Cortona. Al Maec inaugurate le Sale Corbelli che ospitano il nuovo allestimento della Collezione Egizia. L’intervento del vice lucumone, l’etruscologo Paolo Bruschetti, a TourismA 2023
Il nuovo allestimento della Collezione Egizia del MAEC (museo dell’Accademia etrusca e della Città di Cortona) è realtà. Era stato annunciato in marzo a TourismA 2023, e venerdì 5 maggio 2023 sono state inaugurate al secondo piano di Palazzo Casali le due sale intitolate a Guido Corbelli, cui si deve la collezione Egizia. Il museo dell’Accademia etrusca e della Città di Cortona può così proporre una specifica offerta culturale dedicata all’antica civiltà degli egizi con il progetto espositivo dell’architetto Andrea Mandara. I lavori sono stati realizzati grazie ad un cofinanziamento tra il Comune di Cortona e il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, relativo al progetto “Gli Etruschi in Toscana le città dell’Etruria”. “Con questo nuovo investimento l’offerta culturale del Maec cresce ulteriormente”, dichiara il sindaco di Cortona, Luciano Meoni. “Dopo la realizzazione delle sale dedicate a Gino Severini e prima dell’apertura della mostra dedicata a Luca Signorelli, oggi l’Amministrazione comunale pone un altro mattone sul percorso di crescita del proprio patrimonio. Voglio ringraziare la Regione Toscana, oltre a tutto lo staff che si è occupato delle opere, a partire dall’ufficio Tecnico e l’ufficio Cultura. Con queste sale possiamo offrire un’esperienza più accattivante per i visitatori e in particolare modo alle famiglie, oltre che al mondo dell’istruzione. Cortona e il Maec sono fra le poche realtà in Toscana a poter strutturare una proposta culturale di questo genere”.

L’architetto Andrea Mandara illustra il nuovo allestimento della collezione Egizia del MAEC (foto comune di cortona)
“La Collezione egizia del Maec, dovuta alla generosità del vescovo cortonese monsignor Guido Corbelli che l’aveva raccolta nella terra del Nilo sul finire dell’Ottocento, costituisce un vanto per il nostro Museo, dove adesso fa ancor più bella mostra di sé grazie al nuovo allestimento”, dichiara Luigi Donati, lucumone dell’Accademia Etrusca. “Grazie ad esso, percorrendo le sale del museo, il visitatore potrà cogliere direttamente l’abissale differenza delle testimonianze archeologiche esistente fra un mondo etrusco in cui, per ragioni ambientali, ci sono pervenuti solo materiali inorganici, e quello degli egizi dove invece essi sono la normalità, restituendoci uno spaccato della loro vita reale che da noi può essere solo immaginata”. E Andrea Mandara, l’architetto curatore del progetto espositivo: “Con questo nuovo allestimento in continuità con quanto già fatto in altre sezioni del Maec, aggiorniamo l’offerta di visita delle collezioni. L’obiettivo è quello di far entrare il pubblico in una suggestione avvolgente del racconto, a partire dalla prima sala, dove si parla della vita quotidiana degli egizi, fino alla seconda dove si descrivono le sepolture. In quest’ultima sala prevale la presenza di una grande teca nella quale le mummie, prima esposte in sarcofagi singoli, ora sono esposte in una nuova ambientazione unica, nella quale si ricrea quasi l’interno di una tomba, completa dei suoi arredi. Le suggestioni grafiche, curate da Francesca Pavese, aiutano il visitatore a sentirsi quasi all’interno di quel mondo. Il nostro obiettivo è stato quello di costruire, insieme con i curatori, un nuovo racconto che, rispettando sempre il carattere collezionistico della raccolta, potesse offrire al visitatore del Maec un’esperienza nuova, più viva e coinvolgente”.
Paolo Bruschetti, vice lucumone e segretario accademia Etrusca di Cortona, etruscologo, che per anni si è occupato del museo, a TourismA 2023 aveva ripercorso la nascita e sistemazione della collezione Egizia del Maec. “A partire dal 1727, anno nel quale fu fondata, assieme al museo, l’accademia etrusca, sono confluiti beni culturali di qualsiasi tipo, frutto da un lato dell’esperienza culturale e collezionistica dell’accademia etrusca a partire dal Settecento e tuttora vitale. Ma anche da una volontà molto più recente che si è sviluppata tra il Comune di Cortona, l’accademia etrusca, la soprintendenza e il concorso dell’università, che hanno destinato nel nostro museo tutto ciò che veniva dai più recenti scavi nella necropoli di Cortona.
“Nel 2005 è nato il Maec – museo dell’Accademia etrusca e della Città di Cortona, prima era solo il museo dell’Accademia etrusca, da allora diretto dal collega Paolo Giulierini che poi ha varcato i confini del nostro Granducato per arrivare fino ad altri regni, quelli borbonici. Da tutto questo insieme di situazioni è nato un complesso certamente unico nel suo genere che ritengo possa essere ascritto a un modello culturale valido per tutto il nostro Paese. In un contesto del genere un posto particolare è riservato all’archeologia egizia che tanto successo ha avuto fin dalle prime fasi dell’esperienza collezionistica di Cortona. Un primo nucleo, infatti, ridotto e limitato, di antichità egizie fu lasciato al nostro museo fino dagli ultimi anni del XVIII secolo, da quando una parte della collezione Venuti è arrivata nelle vetrine del museo che in quel momento era un contenitore estremamente eterogeneo e limitato ad alcune sale nelle quali erano insieme biblioteca, archivio, museo, quadreria, e tutto quello che si poteva immaginare in un contenitore di questo tipo. I Venuti insieme ad altri intellettuali cortonesi nel 1727 costituirono l’accademia etrusca e la costituirono come un sodalizio culturale che fin dall’inizio ebbe un posto importante nella cultura della nostra regione, nella cultura granducale di quest’epoca e degli illuministi italiani.

Il ritratto di mons. Guido Corbelli creatore della collezione Egizia del Maec (foto maec)
“Però il numero più importante del materiale della civiltà egizia è legato a una notissima figura di ecclesiastico cortonese che donò gli oggetti raccolti al museo della sua città natale. Questo ecclesiastico era appunto monsignor Guido Corbelli che, dopo una giovinezza abbastanza burrascosa, scelse l’abito francescano dei Minori osservanti al convento di Santa Maria degli Angeli ad Assisi. Grazie alle sue doti dottrinali e alle sue doti diplomatiche soprattutto, unite poi a una cultura molto profonda e molto articolata, conosceva tutte le lingue che potevano permettergli di viaggiare nel mondo – conosceva l’arabo, conosceva il greco, conosceva varie lingue orientali, aramaico e così via – arrivò così a svolgere tutta una serie di viaggi e di missioni in varie regioni del Medio Oriente che culminarono con la sua nomina da parte papale come 228mo Custode di Terrasanta. Quindi una sorta di plenipotenziario ecclesiastico in quella parte del mondo in un momento come quello della seconda metà dell’Ottocento di rapporti particolarmente complessi e difficili non solo dal punto di vista culturale e religioso, ma soprattutto politico ed economico. Non ci dimentichiamo che in quel periodo c’era una lotta, neanche tanto sommessa, tra vari imperialismi che in quella parte del Mediterraneo predominavano e si dimostravano molto importanti.
“In questo prestigioso ma difficilissimo incarico monsignor Corbelli fu seguace di un altro cortonese, frate Elia da Cortona, che fu il primo seguace di San Francesco, il costruttore della basilica di Assisi e della basilica di Cortona, e fu appunto il primo delegato papale per questa parte del mondo mediterraneo. E siamo nel XIII secolo, quindi ben sei secoli prima di monsignor Corbelli. E con questo incarico di delegato apostolico per l’Arabia e l’Egitto, ricevuto da papa Leone XIII, Corbelli che aveva la sua sede ad Alessandria d’Egitto impostò un dialogo interculturale e direi interreligioso in un periodo in cui parlare di ecumenismo era una cosa non normale. E durante il suo soggiorno alessandrino costituì una raccolta importante di oggetti che in piccola parte gli vennero donati nel corso delle sue visite pastorali e culturali, in gran parte lui aveva acquistato con sue risorse personali.
“Tutti questi materiali furono poi inviati tra il 1891 e il 1896 a Cortona con cinque blocchi di spedizioni attraverso il porto di Livorno che era una sorta di crocevia per tutta una serie di arrivi da viaggi culturali. Altri oggetti furono estrapolati dagli spedizionieri seguendo una volontà malamente espressa da monsignor Corbelli. Lui volle infatti che alcuni di questi pezzi fossero destinati alla raccolta di Assisi, e dette mandato agli spedizionieri di sceglierne alcuni. E gli spedizionieri che tutto erano meno che non solo egittologi ma persone di cultura, presero un po’ da una cassa un po’ dall’altra, e fu così che attraverso la disponibilità del cavaliere Alfonso Brizi, presidente dell’accademia properziana del Subasio di Assisi, un gruppetto di oggetti egizi giunsero appunto in questa raccolta. Nell’ultima parte della sua vita monsignor Corbelli fu nominato dal papa alla cattedra episcopale di Cortona che tenne fino al 1901, non fino alla morte. Fu un periodo abbastanza burrascoso, ebbe una serie di vicissitudini di gestione di questa società ecclesiastica cortonese piuttosto ribelle all’autorità vescovile dell’epoca, tanto che appunto nel 1901 lui rinunciò alla cattedra episcopale, si ritirò ad Assisi e morì nella stessa cella nella quale aveva condotto i suoi primi studi nel convento di Santa Maria degli Angeli. La prima ordinata raccolta dei materiali egizi di monsignor Corbelli non avvenne subito. Nel 1896 – dicevo – fu completata la spedizione, però non c’erano gli spazi, gli oggetti rimasero rinchiusi nelle casse fino alla fine degli anni Venti del Novecento allorché fu possibile allargare gli spazi del museo e dedicare anche alla collezione egizia una sala apposita. Solo in quel momento i materiali di Corbelli poterono essere visti nel loro splendore.

Sarcofagi esposti nella Collezione Egizia del Maec (foto comune di cortona)
“Le nuove sale sono il completamento di un discorso di ammodernamento e di nuova concezione museografica necessaria per una migliore fruizione di un patrimonio di grande rilievo. La collezione egizia è composta da circa 400 pezzi che comprendono tutte le epoche della storia dell’antica civiltà egizia. Siamo grati alla professoressa Guidotti che insieme con altri egittologi di Firenze ha curato il primo allestimento e ha insegnato a tutti noi, modesti etruscologi, quale era la vera natura di questa collezione. Ripeto, coprono tutte le epoche della civiltà egizia con esemplari di ogni categoria di materiali e con pezzi anche di grande valore storico e di qualità artistica non indifferente. Il nuovo allestimento è stato curato dall’architetto Andrea Mandara che ha elaborato tutta una serie di sistemazioni moderne del nostro museo e questo allestimento che vuole proporre proprio nell’intenzione di Mandara un rinnovato racconto di una civiltà mediterranea che tanta importanza ha avuto nella storia dell’uomo. Le nuove sale – conclude Bruschetti – sono dedicate alla figura di monsignor Corbelli: si chiameranno infatti sale Corbelli”.

Dettaglio dell’allestimento delle nuove sale della Collezione Egizia del Maec (foto maec)
I lavori hanno riguardato sale già libere da precedenti allestimenti che ora sono state restaurate, consolidate, dotate di tutti gli impianti, compreso quello di climatizzazione, e riallestite. Quest’ultimo lavoro, in particolare, ha riguardato un progetto espositivo e grafico per accompagnare il visitatore all’interno di un racconto che lo spinge ad approfondire la conoscenza del mondo egizio, attraverso un percorso tra le opere esposte. Il progetto grafico guida il visitatore ad attraversare la storia della proposta museale, segnando il passaggio da un’introduzione sulla generale questione della collezione e del collezionismo, al racconto della quotidianità degli egizi, documentati nella prima sala, quella dedicata alla vita, fino alla drammaticità della morte e della mummificazione, nella seconda. Nella prima sala, il progetto comprende quattro vetrine che raccolgono le opere della collezione e un apparato didascalico. Nella seconda sala, una grande teca accoglie la descrizione del tema dell’inumazione con l’esposizione di sarcofagi, mummie e arredi tombali. L’investimento complessivo sfiora i 190mila euro ed è sostenuto dall’Amministrazione comunale per una quota pari al 30% del totale, mentre il restante 70% è stato finanziato dalla Regione Toscana.
Napoli. Al museo Archeologico nazionale ultimi lavori per l’apertura della sezione Campania Romana nell’ala occidentale. Giulierini: “Un raddoppio epocale degli spazi espositivi che farà del Mann una superpotenza nell’offerta di Archeologia classica”. Ne parlano i protagonisti nel video “Mann in progress”

Una fase dell’allestimento della sezione Campania Romana nell’ala occidentale del museo Archeologico nazionale di Napoli (foto mann)

La statua di Olconio Rufo dal quadrivio di ia Stabiana a Pompei, esposta nella sezione Campania Romana del museo Archeologico nazionale di Napoli (foto mann)
La sezione Campania Romana del museo Archeologico nazionale di Napoli è ormai pronta per essere svelata al grande pubblico, dopo vari annunci di imminente apertura: l’ultimo, lo prevedeva per metà febbraio 2023. E sarà un “raddoppio epocale” degli spazi espositivi del Mann, come lo ha definito il suo direttore Paolo Giulierini, che farà dell’Archeologico “una superpotenza in termini di offerta dell’archeologia classica in Campania ma soprattutto a livello nazionale e internazionale”. In questi ultimi due anni il museo Archeologico nazionale di Napoli ha spesso “spoilerato”, come si usa dire adesso, il procedere del progetto di riapertura dell’ala occidentale del Mann destinata ad ospitare la statuaria romana campana: i sopralluoghi dei tecnici, l’avvio del risanamento-restauro delle prestigiose architetture, la scoperta di qualche opera-capolavoro destinata ad essere esposta, alcune fasi dell’allestimento. Ma stavolta l’imminenza dell’apertura che, tanto per capirci, rappresenta uno spazio analogo e speculare a quello che ospita la Collezione Farnese, è dato da un breve, ma esauriente video, “Campania Romana. Mann in progress: il racconto del lavoro per la riapertura dell’ala occidentale”, in cui – tra immagini che sbirciano tra le sale mostrandoci in anteprima interessante dettagli dell’allestimento, intervengono i protagonisti di questo progetto, dal direttore Paolo Giulierini all’architetto coordinatore del Mann Andrea Mandara, agli architetti dello Studio Isola Architetti di Torino, che ha curato il progetto di restauro e allestimento, Stefano Peyretti e Saverio Isola.
“La città di Napoli e il museo Archeologico nazionale”, esordisce Giulierini, “aspettavano di riaprire al pubblico questi straordinari spazi che precedentemente ospitavano le sale dei piccoli tesori pompeiani e che adesso sono destinati alla statuaria romana della Campania. In particolare in questi spazi abbiamo pensato di destinare le opere pubbliche principali di Pompei ed Ercolano ma anche dei Campi Flegrei. E si tratta di un campionario assoluto di vertici della scultura ma anche della pittura che decoravano le più importanti parti delle città di Ercolano e di Pompei. In questo progetto – continua – abbiamo voluto mescolare insieme tante competenze da quelle dell’università Federico II – Dipartimento di Archeologia per quello che riguarda il progetto scientifico, allo Studio Isola di Torino, e ovviamente a tutte le competenze interne del Museo. Si tratta in effetti di un raddoppio epocale del Museo. Da questo momento in poi il pubblico potrà veramente avere cognizione di quello che significa il Mann, e cioè una superpotenza in termini di offerta dell’archeologia classica in Campania ma soprattutto a livello nazionale e internazionale”.

Una fase dell’allestimento della sezione Campania Romana nell’ala occidentale del museo Archeologico nazionale di Napoli (foto valentina cosentino)

Antefissa a maschera da Fondo Patturelli a Capua, esposta nella sezione Campania Romana del museo Archeologico nazionale di Napoli (foto mann)
Le sale poste al piano terra dell’ala occidentale ospiteranno la nuova sezione dedicata alla Campania romana, che accoglierà circa duecento reperti provenienti dai principali centri della Campania antica, sia quelli vesuviani come Pompei ed Ercolano, sia i siti flegrei come Cuma, Baia, Pozzuoli sia i centri dell’interno come Capua, oggi Santa Maria Capua Vetere. L’obiettivo dell’esposizione è quello di ricostruire una serie di contesti della prima età imperiale in tutti i loro elementi – sculture, pitture parietali, iscrizioni – così da restituire l’idea non solo dei grandi edifici in cui si svolgeva la vita pubblica – civile e religiosa – ma anche quella della committenza e dei suoi ideali di rappresentazione. Vi troveranno posto, solo per citare alcuni dei materiali previsti, le sculture che ornavano l’anfiteatro dell’antica Capua, le sculture colossali del Capitolium di Cuma, il ciclo di affreschi della basilica di Ercolano e, sempre da Ercolano, la ricostruzione della celebre quadriga in bronzo che costituirà un vero e proprio inedito.

Una fase dell’allestimento della sezione Campania Romana nell’ala occidentale del museo Archeologico nazionale di Napoli (foto mann)
“Abbiamo vinto la gara di restauro e rifunzionalizzazione di questo museo qualche anno fa”, spiega Stefano Peyretti dello Studio Isola Architetti. “La gara constava di due fasi principali: la prima quella del restauro edile di questi ambienti meravigliosi, e la seconda – che si sta concludendo in questi giorni – del riallestimento dell’ala occidentale. Abbiamo avuto un lungo rapporto costruttivo con i curatori del museo e i funzionari, per cui le diverse ipotesi che erano sulla carta del riallestimento hanno dovuto confrontarsi con questi spazi aulici e con la storia. Uno degli elementi di ispirazione – ricorda – era stato quello di riproporre l’allestimento ottocentesco che si trova in alcune immagini ancora che presentava delle sale molto colorate, pareti color rosso pompeiano, marmi policromi. Poi andando avanti nella progettazione si è preferito uniformare l’aspetto di quest’ala con il resto del museo. Quindi avere dei colori più neutri, riproponendo comunque delle basi che hanno una certa aulicità e si rifanno a quella che era la storia degli allestimenti, sono rivestite in marmo, ma mantenendo delle tinte più chiare per le pareti che in qualche modo facessero risaltare i reperti. Ambienti definiti maestosi, se ne perde quasi la proporzione: le volte sono a 15-16 metri. Le persone si sentono quasi scomparire, ma sono proporzionate alla grandezza di questi oggetti sia alla loro importanza storica sia alla loro grandezza fisica”.

Dei e personaggi “in attesa” di essere posti nell’allestimento della sezione Campania Romana del museo Archeologico nazionale di Napoli (foto mann)
E Saverio Isola dello Studio Isola Architetti: “Per me è molto emozionante essere qua in questo momento perché nella costruzione di un museo questo è spesso fondamentale: quando cioè tutte le statue, tutti questi personaggi e divinità stanno per entrare nelle loro stanze. C’è un senso di impazienza, c’è un senso di attesa. Si vedono questi personaggi che aspettano. È un momento che si è sempre ripetuto in tutti i musei a cui abbiamo lavorato, a partire dal museo Egizio a Torino, al museo delle Civiltà a Roma, ai musei Archeologici di Torino e di Palazzo Te a Mantova. È un momento particolare. Il nostro approccio – sottolinea – è proprio quello del rapporto tra le collezioni e le architetture. Quindi da una parte il restauro e la preparazione degli spazi, della casa in fondo di questi oggetti che staranno qua per molto tempo, quindi della riscoperta dell’edificio. E allo stesso tempo il giusto posizionamento dello studio delle opere, e del rapporto che si fonda tra le opere e il museo stesso”.

Una fase dell’allestimento della sezione Campania Romana nell’ala occidentale del museo Archeologico nazionale di Napoli (foto annamaria di noia)
Un’emozione coinvolgente che traspare anche dalle parole di Andrea Mandara, architetto coordinatore del Mann: “È una grande emozione poter parlare di questi ambienti stando noi stessi in questi ambienti. Ambienti che erano fino a poco tempo fa dei depositi. Oggi invece con la loro architettura, con lo spazio, con le dimensioni, devo dire anche con gli interventi che sono stati realizzati di illuminotecniche e di apertura verso il giardino, ci troviamo in spazi dove veramente l’emozione è un’emozione forte che noi stessi, ora che stiamo operando, viviamo, ma sarà sicuramente un’emozione per tutti i visitatori poter rientrare in questi spazi, riconquistare l’architettura del palazzo. In questi luoghi vincerà l’architettura, vincerà la volumetria di questi spazi, e naturalmente la qualità la bellezza delle opere che in questi spazi ritorneranno ad avere una dimensione da museo Archeologico nazionale di Napoli. E io credo – conclude – che l’emozione che noi oggi viviamo lavorandoci dentro per poter fare l’allestimento, è una parte di quella emozione che tutti quanti, i napoletani e in realtà il mondo intero, potrà vivere andando a riconquistare questo patrimonio comune che di nuovo diventerà patrimonio collettivo stabile in spazi in cui l’architettura valorizza e qualifica la conservazione del passato e la valorizzazione del passato”.

La sezione Campania Romana al museo Archeologico nazionale di Napoli è quasi pronta per accogliere i visitatori (foto mann)
E allora prepariamoci a godere di questi nuovi spazi. “Con questa operazione allestitiva – conclude Giulierini – si ricrea una simbiosi con la città, perché è possibile proprio avere un affaccio dal lato di Santa Teresa da parte di tutti coloro che attraversano il quartiere e quindi il museo si riapre veramente alla cittadinanza che può contemplare le bellezze da fuori e, auspicabilmente, tornare all’interno del museo che è la casa di tutti, ma in particolare dei napoletani”.
Grandi mostre tra 2022 e 2023. Al museo Archeologico nazionale di Napoli la mostra “Bizantini. Luoghi, simboli e comunità di un impero millenario” curata da Federico Marazzi. L’introduzione del direttore Paolo Giulierini

La mostra “Bizantini” nel Salone della Meridiana al museo Archeologico nazionale di Napoli (foto sergio siano)

Locandina della mostra “Bizantini” al museo Archeologico nazionale di Napoli dal 21 dicembre 2022 al 13 febbraio 2023
“Bizantini”: è una delle grandi mostre che il 2022 lascia in eredità al nuovo anno. Al museo Archeologico nazionale di Napoli il 21 dicembre 2022 è stata inaugurata la mostra “Bizantini. Luoghi, simboli e comunità di un impero millenario”, curata da Federico Marazzi (università “Suor Orsola Benincasa” di Napoli), che rimarrà aperta fino al 13 febbraio 2023. Il progetto scientifico dell’esposizione è stato sviluppato da un team di studiosi italiani della civiltà bizantina, team guidato dallo stesso Federico Marazzi e composto da Lucia Arcifa, Ermanno Arslan, Isabella Baldini, Salvatore Cosentino, Edoardo Crisci, Alessandra Guiglia, Marilena Maniaci, Rossana Martorelli, Andrea Paribeni ed Enrico Zanini. La mostra, coordinata da Laura Forte (responsabile Ufficio mostre al Mann) e organizzata da Villaggio Globale International, è realizzata con il sostegno della Regione Campania (POC Campania 2014-2020) e in collaborazione con l’università “Suor Orsola Benincasa” di Napoli. Il progetto di allestimento è di Andrea Mandara e quello grafico di Francesca Pavese.
Il progetto. A introdurci alla mostra “Bizantini” è il direttore del Mann, Paolo Giulierini. “Il progetto della mostra dei Bizantini – spiega ad archeologiavocidalpassato.com –, nasce dopo lunghe interlocuzioni con importanti partner greci, con Venezia, con Ravenna. Alla fine, tramite il coordinamento di Villaggio Globale, abbiamo deciso di realizzare la prima grande tappa a Napoli, a partire dal 21 dicembre 2022 e fino al 13 febbraio 2023, con un’eventuale proroga. La mostra prende in considerazione il volto di Napoli bizantina, di quello che fu il ducato intorno al 1000 d.C. Ma soprattutto dà un quadro di quello che fu l’impero bizantino dal suo sorgere fino alla sua caduta alla metà del Cinquecento. Si parlerà dell’Imperatore e della sua corte, degli edifici di culto, e degli edifici pubblici e privati nella vita quotidiana, delle gioiellerie, dell’esercito, e insomma di quanto fu difficile tenere il punto ancora per mille anni dopo la caduta di Roma, e perché ancora le idee del mondo classico resistessero e di come poi, dopo la caduta avvenuta per via dei Turchi, i germi della classicità passassero attraverso la fuga di alcuni sapienti greci da Costantinopoli a Firenze, alla corte di Lorenzo de’ Medici, e ispirassero l’Umanesimo e poi il Rinascimento”.

L’allestimento della mostra “Bizantini” nel salone della Meridiana al museo Archeologico nazionale di Napoli (foto mann)
Il celebre scrittore inglese Robert Byron attribuiva la grandezza di Bisanzio alla “triplice fusione” di un corpo romano, una mente greca, un’anima orientale e mistica. Una fusione che l’arte e la cultura interpretarono e seppero diffondere attraverso i secoli, come emerge dalla ricchissima mostra che sviluppa in quindici sezioni le fasi storiche successive all’impero Romano d’Occidente, dedicando un focus a Napoli (città “bizantina” per circa sei secoli, dopo la conquista da parte di Belisario e le sue armate nel 536 d.C.) e approfondendo i legami fra Grecia e Italia meridionale.

Il direttore del Mann, Paolo Giulierini, nella mostra “Bizantini” (foto mann)
“Esiste una Campania archeologica dopo la caduta di Roma e raccontare in una grande mostra i mille anni di questo impero è per il Mann una nuova tappa del percorso, partito dai Longobardi, verso una più completa identità del nostro stesso museo”, commenta Giulierini. “Napoli bizantina è un tema cruciale e per molti sarà una sorpresa, alla scoperta di un intreccio di destini tra la città e l’impero lungo sei secoli, dopo la sottomissione a Roma, il tratto più lungo della sua storia. E anche quando il dominio bizantino di Napoli evaporò, questo legame con l’Impero non fu mai rinnegato e si trasformò in volano per tenere vivi i contatti con il Mediterraneo, la tensione verso altri mondi. Il Mann è quindi il luogo ideale in Italia per raccontare questa storia”.

Sant’Anastasia: icona dell’ultima metà del XIV secolo proveniente da Naxos (foto Eforato delle Antichità delle Cicladi)
Diversi i temi affrontati: la struttura del potere e dello Stato; l’insediamento urbano e rurale; gli scambi culturali; la religiosità; le arti e le espressioni della cultura scritta, letteraria e amministrativa. Sono oltre quattrocento le opere esposte, provenienti dalle collezioni del Mann e da prestiti concessi da 57 dei principali musei e istituzioni che custodiscono in Italia e in Grecia materiali bizantini (33 istituti italiani, 22 musei greci isole incluse, Musei Vaticani e Fabbrica di San Pietro). Grazie alla prestigiosa collaborazione con il ministero ellenico della Cultura, molti dei materiali in allestimento sono visibili per la prima volta: diversi manufatti sono stati rinvenuti, infatti, nel corso degli scavi per la realizzazione della metropolitana di Salonicco. Altri reperti, concessi in prestito dalla soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per il Comune di Napoli, sono stati ritrovati negli scavi della linea 1 della metropolitana.

Frammento di un pavimento a mosaico del V secolo conservato al museo Bizantino e Cristiano di Atene (foto museo bizantino cristiano)
Gli oggetti in mostra si distinguono per la varietà di materia e funzione: sculture, mosaici, affreschi, instrumentum domesticum, sigilli, monete, ceramiche, smalti, suppellettili d’argento, oreficerie ed elementi architettonici danno conto di una complessa realtà, connotata da eccellenze manifatturiere e artistiche. Grazie ai simboli dell’Impero d’Oriente, la creatività del mondo antico “transita”, così, verso il Medioevo, con un linguaggio rinnovato dalla fede cristiana e arricchito da innesti culturali iranici e arabi.

L’allestimento della mostra “Bizantini” nel salone della Meridiana al museo Archeologico nazionale di Napoli (foto mann)
Premesse storiche e ragioni di una mostra: il mito di Bisanzio. Dopo circa quarant’anni dall’ultima esposizione in Italia, una mostra racconta il mondo affascinante e complesso dell’Impero Bizantino: quell’Impero Romano d’Oriente (Romèi erano chiamati e si autodefinivano i suoi abitanti), sopravvissuto per quasi dieci secoli alla caduta della pars Occidentis, quando il barbaro Odoacre nel 476 riuscì a deporre l’ultimo imperatore d’Occidente, Romolo Augustolo. Fu allora che Costantinopoli, la città sul Bosforo, l’antica Byzantion rifondata nel 330 dall’Imperatore Costantino come “Nuova Roma”, divenne il centro e il cuore politico, istituzionale e culturale dell’Impero Romano. Un Impero che, di fatto, continuò a vivere fino al 1453 (anno della caduta della capitale in mano ai Turchi di Maometto II), assumendo nel tempo connotati diversi: la lingua greca, ad esempio, era usata per gli atti ufficiali e il Cristianesimo era stato assunto come religione di stato, fondante l’identità dell’Impero. Questo “mutamento di pelle” indusse gli eruditi, dal Seicento in poi, a cercare un nuovo nome – Impero Bizantino – per indicare una realtà politica che connetteva Oriente e Occidente, contribuendo così innegabilmente non solo alla formazione dell’Europa medievale, ma anche alla genesi dell’Umanesimo. Una volta superati i pregiudizi primo-settecenteschi, che associavano al bizantinismo le negatività di una burocrazia invalidante e di una società statica, il mito di Bisanzio, impero multietnico, è cresciuto in questi ultimi tempi.

Anello in oro e gemma in pasta vitrea proveniente da Senise (PZ)) e conservato al museo Archeologico nazionale di Napoli (foto mann)
Uno sguardo al presente. La mostra di Napoli getta uno sguardo su un mondo che è lo specchio di tutto quanto l’Occidente aveva perduto con il crollo dell’Impero Romano e che avrebbe lentamente e faticosamente riconquistato nei secoli successivi all’anno Mille: tecniche artistiche e produttive, modi di intendere l’estetica degli oggetti, scritti e saperi. L’esposizione getta luce anche sulle strutture di un impero universale e autocratico ma capace, allo stesso tempo, di tenere unita una società multietnica e composita, di cui sono stati eredi sia l’impero zarista che l’Islam sultaniale. A partire dalla presa di Costantinopoli anche il sultano ottomano userà il titolo di “imperatore di Roma” e nel suo Impero la cultura romano-bizantina sarà perpetuata di fatto. La storia ci aiuta sempre a capire il presente: le contrapposizioni successive e molte delle tensioni e dei conflitti, che tutt’oggi interessano quell’area definita da Fernand Braudel “Mediterraneo Maggiore”, hanno di fatto trovato linfa nel vuoto determinato dalla caduta di Bisanzio e dalle ceneri dell’Impero.
Napoli. Al museo Archeologico nazionale apre la mostra “Bizantini. Luoghi, simboli e comunità di un impero millenario”: con oltre 400 reperti racconta “il millennio bizantino”, dalla rifondazione dell’antica Byzantion da parte di Costantino nel 330, fino alla presa di Costantinopoli con la quarta crociata nel 1204

Il Salone della Meridiana al museo Archeologico nazionale di Napoli al buio, pronto a svelare i tesori della mostra “I Bizantini” (foto francesco pio chinelli)
Ci siamo. Il 21 dicembre 2022, quando si accenderanno le luci del Salone della Meridiana al museo Archeologico nazionale di Napoli brilleranno agli occhi dei visitatori i tesori di quel mondo raffinato che aveva il suo punto di riferimento nella capitale Bisanzio: alle 11.30, sarà presentata la mostra “Bizantini. Luoghi, simboli e comunità di un impero millenario”. Dal 22 dicembre 2022, apertura al pubblico.

Il direttore del Mann, Paolo Giulierini, nella mostra “I Bizantini” (foto valentina cosentino)
L’esposizione, realizzata con il sostegno della Regione Campania nell’ambito del Poc 2014/2020, sviluppa il tema delle fasi storiche successive all’impero romano d’Occidente, con un focus sulla Grecia, su Napoli (città “bizantina” per circa cinque secoli dopo la conquista da parte delle armate guidate da Belisario nel 536 d.C.) e sull’Italia meridionale. Curata da Federico Marazzi (università Suor Orsola Benincasa di Napoli), la mostra racconta “il millennio bizantino” dalla rifondazione dell’antica Byzantion da parte di Costantino nel 330, fino alla presa di Costantinopoli con la quarta crociata nel 1204 (momento cruciale nel processo di dissoluzione dell’Impero), approfondendo diversi temi: la struttura del potere e dello Stato, l’insediamento urbano e rurale, gli scambi culturali, la religiosità e le espressioni della cultura scritta, letteraria e amministrativa. In mostra, oltre quattrocento reperti, appartenenti alle collezioni del Mann o concessi in prestito dai principali musei e siti archeologici che custodiscono, in Italia e in Grecia, materiali bizantini: anche grazie alla sinergia con il ministero ellenico della Cultura, molti manufatti sono visibili per la prima volta e provengono dagli scavi della linea metropolitana a Salonicco. In mostra anche materiali scavati nella linea metropolitana di Napoli.

Histamenon di Basilio II in oro della Zecca di Costantinopoli (1005-1025 d.C.) conservato al museo Archeologico nazionale di Napoli (foto mann)
Il progetto scientifico dell’esposizione è stato sviluppato da un gruppo di studiosi italiani della civiltà bizantina, gruppo coordinato dallo stesso Federico Marazzi e composto da Lucia Arcifa, Ermanno Arslan, Isabella Baldini, Salvatore Cosentino, Edoardo Crisci, Alessandra Guiglia, Marilena Maniaci, Rossana Martorelli, Andrea Paribeni ed Enrico Zanini. La mostra, coordinata da Laura Forte (responsabile Ufficio mostre al Mann) e organizzata da Villaggio Globale International, è realizzata con la collaborazione dell’università “Suor Orsola Benincasa” di Napoli. Il progetto di allestimento è di Andrea Mandara e quello grafico di Francesca Pavese. L’esposizione, infine, prevede un ricco apparato editoriale, che include il catalogo (in uscita a gennaio 2023), la guida breve, la pubblicazione degli itinerari bizantini della Campania e un volume destinato ai bambini, tutto edito da Electa.
Napoli. Al museo Archeologico nazionale slitta di due settimane la presentazione della mostra “Bizantini. Luoghi, simboli e comunità di un impero millenario” che con oltre quattrocento reperti sviluppa il tema delle fasi storiche successive all’impero romano d’Occidente
Slitta di due settimane, dal 7 al 21 dicembre, l’annunciata presentazione al museo Archeologico nazionale di Napoli della mostra “Bizantini. Luoghi, simboli e comunità di un impero millenario” (vedi Napoli. Ecco la speciale offerta del Natale al museo Archeologico nazionale: mostra-evento sui Bizantini, un giardino restituito, il presepe con allestimenti multimediali e un libro, avvio stagione concertistica, gli scacchi del Mann e il nuovo abbonamento OpenMANN | archeologiavocidalpassato). L’esposizione, realizzata con il sostegno della Regione Campania nell’ambito del Poc 2014/2020, sviluppa il tema delle fasi storiche successive all’impero romano d’Occidente, con un focus sulla Grecia, su Napoli (città “bizantina” per circa cinque secoli dopo la conquista da parte delle armate guidate da Belisario nel 536 d.C.) e sull’Italia meridionale. Curata da Federico Marazzi (università Suor Orsola Benincasa di Napoli), la mostra racconta “il millennio bizantino”, approfondendo diversi temi: la struttura del potere e dello Stato, l’insediamento urbano e rurale, gli scambi culturali, la religiosità e le espressioni della cultura scritta, letteraria e amministrativa.

Histamenon di Basilio II in oro della Zecca di Costantinopoli (1005-1025 d.C.) conservato al museo Archeologico nazionale di Napoli (foto mann)
Il progetto scientifico dell’esposizione è stato sviluppato da un gruppo di studiosi italiani della civiltà bizantina, gruppo coordinato dallo stesso Federico Marazzi e composto da Lucia Arcifa, Ermanno Arslan, Isabella Baldini, Salvatore Cosentino, Edoardo Crisci, Alessandra Guiglia, Marilena Maniaci, Rossana Martorelli, Andrea Paribeni ed Enrico Zanini. La mostra, coordinata da Laura Forte (responsabile Ufficio Mostre al Mann) e organizzata da Villaggio Globale International, è realizzata con l’università “Suor Orsola Benincasa” di Napoli. Il progetto di allestimento è di Andrea Mandara e quello grafico di Francesca Pavese. L’esposizione, infine, prevede un ricco apparato editoriale, che include il catalogo, la guida breve, la pubblicazione sugli itinerari bizantini della Campania e il volume per bambini.

Tetravangelo greco (Plut.6.23) dell’XI-XII secolo conservato alla Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze (foto mann)
In allestimento, oltre quattrocento reperti, appartenenti alle collezioni del Mann o concessi in prestito dai principali musei e siti archeologici che custodiscono, in Italia e in Grecia, materiali bizantini: anche grazie alla sinergia con il Ministero ellenico della Cultura, molti manufatti sono visibili per la prima volta e provengono dagli scavi della linea metropolitana a Salonicco. In allestimento, anche materiali scavati nella linea metropolitana di Napoli.
Napoli. Aperta nelle Sale degli Affreschi del museo Archeologico nazionale la mostra “L’altro MANN”, sessanta tesori dai depositi. E a settembre focus su ori, tessili e commestibili. Il direttore Giulierini: “Un patrimonio straordinario da condividere”

La locandina della mostra “L’altro Mann. Depositi in mostra” al museo Archeologico nazionale di Napoli

Lo staff del Mann che ha promosso la mostra “L’altro Mann. Depositi in mostra” (foto valentina cosentino)
Dalle suppellettili delle città vesuviane alle armi dei gladiatori, dai tessili agli ori, con un focus sui commestibili: una sessantina di opere, simbolo di una progressiva restituzione del patrimonio museale alla città e ai turisti. È una mostra “in fieri” quella che si è aperta il 30 maggio 2022 nella sala degli Affreschi del museo Archeologico nazionale di Napoli e che, entro la fine di settembre 2022, si espanderà anche nel Plastico di Pompei. L’hanno chiamata “L’altro MANN. Depositi in mostra” ed è il frutto sull’incessante lavoro di “scavo” e studio negli immensi depositi del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, prelude al raddoppio delle collezioni pompeiane presentate al pubblico. E c’è una curiosità: tanti tesori, oggi custoditi nei depositi, hanno rappresentato veri e propri cult per la letteratura scientifica sin dal momento della loro scoperta durante gli scavi nelle città vesuviane. Alla presentazione sono intervenuti Paolo Giulierini (direttore dell’Archeologico), Laura Forte e Marialucia Giacco (curatrici del percorso/ funzionarie archeologhe del Mann), Andrea Mandara (architetto che ha curato l’allestimento) e Stefano Consiglio (docente ateneo federiciano/delegato del sindaco Manfredi). Dall’indagine alla divulgazione: il 9 giugno e il 7 luglio 2022, in occasione delle aperture serali del giovedì, tour guidati alla mostra “L’altro MANN”.

Paolo Giulierini, direttore del museo Archeologico nazionale di Napoli, alla mostra “L’altro Mann. Depositi in mostra” (foto valentina cosentino)
“L’altro Mann non è solo una vetrina di meraviglie, in gran parte vesuviane, mai o poco viste, spesso in giro per il mondo, custodite negli ormai celebri depositi del museo Archeologico, dalle Cavaiole a Sing Sing”, commenta il direttore del Mann, Paolo Giulierini. L’Altro Mann è, infatti, anche una straordinaria campionatura della parte ‘rimanente’ del nostro patrimonio museale, che vogliamo sia sempre più valorizzata e condivisa non solo attraverso l’esposizione ma anche con la ricerca scientifica, l’apporto del digitale e, quindi, la creazione di grandi banche date open. È differente da ciò che siamo abituati a trovare nel Museo: non una collezione, né una semplice mostra. È soprattutto un progetto da condividere con i nostri visitatori e tutta la collettività. Il lavoro sui depositi in questi anni è stato incessante e continua, a partire dal riordino e la messa in sicurezza anche in chiave antisismica. Il nostro obiettivo è una fruizione pubblica più larga possibile, con l’idea conclusiva di espandere gli stessi depositi in altri luoghi della città”.

La grande pedana circolare all’ingresso della mostra “L’altro Mann” con un cratere a volute con corteo bacchico in marmo, una cassaforte in bronzo, ferro e legno con amorini e personaggi dionisiaci, un tavolo pieghevole con piccoli satiri, uno sgabello con maschere e motivi vegetali, un originalissimo scaldaliquidi a forma di cinta muraria, alcuni candelabri (foto valentina cosentino)
La mostra, curata dalle funzionarie archeologhe del museo Laura Forte e Marialucia Giacco, è introdotta da alcuni reperti, raramente esposti in passato e presentati oggi su una grande pedana circolare: un cratere a volute con corteo bacchico in marmo (da Villa San Marco a Stabiae, prima metà del I sec. d.C.), una cassaforte in bronzo, ferro e legno con amorini e personaggi dionisiaci (da Pompei, Casa di Gaio Vibio Italo, I sec. d.C.), un tavolo pieghevole con piccoli satiri (area vesuviana, I sec. d.C.), uno sgabello con maschere e motivi vegetali (da Pompei, casa di Romolo e Remo, I sec. d.C.), un originalissimo scaldaliquidi a forma di cinta muraria (da Pompei, I sec. d.C.), alcuni candelabri (da Ercolano e Pompei, I sec. d.C.). Nelle sale in cui si snoda questa prima parte dell’itinerario di visita, possibile ammirare altri tesori che raccontano la vita delle città vesuviane e la bellezza delle antiche domus. L’esposizione si sofferma sugli ambienti esterni delle case, mostrandone i ricchi apparati decorativi: da non perdere le bocche di fontana bronzee con pescatore e Amorino e oca (da Pompei, casa della Fontana Piccola, I sec. d.C.), con satiro che regge un otre (da Pompei, casa del centenario, I sec. d.C.) e con Amorino e delfino (da Pompei, I sec. d.C.); la decorazione marmorea di fontana con Ninfa (da Pompei, I sec. d.C.); gli oscilla in marmo (rilievi in sospensione, da Pompei, I sec. d.C.) con le raffigurazioni di una Menade danzante davanti a un altare, una Vittoria alata e Ercole con la cerva cerinite. Il verde lussureggiante delle case negli insediamenti alle falde del vulcano è testimoniato anche da tre splendidi affreschi con scene di giardino (da Ercolano e Pompei, inizio I sec. d.C.).

Bronzi e sculture “inediti” nella mostra “L’altro Mann. Depositi in mostra” (foto valentina cosentino)
Il percorso “L’altro Mann” si radica sui progetti che, da anni, la direzione museale sta dedicando al patrimonio dei depositi: se il riordino di Sing Sing, che custodisce migliaia di manufatti nei sottotetti dell’Archeologico, è prodromico alla fruibilità (naturalmente contingentata e sorvegliata) da parte dei visitatori, si lavora anche sull’area delle Cavaiole, dove sono conservati i materiali lapidei. In collaborazione con la facoltà di architettura dell’università di Delft e con il ministero della Cultura olandese, è ai nastri di partenza il masterplan per pianificare la trasformazione di questo settore dei depositi in un’area visibile al pubblico. Ancora, in tema di prestigiose collaborazioni istituzionali, grazie a una convenzione stipulata con l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, sono stati restaurati un “borsellino” e un nastro in filo d’oro, che saranno espositi in anteprima a settembre con l’ampliamento della mostra “L’altro Mann” nella sala del Plastico di Pompei. A questa sperimentazione iniziale seguirà il restauro di un ulteriore gruppo di una ventina di reperti tessili, in filo d’oro e non. I depositi sono, certamente, luoghi di studio: in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Napoli, si sta sviluppando un filone di ricerca riservato a docenti, studenti e tirocinanti per scoprire e tutelare i tesori della collezione Spinelli del museo Archeologico nazionale di Napoli, collezione che raccoglie antichi manufatti della necropoli di Suessula, nel territorio di Acerra.

Elmi dei gladiatori da Pompei nella mostra “L’altro Mann. Depositi in mostra” al museo Archeologico nazionale di Napoli (foto valentina cosentino)
Sono tante le curiosità che i visitatori rintracciano nell’allestimento, firmato dall’architetto Andrea Mandara con Claudia Pescatori e realizzato con la grafica di Francesca Pavese: ad esempio, chi non sapesse cosa è la pelvis (un bacino per le abluzioni), può apprendere che i cittadini dell’area vesuviana decoravano queste suppellettili, come dimostra un’applique bronzea con scena di toletta femminile. E, ancora, gli appassionati dell’iconografia dedicata alla dea della bellezza, non devono perdere, in mostra, la sensuale scultura marmorea della Venere Anadiomene, che esce dalle acque (da Pompei, Casa del Camillo, I sec. d.C.). Infine, un gradito ritorno: la mostra include una sezione dedicata al mondo dei Gladiatori; si procede, così, nel percorso di “musealizzazione” della collezione presentata al pubblico per la prima volta dopo decenni durante la grande esposizione in programma al Museo sino allo scorso aprile. In esposizione non solo le armi che contraddistinguevano le diverse tipologie di gladiatori (i reperti sono venuti alla luce a Pompei dal 1766), ma anche altri documenti unici, conservati negli Archivi dell’Archeologico, come le tempere di Francesco Morelli.
Cosa ci porta il nuovo anno? Nell’autunno 2022, novant’anni dopo il lungimirante progetto di Amedeo Maiuri, nel Braccio nuovo del museo Archeologico nazionale di Napoli aprirà la nuova Sezione Tecnologica Romana con cento reperti e ricostruzioni moderne dei macchinari antichi

Cosa ci porta il nuovo anno? Una novità arriva dal Mann. La Sezione Tecnologica Romana del museo Archeologico nazionale di Napoli aprirà al pubblico nell’autunno del 2022 e sarà ospitata nel cosiddetto Braccio Nuovo, novant’anni dopo il lungimirante progetto di Amedeo Maiuri: qui, negli ambienti vicini agli Uffici dei Servizi Educativi, sarà allestito un percorso che, attraverso circa cento reperti e ricostruzioni moderne dei macchinari antichi, svelerà al visitatore come strategia e progettazione duemila anni fa abbiano permesso ai cittadini dell’area vesuviana di fronteggiare sfide soltanto apparentemente impossibili. Distintivo il taglio didattico della Sezione, che presenterà approfondimenti destinati non solo ad esperti, ma anche a giovani e scuole. Il progetto scientifico della sezione è curato da Giovanni Di Pasquale (museo Galileo di Firenze) e Laura Forte (funzionario archeologo del Mann). L’allestimento è firmato da Andrea Mandara, il design grafico è di Francesca Pavese. Gli apparati multimediali saranno prodotti dal museo Galileo, che ha inoltre elaborato i progetti in base ai quali verranno realizzati da Opera Laboratori i modelli ricostruttivi. Prevista una convenzione tra università Suor Orsola Benincasa e Mann per approfondire i temi di conservazione e restauro dei manufatti.

La Sezione Tecnologica Romana nasce da un’interessante prospettiva museografica: nel 1932, con lungimiranza rispetto ai tempi, Amedeo Maiuri costituì al Museo una Sezione di tecnologia e meccanica antica. Il progetto scientifico odierno, dunque, non può che prendere le mosse da questo innovativo archetipo novecentesco, ampliandolo non solo con nuovi materiali, ma anche con modelli realizzati ad hoc e apparati multimediali. Filo conduttore della sezione è l’approccio empirico che, tipico dei musei della scienza, riesce ad “attualizzare” la percezione del mondo antico. Questo nuovo allestimento nasce in partnership con il museo Galileo di Firenze, specializzato in ricerca e didattica nel campo della storia della scienza e della tecnica, rinnovando così un legame di lunga tradizione: già nella mostra di Storia della scienza tenutasi a Firenze nel 1929, la Campania era rappresentata proprio dai materiali e dalle macchine del museo Archeologico nazionale di Napoli.

“Come è noto, ben poco delle conquiste dell’arte del mondo antico sarebbe stato possibile senza una corretta padronanza delle tecnologie”, ricorda il direttore del Mann, Paolo Giulierini, “basti pensare ad esempio al processo di costruzione di un tempio, dalla cavatura delle pietre fino all’innalzamento delle colonne. Le straordinarie scoperte di Pompei hanno accelerato sempre di più tale processo di ricongiungimento tra musei d’arte e musei tecnologici, perché (caso unico insieme al mondo egizio) hanno restituito tutti oggetti della vita quotidiana che, quando conosciuti, nel passato erano stati tenuti in disparte, in oscuri depositi. Ne è conseguita spesso un’idea falsata della società antica. In realtà – continua Giulierini – già Amedeo Maiuri intorno agli anni Trenta del Novecento ebbe la felice intuizione di dar vita ad una Sezione Tecnologica nel Braccio Nuovo del Museo, poi dismessa, dedicata a settori delle scienze e delle discipline applicate, dall’idraulica, all’agricoltura, all’astronomia. Oggi il Mann, cosciente che la società antica non può essere raccontata senza ristabilire tale connubio, che la rende, tra l’altro, molto più vicina a quella attuale, ha avviato il progetto di rinnovo, riallestimento e ammodernamento di quella che fu la dismessa sezione tecnologica, affidandosi ad una collaborazione con il museo Galileo, già avviata sin dai tempi della mostra “Homo Faber” (1999), dedicata alle conoscenze scientifiche in area vesuviana. D’altra parte – conclude -, Il Museo ha intrapreso un percorso di narrazione dei contenuti museali con l’ausilio delle tecnologie, e soprattutto del digitale, per conseguire gli obiettivi previsti dai nostri due Piani strategici, in linea con la Convenzione di Faro e i 17 obiettivi dell’agenda Unesco 2030”.


Rubinetto con chiave ad anello nella Sezione Tecnologica Romana al Mann (foto mann)
Il progetto scientifico del Mann e del museo Galileo parte dall’osservazione dei quattro elementi della natura (aria, acqua, terra e fuoco), raccontandone le attività umane correlate. Uno sguardo alla volta celeste dà l’input per parlare di astronomia e misura del tempo, così come i cicli produttivi di olio, pane e vino forniscono la straordinaria occasione per esporre macchinari antichi. Tra questi, le macine, che appartengono alle collezioni del Mann, saranno poste insieme a tutti gli strumenti utilizzati per coltivare, misurare la terra, pesare e conservare le derrate alimentari. Troveranno dunque spazio nell’allestimento la celebre groma dalla bottega di Verus, gli attrezzi di uso comune (rastrelli, zappe, vanghe, forche) e, ancora, gli strumenti per progettare e costruire (squadre, compassi, fili a piombo, calibri, martelli, scalpelli). Una sezione a parte sarà dedicata alle tecnologie idrauliche, che permettevano la regimazione delle acque a livello cittadino e il rifornimento delle singole abitazioni. Ne sono un esempio le grandi valvole idrauliche rivenute a Pompei, le fistule in piombo, le chiavi, i rubinetti, le bocche di fontana, le vasche da bagno in bronzo. Lenti, prismi, globi ustori rappresenteranno, invece, la versatile applicazione del vetro, delineandone il rapporto con la luce e il fuoco.

Il percorso espositivo si articolerà su diversi livelli di comunicazione: i materiali antichi di età romana, per la maggior parte di area vesuviana e selezionati dai depositi (dagli affreschi alle meridiane, dai pesi in bronzo a quelli in pietra, dalle bilance alle misure campione), saranno messi in dialogo con le ricostruzioni moderne dei principali macchinari antichi. In allestimento, vi saranno anche video esplicativi che illustrano la funzione degli strumenti tecnologici di epoca romana. Tra le riproduzioni, da menzionare la gru calcatoria, la vite di Archimede e la ruota idraulica. In quest’ultimo caso, il modello sarà affiancato ad un reperto eccezionale: il calco di ruota idraulica rivenuto nei pressi di Venafro nell’alveo del fiume Triverno ai primi del Novecento e, da allora, conservato al Museo. La Sezione Tecnologica Romana avrà una sorta di “anteprima espositiva” nel Giardino della Vanella: qui sarà riallestita la peschiera che Maiuri realizzò negli anni Trenta come riproduzione in scala ridotta di un modello presente in una villa romana di Formia.

Museo Galileo – Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze. Le straordinarie collezioni del museo Galileo, tra le più importanti del mondo, comprendono circa cinquemila strumenti scientifici e apparati sperimentali databili dal secolo XI al XIX, suddivisi in due nuclei principali: collezione Medicea e collezione Lorenese. Delle raccolte fanno parte gli unici due telescopi di Galileo giunti fino a noi. L’Istituto, attivo dal 1927 nel campo della ricerca e della documentazione sulla storia delle scienze e della tecnologia, mette a disposizione degli studiosi le ingenti risorse della sua biblioteca e del proprio ricchissimo sito internet. Partecipa a innovativi progetti di ricerca in collaborazione con prestigiose istituzioni internazionali, tra cui le Gallerie degli Uffizi, il museo Archeologico nazionale di Napoli, il parco archeologico del Colosseo, l’Accademia dei Lincei, l’Istituto di Storia dell’Europa Mediterranea-CNR, la Reale Accademia delle Scienze di Svezia, gli istituti della Max-Planck-Gesellschaft e la Harvard University.
Napoli. Altri tre video per la rubrica “I Gladiatori ti aspettano al Mann” sui social del museo Archeologico nazionale: Silvia Neri su Gladiatorimania, Francesca Pavese su graffiti e colori della grafica, Andrea Mandara sull’allestimento

Altri tre video della rubrica “I Gladiatori ti aspettano al Mann” proposta sui canali social del museo Archeologico nazionale di Napoli per illustrare la mostra aperta nel Salone della Meridiana e nel Braccio nuovo fino al 6 gennaio 2022.
Nel terzo appuntamento l’architetto Silvia Neri, progettista della sezione “Gladiatorimania”, ci porta alla scoperta degli ambienti dedicati ai bambini, ai ragazzi e ai loro genitori. “Ci troviamo nella sezione Gladiatorimania nel braccio nuovo del museo”, spiega Silvia Neri. “È una sezione un po’ particolare perché parla di quella che è stata ed è tutt’oggi la fortuna dei gladiatori. Quindi è una naturale evoluzione della mostra archeologica che si sviluppa attraverso alcuni elementi guida che sono individuati in particolare nella grafica. Infatti gli elementi guida della mostra archeologica sono i graffiti che pendono dal soffitto della Meridiana, mentre qui l’evoluzione naturale sono i fumetti della Comics che ci accompagnano per tutta la visita della sezione. Nella mostra vengono esposti pezzi molto particolari: si passa dalla riproduzione di armature, di elmi, la maggior parte dei quali è conservata al Mann, a riproduzione di armi attraverso le Lego, attraverso le Playmobil; a scene di vita quotidiana dei gladiatori attraverso la realizzazione di diorami, nonché di focus su alcuni aspetti particolari come ad esempio l’alimentazione non dei gladiatori per se stessa ma dei moderni gladiatori ovvero degli atleti. Fino ad arrivare a quella che è l’alimentazione del pubblico, cioè tutto quel sistema di bancarelle, venditori ambulanti, che è presente adesso lungo la strada che conduce agli stadi, ma era presente anche un tempo tutto attorno e lungo la strada che portava poi all’arena in cui si scontravano i gladiatori. Ma non solo. Si parla anche di riproduzioni tridimensionali di elmi, e quindi possibili da visionare in tutti i loro particolari, fino ad arrivare alla cura vera e propria dei gladiatori, quindi alla cura della ferite dei gladiatori con la riproduzione di strumenti medici, e un focus particolare su Galeno, su quello che era considerato il medico dell’antichità, uno dei primi, e in particolare il medico dei gladiatori. Terminiamo questo percorso della mostra con dei focus sui moderni gladiatori e le riproduzioni di opere sempre con la Lego legate al mondo stesso dei gladiatori, fino ad arrivare al contemporaneo con tutto quello che è stato ispirato dalla figura dei gladiatori, quindi cartoni animati, carte gioco che vanno tanto di moda adesso per i ragazzi, e creando così un insieme di elementi che catturano non soltanto i bambini ma affascinano anche gli adulti. Forse perché li mettono nella condizione per capire in maniera molto più semplice molto più concreta, proprio perché legata alla realtà, quella che era la figura del gladiatore”.
Nel quarto appuntamento Francesca Pavese, grafica di mostra ed immagine di comunicazione, racconta colori e disegni nell’allestimento della grande esposizione. “I teli rappresentano un elemento molto importante dell’allestimento. Sono 14 teli, larghi un metro e mezzo e alti 13 metri, e sono tutti di colori diversi campionati dai colori degli affreschi, e vengono accostati in maniera molto creativa e anche molto contrastante con delle sfumature. Rappresentano i graffiti della città di Pompei, fatti dagli abitanti della città che rappresentavano i combattimenti gladiatori, i personaggi, chi organizzava, gli allenatori, e raccontavano chi vinceva e chi perdeva. Sono graffiti che potrebbero ricordare i fumetti contemporanei. Sono di una vivacità straordinaria, una sintesi grafica fortissima, e si può vedere che molti rappresentano i gladiatori ma anche molti che rappresentano le fiere che venivano coinvolte in queste competizioni. Questi “fumetti del passato”, chiamiamoli così, si collegano alla seconda parte della mostra, la Gladiatorimania, dove si confronteranno con le illustrazioni del presente in maniera straordinaria”.
Nel quinto appuntamento Andrea Mandara, che ha curato il progetto di allestimento della grande mostra, ci fa apprezzare le soluzioni adottate. “Siamo nel cuore del museo, il gran salone della Meridiana. La mostra quindi all’interno di questo salone respira l’aria della bellezza del salone. L’allestimento ha interpretato il tema dei giochi gladiatori all’interno della sala delle feste, della bellezza del museo. La sala in cui vediamo la meridiana, e quindi tutto l’allestimento gira intorno a questa volontà, con queste forme curve, di poter dare idea della logica degli anfiteatri, della geometria degli anfiteatri, che sono curve che si rincorrono tra di loro, e comunque rispettano lo spazio, il volume dell’ambiente della Meridiana, che si qualifica ancora di più con la presenza di questi grandi stendardi che danno respiro, danno anche forza allo sguardo sulla profondità, sull’ampiezza del luogo nel quale ci troviamo. Tutte le curve unite accolgono le opere, accolgono anche questa magnificenza delle armi gladiatorie, dove in particolare in un punto centrale dell’esposizione abbiamo la presenza di questo grande patrimonio del museo che è allestito come se fosse la vera e propria palestra dei gladiatori, e quindi tutte le armi gladiatorie trovano posto all’interno di questo rincorrersi di curve e della storia di questi giochi gladiatori che raccontiamo in mostra”.
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