Roma, Percorsi fuori dal PArCo. Nel quindicesimo e ultimo appuntamento il viaggio parte dal Tempio dei Dioscuri, al Foro Romano, e arriva sulla via Appia, seguendo la famiglia dei Metelli

I “Percorsi fuori dal PArCo” sono giunti all’ultima tappa. È stato un lungo viaggio ideale proposto dal parco archeologico del Colosseo che ci ha dato la possibilità di scoprire monumenti e luoghi significativi per l’evoluzione della civiltà romana… e non solo! Siamo dunque al quindicesimo e ultimo appuntamento col progetto “Percorsi fuori dal PArCo – Distanti ma uniti dalla storia” che vuole portare i cittadini romani e tutti i visitatori a scoprire i legami profondi e ricchi di interesse, ma non sempre valorizzati, tra i monumenti del Parco e quelli del territorio circostante, raccontando, con testi e immagini, il nesso antico che unisce la storia di un monumento o di un reperto del parco archeologico del Colosseo con un suo “gemello”, situato nel Lazio. Dopo aver raggiunto il Comune di Cori (tempio dei Dioscuri), il parco archeologico di Ostia Antica (tempio della Magna Mater), Prima Porta (villa di Livia Drusilla), il parco archeologico dell’Appia Antica (tenuta di Santa Maria Nova), piazza Navona (stadio di Domiziano), villa di Tiberio a Sperlonga (Lt), Palazzo Barberini al Quirinale, il parco archeologico di Priverno (residenze private), il parco archeologico di Ostia Antica (Sinagoga), Santa Maria Maggiore a Ninfa (Lt), il complesso di Massenzio sulla via Appia, Palazzo Farnese a Caprarola (Vt), le gallerie nazionali Barberini Corsini, la loggia di Galatea nella Villa Farnesina, il viaggio virtuale – ma ricco di spunti per organizzare visite reali – promosso dal parco archeologico del Colosseo riparte ancora una volta dal Foro Romano, esattamente come nella prima tappa dello scorso aprile, dal Tempio dei Castori, per giungere sulla via Appia, seguendo la famiglia dei Metelli.

“La storia è formata da luoghi, da eventi ma anche da persone”, spiegano gli archeologi del Parco archeologico del Colosseo. “Per questo vogliamo concludere questo ciclo parlando di una delle famiglie più importanti della Roma repubblicana: i Metelli. La famiglia romana della gens Caecilia diede alla vita militare e politica romana numerosi esponenti protagonisti di avvenimenti importanti. Lucio Cecilio nel 250 a.C. riportò una vittoria significativa contro i Cartaginesi a Panormo. Quinto Cecilio Macedonico combatté la quarta guerra macedonica e ridusse la Macedonia a provincia romana nel 146 a.C. Inoltre, dopo il grandioso successo riportato, commissionò la Porticus Metelli, oggi meglio conosciuta come Portico di Ottavia dal nome della sorella di Augusto a cui fu dedicata dopo il restauro da parte del princeps”.

“La grandiosa costruzione rappresentava una novità assoluta nel panorama romano”, continuano gli archeologi del PArCo, “e riprendeva il modello della stoà greca, divenendo contenitore di opere d’arte di eccezione. Vogliamo ricordare infine Lucio Cecilio Metello Dalmatico, console dal 119 a.C., che prese il suo cognomen dalle vittorie riportate sui Dalmati. Con il bottino di guerra, nel 117 a.C., finanziò uno dei primi restauri del Tempio dei Castori nel Foro Romano, dandogli la struttura che ancora oggi possiamo in parte osservare”.

La famiglia dei Metelli restaurò ed eresse nuovi monumenti anche fuori dall’Urbe: “Uno dei più emblematici”, ricordano gli archeologi del PArCo, “è il Mausoleo di Cecilia Metella sulla Via Appia nel parco archeologico dell’Appia Antica che riveste grande importanza nell’ambito dell’architettura funeraria romana e testimonia il prestigio della famiglia dei committenti che potevano finanziare costruzioni simili sulla Regina Viarum. Il Mausoleo è uno degli edifici funerari più rappresentativi della via Appia Antica, vero e proprio monumento-simbolo che si staglia al III miglio della strada consolare. Si tratta di una tomba monumentale costruita fra il 30 e il 20 a.C. per ospitare le spoglie di Cecilia Metella, esponente dell’aristocrazia romana”.

“L’epigrafe, ancora visibile sulla parte alta del monumento”, sottolineano gli archeologi del PArCo, “ci svela che Cecilia era figlia del console Quinto Cecilio Metello, noto come ‘Cretico’ per aver conquistato l’isola di Creta. Il termine “Crassi” con cui si conclude l’iscrizione si riferisce al marito che era con ogni probabilità Marco Licino Crasso, distintosi al seguito di Cesare nella spedizione in Gallia tra il 57 e il 51 a.C. La tomba, che impressiona ancora oggi il viaggiatore per la sua imponenza ed eleganza, era un omaggio alla defunta ma anche e soprattutto una celebrazione delle glorie, delle ricchezze e del prestigio delle famiglie di appartenenza. Era costituita da un imponente cilindro, che si presenta ancora rivestito dalle originarie lastre di travertino, poggiante su un basamento a pianta quadrata di cui si conserva il solo nucleo cementizio in scaglie di selce. Sulla sommità del tamburo è un fregio marmoreo decorato con teste di bue e ghirlande di fiori e frutta da cui deriva il termine ‘Capo di Bove’ che a partire dal medioevo indica il monumento stesso e tutta la tenuta circostante”.

“Nel 1303, con l’aiuto di papa Bonifacio VIII, il mausoleo venne acquisito dalla famiglia Caetani e fortificato con un castrum formato da una cinta muraria, un palazzo e un torrione che si ergeva sulla mole della tomba romana. All’interno del villaggio fortificato – concludono – era anche la chiesa gotica di San Nicola, ancora oggi visibile di fronte al mausoleo”. Il Mausoleo di Cecilia Metella è in via Appia Antica 161. Aperto dal martedì alla domenica dalle 9 alle 19 con ultimo ingresso alle 18.30. Come arrivare: Metro A (Arco di Travertino) e poi autobus 660 oppure 118. Ingresso con La Mia Appia Card. Per sapere di più sulle modalità di accesso: http://www.parcoarcheologicoappiaantica.it/…/prepara…/
Roma, Percorsi fuori dal PArCo. Nell’undicesimo appuntamento, il viaggio parte dalla Basilica di Massenzio, sulla Velia, e giunge sulla via Appia seguendo le orme dell’imperatore

Undicesimo appuntamento col progetto “Percorsi fuori dal PArCo – Distanti ma uniti dalla storia” che vuole portare i cittadini romani e tutti i visitatori a scoprire i legami profondi e ricchi di interesse, ma non sempre valorizzati, tra i monumenti del Parco e quelli del territorio circostante, raccontando, con testi e immagini, il nesso antico che unisce la storia di un monumento o di un reperto del parco archeologico del Colosseo con un suo “gemello”, situato nel Lazio. Dopo aver raggiunto il Comune di Cori (tempio dei Dioscuri), il parco archeologico di Ostia Antica (tempio della Magna Mater), Prima Porta (villa di Livia Drusilla), il parco archeologico dell’Appia Antica (tenuta di Santa Maria Nova), piazza Navona (stadio di Domiziano), villa di Tiberio a Sperlonga (Lt), Palazzo Barberini al Quirinale, il parco archeologico di Priverno (residenze private), il parco archeologico di Ostia Antica (Sinagoga), Santa Maria Maggiore a Ninfa (Lt), il viaggio virtuale – ma ricco di spunti per organizzare visite reali – promosso dal parco archeologico del Colosseo riparte dalla Velia, nelle immediate vicinanze del Foro Romano, più precisamente dalla Basilica di Massenzio, per giungere, seguendo le orme dell’imperatore, sulla via Appia.

Dopo aver visitato monumenti pubblici, ricche abitazioni private e chiese antiche il parco archeologico del Colosseo oggi ci porta in uno dei più grandiosi edifici della Roma imperiale: la Basilica di Massenzio. “Iniziata dall’imperatore Massenzio all’inizio del IV sec d.C.”, raccontano gli archeologi del PArCo, “la Basilica fu costruita sul luogo precedentemente occupato dagli Horrea Piperataria, realizzati durante l’età flavia, che furono magazzini del pepe e delle spezie ma anche delle droghe e medicine: sappiamo infatti che in quest’area si concentravano gli studi di famosi medici come Galeno e Arcagato”.

Della Basilica di Massenzio oggi si conserva solo la navata settentrionale, ma è sufficiente per avere un’idea della maestosità dell’edificio originario, che copriva un’area di 100×65 metri e raggiungeva 35 metri di altezza. “La copertura centrale”, spiegano gli archeologi del PArCo, “doveva essere costituita da tre immense volte a crociera rette da colonne in marmo proconnesio (l’unica superstite fu collocata nella piazza di Santa Maria Maggiore per volontà di Papa Paolo V nel 1613). Dopo la morte di Massenzio la Basilica fu completata da Costantino, e i frammenti di una statua colossale di Costantino, oggi conservati nel cortile del Palazzo dei Conservatori, furono ritrovati all’interno dell’edificio nel 1478. La sola testa della statua, che probabilmente in origine raffigurava Massenzio e che fu poi rilavorata, ha un’altezza di 2,60 metri”.

“La basilica fu sede di istituzioni importanti”, continuano gli archeologi del PArCo, “e diventò quasi l’organo unitario di tutta l’amministrazione della città. La posizione elevata, sulla Velia (e non nel Foro come le precedenti basiliche), si lega a quella della Prefettura urbana che in età tardo-antica occupava l’area retrostante alla basilica stessa. Le trasformazioni di fine IV sec d.C., come la costruzione della nuova abside settentrionale, testimoniano indirettamente anche il cambiamento che ci fu nelle procedure amministrative: i processi non erano più pubblici ma riservati ormai solo ai senatori; era quindi sorta l’esigenza di avere aule appartate, dove potevano riunirsi pochi partecipanti”.

“Massenzio”, ricordano gli archeologi del PArCo, “fu straordinario committente di questa opera per uso pubblico nel centro della Roma antica ma, come tutti i suoi predecessori, per godere di un po’ di tranquillità fuori città fece costruire una splendida residenza privata in un’area suburbana, tra il II e il III miglio della via Appia. Il complesso era costituito da tre edifici principali: il palazzo, il circo e il mausoleo dinastico”.

Il palazzo, dai cui resti svetta l’abside dell’Aula Palatina, sorgeva su un’altura già occupata nel II sec. a.C. da una villa rustica, poi trasformata nel II secolo d. C. dal retore greco Erode Attico, che la inglobò nel Pago Triopio.

“Il monumento più noto del complesso”, spiegano gli archeologi del PArCo, “è il circo, ancora ben conservato in tutte le sue componenti architettoniche. Esso si sviluppa per una lunghezza di m 512, con una spina (m 296) centrale ornata da vasche e sculture; al centro si ergeva l’obelisco in granito trasportato nel 1650 in piazza Navona per decorare la Fontana dei Fiumi di Bernini”.

Il mausoleo dinastico, di forma circolare, è noto come “Tomba di Romolo” dal nome del figlio dell’imperatore morto tragicamente nel 309 d.C. “Chiuso in un quadriportico coperto in origine da volte a crociera”, descrivono gli archeologi del PArCo, “il sepolcro è a pianta circolare ed era preceduto da un accesso monumentale. Della costruzione, che si sviluppava su due livelli, si conserva solo la cripta mentre al posto del pronao d’ingresso è oggi la palazzina Torlonia, trasformazione di un precedente casale agricolo settecentesco. Agli inizi dell’Ottocento l’area venne infatti acquisita dalla famiglia Torlonia e annessa alla vasta tenuta della Caffarella; nel 1825 ebbero inizio gli scavi sistematici del complesso”.

Informazioni per la visita: sovrintendenza Capitolina ai Beni culturali – Villa di Massenzio, via Appia Antica 153. Ingresso gratuito dal martedì alla domenica (ore 10-16); la biglietteria chiude mezz’ora prima. Chiuso il lunedì, 1° gennaio, 1° maggio e 25 dicembre. Informazioni su www.villadimassenzio.it e allo 060608.
Roma, Percorsi fuori dal PArCo. Nel decimo appuntamento, il viaggio parte dal Santa Maria Antiqua al Foro Romano, simbolo della cristianizzazione di Roma, e giunge a Santa Maria Maggiore nell’antica città di Ninfa (Lt)

Decimo appuntamento col progetto “Percorsi fuori dal PArCo – Distanti ma uniti dalla storia” che vuole portare i cittadini romani e tutti i visitatori a scoprire i legami profondi e ricchi di interesse, ma non sempre valorizzati, tra i monumenti del Parco e quelli del territorio circostante, raccontando, con testi e immagini, il nesso antico che unisce la storia di un monumento o di un reperto del parco archeologico del Colosseo con un suo “gemello”, situato nel Lazio. Dopo aver raggiunto il Comune di Cori (tempio dei Dioscuri), il parco archeologico di Ostia Antica (tempio della Magna Mater), Prima Porta (villa di Livia Drusilla), il parco archeologico dell’Appia Antica (tenuta di Santa Maria Nova), piazza Navona (stadio di Domiziano), villa di Tiberio a Sperlonga (Lt), Palazzo Barberini al Quirinale, il parco archeologico di Priverno (residenze private), il parco archeologico di Ostia Antica (Sinagoga), il viaggio virtuale – ma ricco di spunti per organizzare visite reali – promosso dal parco archeologico del Colosseo riparte dal Foro Romano, più precisamente da uno dei luoghi simbolo della cristianizzazione di Roma, Santa Maria Antiqua (“antiqua” perché nel IX sec. d.C. un terremoto la distrusse e fu quindi sostituita dalla “nova” chiesa monumentale, non lontano dall’Anfiteatro Flavio), per giungere a Santa Maria Maggiore nell’antica città di Ninfa, nel Comune di Cisterna di Latina.


Acquerello del 1702 allegato al “Diario di Francesco Valesio” (da De Grüneisen 1911) raffigurante la parete absidale di Santa Maria Antiqua: si vede la parete oggi conosciuta come parete-palinsesto mostrava un solo strato di pitture, probabilmente l’ultimo realizzato al tempo di Giovanni VII (705-707 d.C.) (foto da: Santa Maria Antiqua al Foro Romano, cento anni dopo. Atti del colloquio internazionale, Roma 5-6 maggio 2000 Campisano editore, 2004)
Santa Maria Antiqua fu costruita alla metà del VI sec d.C. sfruttando strutture esistenti di età imperiale; la chiesa è preziosa soprattutto per il suo complesso di pitture, databili tra il VI e il IX sec d.C. Considerata un manifesto dell’ellenismo di Bisanzio, la decorazione pittorica permette di comprendere l’evoluzione della pittura tra la tarda antichità e il medioevo. Tutto questo è testimoniato, in particolar modo, dalla parete palinsesto, a destra dell’abside, che conserva tracce di diversi strati di pitture sovrapposti.

“Il primo strato, quindi l’immagine più antica”, spiegano gli archeologi del PArCo, “risale alla prima metà del VI sec d.C. e raffigura Maria regina con Bambino e angelo, dipinta subito dopo la conquista bizantina della città. Del periodo successivo si conserva un’Annunciazione di cui rimane solo il volto della Vergine e la figura del cosiddetto Angelo “bello” realizzato dalla mano di un artista raffinato a testimonianza del breve periodo felice in cui la chiesa divenne palatina (565-578 d.C.). Il terzo strato permette di riconoscere due Santi identificati come Basilio e Giovanni e fu realizzato sicuramente dopo il 649 d.C. Nel quarto ed ultimo strato è riconoscibile parte di uno dei Padri della Chiesa, Gregorio Nazianzeno, raffigurato con San Basilio (705-707 d.C.)”.


Santa Maria Antiqua nel Foro Romano: Cappella di Teodoto, particolare della Crocifissione, che testimonia il passaggio dalla pittura con influenze costantinopolitane di ascendenza tardo-ellenistica all’utilizzo di forme e figure rese in maniera semplice ed efficace (foto PArCo)
“Le pareti della chiesa – continuano gli archeologi del PArCo – verranno arricchite man mano da nuovi affreschi; la navata a sinistra dell’ingresso, per esprimere in maniera inequivocabile la fede verso la Chiesa di Roma, fu affrescata con Santi della chiesa greca e latina, con Cristo al centro e in alto scene del Vecchio Testamento (757-767 d.C.). A sinistra del presbiterio ancora oggi si può ammirare la splendida e colorata cappella di Teodoto, databile al 741-782 d.C. dove le immagini sacre rivestono ancora un ruolo fondamentale mentre a Bisanzio erano già state cancellate dall’iconoclastia . A destra del presbiterio, la Cappella dei Santi Medici fa parte della campagna decorativa promossa da Giovanni VII nel 705-707 d.C.”.

Ma c’è un’ altra chiesa, con lo stesso nome di Santa Maria e anch’essa con il passare dei secoli in parte crollata, che ha anche un forte legame con Roma e con Bisanzio, e che può ancora oggi svelare molto della sua storia: Santa Maria Maggiore nell’area dell’antica città di Ninfa (Cisterna di Latina). “Siamo più avanti sulla linea del tempo”, fanno presente gli archeologi del PArCo, “ma anche qui ci troviamo di fronte ad un contesto unico e straordinario: S. Maria Maggiore, costruita a partire dal X secolo, era il più importante edificio di culto dell’antica città di Ninfa. Situata in una posizione strategica, in corrispondenza di una delle quattro porte di accesso che si aprivano lungo la cinta muraria, ancora oggi si mostra con la sua imponenza e maestosità tra i ruderi del giardino. Fu proprio in questa chiesa che nel 1159 fu incoronato Papa, con il nome di Alessandro III, il cardinale Rolando Bandinelli che si era rifugiato a Ninfa, fuggendo dall’Imperatore Federico Barbarossa. Quest’ultimo, per vendetta saccheggiò la città con il suo esercito”.

Originariamente – ricordano gli archeologi – il corpo della Chiesa era costituito da tre navate scandite da pilastri a sezione quadrata, con un’unica abside affrescata, rivolta verso l’oriente e con un’ampia cripta, le cui tracce sono visibili ancora oggi. “È nel Trecento che viene realizzato il campanile addossato alla facciata, caratterizzato da bifore, cornici e da una decorazione diffusa in molte chiese di Roma. La navata centrale era coperta da un tetto ligneo a due falde, mentre le navate laterali presentavano volte in muratura”.

Santa Maria Maggiore a Ninfa: le tracce degli affreschi decorativi del catino absidale mostrano una figura, San Pietro, che regge le teste dei principi degli apostoli con accanto un santo domenicano (forse Tommaso d’Aquino) (foto Giardino di Ninfa)
A testimoniare la ricchezza del luogo, sono ancora visibili nel catino dell’abside due affreschi, uno dei quali raffigurante San Pietro, datati al 1160-1170 circa, eseguiti probabilmente in occasione del matrimonio della principessa bizantina Eudocia, di passaggio a Ninfa proprio in quegli anni. Le visite allo splendido Giardino di Ninfa, gestito dalla Fondazione Roffredo Caetani di Sermoneta Onlus, sono organizzate secondo un preciso calendario, disponibile sul sito https://www.giardinodininfa.eu.
Roma, Percorsi fuori dal PArCo. Nel nono appuntamento, il viaggio parte dall’Arco di Tito, alle pendici del Palatino, per giungere alla Sinagoga del parco archeologico di Ostia Antica, sulle tracce della Menorah, alla scoperta della presenza ebraica in antico nell’area di Roma

Nono appuntamento col progetto “Percorsi fuori dal PArCo – Distanti ma uniti dalla storia” che vuole portare i cittadini romani e tutti i visitatori a scoprire i legami profondi e ricchi di interesse, ma non sempre valorizzati, tra i monumenti del Parco e quelli del territorio circostante, raccontando, con testi e immagini, il nesso antico che unisce la storia di un monumento o di un reperto del parco archeologico del Colosseo con un suo “gemello”, situato nel Lazio. Dopo aver raggiunto il Comune di Cori (tempio dei Dioscuri), il parco archeologico di Ostia Antica (tempio della Magna Mater), Prima Porta (villa di Livia Drusilla), il parco archeologico dell’Appia Antica (tenuta di Santa Maria Nova), piazza Navona (stadio di Domiziano), villa di Tiberio a Sperlonga (Lt), Palazzo Barberini al Quirinale, il parco archeologico di Priverno (residenze private), il viaggio virtuale – ma ricco di spunti per organizzare visite reali – promosso dal parco archeologico del Colosseo riparte dalle pendici del Palatino, precisamente dall’Arco di Tito, e si arriva al parco archeologico di Ostia Antica, alla Sinagoga, sulle tracce della Menorah, alla scoperta della presenza ebraica in antico nell’area di Roma.

Costruito sul punto più alto della Via Sacra, l’Arco di Tito domina il paesaggio del Foro Romano: “Fu forse proprio la sua posizione – raccontano gli archeologi del PArCo – a far sì che nel Medioevo fosse incorporato nella fortezza costruita dalla famiglia Frangipane; fu poi parte del vicino convento di Santa Maria Nova, e solo tra il 1812 ed il 1824, grazie ai restauri di Raffaele Stern e Giuseppe Valadier, fu “liberato” assumendo l’aspetto attuale”.

“L’arco, ad un solo fornice – spiegano gli archeologi del PArCo -, fu dedicato all’imperatore Tito dopo la sua morte (unico tra gli archi trionfali superstiti ad essere dedicato ad un imperatore divinizzato), per commemorare la vittoria nella Guerra giudaica conclusasi drammaticamente nel 70 d.C. con il saccheggio di Gerusalemme e con la distruzione del Tempio da parte dell’esercito romano. Sono proprio questi avvenimenti ad essere illustrati sui rilievi all’interno dell’arco, che per struttura e decorazione costituisce una dei capolavori dell’arte romana: nella sua decorazione, infatti, sono per la prima volta vengono introdotti in un monumento ufficiale gli elementi stilistici dell’arte popolare”.


Copia del rilievo del fornice meridionale dell’arco di Tito con la rappresentazione della menorah e degli altri oggetti sacri portati via del tempio di Gerusalemme (foto PArCo)
“Nella volta, riccamente decorata a cassettoni, è raffigurata l’apoteosi dell’imperatore, portato in cielo da un’aquila. I due grandi rilievi sui lati interni del fornice rappresentano invece il trionfo di Tito: a Nord, Tito è sulla quadriga trionfale, incoronato dalla Vittoria; sul lato Sud, si vede invece il corteo che avanza verso la Porta Triumphalis: si distinguono gli oggetti saccheggiati al tempio di Gerusalemme, i vasi sacri, le trombe di argento e la menorah (il candelabro a sette braccia) che saranno poi esposti come “bottino di guerra” nel vicino Tempio della Pace. La fine della guerra giudaica, con l’imposizione del “Fiscus iudaicus”, la tassa da pagare al tempio di Giove Capitolino, segnò forse il momento di crisi più profonda tra la gerarchia imperiale e la numerosa ed influente comunità ebraica romana, considerata la più antica del mondo, stanziata a Roma probabilmente già dalla metà del II secolo a.C.”.

Ma una comunità ebraica numerosa doveva essere presente anche nella vicina Ostia Antica, come dimostra la scoperta della sinagoga, avvenuta nel 1961 durante i lavori di realizzazione della viabilità verso Fiumicino. L’edificio si impose subito all’attenzione degli archeologi per la sua monumentalità e per la sua lunga vita.

La sinagoga di Ostia Antica sorgeva lungo la via Severiana quasi in riva al mare, fuori dalla porta cittadina (in età romana la linea di costa era molto arretrata rispetto all’attuale): “Una posizione decentrata”, sottolineano gli archeologi del PArCo, “che si spiega con il voler mantenere la propria identità religiosa ben distinta dalla serie di culti che si svolgevano in città e ai quali erano dedicati tantissimi luoghi, sacelli, templi e aree sacre, in funzione delle specificità delle singole divinità. Inoltre, per gli Ebrei le spiagge del Mediterraneo erano considerate luoghi puri per fare abluzioni rituali. L’edificio di culto era orientato in direzione Est/Sud-Est: ovvero in direzione di Gerusalemme”.


La menorah raffigurata nell’edicola della sinagoga di Ostia (foto parco ostia antica)
“Considerata per lungo tempo la più antica sinagoga dell’Occidente mediterraneo, secondo le ultime interpretazioni essa si imposta su un edificio privato del I secolo d.C. che solo all’inizio del III secolo fu destinato a sinagoga. Gli interventi strutturali più importanti risalgono però al IV secolo d.C. quando il complesso fu ampliato anche con funzioni di ospitalità per viaggiatori ebrei e con la realizzazione all’interno dell’aula di culto di un’edicola nella quale erano conservati i rotoli della Legge, la Torah. L’edicola – concludono – era un piccolo spazio absidato e monumentalizzato con colonnine con mensole decorate con la rappresentazione della menorah (il calendario a 7 bracci) a bassorilievo a lato dell’ingresso”.
Roma, Percorsi fuori dal PArCo. Nell’ottavo appuntamento, il viaggio parte ancora una volta dal Palatino per giungere al parco archeologico di Privernum (Lt) alla scoperta delle sontuose case private dei romani

Ottavo appuntamento col progetto “Percorsi fuori dal PArCo – Distanti ma uniti dalla storia” che vuole portare i cittadini romani e tutti i visitatori a scoprire i legami profondi e ricchi di interesse, ma non sempre valorizzati, tra i monumenti del Parco e quelli del territorio circostante, raccontando, con testi e immagini, il nesso antico che unisce la storia di un monumento o di un reperto del parco archeologico del Colosseo con un suo “gemello”, situato nel Lazio. Dopo aver raggiunto il Comune di Cori (tempio dei Dioscuri), il parco archeologico di Ostia Antica (tempio della Magna Mater), Prima Porta (villa di Livia Drusilla), il parco archeologico dell’Appia Antica (tenuta di Santa Maria Nova), piazza Navona (stadio di Domiziano), villa di Tiberio a Sperlonga (Lt), Palazzo Barberini al Quirinale, il viaggio virtuale – ma ricco di spunti per organizzare visite reali – promosso dal parco archeologico del Colosseo riparte ancora dal Palatino, precisamente dalla Casa dei Grifi per scoprire l’edilizia privata che, prima dei palazzi imperiali, occupava questa zona esclusiva, ambita soprattutto per la sua vicinanza al Foro, centro religioso e commerciale della città. E si arriva a scoprire le residenze private conservate ancora oggi al parco archeologico di Privernum, in provincia di Latina.

“Siamo in età repubblicana”, spiegano gli archeologi del PArCo, “quando la classe dirigente romana si amplia e cresce di pari passo l’esigenza di arricchire anche le abitazioni. A una ricca famiglia aristocratica possiamo attribuire la proprietà della Casa dei Grifi, residenza privata su due piani disposti lungo il pendio della collina, con il superiore articolato intorno ad un atrio o peristilio”.

La Casa dei Grifi, scoperta agli inizi del XX secolo dall’archeologo Giacomo Boni, prende il nome da una lunetta decorata a stucco con la suggestiva rappresentazione di grifi in posizione araldica. Le strutture sono in opera incerta e, in una seconda fase, in opera reticolata. La decorazione è databile agli inizi del I secolo a.C. e le pitture sono tra le rare testimonianze del cosiddetto secondo stile iniziale a Roma.


Casa dei Grifi sul Palatino. Particolare delle pitture murali che decorano la stanza in cui si trova l’emblema (foto PArCo)
“I mosaici – continuano gli archeologi – sono di raffinata fattura, in particolare quello di un ambiente del piano terra, arricchito da un emblema con cubi prospettici inserito nel pavimento a mosaico di tessere bianche e nere. I cubi sono realizzati in materiali lapidei di colore bianco (palombino), verde (calcare marnoso del nord del Lazio) e nero (ardesia), mentre la cornice è in marmo rosso antico; lo stesso motivo ricorre anche nelle decorazioni pittoriche. Scomparse quasi del tutto dal Palatino con la costruzione dei palazzi imperiali, queste tipologie di abitazioni, che ripetono schemi abitativi di stampo ellenistico e si segnalano per le ricche decorazioni parietali e pavimentali, si conservano però ancora non solo a Pompei, ma anche in città del Lazio”.

Splendidi esempi ne troviamo a Privernum, colonia romana fondata verso l’inizio del I secolo a.C. nella valle dell’Amaseno, a poca distanza dal sito collinare dell’attuale Priverno (in provincia di Latina). La città, i cui resti sono oggi visibili nel parco archeologico di Privernum, fu forse non grande ma sicuramente ricca, e stupisce per la bellezza e l’alto livello decorativo delle pavimentazioni a mosaico delle sontuose abitazioni repubblicane, che appartennero di certo a esponenti dell’aristocrazia cittadina.

“Nella Domus della Soglia nilotica, ad esempio – spiegano ancora gli archeologi del PArCo -, “scopriamo un ricco repertorio geometrico e figurato che decorava ogni angolo della casa: dal lussuoso atrio corinzio, al tablino, al triclinio e alle raffinate stanze da letto. Nel cubicolo a due alcove ai lati dell’ingresso spicca un originale ‘tappeto’ impreziosito da un emblema esagonale a cubi prospettici, quasi identico a quello conservato nella Casa dei Grifi, incorniciato da una larga bordura bianca vivacizzata da una gran varietà di piccoli e serrati inserti di pietre colorate”.

Particolarmente preziosi sono gli esemplari figurati, oggi esposti al museo Archeologico di Priverno. “Una lunga soglia che si snoda come un nastro, per quasi cinque metri, a illustrare un paesaggio ambientato lungo il fiume Nilo, ornava l’ingresso principale del tablino. In primo piano e per tutta la lunghezza del fregio scorre il Nilo in piena: vi galleggiano imbarcazioni, vi nuotano gli animali che talvolta emergono a minacciarle e vi crescono varie piante palustri. In secondo piano una sequenza di mura, torri, ingressi monumentali e piccoli sacelli, fa da contorno a gustose ‘vignette’ animate da Pigmei”.

“In un emblema che originariamente decorava il triclinio – ricordano gli archeologi del PArCo -, è invece raffigurato il mito di Ganimede, il giovane pastorello che era ‘il più bello dei mortali’ e che fu rapito da Giove per essere trasportato sull’Olimpo dove divenne il coppiere degli dei”. Il parco archeologico di Privernum, in località Mezzagosto sulla via Carpinetana 609 (I traversa) a Priverno (Latina) è aperto il sabato, la domenica e nei festivi dalle 16 alle 20. La sede dei musei Archeologici di Priverno di Palazzo Antonelli è a Priverno in piazza Giovanni XIII, Priverno. È aperta dal mercoledì al venerdì dalle 10 alle 13; il sabato, la domenica e i festivi è visitabile dalle 10 alle 13 e dalle 16 alle 19. Info: 0773 912306.
Roma, Percorsi fuori dal PArCo. Nel sesto appuntamento, il viaggio parte ancora una volta dal Palatino per giungere al museo Archeologico nazionale e Grotta di Tiberio a Sperlonga, alla scoperta – seguendo il Palladio – del mito delle origini di Roma, legato all’arrivo di Enea nel Lazio

Sesto appuntamento col progetto “Percorsi fuori dal PArCo – Distanti ma uniti dalla storia” che vuole portare i cittadini romani e tutti i visitatori a scoprire i legami profondi e ricchi di interesse, ma non sempre valorizzati, tra i monumenti del Parco e quelli del territorio circostante, raccontando, con testi e immagini, il nesso antico che unisce la storia di un monumento o di un reperto del parco archeologico del Colosseo con un suo “gemello”, situato nel Lazio. Dopo aver raggiunto il Comune di Cori (tempio dei Dioscuri), il parco archeologico di Ostia Antica (tempio della Magna Mater), Prima Porta (villa di Livia Drusilla), il parco archeologico dell’Appia Antica (tenuta di Santa Maria Nova), piazza Navona (stadio di Domiziano) il viaggio virtuale – ma ricco di spunti per organizzare visite reali – promosso dal parco archeologico del Colosseo riparte ancora dal Palatino, precisamente dal museo Palatino, dove si conserva il Palladio, per giungere, dopo un viaggio di quasi 130 chilometri, alla villa di Tiberio a Sperlonga (Lt).

Il museo Palatino è il luogo in cui si conserva il Palladio, l’oggetto protagonista di questo itinerario che ci porta a quasi 130 chilometri da Roma. Ma le caratteristiche dell’opera in questione ci spingono altrove, nel Mediterraneo orientale: ci sono invisibili fili che grazie a esso collegano il Palatino a Troia. C’è una tradizione che lega in modo indissolubile la storia di Roma al mito greco: l’arrivo di Enea, fuggito da Troia, in Italia e il suo ruolo di progenitore dei romani. Tra le numerose versioni del mito, Dionigi di Alicarnasso narra che fu proprio Enea a portare in Italia il Palladio, l’immagine sacra di Pallade Atena venerata dai Troiani e considerata il pegno per la difesa della città; altre tradizioni narrano invece che furono Ulisse e Diomede a sottrarre il Palladio e a portarlo in occidente.


Il profilo del Palladio Palatino mostra la presenza dell’elmo di Atena (foto PArCo)
“Il Palladio, in origine una statua lignea (in greco xoanòn)”, raccontano gli archeologi del PArCo, “era fortemente simbolico anche per i Romani, tanto che il primo imperatore, Augusto, lo conservava nel tempio di Vesta dove, assieme al fuoco sacro, garantiva la salvezza della città. L’imperatore aveva istituito il culto di Vesta anche sul Palatino e alcuni studiosi sostengono che il Palladio fu trasportato in questo secondo tempio, o duplicato per avere due simulacri, uno per ogni tempio. Questa seconda ipotesi è però meno sostenuta. Del Palladio oggi al museo Palatino, probabilmente una copia in marmo della mitica statua lignea, si conserva solo un frammento del volto: ma anche così è evidente la forte influenza orientale dell’opera, che dovette essere realizzata tra il tardo arcaismo e la prima età severa (VI-V sec a.C.). L’occhio a mandorla della dea Atena mostra un disegno delicato; il sopracciglio è allungato, lo zigomo pronunciato, e la chioma ordinata disposta attorno al viso scende sulle tempie e copre parte dell’orecchio, che presenta un forellino per l’inserimento di un orecchino”.


Ciò che rimane del gruppo scultoreo del Ratto del Palladio conservato al museo di Sperlonga. A sinistra la testa di Diomede e parte del braccio che regge il Palladio. Sulla destra la statua di Ulisse, acefala; la testa è stata rinvenuta ed è esposta nello stesso Museo ma in un altro ambiente (foto PArCo)
Ma esiste una seconda raffigurazione del Palladio tra le sculture antiche del Lazio, fanno sapere gli archeologi del PArCo: “Nel 1957, durante la realizzazione della nuova via Flacca, a poche centinaia di metri dalla cittadina di Sperlonga, i costruttori s’imbatterono in una serie di resti archeologici, che furono presto identificati con la villa di Tiberio, più volte citata dalle fonti antiche ma la cui collocazione era sconosciuta. Durante gli scavi furono rinvenuti dei gruppi scultorei che narrano alcuni episodi delle gesta di Ulisse. Le sculture, tutte di pregevole valore artistico (quello di Scilla riporta le firme di tre scultori rodii, che sono ritenuti autori anche del Laocoonte dei musei Vaticani), erano in antico collocate in un teatro naturale costituito da una grotta resa ancor più suggestiva da una serie di accorgimenti decorativi”.

“Il gruppo del Ratto del Palladio – continuano – narra uno degli episodi che incisero sull’esito finale della guerra di Troia, ossia proprio il momento in cui l’immagine sacra di Pallade Atena viene rubata da Ulisse e Diomede, privando così Troia della sua protezione divina. La composizione conservata al museo Archeologico nazionale di Sperlonga immortala uno degli istanti più significativi della narrazione, ossia il balenare degli occhi e il vibrare della lancia, segni tramite i quali il Palladio rivela sé stesso, e impedisce ad Ulisse, che nasconde la spada nel mantello avvolto intorno al braccio, già pronto a sguainarla, la realizzazione del suo piano -dettato dall’invidia- di colpire alle spalle l’amico Diomede e di presentarsi ai Greci come portatore del Palladio”.

Il museo Archeologico nazionale di Sperlonga e Grotta di Tiberio si possono visitare dal giovedì alla domenica, dalle 8.30 alle 19.30 (ultimo ingresso alle 19). L’area archeologica: dal giovedì alla domenica, dalle 8.30 alle 16 (invernale), dalle 8.30 alle 19 (estivo). Biglietto: intero 5 euro, agevolato 2 euro (dai 18 ai 25 anni), fatte salve le agevolazioni previste dal regolamento di ingresso ai luoghi della cultura italiani, consultabili nel sito web del ministero della Cultura.
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