Paolo Matthiae, lo scopritore di Ebla, premiato a TourismA da dove lancia un grido di dolore per la Siria. E poi ammonisce: “L’archeologia del Vicino Oriente è finita. In futuro non sarà più coloniale”

Il prof. Paolo Matthiae, l'archeologo orientalista scopritore di Ebla, premiato da Piero Pruneti, direttore di Archeologia Viva

Il prof. Paolo Matthiae, l’archeologo orientalista scopritore di Ebla, premiato da Piero Pruneti, direttore di Archeologia Viva (foto Valerio Ricciardi, Roma)

“L’archeologia del Vicino Oriente così come l’abbiamo conosciuta e vissuta tutti noi è finita. Se e quando rinascerà sarà un’altra archeologia, e di certo non sarà più coloniale”. Paolo Matthiae, l’archeologo scopritore di Ebla, una vita per la conoscenza del mondo antico in un’area strategica come il Vicino Oriente e per l’insegnamento dell’Orientalistica, dalla platea privilegiata di TourismA, il primo salone internazionale dell’archeologia a Firenze dal 20 al 22 febbraio, lancia un grido d’allarme e un monito: un grido d’allarme per la situazione drammatica in cui sta precipitando la Siria, e un monito perché l’Occidente cambi la prospettiva di approccio con le culture altre rispetto all’Occidente. E non è un caso che proprio a TourismA il direttore di Arccheologia Viva, Piero Pruneti, abbia consegnato proprio a Matthiae il premio per la “Salvaguardia dell’eredità culturale”.

Effetti della guerra in Siria: la distruzione della moschea umayyade di Aleppo

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Sul grande schermo scorrono immagini di distruzione e di morte: Aleppo, Damasco, Raqqa. Testimonianze irripetibili dell’ingegno dell’uomo cadute sotto i colpi della furia cieca. “Cinquant’anni fa avevo un progetto (oggi si direbbe un sogno)”, ricorda Matthiae nell’introdurre il suo intervento su “Siria: tra ricerca archeologica e tragedia del patrimonio”. Quale sogno? “Riuscire ad ottenere una missione in Vicino Oriente per l’università La Sapienza che potesse competere con le prestigiose missioni dei grandi Paesi come Francia, Gran Bretagna, Germania, Stati Uniti. E poi speravo di avere una Scuola di Archeologia del Vicino Oriente. Ho avuto tutto: 47 anni di missione (a Ebla), 50 anni di insegnamento (alla Sapienza)”. Poi una considerazione amara: “Nel 1962, quando arrivai in Siria, non avrei mai immaginato che dopo mezzo secolo quel Paese sarebbe caduto nel baratro che noi oggi tutti conosciamo. Eppure i risultati sono davanti agli occhi di tutti. Nel 1962, in Siria erano attive non più i 7-8 missioni straniere: il Paese era marginale rispetto alle grandi missioni in Vicino Oriente. Ma una politica culturale lungimirante (che si è intrecciata con una altrettanto preziosa attività diplomatica) ha cambiato l’immagine e la valenza della Siria. Tanto che quando abbiamo lasciato la missione di Ebla nel 2010, la Siria poteva contare su una settantina di missioni archeologiche straniere che diventavano 140 se si contavano le missioni congiunte”. La Siria era ormai considerata a ragione il paradiso della ricerca archeologica orientalistica. “In questi anni, ripeto, le missioni archeologiche sono sempre state anche delle missioni diplomatiche, facendo dell’archeologia il ponte per il dialogo tra Stati diversi”.

Anche il sito di Ebla è a rischio: manca la manutenzione e ci sono scavi clandestini

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Poi, dal 2011, il buio. La crisi siriana pregiudica il futuro di gran parte del lavoro fatto dalle missioni archeologiche. Così anche a Ebla, proprio dove si stava per concretizzare il parco archeologico, la cui valenza – non solo di valorizzazione culturale, ma anche di promozione sociale – fu riconosciuta dallo stesso Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nella sua visita ufficiale in Siria, oggi possiamo solo registrare crolli per mancanza di manutenzione. “Ma soprattutto ci sarebbero degli scavi clandestini. La situazione è grave, anche se non sarebbe ancora gravissima. Ben diversa sarebbe se nel sito si installassero delle milizie, perché allora l’area sarebbe a rischio bombardamenti. E a quel punto potrebbe essere pregiudicato il futuro stesso di Ebla”.

Colpi di mortaio sul Krak dei Cavalieri, la più importante architettura crociata in Siria

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Cosa possiamo fare? “Non ci resta che continuare a far conoscere a più persone possibili questa drammatica situazione. E gli incontri di TourismA sono molto importanti in questo senso. Ma una cosa è certa: l’archeologia del Vicino Oriente che noi abbiamo conosciuto è finita. Se e quando rinascerà, non sarà più un’archeologia coloniale”. Tutto sta cambiando in un baratro senza fine. L’archeologia del Vicino Oriente tradizionale – ribadisce Matthiae, è finita. “Quella nuova dovrà cercare di ricostruire una cultura, una civiltà partendo dalle rovine di monumenti e città distrutte però dall’uomo e non dal tempo. Opere compromesse da una nuovissima barbarie che si scaglia non solo contro “l’altro” (fatto che si è verificato spesso nel corso della storia umana) ma anche contro la propria identità (che è quasi una novità)”. E conclude: “Nel futuro non prevarrà più la prospettiva dell’Occidente, ma una visione multilaterale. Oggi nell’interpretazione dell’archeologia non c’è un’identità locale. L’unico aspetto positivo che vedo del futuro è l’ampliarsi delle prospettive, l’abbandono della dittatura occidentale nell’interpretazione della storia. Si dovrà alimentare una molteplicità di visioni per rischiarare le tenebre dei nostri giorni”.

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3 risposte a “Paolo Matthiae, lo scopritore di Ebla, premiato a TourismA da dove lancia un grido di dolore per la Siria. E poi ammonisce: “L’archeologia del Vicino Oriente è finita. In futuro non sarà più coloniale””

  1. Paolo Renier dice :

    è veramente un grande disastro quello che sta succedendo, credo che il nostro compito in questo momento sia quello di tener viva l’importanza di questi martoriati siti con le nostre esperienze e testimonianze vissute nei periodi più tranquilli. grazie

  2. Italina Bacciga dice :

    È veramente un dolore a pensare che la Siria che ho visitato anche Ebla con il Sig Matthias venga Distrutta Italina

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