Roma, Percorsi fuori dal PArCo. Nel sesto appuntamento, il viaggio parte ancora una volta dal Palatino per giungere al museo Archeologico nazionale e Grotta di Tiberio a Sperlonga, alla scoperta – seguendo il Palladio – del mito delle origini di Roma, legato all’arrivo di Enea nel Lazio

Sesto appuntamento col progetto “Percorsi fuori dal PArCo – Distanti ma uniti dalla storia” che vuole portare i cittadini romani e tutti i visitatori a scoprire i legami profondi e ricchi di interesse, ma non sempre valorizzati, tra i monumenti del Parco e quelli del territorio circostante, raccontando, con testi e immagini, il nesso antico che unisce la storia di un monumento o di un reperto del parco archeologico del Colosseo con un suo “gemello”, situato nel Lazio. Dopo aver raggiunto il Comune di Cori (tempio dei Dioscuri), il parco archeologico di Ostia Antica (tempio della Magna Mater), Prima Porta (villa di Livia Drusilla), il parco archeologico dell’Appia Antica (tenuta di Santa Maria Nova), piazza Navona (stadio di Domiziano) il viaggio virtuale – ma ricco di spunti per organizzare visite reali – promosso dal parco archeologico del Colosseo riparte ancora dal Palatino, precisamente dal museo Palatino, dove si conserva il Palladio, per giungere, dopo un viaggio di quasi 130 chilometri, alla villa di Tiberio a Sperlonga (Lt).

Il museo Palatino è il luogo in cui si conserva il Palladio, l’oggetto protagonista di questo itinerario che ci porta a quasi 130 chilometri da Roma. Ma le caratteristiche dell’opera in questione ci spingono altrove, nel Mediterraneo orientale: ci sono invisibili fili che grazie a esso collegano il Palatino a Troia. C’è una tradizione che lega in modo indissolubile la storia di Roma al mito greco: l’arrivo di Enea, fuggito da Troia, in Italia e il suo ruolo di progenitore dei romani. Tra le numerose versioni del mito, Dionigi di Alicarnasso narra che fu proprio Enea a portare in Italia il Palladio, l’immagine sacra di Pallade Atena venerata dai Troiani e considerata il pegno per la difesa della città; altre tradizioni narrano invece che furono Ulisse e Diomede a sottrarre il Palladio e a portarlo in occidente.


Il profilo del Palladio Palatino mostra la presenza dell’elmo di Atena (foto PArCo)
“Il Palladio, in origine una statua lignea (in greco xoanòn)”, raccontano gli archeologi del PArCo, “era fortemente simbolico anche per i Romani, tanto che il primo imperatore, Augusto, lo conservava nel tempio di Vesta dove, assieme al fuoco sacro, garantiva la salvezza della città. L’imperatore aveva istituito il culto di Vesta anche sul Palatino e alcuni studiosi sostengono che il Palladio fu trasportato in questo secondo tempio, o duplicato per avere due simulacri, uno per ogni tempio. Questa seconda ipotesi è però meno sostenuta. Del Palladio oggi al museo Palatino, probabilmente una copia in marmo della mitica statua lignea, si conserva solo un frammento del volto: ma anche così è evidente la forte influenza orientale dell’opera, che dovette essere realizzata tra il tardo arcaismo e la prima età severa (VI-V sec a.C.). L’occhio a mandorla della dea Atena mostra un disegno delicato; il sopracciglio è allungato, lo zigomo pronunciato, e la chioma ordinata disposta attorno al viso scende sulle tempie e copre parte dell’orecchio, che presenta un forellino per l’inserimento di un orecchino”.


Ciò che rimane del gruppo scultoreo del Ratto del Palladio conservato al museo di Sperlonga. A sinistra la testa di Diomede e parte del braccio che regge il Palladio. Sulla destra la statua di Ulisse, acefala; la testa è stata rinvenuta ed è esposta nello stesso Museo ma in un altro ambiente (foto PArCo)
Ma esiste una seconda raffigurazione del Palladio tra le sculture antiche del Lazio, fanno sapere gli archeologi del PArCo: “Nel 1957, durante la realizzazione della nuova via Flacca, a poche centinaia di metri dalla cittadina di Sperlonga, i costruttori s’imbatterono in una serie di resti archeologici, che furono presto identificati con la villa di Tiberio, più volte citata dalle fonti antiche ma la cui collocazione era sconosciuta. Durante gli scavi furono rinvenuti dei gruppi scultorei che narrano alcuni episodi delle gesta di Ulisse. Le sculture, tutte di pregevole valore artistico (quello di Scilla riporta le firme di tre scultori rodii, che sono ritenuti autori anche del Laocoonte dei musei Vaticani), erano in antico collocate in un teatro naturale costituito da una grotta resa ancor più suggestiva da una serie di accorgimenti decorativi”.

“Il gruppo del Ratto del Palladio – continuano – narra uno degli episodi che incisero sull’esito finale della guerra di Troia, ossia proprio il momento in cui l’immagine sacra di Pallade Atena viene rubata da Ulisse e Diomede, privando così Troia della sua protezione divina. La composizione conservata al museo Archeologico nazionale di Sperlonga immortala uno degli istanti più significativi della narrazione, ossia il balenare degli occhi e il vibrare della lancia, segni tramite i quali il Palladio rivela sé stesso, e impedisce ad Ulisse, che nasconde la spada nel mantello avvolto intorno al braccio, già pronto a sguainarla, la realizzazione del suo piano -dettato dall’invidia- di colpire alle spalle l’amico Diomede e di presentarsi ai Greci come portatore del Palladio”.

Il museo Archeologico nazionale di Sperlonga e Grotta di Tiberio si possono visitare dal giovedì alla domenica, dalle 8.30 alle 19.30 (ultimo ingresso alle 19). L’area archeologica: dal giovedì alla domenica, dalle 8.30 alle 16 (invernale), dalle 8.30 alle 19 (estivo). Biglietto: intero 5 euro, agevolato 2 euro (dai 18 ai 25 anni), fatte salve le agevolazioni previste dal regolamento di ingresso ai luoghi della cultura italiani, consultabili nel sito web del ministero della Cultura.
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