentare la scheggiatura della pietra e l’accensione del fuoco, praticare l’antica arte della tessitura, scrivere in geroglifico, giocare alla longobarda. Soddisfatto il direttore della manifestazione, Piero Pruneti, direttore della rivista Archeologia Viva: “In tempi di crisi profonda, TourismA rappresenta una realtà culturale e fieristica in piena espansione. Abbiamo creato, anche grazie alla collaborazione di FirenzeFiera e sotto l’egida del Comune di Firenze, il più importante evento europeo dedicato alla promozione dei beni culturali e ambientali”.

“Storia del profumo, profumo della storia”: all’Archeologico di Fratta Polesine un’affascinante mostra racconta tremila anni di profumi dall’età greco-romana alla grande profumeria di oggi. Da reperti unici ai manifesti liberty. Prevista anche un’esperienza olfattiva

Al museo Archeologico di Fratta Polesine la mostra "Storia del profumo, profumo della Storia"

Al museo Archeologico di Fratta Polesine la mostra “Storia del profumo, profumo della Storia”

Tremila anni di profumi, attraverso i loro contenitori: da quelli preziosissimi in alabastro, pasta vitrea o ceramica decorata dell’età greca e romana, come aryballoi, alabastra e lekythoi, a quelli più recenti, dove cominciano a “pesare” i marchi della grande profumeria planetaria di oggi. Insieme a oggetti, libri, antichi formulari e farmacopee, strumenti multimediali ed esperienze sensoriali. Ecco l’originale mostra “Storia del Profumo, profumo della storia” che il Comune di Fratta Polesine, l’università di Ferrara e il Polo museale veneto con la fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo propongono al museo Archeologico nazionale nelle barchesse di Villa Badoer a Fratta Polesine (Rovigo) dal 17 settembre 2016 al 26 marzo 2017. Si scopre così che la storia, quella con la S maiuscola, non è fatta solo di battaglie, incoronazioni e altri grandi eventi. È fatta anche di profumi. Chissà, ad esempio, se la Storia sarebbe stata la stessa nel caso in cui Cleopatra non avesse usato i suoi mitici unguenti profumati! La mostra, curata da Federica Gonzato con Chiara Beatrice Vicentini, Silvia Vertuani e Stefano Manfredini, affronta diversissime storie, tutte incentrate sul profumo e sull’arte profumiera. L’esposizione è arricchita da prestiti concessi dai musei Archeologici nazionali di Venezia, Adria, Portogruaro e dal museo Correr. La mostra è resa possibile grazie alla collaborazione nel progetto scientifico e come prestatori di accademia italiana di Storia della Farmacia, Sistema museale di ateneo e CosMast dell’università di Ferrara, biblioteca comunale Ariostea di Ferrara, centro studi etnografici “Vittorino Vicentini”, fondazione Musei civici di Venezia-Museo del Profumo e del Costume di Palazzo Mocenigo. La parte interattiva della mostra è stata realizzata con il contributo economico e tecnico di: AmbrosiaLab, Cura Marketing GmbH Innsbruck, ViaVai, Mavive, The Merchant of Venice.

I quattro curatori della mostra "Storia del profumo": Federica Gonzato, Chiara Beatrice Vicentini, Silvia Vertuani e Stefano Manfredini

I quattro curatori della mostra “Storia del profumo”: Federica Gonzato, Chiara Beatrice Vicentini, Silvia Vertuani e Stefano Manfredini

Quattro i campi d’indagine in cui si articola la mostra, come spiegano i quattro curatori. Si parte dalla ricerca archeologica, l’analisi delle fonti storiche e delle testimonianze iconografiche lungo i secoli, fino ai messaggi pubblicitari e alla studio della produzione odierna di aromi e profumi (tradizione e innovazione), approfondendo il tema grazie all’apporto scientifico e didattico fornito dalla collaborazione con laboratori specialistici, corsi di specializzazione post laurea specialistici e dipartimenti universitari. “Punto di partenza”, scrive Gonzato, “è il patrimonio archeologico del Mediterraneo orientale e la ricostruzione delle tecniche utilizzate a cavallo fra antico e medio Bronzo (II millennio a.C.) per la produzione di essenze, fra cui gli aromi da resina di pino, rosmarino, alloro, mirto, anice e bergamotto, piante tipiche di Cipro e del Mediterraneo, ricostruendo la storia delle tecniche e del gusto olfattivo attraverso i secoli fino ad oggi”. In questo compito – continuano gli archeologi – “ci guidano i reperti archeologici e le fonti storiche e linguistiche, a partire dalle tavolette in Lineare B, che ricordano la produzione di olii profumati ad suo cultuale offerti a divinità, e a seguire altre fonti classiche, quali il Trattato degli odori di Teofrasto, testo base della profumeria antica, le testimonianze di Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia o quelle conservate in Dioscuride in De materia medica”.

Un manifesto Liberty pubblicitario di un profumo

Un manifesto Liberty che racconta delle qualità di un profumo

Obiettivo dei curatori è “presentare il tema in riferimento alle varie epoche storiche, lungo il medioevo fino all’età odierna, ricostruendo il percorso di questo fondamentale aspetto della vita sociale attraverso i codici e le conoscenze relative a erbe aromatiche (ma anche curative) lungo i secoli. I profumi di oggi, infatti, provengono da una lunghissima tradizione che, nonostante i cambiamenti di tecniche di produzione o di modalità di conservazione ed uso, non hanno dimenticato le loro origini e determinate profumazioni, come ad esempio il bergamotto, sopravvivono e continuano ad essere utilizzate senza perdere la loro freschezza, manifestando così l’esistenza di un patrimonio culturale comune che dall’antichità giunge fino a noi”. Nell’antichità come oggi, i profumi erano commerciati in lussuosi e costosi contenitori, che, oltre a sottolineare la preziosità del contenuto, rappresentavano anche un espediente per attrarre l’acquirente. “Per questo abbiamo ritenuto opportuno inserire una sezione dedicata ai manifesti pubblicitari della Belle Epoque. I legami, chiaramente visibili, fra l’industria profumiera di oggi e la produzione di olii essenziali nel Mediterraneo antico conferma la persistenza di un gusto olfattivo comune che dal Mediterraneo centro-orientale si diffuse a partire dal II millennio a.C. e ancor oggi costituisce la base di alcune fragranze particolarmente apprezzate ed utilizzate in Europa. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che il profumo è uno strumento di comunicazione sociale: attraverso il profumo è possibile comunicare una particolare immagine di sé e, allo stesso modo il profumo altrui può costituire una specifica informazione nelle relazioni sociali, utilizzando un codice ben conosciuto all’interno della stessa cultura”. Lo studio dei profumi, e quindi degli odori – concludono Gonzato, Vicentini, Vertuani e Manfredini, “è uno studio di storia della cultura e del comportamento, della medicina, dell’igiene, del culto e dell’immaginario erotico. Tramite i reperti esposti in mostra si propone una lettura attraverso i secoli di un prodotto che ha fortemente influenzato la nostra cultura, i commerci, la letteratura e la ricerca medica”.

Un calendarietto profumato del 1910

Un calendarietto profumato del 1910

Nella sezione base la “Storia del profumo”, in collaborazione con Mavive, Museo del Profumo e del Costume, Palazzo Mocenigo Venezia, si va dalla preistoria all’età romana, percorrendo l’antropologia dell’olfatto e il rapporto tra profumo e società. Si arriva alla cultura bizantina e ai profumi d’Oriente e Occidente. Una sezione è dedicata a Venezia e alle sue fragranze. Sezioni dedicate ai segreti dell’arte profumatoria, alla cosmetica nel Rinascimento, all’Acqua di Colonia. Dai profumi raccontati dalle fonti archeologiche e dai reperti si passa al mondo dei profumi nella pubblicità con tanto materiale del Liberty che comprendono 13 quadri Manifesto pubblicitario, da quelli della ditta Migone 1898 fino ai saponi profumati 1895 ai calendarietti profumati Bertelli, dal 1904 al 1939.

La raccolta di petali delle preziosissime rose di Taif

La raccolta di petali delle preziosissime rose di Taif

La mostra non offre solo reperti e documenti rari, ma garantisce anche esperienze coinvolgenti. Come cimentarsi in “nasi”, alla scoperta delle diverse essenze, immaginando le loro composizioni. Si potranno annusare essenze diverse, tutte d’origine vegetale. Compresa quella della mitica Rosa Centifolia, varietà che coltivata a Grasse, in Provenza, offre la fragranza che rende unico Chanel n.5. La maison parigina ha l’opzione sull’intera produzione della famiglia Muol, miglior produttore di Centifolia, per i prossimi 100 anni. Per ottenere 1,5 kg di essenza vengono sacrificate centinaia di migliaia di rose, per l’esattezza una tonnellata di petali, per un controvalore economico a molti zeri. L’olio essenziale della rosa di Taif è il più costoso al mondo e se ne producono solamente 16 kg all’anno al costo di oltre 50mila euro al kg. La produzione è destinata in gran parte al re della Arabia Saudita. Nulla di nuovo in questo: i profumi e l’arte profumiera hanno sempre affascinato le famiglie reali. Questa passione contagiò tra le tante Caterina Sforza e Caterina dé Medici, ma soprattutto Isabella d’Este marchesa di Mantova, che nella città lombarda frequentava il suo rinomato laboratorio di profumeria, componendo lei stessa le preziose essenze. Venezia era una capitale dei profumi. Qui venivano fatte arrivare le essenze più rare, provenienti da paesi lontani. Qui operavano celebri essenzieri: qui, non a caso, venne edito I Notandissimi Secreti de l’Arte Profumatoria. Correva l’anno 1555 ed era per l’Occidente il primo ricettario ufficiale dell’arte cosmetica.

È morto Vincenzo La Rosa “archeologo e gentiluomo”: importanti le sue ricerche nella Sicilia protostorica e soprattutto nella Creta minoica

L'archeologo Vincenzo La Rosa:  importanti le sue ricerche nella Sicilia protostorica e soprattutto nella Creta minoica

L’archeologo Vincenzo La Rosa: importanti le sue ricerche nella Sicilia protostorica e soprattutto nella Creta minoica

L’Università di Catania e l’archeologia italiana hanno perso un’importante figura, il professore e archeologo Vincenzo La Rosa. Il suo nome è legato alle ricerche archeologiche a Cipro, nella sua Sicilia, e soprattutto a Creta, lasciando un segno indelebile come studioso e come docente. L’archeologo Vincenzo La Rosa, autore di importanti scavi nella Creta minoica e nella Sicilia protostorica, è morto nei giorni scorsi a Catania all’età di 73 anni. L’annuncio della scomparsa è stato dato dall’Accademia dei Lincei di cui era socio. Nato a Noto, in provincia di Siracusa il 21 ottobre del 1941, La Rosa, uno tra i più importanti archeologi italiani, dopo la laurea all’Università di Catania nel 1964 si perfezionò alla Scuola Archeologica italiana di Atene nel 1965-1966. Ha collaborato e diretto numerosi scavi archeologici effettuati in territorio siciliano, in particolare a Milena che hanno permesso di scoprire tesori unici. Vincenzo La Rosa non era solo un studioso, ma era un docente in grado di stimolare i suoi alunni attraverso la passione per la sua materia e la pluralità di interessi verso i quali era spinto dalla sua mente curiosa. A ricordarlo tra gli studenti e i suoi colleghi c’è il professore Antonio Di Grado che si è rivolto a Vincenzo La Rosa con commozione chiamandolo «archeologo e gentiluomo», due appellativi rispecchianti le due anime che Vincenzo La Rosa ha sempre offerto a chi incontrava.

La rivista "Creta antica" diretta da Vincenzo La Rosa

La rivista “Creta antica” diretta da Vincenzo La Rosa

Dal 1975 è stato professore ordinario di Civiltà Indigene della Sicilia all’ateneo di Catania e quindi (dal 1981) di Archeologia e Antichità Egee (primo insegnamento specifico di questa materia in Italia). Direttore del Centro di studi sull’Archeologia greca del Cnr a Catania (1984-87), è stato dal 1993 al 1999 assistente- direttore della Scuola Archeologica italiana di Atene. Rientrato nell’Università di Catania, dal 1999 al 2010 è stato direttore del Centro di Archeologia cretese, fondando la collana di Studi di Archeologia Cretese e accogliendo la proposta dell’editore Aldo Ausilio di dirigere la rivista Creta Antica che questi desiderava creare. Nel 1996 è stato insignito della cittadinanza onoraria del comune di Kamilari, Creta; nel 2011 della Croce di San Paolo e San Tito dalla Chiesa ortodossa di Creta; nel maggio di quest’anno (2014) della cittadinanza onoraria del comune di Milena, a ricordo della sua attività sul sito.

Da destra, Vincenzo La Rosa, Arturo Petix e Giuseppe Palumbo sullo scavo di Milena, in Sicilia

Da destra, Vincenzo La Rosa, Arturo Petix e Giuseppe Palumbo sullo scavo di Milena, in Sicilia

La sua attività sul campo, oltre che a Cipro (Haghia Irini, 1973), si è manifestata soprattutto in Sicilia e a Creta. Nell’isola dove era nato, dopo aver condotto scavi a Centuripe e a Noto antica (tra il 1968 ed il 1974), ha profuso il suo maggiore impegno nel sito di Milena (1978-1992), nella valle del fiume Platani, poco noto archeologicamente fino alle sue ricerche. È però a Creta che Vincenzo La Rosa trova la sua terra di elezione scientifica, dapprima come collaboratore di Doro Levi negli scavi di Festòs, quindi come direttore degli scavi di Selì di Kamilari (1973-76) e soprattutto di Haghia Triada (dal 1977) e Festòs (1994, 2000-2004), appositamente chiamato dall’allora direttore della Scuola Archeologica italiana di Atene, Antonino Di Vita. L’ampiezza di vedute che caratterizza i suoi interessi scientifici, volti sia alla preistoria che alle fasi più recenti dei siti indagati, riguarda anche gli studi sulla storiografia archeologica. In particolare i contributi relativi all’inizio delle esplorazioni italiane a Creta hanno aperto campi di indagine originali ed innovativi sul rapporto fra archeologia e politica estera, discussi in una lunga serie di articoli a partire da uno specifico convegno tenuto a Catania nel 1985 in margine alla mostra Creta Antica. Cento anni di archeologia italiana a Creta.

Una panoramica di Festos a Creta: Vincenzo La Rosa diresse lo scavo dal 2000 al 2004

Una panoramica di Festos a Creta: Vincenzo La Rosa diresse lo scavo dal 2000 al 2004

Organizzatore di mostre e convegni che sono diventati punto di riferimento per la ricerca (a quelli citati si può aggiungere il simposio italiano di studi egei Epì ponton plazòmenoi con D. Palermo e L. Vagnetti, del 1998, I Cento Anni dello scavo di Festòs, del 2000, e la mostra In Ima Tartara. Miti e leggende delle grotte dell’Etna assieme a F. Privitera, del 2007, il convegno Tra lava a mare, con M.G. Branciforti, dello stesso anno), Vincenzo La Rosa è stato socio di istituzioni culturali internazionali (Accademia Roveretana degli Agiati; Istituto Archeologico Germanico; Archaiologiki Etairia di Atene fino all’Accademia Nazionale dei Lincei).

Il mondo dei nuraghi rivive con “L’isola delle Torri”: mostra a Cagliari nel centenario della nascita di Lilliu

"L'isola delle Torri": a Cagliari una grande mostra sulla civiltà dei nuraghi

“L’isola delle Torri”: a Cagliari una grande mostra sulla civiltà dei nuraghi

L'archeologo Giovanni Lilliu, il "sardus pater"

L’archeologo Giovanni Lilliu, il “sardus pater”

La Sardegna e i nuraghi: un binomio indissolubile. Ma lo è altrettanto nuraghi e Lilliu, il professore che più di ogni altro ha fatto conoscere al mondo l’antica affascinante civiltà della Sardegna. Il “sardus pater” Giovanni Lilliu, accademico dei Lincei, che il 13 marzo avrebbe festeggiato i cento anni, con i suoi studi e le sue scoperte, è infatti lo studioso che più di ogni altro ha consentito di approfondire le conoscenze sulla civiltà nuragica. Ed è proprio partendo dai suoi lavori che Cagliari ha voluto rendere omaggio al professore nel centenario della sua nascita con la mostra “L’isola delle torri. Giovanni Lilliu e la Sardegna”, inaugurata nella Cittadella dei Musei di Cagliari, alla presenza fra gli altri del sottosegretario ai Beni culturali e al Turismo, Francesca Barracciu (“Una grande mostra – ha detto – che vuole far conoscere le meraviglie e i misteri dei Nuraghi, orgoglio archeologico della Sardegna e dell’Italia”), il soprintendente dei beni culturali, Marco Minoja, e il sindaco di Cagliari, Massimo Zedda.

La reggia nuragica di Barumini, il più famoso complesso della Sardegna

La reggia nuragica di Barumini, il più famoso complesso della Sardegna

Bronzetto della civiltà dei nuraghi in mostra a Cagliari

Bronzetto della civiltà dei nuraghi in mostra a Cagliari

“L’isola delle Torri” vuole raccontare, con un linguaggio nuovo, la Sardegna nuragica, utilizzando anche la comunicazione sul web, attraverso un sito dedicato, e sui social network. Il racconto dell’Isola – come spiega il soprintendente Marco Minoja – viene scandito da elementi che caratterizzano il periodo nuragico: la pietra, il metallo, l’acqua. È quindi un’occasione straordinaria per conoscere i risultati di un’intensa attività di ricerca e di un interesse sempre crescente da parte della comunità scientifica internazionale, che negli ultimi cinquant’anni hanno ampliato il patrimonio di conoscenze sulla archeologia nuragica. L’esposizione guarda indietro fra il secondo e il primo millennio avanti Cristo. Attraverso i tre temi individuati come filo conduttore (il metallo, l’acqua e la pietra), il percorso espositivo porta all’attenzione del visitatore gli aspetti fondamentali della civiltà nuragica: l’architettura, il mondo del sacro e quello funerario, le tecnologie costruttive, in particolare quelle idrauliche, la società, l’economia, il territorio, la metallotecnica, l’arte.

La mostra "L'isola delle Torri" a novembre sarà allestita al museo Pigorini di Roma

La mostra “L’isola delle Torri” a novembre sarà allestita al museo Pigorini di Roma

A quasi trent’anni dall’ultima grande esposizione dedicata alla civiltà nuragica a livello nazionale (Nuraghi a Milano, giugno-ottobre 1985) la mostra si qualifica dunque come un evento di estrema risonanza: nel collegamento ideale e costante con l’opera e la figura di Giovanni Lilliu, l’esposizione propone nuovi percorsi conoscitivi e ritrovamenti inediti, che guidano il grande pubblico all’interno del lungo arco cronologico, quasi mille anni (Età del Bronzo e del Ferro), in cui si dipana la storia della civiltà nuragica. I repertiesposti, talvolta ineditio comunque poco noti, provengono da tutta l’isola, ma anche da rinvenimenti effettuati in Italia e all’estero (Cipro, Spagna, Portogallo), all’interno di una fitta rete di contatti e scambi attraverso il Mediterraneo, che evidentemente a quei tempi non rappresentava una barriera, ma un potente veicolo di comunicazione. Alcuni importanti reperti provengono invece da sequestri effettuati nella penisola, usciti dalla Sardegna attraverso il mercato clandestino, e recuperati grazie all’attività di tutela svolta dal ministero per i Beni e le attività culturali tramite le soprintendenze e il Nucleo dei Carabinieri per la tutela del patrimonio. L’allestimento della mostra “L’isola delle Torri” sarà collegato a un ricco apparato didattico, supportato da tecnologie multimediali e impreziosito da ricostruzioni e filmati dei principali monumenti della civiltà nuragica. La mostra rimarrà aperta nel complesso di San Pancrazio di Cagliari fino al 30 settembre. A novembre la mostra attraverserà il mare e, fino a marzo 2015, sarà ospitata nelle sale del Museo Preistorico Nazionale Etnografico “Luigi Pigorini” di Roma, per la prima esposizione totalmente dedicata alla civiltà nuragica allestita fuori dalla Sardegna.

 

Scoperta nella necropoli della Doganaccia a Tarquinia una tomba etrusca di 2600 anni fa ancora inviolata. Progetto per valorizzare la Via dei Principi tra i tumuli del Re e della Regina

L'area dello scavo archeologico nella necropoli della Doganaccia a Tarquinia

L’area dello scavo archeologico nella necropoli della Doganaccia a Tarquinia

È rimasta chiusa per 2600 anni. Ma quando gli archeologi dell’università di Torino e della soprintendenza per i Beni archeologici dell’Etruria meridionale l’hanno aperta, si sono trovati di fronte a qualcosa di eccezionale. Nella necropoli etrusca della Doganaccia a Tarquinia è stata rinvenuta una tomba del VII secolo avanti Cristo, intatta. Dell’eccezionale scoperta hanno parlato a Firenze, al X incontro nazionale di Archeologia Viva, Alfonsina Russo, soprintendente per i Beni archeologici dell’Etruria Meridionale, e Alessandro Mandolesi, docente di Etruscologia e Antichità italiche all’università di Torino.

Alfonsina Russo, soprintendente dell'Etruria Meridionale

Alfonsina Russo, soprintendente dell’Etruria Meridionale

“Se il Vicino Oriente in generale, e la Mesopotamia in particolare, sono territori ad altissimo rischio saccheggi, dove il patrimonio archeologico è alla merce’ di tombaroli, soldataglie e governatori corrotti che alimentano il mercato antiquario depredando i siti del proprio territorio”, esordisce Alfonsina Russo, “c’è un territorio in Italia – l’Etruria – che è stato per lungo tempo altrettanto terra di rapina da parte di tombaroli e oggetto di scavi clandestini che ne hanno depauperato il patrimonio. Almeno fino alla metà degli anni Novanta quando, con l’arrivo del Nucleo Tutela Patrimonio Beni Culturali dell’Arma dei Carabinieri si è posto un freno a queste devastanti attività illecite con l’arresto di numerosi trafficanti di antichità attivi proprio in Etruria. È quindi un fatto eccezionale – continua – poter annunciare il ritrovamento, avvenuto alla fine dell’estate 2013, di una tomba etrusca inviolata, ancora integra all’interno di un territorio particolarmente importante come è quello di Tarquinia, e nello specifico all’interno della famosa necropoli della Doganaccia, dove è ben testimoniato il cosiddetto periodo “orientalizzante” (VII sec. a.C.)”.

Il Tumulo del Re alla necropoli della Doganaccia a Tarquinia

Il Tumulo del Re alla necropoli della Doganaccia a Tarquinia

La scoperta della tomba 6423 che, come vedremo più avanti, è stata chiamata “dell’Aryballos sospeso” risale al 21 settembre scorso: un sepolcro inviolato rinvenuto nel corso della sesta campagna di scavo del Tumulo della Regina, sepolcro monumentale di oltre 40 metri di diametro, situata a poca distanza dal monumento principale che domina, insieme al gemello Tumulo del Re, l’area archeologica della Doganaccia, a Tarquinia. Gli scavi sono iniziati nel 2008, diretti dalla soprintendente Alfonsina Russo e dall’etruscologo Alessandro Mandolesi dell’università di Torino, con il coinvolgimento e la collaborazione delle associazioni locali. Russo e Mandolesi– proprio per questo ritrovamento –  sono stati insigniti di un importante riconoscimento dal presidente Daniele Leodori, a nome del consiglio regionale del Lazio.

La necropoli della Doganaccia a Tarquinia

La necropoli della Doganaccia a Tarquinia

La necropoli della Doganaccia si trova al centro della vasta area sepolcrale di Tarquinia, caratterizzata dalla presenza di due grandi tumuli, che l’immaginario popolare ha chiamato “del Re” e “della Regina”, e che oggi sappiamo divisi dal passaggio (ovvero essere posti ai lati) della strada che collegava il porto di Tarquinia (non ancora localizzato con precisione) con la civita: questa strada, che oggi chiamiamo la Via dei Principi, era già stata ipotizzata dal grande etruscologo Massimo Pallottino nella prima metà del secolo scorso. “Tutta l’area della Doganaccia, come si diceva, dal tumulo del Re a quello della Regina alle tombe a essi collegati”, spiega la soprintendente, “è interessata al periodo culturale “orientalizzante” (VII sec. a.C.) che segna il trionfo della mentalità e delle forme socio-economiche della nascente aristocrazia etrusca, quella dei Principi, che avevano rapporti con Corinto, Cipro e il Mediterraneo Orientale in genere. Questo rapporto è attestato dalla metà dell’VIII secolo (730 a.C.) all’inizio del VI (580 a.C.). È in questo periodo che i Principi, come segno della acquisita potenza economica e politica, allargano i tumuli, e li riempiono di prodotti esotici, soprattutto dall’Egitto, come uova di struzzo e oggetti in faiance, che oggi possiamo ammirare al museo nazionale di Tarquinia. I Principi avevano dunque contatti e traffici regolari con i greci e i fenici”. Non conosciamo ancora l’ubicazione esatta del porto di Tarquinia, ma ci sono testimonianze archeologiche alle Saline (importante insediamento dell’Età del Ferro) e alla foce del fiume Marta. “Fonti antiche latine raccontano che verso la metà del VII secolo a.C.”, continua Russo, “qui approdò – proveniente da Corinto – Demarato, il padre di Tarquinio Prisco. Demarato arrivò a Tarquinia non a caso, ma perché già si conoscevano questi luoghi. Quindi il collegamento dalla costa alla civita, quello che passa attraverso i tumuli, era più antico e già noto”. La soprintendenza dell’Etruria meridionale ha ora lanciato il progetto di valorizzazione della Via dei Principi, sviluppando proprio i rapporti che la vicenda di Demarato sottende. Il progetto collega in un percorso culturale i tumuli del Re e della Regina con il museo archeologico nazionale di Tarquinia e le tombe etrusche dipinte.

La grande gradinata riportata alla luce negli scavi al tumulo della Regina

La grande gradinata riportata alla luce negli scavi al tumulo della Regina

Il tumulo del Re era stato scavato nel 1928, ma per avere idea di cosa poteva custodire il tumulo della Regina si è dovuto attendere 80 anni fino al 2008 quando è iniziata la sua esplorazione ufficiale. Lo scavo ha rivelato un quadro più articolato e complesso. “È stato trovato un grande vestibolo monumentale a cielo aperto a pianta cruciforme”, interviene il prof. Mandolesi: “questa è una tipica espressione della architettura nella Cipro (sito di Salamina) di cultura omerica. Oltre alla gradinata che precede la piattaforma cultuale, sono state ritrovate tracce di intonaco bianco, caso unico a Tarquinia, e anche in questo caso riferibile a un modello presente a Cipro. E un altro ritrovamento eccezionale nel vestibolo riguarda le tracce di pittura murale tarquiniese: sono le più antiche finora trovate. Purtroppo, nonostante queste incoraggianti e stimolanti premesse, le ricerche archeologiche al tumulo della Regina sono state interrotte per mancanza di fondi”.

L'apertura della lastra ancora sigillata a chiusura dell'entrata alla tomba dell'aryballos

L’apertura della lastra ancora sigillata a chiusura dell’entrata alla tomba dell’aryballos

Pianta del tumulo della Regina e della tomba dell'aryballos

Pianta del tumulo della Regina e della tomba dell’aryballos

Si è invece continuato a sondare e scavare l’area vicino al tumulo della Regina. È qui che è stato trovato un sepolcreto che, vista la vicinanza con il tumulo monumentale, si ipotizza possa essere relativo a famiglie di rango collegate in qualche modo al signore (titolare) del tumulo.  È qui che è stata trovata una tomba gemina (640-630 a.C.) realizzata su modello cipriota che imita il tumulo della Regina. È un tumulo di 6 metri di diametro. A una profondità di tre metri si presenta la facciata con lastre a sigillare la porta d’ingresso: una sigillatura compatta che aveva ancora il servizio da simposio posto accanto alla porta. “La perfetta conservazione di quella sigillatura”, sottolinea Mandolesi, “ci ha permesso di dire che eravamo davanti a una tomba integra, non violata né in antico né in tempi recenti: e questo è un fatto eccezionale. L’ingresso presenta una porta ad arco (tipico modello architettonico del VII sec. a.C.) che dà accesso a una piccola camera ricolma di oggetti: la pianta è rettangolare, con due panchine, che sono due letti funerari, più lunga quella a sinistra, più piccola quella a destra. Il corredo funerario è stato posto nello spazio al centro e ai piedi delle due deposizioni. C’erano anche piccoli troni per sostenere il corredo”.

L'interno della tomba dell'aryballos sospeso (si vede appeso sulla parete di testa)

L’interno della tomba dell’aryballos sospeso (si vede appeso sulla parete di testa)

Appeso alla parete di testa un aryballos (di qui il nome dato dalla soprintendente Alfonsina Russo alla tomba: “dell’aryballos sospeso”): quello è l’unico trovato in situ, ma dai fori sulle pareti o dagli appigli (chiodi) ancora visibili si può dire che nella tomba in tutto erano nove gli unguentari appesi al muro. Le differenti dimensioni dei due letti scavati nella roccia per le deposizioni hanno rivelato anche un diverso rito funerario: a inumazione e a incinerazione. Su quello di sinistra infatti c’era uno scheletro, probabilmente di una donna sui 35-40 anni, deposta con ricchi ornamenti e oggetti personali, fra cui una raffinata pisside in lamina di bronzo contenente (secondo uno studio per ora solo con i raggi X) oggetti da ricamo: degli aghi in bronzo o argento, alcuni con la punta ritorta. Sull’altro letto più piccolo sono state ritrovate, invece, le ceneri di un uomo: il marito o il figlio. L’utilizzo della tomba (620-570 a.C.) testimonia una sequenza di deposizione nell’arco di circa mezzo secolo. L’architettura della tomba è tipica del VII secolo: sullo schema a botte viene disegnato un timpano con una linea rossa. La struttura richiama quindi più il concetto di padiglione che quello di casa. Probabilmente l’uomo è morto dopo, quando era già cambiata la mentalità e la cultura. Ricco il corredo funerario composto da vasellame (ceramiche etrusco-corinzie a impasto), oggetti di ornamento, fibule, suppellettili, sigilli, monili e armi tra cui una lancia e un giavellotto.

 

Particolare del corredo ritrovato all'interno della tomba dell'aryballos sospeso

Particolare del corredo ritrovato all’interno della tomba dell’aryballos sospeso

“Ora è necessario fare le analisi dei resti della sepoltura e studiare i materiali del corredo”, annuncia Alfonsina Russo, “per poter così capire meglio l’ordine seguito nelle deposizioni. Questa tomba è importante anche perché segna il passaggio dalla società dei Principi a una società più popolare”. I reperti trovati verranno sottoposti ad analisi scientifiche nei centri di restauro specializzati. “Apriremo il cofanetto, che pensiamo possa contenere anche gioielli; e condurremo indagini sui resti organici per capire cosa mangiavano i principi”, spiega la soprintendente, riferendosi alla pisside. Per quanto riguarda le armi ritrovate (una lancia, un giavellotto e un coltello rituale), anche queste saranno a breve oggetto di studio. I reperti in metallo e il materiale organico andranno ai laboratori di analisi dell’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro dei Beni Culturali di Roma e il restante materiale sarà analizzato nei laboratori di Diagnostica e Restauro di Montalto di Castro (della società Mastarna), dalla soprintendenza per i Beni archeologici dell’Etruria meridionale e dall’accademia di Belle arti “Lorenzo da Viterbo”.

L'etruscologo Alessandro Mandolesi

L’etruscologo Alessandro Mandolesi

“È motivo di soddisfazione, in un periodo così difficile per la tutela, perché abbiamo scarse risorse economiche e umane”, conclude Russo, “aver ottenuto questo risultato raggiunto solo grazie a una operazione sinergica con il Comune di Tarquinia, l’Università di Torino e anche, in futuro, con la Regione Lazio, visto che stiamo portando avanti un progetto di valorizzazione di questo sito tramite un finanziamento Por. Tutto ciò dimostra la bontà degli obiettivi che si possono raggiungere grazie alla sinergia tra vari enti e istituzioni”. Saranno infatti presto svolti lavori di valorizzazione dell’intera area, grazie a un finanziamento europeo (Por Fesr), erogato dalla Regione Lazio, nell’ambito del progetto Via dei Principi, che comprenderanno i restauri delle strutture con l’obiettivo di creare un Parco archeologico a tema. Ma è auspicio di tutti che per il futuro si possano proseguire anche gli scavi della Doganaccia.

Scoperto a Cipro villaggio di artigiani di 4500 anni fa: è il più antico dell’isola

Un particolare dello scavo del villaggio dell'Età del bronzo a Erimi

Un particolare dello scavo del villaggio dell’Età del bronzo a Erimi

Erimi è forse il villaggio di artigiani più antico che si conosca sull’isola di Cipro. È stato riportato alla luce da una missione italiana a Cipro coordinata dall’università di Firenze, che da cinque anni sta studiando l’area nel sud-ovest dell’isola dei cedri, coinvolgendo studenti, dottorandi e vari specialisti tra cui topografi, restauratori, paleobotanici, fisici, architetti a costituire un team di una trentina di persone. Erimi si sviluppò per un millennio tra il III e il II millennio a.C., cioè tra il Bronzo antico (2500 a.C.) e il Bronzo medio (1600 a.C.) presentando in nuce importanti elementi che nella Tarda età del Bronzo (II metà del II millennio a.C.) avrebbero portato a Cipro alla nascita delle città. E i risultati  raggiunti dalla missione italiana sono stati ritenuti di una tale importanza che il Dipartimento delle Antichità della Repubblica di Cipro ha dichiarato l’insediamento dell’Età del Bronzo di Erimi-Laonin tou Porakou (Limassol)  area protetta di interesse nazionale.

Il ritrovamento di fusaiole e strumenti per la tessitura, ma anche di vasche e di canalette, di oggetti propri della vita quotidiana familiare, e ancora spilloni e contenitori per le libagioni e sepolture multiple, ha permesso di ricostruire la vita e l’organizzazione di questo villaggio di artigiani dell’Età del Bronzo che già dalla sua articolazione urbanistica (sulla collina i laboratori, lungo le pendici le abitazioni, in piano le sepolture) denota già una notevole organizzazione sociale.

Il golfo di Kourion su cui si affaccia il villaggio di Erimi

Il golfo di Kourion su cui si affaccia il villaggio di Erimi

Quindi non solo al rame deve la sua antica ricchezza di Cipro il cui nome, proprio per l’abbondanza del metallo sull’isola, ha finito per dare il nome al metallo stesso. Il villaggio scoperto dalla missione italiana guidata da  Anna Margherita Jasink, professore associato di civiltà egee dell’Università di Firenze, è direttore scientifico del Kouris River Project, e Luca Bombardieri, è il direttore scientifico della missione archeologica italiana a Erimi, ha rivelato una feconda attività di tipo artigianale, come la tessitura e la tintura dei tessuti, non legata quindi alla metallurgia. “Il gruppo di ricerca italiano ha il merito di avere sviluppato per primo un progetto di ricerca organicamente dedicato all’indagine estensiva del popolamento antico nell’area di Erimi”, spiegano Jasink e Bombardieri. “Questo insediamento, localizzato a sudovest dell’isola, in un’area finora poco considerata dagli archeologi, si estende su una alta terrazza calcarea che domina il corso del fiume Kouris ed un’ampia porzione della costa a meridione, in corrispondenza del golfo di Kourion”. Il progetto di ricerca di Erimi si svolge dal 2006 grazie alla collaborazione di varie istituzioni. In primo luogo, l’Università di Firenze con il Sagas (Dipartimento di Storia, Archeologia, Geografia, Arte, Spettacolo) e l’Università di Torino (Dipartimento StudiUm); ci sono poi il Department of Antiquities di Cipro, il Ministero Affari Esteri, l’Institute of AegeanPrehistory (Stati Uniti) ed il Mediterranean Archaeological Trust (Regno Unito), oltre ovviamente  alle autorità locali, come la Municipalità di Erimi che ha messo a disposizione anche la scuola diventata “quartier generale” durante la
missione.

Il logo della missione archeologica dell'università di Firenza

Il logo della missione archeologica dell’università di Firenza

“I risultati più significativi degli scavi, iniziati  cinque anni fa”, sottolineano gli archeologi italiani, “sono maturati quest’estate con il ritrovamento di reperti che contribuiscono a chiarire importanti aspetti legati alla sensibile fase di transizione fra l’organizzazione delle comunità di villaggio dell’Antico e Medio Bronzo e lo sviluppo della società pienamente “urbana” del Tardo Bronzo. Più in generale da questa missione sono emersi nuovi elementi sulle relazioni di Cipro con le altre civiltà del Mediterraneo”.  E precisano: “Il villaggio di Erimi comprende tre aree principali databili fra l’Età dell’Antico e del Medio Bronzo. Nella parte più alta della collina era collocato il complesso artigianale. I ritrovamenti attestano un concetto piuttosto avanzato di organizzazione del lavoro con due aree separate in base a distinte funzioni. Al chiuso si concentrava la produzione della tessitura, all’esterno della tintura. Il primo tipo di attività è testimoniato da alcuni oggetti, tra cui numerose fusaiole, in ottimo stato a seguito del crollo del tetto di un deposito. Il secondo dalla presenza di vasche, bacini, canalette dove avveniva il processo di coloritura delle stoppe. Infine dagli scavi nel quartiere residenziale, sulle pendici della collina, è emerso uno spaccato della vita domestica di questa  comunità. Ogni unità familiare è organizzata intorno a una corte aperta rettangolare. La presenza di molti oggetti attesta una condivisione di vari momenti della giornata a partire da quelli conviviali”.

Corredo ceramico rinvenuto a Erimi

Corredo ceramico rinvenuto al villaggio di Erimi

Nella necropoli, dislocata a valle, sono state ritrovate due tombe a camere. Una, in particolare, di grandi dimensioni è stata aperta e richiusa nel tempo a più riprese per consentire la sepoltura di cinque individui, ognuno dei quali ha il proprio corredo, appartenente probabilmente a uno stesso clan. “Nel complesso la nostra campagna è stata fortunata. Abbiamo rinvenuto molti oggetti integri o facilmente integrabili. Tra questi alcuni anche particolari come uno spillone in bronzo e un contenitore ceramico configurato a corpo di montone, adoperato per libagioni”, continuano gli archeologi Jasink e Bombardieri. Le ceramiche e altri oggetti ritrovati testimoniano inoltre che i contatti commerciali e culturali con tutta l’isola erano frequenti. Questi scambi avevano sicuramente favorito anche la ricchezza di Erimi, confermata anche dai corredi funerari, che ha toccato la sua massima espressione intorno al 1500 a.C.

Ma a un certo punto, verso la metà del II millennio a.C., il villaggio di Erimi viene abbandonato dai sui abitanti che sembrano aver maturato nuovi bisogni che li spingono ad aggregarsi con altre comunità e a darsi un’organizzazione più complessa. “È il cosiddetto processo di sinecismo”, concludono, “ che è alla base della nascita e sviluppo delle città sull’isola di Cipro”.