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L’appassionante racconto delle campagne archeologiche dell’antico Oriente da metà Ottocento a oggi rivive nell’incontro al museo Egizio di Torino con Paolo Matthiae che presenta il suo ultimo libro “Dalla terra alla storia. Scoperte leggendarie di archeologia orientale”

La maschera funeraria di Tutankhamon: uno dei tesori trovati da Carter e Carnarvon nella tomba del giovane faraone

La locandina dell’incontro con l’archeologo Paolo Matthiae al museo Egizio di Torino

L’archeologo Paolo Matthiae, lo scopritore di Ebla

L’appassionante racconto delle campagne archeologiche dell’antico Oriente da metà Ottocento a oggi, dalla decifrazione delle due scritture più antiche dell’umanità alle prime epiche imprese alla ricerca di Ninive, alle grandi scoperte nella Valle dei Re a Tebe, da Ebla, Qatna e Aleppo in Siria a Nimrud e Sippar in Mesopotamia, a Troia e Hattusa in Anatolia, ad Abido e Amarna in Egitto, fino a Gerusalemme in Palestina. Sarà un incontro particolarmente appassionante quello con Paolo Matthiae, il noto archeologo del Vicino Oriente, che mercoledì 20 marzo 2019, alle 12, nella sala conferenze del museo Egizio di Torino, nell’ambito del ciclo “Incontro con gli autori”, presenta il suo ultimo libro “Dalla terra alla storia. Scoperte leggendarie di archeologia orientale” (Einaudi). Come il titolo del volume fa intendere, Matthiae parte dalle evidenze archeologiche (e anche dalle fonti testuali) per ricostruire la storia culturale, politica ed economica dell’intera area vicino orientale: Anatolia, Siria, Mesopotamia e Levante, e anche l’Egitto. Il volume è suddiviso in dodici capitoli, ognuno dei quali è dedicato ad un sito chiave; la scelta di questi siti non è casuale, ma si tratta di luoghi che sono stati al centro di grandi scoperte archeologiche e continuano ad essere oggetto di nuove analisi e studi anche recenti. Tre siti sono egiziani, rispettivamente Abido, Avaris e Amarna, tre si trovano in Siria, Ebla, Qatna e Aleppo, due sono anatolici, Hattusa e Troia, uno è nel Levante, Gerusalemme, e tre si riferiscono all’area mesopotamica, Nimrud, Babilonia e Sippar. Ingresso libero in sala conferenze fino a esaurimento posti. Al termine della conferenza sarà possibile acquistare il libro “Dalla terra alla storia. Scoperte leggendarie di archeologia orientale” di Paolo Matthiae.

Il sito di Ebla in Siria: dal 2011, con lo stop alle missioni archeologiche a causa della guerra, non c’è più manutenzione. La città del III millennio a.C. si sta distruggendo

Miliziani dell’Is si accaniscono su un lamassu della città assira di Nimrud in Iraq

Il cosiddetto Grande diadema con pendenti dal Tesoro di Priamo, oggi al museo Puskin di Mosca

Dialogheranno con Paolo Matthiae il direttore Christian Greco, il prof. Stefano de Martino e la prof.ssa Clelia Mora. Paolo Matthiae è accademico dei Lincei, già professore di Archeologia e Storia dell’Arte del Vicino Oriente all’università di Roma “La Sapienza”. Dal 1963 ha diretto lo scavo nel sito siriano di Tell Mardikh, l’antica città di Ebla. Matthiae è autore di moltissimi volumi e saggi scientifici. Dopo le distruzioni operate dall’Isis in Siria e Iraq, Matthiae si è molto impegnato sul tema della protezione del patrimonio culturale in aree di guerra, pubblicando recentemente anche il volume “Distruzione, Saccheggi e Rinascite”, o organizzando mostre e convegni. Stefano de Martino è professore ordinario al dipartimento di Studi storici dell’università di Torino, dove insegna Ittitologia e Civiltà dell’Anatolia preclassica. È direttore scientifico del Centro Ricerche Archeologiche e Scavi di Torino per il Medio Oriente e l’Asia. È coordinatore del dottorato dell’università di Torino “Technology Driven Sciences: Technologies for the Cultural Heritage”. È autore di saggi e volumi sulla storia, la civiltà e la lingue degli Ittiti e dei Hurriti; fa parte del team internazionale che studia e pubblica le tavolette in lingua hurrita rinvenute nel sito di Ortaköy (Turchia). Clelia Mora è professore ordinario al dipartimento di Studi umanistici dell’università di Pavia, dove insegna Storia del Vicino Oriente antico e Storia, epigrafia e sistemi di scrittura nel Vicino Oriente antico. Dal 2000 al 2010 ha collaborato con la missione archeologica francese attiva a Terqa in Siria e dal 2010 è responsabile del Progetto Kinik Höyük, nell’ambito del quale sono condotte indagini archeologiche in Cappadocia in sinergia con la New York University.

Il famoso busto della regina Nefertiti, scoperto ad Amarna, conservato al Neues Museum di Berlino

Locandina della mostra sulle scoperte a Qatna, promossa dall’università di Udine a Homs (Siria)

La ricostruzione di Ninive in una stampa antica dà un’idea della magnificenza della capitale assira

Uno dei maggiori protagonisti dell’archeologia orientale rievoca origini, sviluppi e risultati delle più affascinanti imprese degli ultimi decenni. Sempre attento a rilevare, nel passaggio suggestivo dalla terra dello scavo all’interpretazione della storia, l’inestimabile contributo che le scoperte recano alla ricostruzione di un lontano passato fondamentale per lo sviluppo della civiltà umana, che vide il sorgere e l’affermarsi delle prime città, dei primi stati territoriali, dei primi imperi a vocazione universale nella storia mondiale. “Le scoperte rievocate e illustrate nelle pagine di questo libro hanno in comune alcune caratteristiche fondamentali. In primo luogo, sono il frutto, in modi certo diversi, di esplorazioni archeologiche sistematiche di lungo periodo. In secondo luogo, sono state realizzate, approssimativamente, nell’ultimo mezzo secolo. In terzo luogo, a un giudizio oggettivo e di nuovo in modi diversificati, hanno avuto un significato rivoluzionario. Il loro valore leggendario dipende, da un lato, dal forte impatto di innovazione che è tipico di tutte e, dall’altro, dal loro carattere inatteso e sorprendente. La notevole varietà di queste scoperte, in ambiti differenziati della ricerca storica, ha inciso, volta a volta, sulla storia politica, sulla storia religiosa, sulla storia sociale, sulla storia economica, sulla storia artistica, sulla storia letteraria e, in diversi casi, su più di una di esse…Se è vero che non v’è nulla di più concreto e reale di una scoperta archeologica, è altrettanto vero che le interpretazioni prime di quella scoperta, che sono un’esperienza esaltante, non hanno nulla di definitivo perché esse sono solo un contributo, primario e fondamentale, alle innumerevoli valutazioni storiche future. Le interpretazioni che per ciascuna delle scoperte raccolte in questo saggio sono qui presentate, spesso già oggetto di accesi dibattiti negli ambienti scientifici, nella maggior parte dei casi sono di questo tipo ed esprimono solo una parte iniziale del lungo loro tragitto, di fatto inesauribile, dalla terra alla storia”.

Jesolo (Ve). Alla mostra “Egitto. Dei, faraoni, uomini” viaggio nello spazio e nel tempo dalla laguna veneta alla scoperta della grande civiltà del Nilo. Attraversando il Mediterraneo si incrociano le rotte dei popoli che per millenni tennero rapporti non solo commerciali con l’Egitto

Il profilo di una piramide accoglie i visitatori all’ingresso della mostra “Egitto. Dei, faraoni, uomini” a Jesolo

Il logo della mostra aperta a Jesolo

La nave antica pronta a “salpare” dalla laguna veneta verso il Nilo (foto Graziano Tavan)

C’è una nave pronta a salpare alla scoperta dell’antico Egitto. È ormeggiata allo Spazio Aquileia di Jesolo, alla mostra “Egitto. Dei, faraoni, uomini”: un viaggio nello spazio e nel tempo che ti porta a tu per tu con la grande civiltà del Nilo. Aperta fino al 15 settembre 2018, la mostra è curata da Emanuele Ciampini e Alessandro Roccati, con Donatella Avanzo curatrice esecutiva, prodotta da Cultour Active e Venice Exhibition e promossa dalla Città di Jesolo con Culture Active e Venice Exhibition. La prua è sempre pronta a sollevare i primi flutti sotto i colpi cadenzati dei remi: partendo dal mare Adriatico il visitatore-navigante arriva nel Mediterraneo, entrando in contatto con le civiltà che fiorirono sulle sue sponde, per risalire infine il fiume Nilo, e arriva a far conoscenza con le dinastie dei faraoni, le divinità egizie, le pratiche legate al mondo dell’oltretomba, ma anche l’arte, la scrittura, i riti e le usanze. Faremo questo viaggio spazio-temporale accompagnati dagli egittologi curatori della mostra jesolana alla scoperta dell’antico Egitto, “un dono del Nilo”, come scrisse Erodoto nel V sec. a.C. Per tutto l’anno – lo sappiamo – gli antichi egizi si abbeveravano al fiume, e vivevano nell’attesa dell’inondazione periodica: durante ogni estate la portata d’acqua del Nilo aumentava gradualmente, al punto che i villaggi emergevano appena come tanti isolotti di un immenso arcipelago non tanto diverso dalla laguna veneta. “Per gli egizi il mondo era essenzialmente avvolto nell’acqua”, esordisce Alessandro Roccati.  “Sbagliato poi pensare che gli egizi fossero incapaci di uscire dal deserto e solcare i mari. In realtà i primi contatti con Biblo, sulla costa libanese, risalgono al IV millennio a.C. – assicura – , e le fonti egizie attestano contatti con molti popoli, inoltre l’Egitto non fu popolato solo dagli egizi! La sua posizione centrale tra Europa, Asia e Africa, ne fece addirittura un luogo di incontro tra popoli. È certo che lì si sviluppò uno dei momenti fondamentali della civiltà umana e che da lì tale civiltà si irradiò in buona parte del mar Mediterraneo”.

Anfora a staffa di produzione micenea databile tra il 1200 e il 1180 a.C. (foto Graziano Tavan)

Il Delta padano e il Mediterraneo Il viaggio di avvicinamento all’Egitto, illustrato nella prima sala della mostra, ci permette di incontrare, e quindi conoscere, i molti popoli che abitavano le diverse sponde del Mediterraneo, che possiamo considerare quasi un bacino, visto la relativa facilità e frequenza con cui fu solcato fin dai tempi più antichi. Il viaggio ha inizio. I riflessi del mare in un cielo scuro accolgono i visitatori appena saliti a bordo. La nave è salpata da poco dalla laguna veneta e già incrociamo molte altre imbarcazioni. “Le relazioni tra Mediterraneo miceneo e area padana raggiungono la massima intensità tra il 1200 e il 1050 a.C., subito dopo cioè il collasso delle strutture dei palazzi della Grecia continentale”. Le sponde alto-adriatriche sono un approdo facile per quei popoli che, a ondate successive, sono migrati dall’Egeo e dal Mediterraneo orientale in cerca di terre dove vivere. Già per tutta l’età del Bronzo (XIII-X sec. a.C.) i contatti sono frequenti tra i villaggi terramaricoli padani e il mondo egeo-miceneo. E si arriva all’VIII-VI sec. a.C. con la fondazione di empori e colonie greche, la più famosa è di certo Adria. La presenza dei micenei ci è ricordata da una bella anfora a staffa micenea (1200-1180 a.C.) proveniente dal museo civico di Storia e arte di Trieste.

Nella prima sala della mostra si attraversa il Mediterraneo per raggiungere l’Egitto (foto Graziano Tavan)

Il mondo egeo e l’Egitto L’orizzonte si allarga: siamo finalmente nel Mediterraneo dove incrociamo le rotte tra l’Egeo e le terre del Nilo. Se è vero che fin dalla scoperta della civiltà minoica a Creta ad opera di sir Arthur Evans i legami del mondo egeo con l’Egitto erano apparsi subito significativi, oggi si è certi si sia trattato di un rapporto di lungo periodo. “Per le civiltà egee”, spiegano gli archeologi, “la spinta verso contatti e scambi esterni nasce dalla necessità di materie prime, in particolare i metalli di cui tutta l’area non è particolarmente ricca. Alla ricerca di mercati di materie prime si aggiunge una circolazione di beni di lusso legata alla domanda di oggetti di prestigio, spesso esotici, fatta dalle nuove élite emergenti, che iniziano a distinguersi all’interno delle comunità cercando elementi che diventassero uno status symbol”. Significativo il boccaletto egizio imitato dagli artisti ciprioti del XIII sec. a.C. in terracotta rivestita di faience turchese: produzione rara e pregiata che dimostra la fitta rete di scambi commerciali e culturali da parte dei mercanti ciprioti.

Figurine femminili in alabastro (una in piedi e l’altra distesa) provenienti dall’area mesopotamica (foto Graziano Tavan)

Ebla, il Vicino Oriente e l’Egitto I due grandi poli culturali nella storia del Vicino Oriente sono stati per lungo tempo la Mesopotamia e l’Egitto. Soprattutto in Siria, dove fino alla prima metà del Novecento, gli scavi si erano concentrati sulle città costiere (Biblo, Ugarit, Tiro e Sidone), dagli anni ’70 si sono incrementate le ricerche grazie a numerose missioni straniere, tra cui l’Italia cui è legata la scoperta di Ebla a Tell Mardikh. E proprio gli eccezionali ritrovamenti degli archivi delle città di Ebla, Tell Beydar e Mari hanno illuminato sui contatti esistenti tra la Siria e gli altri Paesi nel III millennio a.C. Soprattutto Ebla aveva molti contatti con l’Egitto cui inviava beni preziosi quali argento, lapislazzuli e stagno, in cambio di tessuti di lino, zanne di elefante, denti di coccodrillo e vasi di alabastro. E la città di Biblo, sulla costa mediterranea, fu spesso usata per il collegamento marittimo con l’Egitto. Alabastro dunque come preziosa merce di scambio. Lo confermano le due statuine in alabastro del museo di Scultura antica “Giovanni Barracco” di Roma esposte in questa prima sala: provenienti dall’area mesopotamica, raffigurano immagini femminili stanti e distese, che rappresenterebbero l’associazione cultuale tra la dea greca Afrodite e la dea persiana Anahita. Ma se le popolazioni che si affacciavano sul Mediterraneo orientale intessero intensi rapporti con quanti abitavano lungo le sponde del Nilo, quell’interesse non fu univoco. Le prime relazioni tra Egitto e Vicino Oriente è attestato in età predinastica, ma è nel Medio Regno che si intensificano e sono meglio documentate, soprattutto con Siria e Palestina, principali fornitori di legname e testa di ponte strategiche per la penetrazione nel Levante. La presenza egizia fu particolarmente forte in Palestina con il Nuovo Regno, soprattutto in età ramesside, con la costruzione di diverse fortezze, abitazioni e sepolture di chiara influenza egizia.

Il chiodo di fondazione da Adab (sud della Mesopotamia) della collezione Sinopoli

Il cono della collezione Sinopoli Prima di lasciare il Mediterraneo (sala I) e raggiungere finalmente il Nilo, vale la pena soffermarsi su un pezzo eccezionale della collezione privata della famiglia Sinopoli. Si tratta di un chiodo di fondazione, perfettamente conservato, databile all’epoca accadica (2350 -2200 ca a.C.), che proviene dalla città di Adab, nel sud dell’Iraq, centro molto importante – come ricordano gli archivi di Ebla – già in età presargonica, e poi, sotto l’impero di Accad, la città più importante dopo Kis e Accad. Il chiodo di fondazione, con il nome del sovrano e del dio, erano posti nelle fondazioni dei templi costruiti o restaurati. “Il chiodo di fondazione della collezione vicino-orientale della famiglia Sinopoli”, sottolineano gli assiriologi, “è un pezzo di eccezionale valore storico perché cita il nome di un sovrano di Adab che finora ci era sconosciuto”.

(1 – continua)

Speciale focus sulla distruzione del patrimonio culturale in Siria e Iraq all’8^ edizione dell’Aquileia Film Festival: sei documentari, incontri con Matthiae, Volpe, Angela. Prima nazionale del film “Destruction of Memory” presente il regista Tim Slade e l’archeologo Daniele Morandi Bonacossi

Dal 26 luglio al 29 luglio 2017 l’ottava edizione dell’Aquileia Film Festival

Alberto Angela con Piero Pruneti, qui a Firenze

La Siria e la distruzione del patrimonio culturale, ma anche grandi scoperte archeologiche in Egitto e il fascino dei tesori dell’Estremo Oriente: sono alcuni temi affrontati dai film, selezionati da Dario Di Blasi, Gianluca Baronchelli tra i capolavori della produzione internazionale a tema archeologico, storico, etnologico, e dalle conversazioni con Paolo Matthiae (26/7), Giuliano Volpe (27/7), Alberto Angela (28/7), Tim Slade e Daniele Morandi Bonacossi (29/7), a cura di Piero Pruneti, direttore di Archeologia Viva, dell’ottava edizione di Aquileia Film Festival, rassegna del cinema archeologico in programma dal 26 al 29 luglio 2017, alle 21, in piazza Capitolo, davanti alla maestosa basilica dei Patriarchi di Aquileia. Ancora una volta il pubblico sarà l’unico giudice dei film in concorso, tutti doppiati in italiano, e decreterà con il proprio voto il vincitore del Premio Aquileia, un pregiato mosaico realizzato dalla Scuola Mosaicisti del Friuli. L’ingresso alla manifestazione è gratuito e, in caso di pioggia, le proiezioni si svolgeranno nella Sala Romana affacciata su piazza Capitolo (capienza 240 persone: assegnazione posti con ritiro del numero a partire dalle 19 all’ingresso della Sala Romana).

Il manifesto della mostra “Volti di Palmira ad Aquileia” al museo Archeologico nazionale di Aquileia

L’Aquileia Film Festival apre dunque mercoledì 26 luglio 2017 alle 21, realizzato dalla Fondazione Aquileia in collaborazione con Archeologia Viva con un’edizione che si lega a filo doppio alla mostra “Volti di Palmira ad Aquileia” (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2017/07/01/archeologia-ferita-ad-aquileia-gli-eventi-collaterali-alla-mostra-volti-di-palmira-ad-aquileia-apre-morandi-bonacossi-sulla-distruzione-della-memoria-in-iraq-e-si/) e vuole esplorare da diverse prospettive, attraverso film e interviste con esperti, il tema del patrimonio culturale e dell’archeologia ferita. I film in concorso per l’ottava edizione affrontano temi diversi: il commercio di antichi tesori d’arte come fonte di finanziamento di guerre e un commovente omaggio a Khaled al-Asaad, responsabile del sito di Palmira, trucidato dai miliziani dell’Isis; un viaggio in Egitto alla scoperta del tempio di Amenhophis III, la storia ultramillenaria della grandiosa Moschea di Jamé a Esfahan e la ricerca dell’antica Mahendraparvata, alle origini di Angkor. E sabato 29 luglio una serata evento straordinaria con l’anteprima italiana del film di produzione statunitense “Destruction of Memory” del regista australiano Tim Slade dedicato alla distruzione del patrimonio culturale nel mondo e la conversazione-intervista di Piero Pruneti, direttore di Archeologia Viva e Tim Slade, regista del film e il professor Daniele Morandi Bonacossi, docente di Archeologia del Vicino oriente all’Università di Udine e direttore della missione archeologica a Ninive in Iraq. Per il terzo anno, in collaborazione con Arbor Sapientiae, casa editrice e di distribuzione editoriale specializzata del settore storico-archeologico, verrà allestito in piazza Capitolo un bookshop che proporrà un’ampia scelta di titoli per appassionati e studiosi. Ecco il programma completo.

L’archeologo Khaled Asaad, per decenni “custode” di Palmira, assassinato dai miliziani dell’Isis

MERCOLEDÌ 26 LUGLIO, ore 21: il film “Des trésors contre des armes/ Tesori in cambio di armi” (51’, Germania/Belgio, 2014) di Tristan Chytroschek. Il commercio di antichi tesori d’arte finanzia la guerra e la violenza, secondo quanto riferito da Interpol e FBI. La documentazione dimostra come i profitti derivanti dal mercato dell’antiquariato finanzino la fornitura di armi a gruppi terroristici. Ma da dove vengono questi tesori? Mentre in Afghanistan vengono depredate alcune tombe in un tempio buddista, la città siriana di Palmira viene sistematicamente saccheggiata. Segue la conversazione con Paolo Matthiae, decano degli archeologi assiriologi, scopritore di Ebla, su “L’utopia possibile: ricostruire il Vicino Oriente” Cosa rimane, cosa rimarrà – purtroppo le distruzioni sono ancora in corso – dell’immensa ricchezza archeologica e monumentale di Siria e Iraq? Dei luoghi dove tutto ha avuto inizio? Della madre della nostra civiltà? La risposta, affidata a Matthiae, è difficilissima, ma possibile sotto il profilo politico e tecnico e si inserisce nell’eterna lotta dell’uomo per salvare se stesso insieme alla propria memoria. Chiude la prima serata l’omaggio al martire di Palmira con il film di Alberto Castellani “Khaled al-Asaad. Quel Giorno a Palmira” (23’, Italia, 2015). Una ricerca d’archivio ha portato il regista a recuperare la lunga intervista concessagli dal famoso archeologo siriano, responsabile del sito di Palmira, trucidato barbaramente dai miliziani dell’Isis, per aver tentato di difendere quell’inestimabile patrimonio di una delle più preziose aree archeologiche del mondo. L’intervista risale a una decina di anni fa, al tempo in cui Castellani era impegnato in un programma dedicato alla regina Zenobia. Il recupero dell’intervista vuole offrire una sorta di viaggio della memoria per tener vivo il ricordo di un autentico eroe e meditare non solo sulle macerie ma anche sul dramma umano che la Siria sta oggi vivendo.

I Colossi di Memnone i resti più significativi del tempio funerario di Amenofi III a Tebe Ovest

GIOVEDÌ 27 LUGLIO, ore 21: apre il film “A la dècouverte du temple d’Amenhophis III / Alla scoperta del tempio di Amenhophis III” (54’, Francia, 2016) di Antoine Chènè. Solo i colossi di Memnone, a Luxor, indicavano fino a pochi anni fa il luogo dove sorgeva il più grande tempio mai costruito da un faraone. Le grandi tappe di una campagna internazionale condotta dall’egittologa Hourig Sourouzian sono rivissute attraverso i filmati girati a partire dal 2004, che documentano le spettacolari scoperte che hanno coronato le ricerche. Segue la conversazione con Giuliano Volpe, professore ordinario di archeologia all’Università di Foggia e presidente del Consiglio Superiore ‘Beni culturali e paesaggistici’ del MiBACT, su “Un patrimonio protagonista”. Negli ultimi due anni si è discusso di patrimonio culturale più che negli ultimi venti. Dopo un lungo periodo di disinteresse, il patrimonio culturale è diventato di grande attualità, riceve attenzione sui giornali, in televisione, sui social. Insomma il patrimonio culturale è tornato fra gli italiani. E in Europa: l’unica risposta davvero vincente in un continente in crisi può venire dalle “armi” della formazione e della cultura. Chiude la serata il film “Die Freitagsmoschee von Isfahan. Tausend Jahre Islamische Kunst / La moschea del Venerdì di Esfahan. Mille anni di cultura islamica” (15’, Iran, 2015) di Rüdiger Lorenz¨ Faranak Djalali. La storia ultramillenaria della grandiosa Moschea di Jamé, comunemente nota come Moschea del Venerdì di Esfahan. Un viaggio tra le varie epoche e culture che si sono intrecciate nei secoli alla vita di questo straordinario monumento nel cuore della città iraniana.

Alla Rassegna di Aquileia i segreti della città di Angkor, uno dei siti archeologici più importanti della Cambogia

VENERDÌ 28 LUGLIO, ore 21: apre la terza serrata il film “Aux sources d’Angkor / Alle origini di Angkor” (52’, Francia, 2015) di Olivier Horn. La pianura di Angkor è sovrastata da un altopiano fitto di boschi nei quali un’antica città medioevale giaceva sepolta. Alla ricerca di un insediamento più antico di Angkor, l’archeologo francese Jean-Baptiste Chevance e i suoi colleghi cambogiani, avvalendosi della tecnologia degli aerolaser, scoprono interi quartieri di una città, forse l’antica Mahendraparvata. Segue la conversazione con Alberto Angela, paleontologo, divulgatore scientifico, scrittore. Chiude la serata l’assegnazione del Premio Aquileia al film più votato dal pubblico.

“Destruction of memory”, film di Tim Slade

SABATO 29 LUGLIO, ore 21: serata speciale con l’anteprima italiana del film “Destruction of Memory / La distruzione della memoria” (fuori concorso, 80’, Usa, 2015) di Tim Slade. La guerra contro la cultura ha portato a esiti catastrofici nel secolo passato e non è finita, sta crescendo velocemente. In Siria e Iraq sono stati distrutti millenni di storia, singoli uomini hanno perso la vita per proteggere non solo altri esseri umani ma la nostra identità culturale, per proteggere la memoria delle nostre radici. Basato sul libro “The Destruction of Memory ” di Robert Bevan, il film non racconta solo le azioni di Daesh ma contiene interviste al Direttore generale dell’Unesco, al procuratore della Corte Internazionale per i Crimini di Guerra e a molti esperti internazionali e cerca di capire come siamo arrivati a questo punto. Segue la conversazione con il regista del film Tim Slade, e con Daniele Morandi Bonacossi, professore di Archeologia del Vicino Oriente all’università di Udine e direttore della missione archeologica a Ninive in Iraq.

“Archeologia ferita”: ad Aquileia gli eventi collaterali alla mostra “Volti di Palmira ad Aquileia”. Apre Morandi Bonacossi sulla distruzione della memoria in Iraq e Siria. Con Matthiae e Castellani giornata omaggio a Khaled Asaad. Mostra fotografica di Elio Ciol “Sguardi su Palmira”

La storia cancellata con l’esplosivo: così è stata distrutta dall’Is la città assira di Nimrud in Iraq

L’archeologo Daniele Morandi Bonacossi in missione in Kurdistan

Il catalogo (Gangemi editore) della mostra “Volti di Palmira ad Aquileia”

“Mai nella storia dell’uomo, neppure nei momenti più bui dei conflitti mondiali del secolo scorso, il patrimonio culturale dell’umanità aveva subito devastazioni così sistematiche e intenzionali come oggi in Siria e Iraq. Dopo oltre sei anni di guerra civile siriana una parte significativa dello straordinario patrimonio culturale di questi Paesi si trova ancora sotto il controllo di forze islamiste, che perseguono la deliberata distruzione dei monumenti e siti archeologici come strumento politico e di lotta per il potere”. Così scrive nella premessa al catalogo della mostra “Volti di Palmira ad Aquileia” (Gangemi editore) Daniele Morandi Bonacossi, docente di Archeologia del Vicino Oriente all’università di Udine e direttore di missioni archeologiche a Palmira in Siria e a Ninive in Iraq. È proprio l’archeologo dell’ateneo friulano a inaugurare gli eventi collaterali della grande mostra “Volti di Palmira ad Aquileia”, aperta al museo Archeologico nazionale di Aquileia fino al 3 ottobre. Domenica 2 luglio 2017, alle 17.30, nelle gallerie lapidarie del museo Archeologico nazionale di Aquileia (ingresso gratuito), Daniele Morandi Bonacossi parlerà de “L’archeologia ferita in Siria e Iraq: la distruzione della memoria dell’uomo e la sua rinascita”. Distruzioni che, come rileva il presidente della Fondazione Aquileia, Zanardi Landi, “hanno sottratto una parte rilevante del patrimonio artistico dell’Umanità e non solo colpiscono l’identità culturale, religiosa, ideale e artistica di siriani, iracheni, egiziani, tunisini, ma anche la nostra, costituendo un danno gravissimo e irreparabile al nostro essere italiani ed europei”.

L’archeologo siriano Khaled Asaad, decapitato dall’Isis il 18 agosto 2015

L’archeologo Paolo Matthiae, scopritore di Ebla in Siria

“Destruction of memory”, film di Tim Slade

Mercoledì 26 luglio 2017 sarà per Aquileia una giornata speciale con un omaggio particolare a Khaled Asaad, oltre che a Palmira e alla Siria: nell’ambito della prima serata dell’Aquileia Film Festival, giunto all’ottava edizione, alle 21, in piazza del Capitolo, verrà prima proiettato il film “Tesori in cambio di armi” (2014), sul commercio illegale di reperti archeologici che finanzia guerre e violenze; quindi Piero Pruneti, direttore di Archeologia Viva, intervisterà il prof. Paolo Matthiae, decano degli archeologi in Siria, scopritore di Ebla, di cui ha diretto la missione per 47 anni. Matthiae sarà chiamato a rispondere alla domanda che tutti noi ci facciamo: cosa rimarrà dell’immensa ricchezza archeologica e monumentale di Siria e Iraq devastate dall’Isis? Chiuderà la serata il film di Alberto Castellani “Quel giorno a Palmira” (2015)  con un’intervista recuperata da materiale d’archivio al direttore-custode Khaled Asaad, trucidato dall’Isis il 18 agosto 2015 per aver tentato di difendere l’inestimabile patrimonio della “sposa del deserto” (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2015/10/06/aperta-la-xxvi-rassegna-internazionale-del-cinema-archeologico-di-rovereto-nel-nome-di-khaled-asaad-larcheologo-di-palmira-decapitato-dallisis-e-sabato-instant-movie/). Il film è una sorta di viaggio della memoria per tener vivo il ricordo di un autentico eroe e meditare non solo sulle macerie ma anche sul dramma umano che la Siria sta oggi vivendo. E il 29 luglio 2017 Aquileia ospita la prima italiana del film “Destruction of memory” di Tim Slade, narrato da Sophie Okonedo e basato sul libro “La distruzione della memoria: Architecture at War” di Robert Bevan, documento sugli eroi che hanno rischiato la vita per proteggere non la loro identità culturale, ma per salvaguardare la memoria preziosa di ciò che siamo. Infine venerdì 8 settembre 2015 il terzo incontro in programma:  il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale affronterà la piaga del commercio illegale di antichità che, come è noto, è uno dei mezzi di finanziamento dei terroristi. “Il nucleo tutela patrimonio culturale dei carabinieri”, interviene il il generale comandante Fabrizio Parrulli, “è un reparto speciale che opera dal 1969 per la tutela del patrimonio culturale di tutti i Paesi del mondo. Nell’incontro affronteremo anche il tema dei caschi blu della cultura. Un’iniziativa nuova e fortemente voluta dal ministro Franceschini per realizzare un team di esperti che possano essere impiegati rapidamente dove richiesto a seguito di eventi naturali o anche a seguito di crisi provocate dall’uomo”.

La via colonnata di Palmira chiusa dal monumentale arco trionfale (distrutto dall’Isis) in una foto di Elio Ciol del 1996

La scultura di Elias Naman “Le memorie di Zenobia”

In piazza del Capitolo possiamo ammirare la scultura “Le memorie di Zenobia” dell’artista contemporaneo siriano Elias Naman, generosamente prestata da Danieli: essa vuole ricordarci con il suo sguardo la drammaticità del momento presente. A un passo dalla scultura si accede al complesso archeologico della Domus e Palazzo episcopale, recentemente restaurato (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2017/04/23/aquileia-aperta-dalla-fondazione-una-nuova-area-archeologica-domus-e-palazzo-episcopale-viaggio-a-ritroso-nel-tempo-dal-palazzo-episcopale-del-v-sec-d-c-a-una-domus-romana-del-i-ii-sec-d-c/), che ospita la mostra fotografica “Sguardi su Palmira” con fotografie di Elio Ciol eseguite il 29 marzo 1996.  “Elio Ciol, che della fotografia europea è riconosciuto protagonista”, scrive Fulvio Dell’Agnese, “da oltre mezzo secolo si misura con gli antitetici poli della sua arte: istantaneità e permanenza. Le scene di vita popolare fissate negli scatti degli anni cinquanta parlavano dell’emozione umana in presa diretta, mentre lo sguardo di Ciol si è spinto oltre il quotidiano in memorabili serie di immagini dedicate al paesaggio e all’idea del sacro. L’immediatezza del reale e la sua trasfigurazione poetica si fondono anche nelle fotografie che l’autore scattò a Palmira nel 1996. I soggetti sono architetture e sculture, segnacoli di permanenza secolare contemplati da uno sguardo che li rispetta quali opere d’arte, ma contemporaneamente ne ricompone e fa proprie le geometrie nella metafisica libertà del chiaroscuro, proiettandole contro incombenti cieli cinerei. L’addensarsi di un presagio? Fatto sta che i monumenti vengono ripresi pochi anni – istanti, in termini storici – prima del loro ritorno a una fragilità del tutto quotidiana, vittime dell’opaca violenza di una bestialità distruttiva”. “Se la scultura Le memorie di Zenobia dell’artista siriano Elias Naman ci ricorda il dramma attuale”, conclude il presidente Zanardi Landi, “se le conferenze tematiche illustreranno le ricerche archeologiche e le istruzioni provocate dalla guerra, il documentario di Alberto Castellani Quel giorno a Palmira, sarà l’omaggio di Aquileia a Khaled Asaad, martire della cultura”.

Siria. L’Isis riconquista Palmira e distrugge il proscenio del teatro antico e il tetrapilo. Condanna dell’Unesco e dell’Onu, su iniziativa italiana. Matthiae: “Danni gravissimi”. Rutelli: “Pensiamo alla ricostruzione”. Franceschini: “A Firenze in marzo il primo G7 della Cultura”

L'esercito governativo di Assad ha riconquistato la città e il sito archeologico di Palmira con l'aiuto dei raid aerei russi

L’esercito governativo di Assad ha riconquistato la città e il sito archeologico di Palmira con l’aiuto dei raid aerei russi

Colpo di grazia alla “sposa del deserto”. I miliziani dell’Isis hanno distrutto parte del proscenio del teatro romano e il tetrapilo: due gioielli architettonici di Palmira che finora si erano salvati alla furia jihadista. Sembrano distanti un’era geologica le manifestazioni di esultanza delle truppe regolari del regime di Assad per la cacciata dei jihadisti da Palmira. Era il 27 marzo 2016, quasi un anno fa (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2016/03/29/siria-liberata-palmira-primo-bilancio-delle-distruzioni-dellisis-cancellati-il-tempio-di-baalshamin-e-il-santuario-di-bel-e-le-tombe-a-torre-devastato-il-museo-salvo-l80-per-cen/). Ma quel successo, che aveva fatto tirare un sospiro di sollievo al mondo dopo gli scempi perpetrati nel sito archeologico siriano, patrimonio dell’Unesco, aveva avuto il supporto determinante delle truppe russe. E non fu un caso che qualche tempo dopo lo stesso Putin abbia promosso un concerto “di riconciliazione” dell’orchestra dell’Armata Rossa proprio nel teatro antico di Palmira. Quel teatro che ora è stato oggetto dell’ennesimo scempio jihadista. Ma poi i russi hanno lasciato all’esercito governativo il compito di presidiare il territorio di Palmira. Scelta fatale.

Una bella veduta panoramica di Palmira: in primo piano il teatro antico ancora integro, e dopo il colonnato, si può vedere il tetrapilo

Una bella veduta panoramica di Palmira: in primo piano il teatro antico ancora integro, e dopo il colonnato, si può vedere il tetrapilo

A metà dicembre, mentre l’attenzione e il grosso delle forze della coalizione erano concentrate nella battaglia di Aleppo, per liberare la seconda città della Siria dove resistevano ancora i ribelli al regime di Assad, l’Isis con un blitz nel deserto si riprendeva il controllo dell’oasi di Palmira. È il 12 dicembre 2016 quando una breve nota di agenzia annuncia che “lo Stato islamico ha ripreso il controllo totale di Tadmor (l’antico nome di Palmira)”. La notizia è diffusa da un attivista locale,  Ahmad Daas, che lancia un allarme anche sulla popolazione: “Molti abitanti sono stati arrestati sulla base di liste che erano in possesso dei miliziani”, denuncia, “ma la cosa strana è che queste liste contenevano nominativi di persone rimaste neutrali rispetto all’Isis e note per le loro posizioni vicine all’opposizione e alla presenza russa”. Sempre secondo gli attivisti locali l’Isis avrebbe riconquistato Palmira a una “velocità record”, percorrendo i sette chilometri che li separavano dal primo quartiere della città in 24 ore e senza incontrare alcuna opposizione militare e in 10 ore avevano preso tutti gli altri quartieri. Nel frattempo, tutte le caserme e i check-point erano stati evacuati, fatta eccezione per pochi miliziani filo-regime. Si è sperato che la notizia fosse solo un’azione di propaganda per distrarre dagli obiettivi di Aleppo e Mosul, ma mano a mano che passavano le ore la presa di Palmira veniva confermata. È stato Talal Barazi, governatore della provincia di Homs, in cui Palmira è situata, a confermare a metà pomeriggio la caduta della città nelle mani dell’Isis. L’esercito siriano, disse Barazi parlando alla televisione Al Ikhbariya, si è rischierato fuori dalla città e “sta impiegando tutti i mezzi per impedire ai terroristi di rimanere a Palmira”. “Ma la ritirata dell’esercito siriano è stata resa inevitabile dalle forze superiori del nemico”.

L'immagine satellitare mostra la distruzione della parte centrale del proscenio del teatro antico di Palmira e delle colonne del tetrapilo

L’immagine satellitare mostra la distruzione della parte centrale del proscenio del teatro antico di Palmira e delle colonne del tetrapilo

Di colpo tornava l’incubo per possibili nuove distruzioni di antichi monumenti in quello che è uno dei siti archeologici più importanti del Vicino Oriente. Durante la loro prima occupazione i miliziani del Califfo Abu Bakr al Baghdadi avevano demolito l’Arco di Trionfo, i templi di Baal Shamin e di Bel, oltre a radere al suolo una prigione tristemente famosa in cui il regime aveva incarcerato e torturato migliaia di oppositori. I jihadisti avevano inoltre usato il teatro romano per le esecuzioni pubbliche e ucciso l’ottantunenne ex direttore del sito, Khaled al Asaad.  La segnalazione da parte di satelliti militari di spostamento di esplosivo nell’area di Palmira è stato solo il campanello di allarme di quello che sarebbe successo di lì a pochi giorni. Si arriva così al 20 gennaio 2017. Il telegramma arriva dall’agenzia ufficiale della Siria, Sana. Ed è uno di quelli che lascia il segno:  “L’Isis ha distrutto il proscenio dell’antico teatro romano di Palmira, nella Siria centrale, e il Tetrapilo, una struttura colonnata sempre nel sito archeologico patrimonio dell’Unesco”. Notizia secca, senza fornire dettagli.  L’agenzia Sana cita non meglio precisate “fonti locali”, perciò non era possibile – al momento – garantire in maniera indipendente la veridicità della notizia.  La conferma, purtroppo, arriva dal satellite. Ad annunciarlo è l’American Schools of Oriental Research che sulla sua pagina Facebook afferma di aver ottenuto immagini satellitari che rivelano “nuovi danni” al sito Unesco. Le immagini mostrano “significativi danni al Tetrapilo e al teatro romano, presumibilmente risultato di distruzioni deliberate da parte dell’Isis”, ma l’American School of Oriental Research sottolinea comunque di non essere attualmente in grado di verificare la reale origine dei danni che risalirebbero al periodo “tra il 26 dicembre 2016 e il 10 gennaio 2017”.  Il Tetrapilo, che era stato parzialmente ricostruito negli anni Sessanta del secolo scorso per i danni provocati dal tempo e che contava in totale 16 colonne, sembra ora “essere stato deliberatamente distrutto con l’uso di esplosivi. Due colonne restano in piedi – si legge – ma la maggior parte della struttura è stata gravemente danneggiata”. Il teatro romano ha riportato “danni” che interessano “il proscenio, soprattutto nell’area del Porticato”.

Il tetrapilo di Palmira prima della distruzione da parte dei miliziani dell'Isis

Il tetrapilo di Palmira prima della distruzione da parte dei miliziani dell’Isis

Immediate le reazioni.  “Questa distruzione è un nuovo crimine di guerra e una perdita immensa per il popolo siriano e per l’umanità”, denuncia il direttore generale dell’Unesco, Irina Bokova, dopo le notizie e le immagini satellitari sulla distruzione del Tetrapilo e di parti del proscenio del teatro romano della città siriana di Palmira.  “È un nuovo attacco contro il patrimonio culturale che, a poche ore dalle notizie ricevute dall’Unesco riguardo esecuzioni di massa nel teatro, dimostra come la pulizia culturale da parte degli estremisti violenti stia cercando di distruggere sia vite umane che monumenti storici per privare il popolo siriano del suo passato e del suo futuro. È per questo che la tutela del patrimonio è inalienabile della difesa delle vite umane”. E il prof. Paolo Matthiae, decano degli archeologi in missione in Siria, scopritore di Ebla: “Danni gravissimi e senza precedenti per l’evidente intenzionalità dell’Isis di distruggere il patrimonio della Siria. Fermare questo scempio con la sola deplorazione da parte dell’opinione pubblica è impossibile, quello che invece si può fare è dare il massimo sostegno all’eroica e isolata azione della direzione generale dell’Antichità e dei Musei di Damasco”. E continua: “Ricordiamoci che l’azione delle istituzioni di Damasco a protezione del patrimonio della Siria, che ha consentito di mettere in salvo nella capitale siriana 300mila oggetti dei musei periferici, è costata la vita a una quindicina di funzionari e all’archeologo Khaled Assad, l’ex capo della direzione generale delle antichità e dei musei di Palmira, decapitato dai militanti del sedicente Stato Islamico nell’agosto 2015.  In questo senso l’azione e l’appoggio dell’Unesco allo sforzo della direzione generale Antichità e Musei di Damasco è estremamente apprezzabile per aiutare i funzionari siriani sia nel salvataggio delle opere, sia in prospettiva nella ricostruzione di quello che si sta perdendo”.

Un elemento del soffitto del tempio di Bel di Palmira ricostruito in 3D

Un elemento del soffitto del tempio di Bel di Palmira ricostruito in 3D

Una ricostruzione possibile grazie alle moderne tecnologie, come lo stesso archeologo ha dimostrato, nell’ambito della mostra “Rinascere dalle Distruzioni. Ebla, Nimrud, Palmirà, da lui curata insieme a Francesco Rutelli, allestita al Colosseo dal 7 ottobre all’11 dicembre 2016 (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2016/10/05/rinascere-dalle-distruzioni-ebla-nimrud-palmira-al-colosseo-la-mostra-curata-dallarcheologo-paolo-matthiae-propone-la-ricostruzione-in-3d-del-toro-androcefalo-di-nimrud/). Proprio Rutelli ha promosso come presidente di “Incontro di Civiltà” una campagna internazionale contro le distruzioni del patrimonio culturale siriano. “Tutto ciò che l’Isis distrugge, come sfregio alla civiltà dell’umanità intera, noi lo dovremo  ricostruire”, afferma. “Ci indigna e addolora la strage di persone innocenti che sta continuando a strappare migliaia di vite umane in Siria e Iraq. Allo stesso tempo, vogliamo continuare a mobilitare la comunità internazionale per non subire la volontà criminale dei terroristi, che appena entrano in contatto con beni insostituibili, Patrimonio dell’Umanità, li distruggono deliberatamente, e ne fanno teatro del vanto della loro inciviltà. La demolizione del proscenio del Teatro di Palmira, e le crudeli uccisioni in quello stesso contesto archeologico di molte persone segnano un apice di questa sfida contro l’umanità e la civiltà. La risposta concreta deve accomunare tutte le popolazioni e le istituzioni internazionali”. Dopo Roma annuncia nuove iniziative ed esposizioni, assieme a scienziati, studiosi, fondazioni, istituzioni e governi di tutto il mondo. “L’Unesco sarà al centro di questa mobilitazione”, conclude, “e così l’Iccrom, assieme a cui stiamo preparando per il prossimo maggio a Roma un incontro internazionale con nuovi e concreti progetti e proposte”. Ma Matthiae mette in guardia da facili entusiasmi: “La ricostruzione è possibile con le moderne tecnologie perché in alcuni casi si tratta di restauri difficili e delicati, ma per così dire tradizionali, in altri casi si tratta di integrare restauri con materiali che possono essere ottenuti grazie alle più avanzate tecnologie.  Questo però a mio parere dovrà avvenire sulla base di tre principi: il rispetto della sovranità della Repubblica Araba Siriana sulla progettazione e realizzazione dei restauri e delle ricostruzioni; il controllo e la ratifica dell’Unesco su questi progetti perché siano approvati dalla comunità scientifica internazionale; un’ampia collaborazione internazionale, perché si tratterà di uno sforzo molto rilevante anche finanziariamente e la collaborazione dovrà avvenire da parte di tutti i Paesi con competenze scientifiche, capacità tecniche e volontà politica e culturale di fornire un aiuto finanziario per la ricostruzione”.

Il teatro antico di Palmira, ancora integro, usato dai jihadisti per le pubbliche esecuzioni

Il teatro antico di Palmira, ancora integro, usato dai jihadisti per le pubbliche esecuzioni

Intanto il Consiglio di sicurezza dell’Onu, proprio su iniziativa della diplomazia italiana al Palazzo di Vetro, ha espresso la propria condanna per la distruzione del patrimonio culturale in Siria da parte dell’Isis. L’Italia, membro non permanente del Consiglio di Sicurezza dal primo gennaio 2017, ha ottenuto il consenso dei Quindici membri dell’organismo su una dichiarazione che riporta l’attenzione sulla grave minaccia al patrimonio culturale portata dalla campagna di distruzione intrapresa dal sedicente Stato islamico. I membri del Consiglio di Sicurezza sottolineano con preoccupazione come l’Isis e altri gruppi traggano profitto dal traffico di beni culturali sottratti a musei, siti archeologici, librerie e archivi in Siria. Profitto utilizzato per rafforzare le capacità operative dell’Isis per la preparazione e attuazione di attacchi terroristici. I Quindici hanno reiterato dunque la necessità di “sconfiggere l’Isis e di sradicare l’intolleranza, la violenza e l’odio che incarna”. Il Consiglio di Sicurezza ha altresì espresso allarme per le notizie di esecuzioni avvenute nel Teatro di Palmira e espresso preoccupazione per la sicurezza di migliaia di civili residenti nella città. E il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, commentando il voto favorevole del Consiglio di sicurezza dell’Onu alla dichiarazione, promossa dalla diplomazia italiana, per condannare la distruzione del patrimonio culturale in Siria: “L’Italia sui temi della cultura e del patrimonio ha il dovere di essere guida nel mondo. E il primo G7 della Cultura, che si terrà a Firenze il 30 e il 31 marzo, sarà l’occasione per condividere azioni concrete contro queste devastazioni che, giustamente, la direttrice dell’Unesco, Irina Bokova ha definito veri e propri crimini di guerra”.

“Prima dell’alfabeto. Viaggio in Mesopotamia alle origini della scrittura”: in mostra a Venezia per la prima volta tavolette e sigilli con iscrizioni in caratteri cuneiformi della collezione Ligabue

Tavoletta in argilla con scrittura cuneiforme e lingua accadica della collezione Ligabue, in mostra a Venezia

Tavoletta in argilla con scrittura cuneiforme e lingua accadica della collezione Ligabue, in mostra a Venezia

Sono piccoli segni incisi con lo stilo nell’argilla morbida. All’occhio inesperto sembrano tanti piccoli cunei. Li trovi su migliaia di tavolette di argilla, sui sigilli, sulle pareti di montagne o di palazzi. Perché quei segni rappresentano una delle più antiche scritture al mondo, il cuneiforme, nata intorno al 3200 a.C. in Mesopotamia, quasi in contemporanea con il geroglifico in Egitto. E durata ben 3500 anni. La nostra scrittura, tanto per fare un paragone, ne ha “solo” 2500. Proprio la nascita della scrittura, che segna uno dei capitoli più affascinanti e rivoluzionari della storia della civiltà, fondamentale per le dinamiche di trasmissione del sapere e per la conoscenza dell’antichità, è al centro della mostra “Prima dell’alfabeto. Viaggio in Mesopotamia alle origini della scrittura”, a Palazzo Loredan a Venezia,  una delle sedi dell’Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti, dal 20 gennaio al 25 aprile 2017.  Quasi 200 reperti della Collezione Ligabue esposte per la prima volta – tra cui tavolette e straordinari sigilli risalenti a oltre 5000 anni or sono – rievocano le grandi civiltà dell’Antica Mesopotamia, un territorio oggi praticamente inaccessibile per le continue guerre. A impreziosire l’esposizione, tra reperti e apparati multimediali, anche testimonianze delle esplorazioni di Paul Emile Botta e Austen Henry Layard nel XIX secolo, con prestiti dai musei archeologici di Venezia e Torino.

Tavoletta in argilla con pittogrammi proveniente dalla Mesopotamia meridionale (collezione Ligabue)

Tavoletta in argilla con pittogrammi proveniente dalla Mesopotamia meridionale (collezione Ligabue)

Promossa dalla Fondazione Giancarlo Ligabue presieduta da Inti Ligabue, e curata dal professore Frederick Mario Fales, dell’università di Udine, uno tra i più noti assiriologi e studiosi del Vicino Oriente Antico, la mostra ci conduce in un viaggio indietro nel tempo, quasi 6000 anni or sono, nella Terra dei Due Fiumi, un universo di segni, simboli, incisioni ma anche di immagini e racconti visivi che testimoniano la nascita e la diffusione travolgente della scrittura cuneiforme, rivelandoci nel contempo l’ambiente sociale, economico e religioso dell’Antica Mesopotamia. Culla di civiltà straordinarie, oggi martoriata e saccheggiata dalla guerra e dal terrorismo che hanno reso inaccessibile il suo patrimonio di bellezza e conoscenza, la terra di Sumeri, Accadi, Assiri e Babilonesi ci viene raccontata e svelata grazie all’esposizione (patrocinata dalla Regione del Veneto e dalla Città di Venezia, main sponsor Ligabue SpA e Hausbrandt, con il contributo di DM Informatica, La Giara e Scattolon Renato) per la prima volta al pubblico, di quasi 200 preziose opere della Collezione Ligabue. “Una collezione di altri tempi”, come ama sottolineare F. Mario Fales, “quella messa insieme da Giancarlo Ligabue, imprenditore ma anche archeologo, paleontologo e grande esploratore scomparso nel gennaio 2015. Collezione straordinaria non solo per entità, qualità e per l’importanza storica di questi e altri materiali, ma in quanto testimonianza di un collezionismo slow, rispettoso dei luoghi che pure Giancarlo studiava e delle istituzioni, della ricerca e del sapere; un collezionismo appassionato, diretto a preservare la memoria e non a defraudare le culture con altri fini”.

Frammento di un bassorilievo assiro con il ritratto di re Sargon II dal palazzo di Sargon a Khorsabad in Iraq (museo delle Antichità di Torino)

Frammento di un bassorilievo assiro con il ritratto di re Sargon II dal palazzo di Sargon a Khorsabad in Iraq (museo delle Antichità di Torino)

Dai primi pittogrammi del cosiddetto proto-cuneiforme, rinvenuti a Uruk – annotazioni a sostegno di un sistema amministrativo e contabile già strutturato – all’introduzione della fonetizzazione (dai “segni-parola” ai “segni-sillaba”) la scrittura cuneiforme, con le sue evoluzioni, si sviluppò e si diffuse con estrema rapidità anche in aree lontane: dalla città di Mari sul medio Eufrate a Ebla nella Siria occidentale, a Tell Beydar e Tell Brak nella steppa siro-mesopotamica settentrionale. Abili scribi verranno formati per redigere documenti grazie a segni ormai classificati e vere e proprie scuole saranno istituite nei diversi centri, per insegnare a nuovi funzionari a leggere e scrivere. Centinaia di migliaia di tavolette di argilla – la materia prima della terra mesopotamica – hanno dato vita ad autentici archivi e biblioteche, in un mondo che aveva compreso il valore e il potere della scrittura: tavolette con funzioni contabili-amministrative, tavolette giuridiche, storiografiche, religiose e celebrative, o addirittura letterarie, racchiudono le storie, i lavori, i pensieri e i ritratti di uomini e re vissuti tremila anni prima di Cristo; miti e leggende di dei ed eroi. Si tratta soprattutto di tavolette cuneiformi e di numerosi sigilli cilindrici o a stampo ma anche sculture, placchette, armi, bassorilievi, vasi e intarsi provenienti da quell’antico mondo. A questi oggetti in mostra si affiancano, come detto, importanti prestiti del museo Archeologico di Venezia e del museo di Antichità di Torino: dal primo, bellissimi frammenti di bassorilievi rinvenuti dallo scopritore della mitica Ninive, Austen Henry Layard, che nell’ultimo periodo della sua vita si era ritirato proprio a Venezia, a Palazzo Cappello Layard (donò i suoi oggetti alla città nel 1875); dal secondo un frammento di bassorilievo assiro raffigurante il re Sargon II, scoperto nel 1842 da Paul Emile Botta – console di Francia a Mosul – e da lui donato al re Carlo Alberto.

Sigillo cilindrico paleobabilonese con iscrizione in cuneiforme e raffigurazioni: al centro la cosiddetta "dea nuda" e a fianco "l'uomo-toro"

Sigillo cilindrico paleobabilonese con iscrizione in cuneiforme e raffigurazioni: al centro la cosiddetta “dea nuda” e a fianco “l’uomo-toro”

Accanto alle tavolette, placchette e intarsi, in osso, in conchiglia, in oro o in avorio, bassorilievi e piccole figure, raffinati oggetti artistici e d’uso comune, ma soprattutto tanti importanti sigilli, straordinari per le figurazioni e le narrazioni, per il pregio artistico delle incisioni realizzate da abili sfragisti (bur-gul) e i diversi materiali usati. Creati per registrare diritti di proprietà e apposti fin dal periodo Neolitico sulle cerule – sorta di ceralacca a garanzia della chiusura di merci e stoccaggi – i sigilli, con l’avvento della scrittura, vengono apposti sulle tavolette o sulle buste di argilla (utilizzate fino al I millennio) per autenticare il documento, garantendo la proprietà di un individuo, il suo coinvolgimento in una transazione, la legalità della stessa. Come spiega l’archeologa Roswitha Del Fabbro “essi prima indicavano l’amministrazione, come oggi il timbro di un Comune, e col tempo vennero a rappresentare il singolo individuo, riportandone il nome, giungendo magari a presentare l’iscrizione di una preghiera”. Fino ad allora (cioè fino alle decifrazioni di Georg Friedrich Grotefend (1775 – 1853) e all’impresa di Henry Creswicke Rawlinson (1810 – 1895), che sospeso a 70 metri dal suolo copiò l’iscrizione trilingue di Dario I sulla parete rocciosa di Bisotun in Iran) furono soprattutto la Bibbia, debitrice di tanti racconti e suggestioni dell’antica Mesopotamia, e gli storici greci, latini e bizantini a tramandare in una luce più o meno leggendaria i nomi di luoghi come “il Giardino dell’Eden” o le maestose città di Ninive e Babele e quelli di personaggi come Nabucodonosor II, che distrusse Gerusalemme, o la regina Semiramide. In mostra le preziose tavolette raccontano di commerci di legname o di animali (pecore, capre, montoni o buoi), di coltivazioni di datteri e di orzo per la birra, di traffici carovanieri tra Assur e l’Anatolia, di acquisti di terreni e di case con i relativi contratti e le cause giuridiche; celebrano Gudea signore possente, principe di Lagash, promotore di grandi imprese urbanistiche e architettoniche; prescrivono le cure per una partoriente afflitta da coliche, con incluso l’incantesimo da recitare al momento del parto, o testimoniano l’adozione di un bimbo ittita da parte di una coppia o, ancora, le missive tra prefetti di diverse città-stato.

Placchetta circolare in argento del periodo neo-assiro con la rappresentazione del dio Assur

Placchetta circolare in argento del periodo neo-assiro con la rappresentazione del dio Assur

Ma il valore intrinseco dei sigilli cilindrici, già sostitutivi di quelli a stampo intorno alla metà del IV millennio, è dato dal fatto che essi erano generalmente realizzati in pietre semipreziose provenienti da luoghi molto lontani: i lapislazzuli (importati dal lontano Badakhshan, nell’odierno Afghanistan nord orientale, celebre per le miniere descritte anche da Marco Polo), l’ematite, la cornalina, il calcedonio; ma anche agata, serpentino, diaspro rosso o verde, cristallo di rocca. Per questo i sigilli furono spesso riutilizzati, diffondendosi anche come amuleti con valore apotropaico, ornamenti, oggetti votivi: veri status symbol talvolta indossati dai proprietari con una catenina o montati su spilloni. Nei sigilli cilindrici, in pochi centimetri, accanto alle iscrizioni venivano realizzati motivi iconografici sempre più raffinati, differenziati per periodi e aree geografiche. Sfilate di prigionieri davanti al re, scene di lotta tra eroi e animali, processioni verso il tempio, raffigurazioni di guerra e di vita quotidiana, donne-artigiane accovacciate, grandi banchetti, racconti mitologici: l’evoluzione stilistica, la raffinatezza delle incisioni diventano nel tempo sempre più evidenti. In epoca accadica gli intagliatori di sigilli prestano attenzione alla resa naturalistica del corpo umano e di quello animale, curano la narrazione, la simmetria, l’equilibrio, la drammatizzazione. Si individuano e si susseguono nel tempo stili e tecniche anche con l’introduzione del trapano e della ruota tagliente, a scapito della manualità. I sigilli rappresentano insomma un unicum artistico, prima delle gemme greche e romane.

Borsa Mediterranea del Turismo archeologico 2016: Accordo di Amicizia Paestum-Palmira. Appello-impegno per ricostruire la “sposa del deserto”. Incontro con Farouzy, figlia di Khaled Asaad, l’archeologo martire di Palmira. Assegnato l’International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad”. La rivista Archeo pubblica la guida di Palmira di Khaled Asaad

La distruzione del tempio di Baal Shimin a Palmira, patrimonio dell'Unesco, da parte dei miliziani dell'Isis

La distruzione del tempio di Baal Shimin a Palmira, patrimonio dell’Unesco, da parte dei miliziani dell’Isis

paestum_borsa-turismo_bmtaSfregiata, devastata, saccheggiata dai miliziani dell’Isis: Palmira oggi, a qualche mese dalla sua liberazione, lascia sgomenti quanti sono riusciti a vederla, senza più l’imponente tempio di Bel, senza più il piccolo ma non meno importante tempio di Baal-shamin, senza più il maestoso arco trionfale. Tornerà mai a risplendere la “sposa del deserto”? Un impegno e un monito a ridare a Palmira il suo splendore e ricostruire quanto distrutto dall’Isis per restituire ai siriani ciò che faceva parte del loro patrimonio e del loro ambiente culturale sono partiti dalla XIX Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico di Paestum, dedicata proprio alla città carovaniera simbolo della furia del Califfato e finalmente tornata sotto il controllo dell’esercito regolare.  “I nostri esperti in archeologia e architettura sono già al lavoro e stanno elaborando un piano di studio per ripristinare i servizi, le  infrastrutture e la sicurezza della zona di Palmira”, spiega da Paestum il direttore del Marketing e Promozione del ministero del Turismo a Damasco, Barsek Bassam. “Presto sarà stilato un elenco di cose da fare per la ricostruzione, con una previsione certa dei tempi richiesti. Siamo assolutamente concordi che andrà fatta con il coordinamento di Istituzioni internazionali come l’Unesco e l’Iccrom”. “Oggi Palmira vive a Paestum”, il commosso commento di Fayrouz Asaad archeologa e figlia di Khaled al-Asaad, il direttore del sito archeologico di Palmira che ha pagato con la vita la difesa del patrimonio culturale del suo Paese. Alla Borsa Mediterranea del Turismo Archelogico 2016, Fayrouz è stata testimone eccezionale della firma dell’Accordo di amicizia tra Paestum e Palmira, un atto che è servito a suggellare “la comunione e la vicinanza tra due testimonianze straordinarie, nel mondo, di civiltà millenarie all’insegna del rispetto delle persone e della democrazia”, sottolinea il sindaco di Capaccio-Paestum Italo Voza, auspicando che l’accordo possa essere presto ratificato in un vero e proprio gemellaggio non appena la città di Palmira riavrà il suo assetto governativo. Magari già nel 2017 alla prossima edizione della Bmta.

Paestum Fayrouz Asaad

Paestum Fayrouz Asaad

“Spero che tutte le persone che amano Palmira, lavorino per riportare Palmira a come era prima, perché deve tornare alla vita, per accogliere visitatori da tutto il mondo perché è un patrimonio dell’umanità”, auspica Fayrouz Asaad che dall’uccisione del padre si è rifugiata in Germania con il marito e la figlia, dove ha ripreso i suoi studi in archeologia.  “Che cosa rappresentava e cosa rappresenta oggi Palmira? Ai miracoli Palmira è abituata. Del resto il suo nome in aramaico è Tadmor che significa appunto miracolo. Palmira è in mezzo al deserto e c’è l’acqua sulfurea, è stata il più importante punto della Via della Seta. È una città complicata. Le persone quando arrivano a Palmira è come se arrivassero in pellegrinaggio. Oggi però i più importanti monumenti sono andati persi, come anche il museo. Per questo è importante che tutto il mondo contribuisca a sanare le ferite prodotte dall’Isis e a riportare la città com’era prima”. Ma con tre regole precise, secondo Paolo Matthiae, archeologo e direttore della missione archeologica a Ebla in Siria: pieno rispetto della sovranità nazionale, coordinamento e controllo dell’Unesco e ampia collaborazione internazionale. Per Matthiae “sarebbe inaccettabile un neo-colonialismo nel paese più ospitale e generoso per ciò che concerne le autorizzazioni alle operazioni di scavo”.  E l’ambasciatore Unesco Francesco Caruso: “Bisognerà restituire alla popolazione i siti come erano, anche se si tratta di riproduzioni. Se questo sarà il loro desiderio. Riprendiamo, dunque, la via politica armati di cultura”.

Siglato alla Borsa Mediterranea del Turismo archeologico l'Accordo di Amicizia tra Paestum e Palmira

Siglato alla Borsa Mediterranea del Turismo archeologico l’Accordo di Amicizia tra Paestum e Palmira

“Non posso immaginare di vedere il parco Archeologico di Palmira senza l’arco monumentale. Sono sicuro che sia giusto ricostruire tutto come era e soprattutto lavorare per restaurare la mentalità dei nostri bambini che hanno visto bombe, sangue, distruzione”, sostiene Mohamad Saleh, l’ultimo direttore per il Turismo a Palmira, protagonista  di un commosso incontro alla Borsa di Paestum, insieme a Fayrouz Asaad, già assistente del fratello Walid, ultimo direttore della città antica e del museo di Palmira: “Ho visto con i miei occhi – denuncia Fayrouz – cosa hanno fatto al mio Paese uomini ignoranti”. E aggiunge: “Sono molto contenta di essere con voi. Grazie mille all’Italia e alla Borsa per quello che ha fatto per la Siria. Grazie a Dio mio padre è morto prima di vedere la distruzione dei monumenti che tanto amava. Adesso vedo l’anima di mio padre attraverso voi. L’Italia è famosa per i suoi esperti archeologici. Spero che possa partecipare al restauro di Palmira quanto prima”.

La Tomba di Lavau, sepoltura di un principe celtico del V secolo a.C.

La Tomba di Lavau, sepoltura di un principe celtico del V secolo a.C.

Al padre di Fayrouz, Khaled Asaad, la Borsa Mediterranea del Turismo archeologico, ha intitolato  l’International Archeological Discovery Award, “l’unico riconoscimento mondiale”, sottolineano il direttore della Borsa Ugo Picarelli e il direttore di Archeo Andreas Steiner che hanno condiviso questo cammino in comune, “dedicato al mondo dell’archeologia e in particolare ai suoi protagonisti, gli archeologi, che con sacrificio, dedizione, competenza e ricerca scientifica affrontano quotidianamente il loro compito nella doppia veste di studiosi del passato e di professionisti a servizio del territorio”. L’edizione 2016 dell’International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad” è stata assegnata alla Tomba di Lavau in Francia, quale scoperta più significativa del 2015: il Premio è stato consegnato all’INRAP Institut National de Recherches Archéologiques Préventives, rappresentato dal presidente Dominique Garcia, alla presenza di Fayrouz Asaad. Lo “Special Award”, il premio alla scoperta con il maggior consenso sulla pagina Facebook della BMTA, è stato assegnato alla Tomba etrusca di Città della Pieve: una scoperta di fondamentale valore per il territorio pievese, che entrerà così a far parte della rete delle Città Etrusche. “È un onore che sia stato dedicato un premio alla memoria di mio padre qui a Paestum”, chiosa Fayrouz Asaad. “Non avrei mai pensato che la fine della vita di mio padre fosse questa. Sono molto addolorata. Tanta gente mi ha dato coraggio, speriamo di lavorare tutti insieme per riportare Palmira a quello che era prima. Cosa penso dell’Isis? Non sono persone, gli animali sono più importanti di loro. Non sono musulmani, il nostro Islam non è così. Hanno fatto tutto sotto il nome dell’Islam ma non sono islamici”. Intanto, gli italiani potranno presto scoprire i tesori della città raccontate proprio da Khaled al-Assad. Grazie a un’iniziativa della rivista “Archeo” patrocinata dall’Unesco, sarà tradotta in italiano la guida scritta in inglese dall’archeologo. “Spero sia pronta massimo per inizio 2017”, annuncia il direttore della rivista Andreas Steiner, “e che sia di buon auspicio affinché si possa tornare a visitare Palmira quanto prima”.

“Rinascere dalle distruzioni. Ebla, Nimrud, Palmira”: al Colosseo la mostra curata dall’archeologo Paolo Matthiae propone la ricostruzione in 3D del Toro androcefalo di Nimrud, del soffitto del tempio di Bel a Palmira e dell’archivio di Stato di Ebla. Denuncia della furia iconoclasta jihadista ma anche test in vista della ricostruzione dei siti distrutti

Miliziani dell'Is si accaniscono su un lamassu della città assira di Nimrud in Iraq

Miliziani dell’Is si accaniscono su un lamassu della città assira di Nimrud in Iraq

La ricostruzione con stampanti 3D del toro androcefalo di Nimrud

La ricostruzione con stampanti 3D del toro androcefalo di Nimrud

Quei colpi di piccone inferti con violenza e volontà distruggitrice dai miliziani dell’Isis sul toro androcefalo di Nimrud, il lamassu, fecero il giro del mondo. Era il marzo 2015: i jihadisti si scagliarono contro il sito archeologico iracheno con un disegno pianificato nei minimi dettagli – prima i picconi, poi le frese, quindi i bulldozer, infine l’esplosivo -, raccontato con un video postato su Internet accompagnato da slogan contro i simboli di idolatria e divinità pagane (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2015/04/15/iraq-la-citta-assira-di-nimrud-distrutta-con-bulldozer-ed-esplosivo-un-video-dimostra-lo-sfregio-dei-miliziani-dellis-annunciato-in-marzo-cancellati-3mila-anni-di-storia/). Distrutto, ma non la sua memoria. Una fedele ricostruzione del toro androcefalo dal 7 ottobre all’11 dicembre 2016 è protagonista della mostra “Rinascere dalle distruzioni. Ebla, Nimrud, Palmira”, che sarà inaugurata al Colosseo di Roma il 6 ottobre dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Ma come si vede dal titolo, il lamassu di Nimrud non sarà solo. Ci sarà anche un’altra “vittima” della furia Jihadista: il tempio di Bel a Palmira, in Siria, distrutto nell’agosto 2015 poco prima della decapitazione del custode della “sposa del deserto”, l’archeologo Khaled Asaad, direttore per decenni del museo e del sito archeologico (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2015/11/19/siria-devastata-dai-miliziani-appello-del-direttore-dei-musei-di-damasco-non-lasciateci-soli-e-il-direttore-del-turismo-di-palmira-tre-generazioni-per-superare-i-danni-d/). Metà del soffitto del tempio di Bel è stato ricostruito al Colosseo grazie a disegni del 1930. E poi c’è Ebla, ancora In Siria. L’importante città del III millennio a.C., scoperta dall’archeologo italiano Paolo Matthiae all’inizio degli anni Sessanta del secolo scorso, è stata parzialmente danneggiata in cinque anni di guerra per la presenza e lo stazionamento di contingenti militari sul sito, ma soprattutto ha pagato duramente, come più volte denunciato dallo stesso Matthiae, non ultimo a febbraio a Firenze in occasione di Tourisma 2016 (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2016/02/23/tourisma-2016-al-salone-internazionale-dellarcheologia-di-firenze-migliaia-di-presenze-matthiae-morandi-bonacossi-e-peyronel-su-archeologia-e-ricerca-italiana-allestero-nei-period/), la mancanza di manutenzione delle fragili strutture in mattoni crudi, per la mancanza delle missioni archeologiche internazionali, assenti dalla Siria dal 2011. Al Colosseo vedremo la ricostruzione dell’archivio di Stato di Ebla del 2300 a.C., tra le massime scoperte del Novecento: 16 metri quadrati, dove furono trovate decine di migliaia di tavolette di argilla scritti in caratteri cuneiformi che hanno restituito preziose informazioni sulla città, sul territorio, sui rapporti con le potenze straniere dell’epoca.

Un elemento del soffitto del tempio di Bel di Palmira ricostruito in 3D

Un elemento del soffitto del tempio di Bel di Palmira ricostruito in 3D

L'archeologo Paolo Matthiae, lo scopritore di Ebla

L’archeologo Paolo Matthiae, lo scopritore di Ebla

La mostra, ideata e curata da Francesco Rutelli e dall’archeologo Paolo Matthiae con l’impegno dell’associazione Incontro di Civiltà, con il patrocinio dell’Unesco, e realizzata dalla soprintendenza speciale per il Colosseo, fa rinascere dunque manufatti divenuti fulcri delle civiltà del Mediterraneo e del Medio Oriente, danneggiati o distrutti con l’intento di oscurare la storia e la cultura millenaria di quei luoghi. Si tratta di un innovativo lavoro, durato due anni, realizzato grazie a modelli e tecniche di costruzione digitale, a stampanti 3D, a robot, e all’utilizzo di sofisticati materiali, che ricordano l’arenaria e il marmo, il tutto esaltato dall’esperienza dei restauratori italiani. Il contributo sostanziale della “Fondazione Terzo Pilastro – Italia e Mediterraneo”, main partner del progetto, e del suo presidente, prof. Emmanuele F.M. Emanuele, ha consentito la realizzazione dei tre eccezionali manufatti. Ora in una sede speciale. “Ho colto da subito l’importanza di questa iniziativa di rilievo”, spiega Francesco Prosperetti, soprintendente speciale per il Colosseo. “La mostra non poteva essere ospitata da un sito più adeguato. Il Colosseo è una delle meraviglie del mondo e in questo luogo, che è il monumento più visitato in Italia, vengono ora accolte bellezze altrettanto meravigliose. Un bene di tutti che mette in mostra un patrimonio mondiale”. E continua: “Dietro ogni manufatto c’è una accurata ricerca scientifica che porta ad accurate riproduzioni realizzate in tre fasi grazie alle più moderne tecnologie: prima lo studio dei disegni e delle fotografie, poi la realizzazione dei manufatti in materiale plastico e la rivestitura con polvere di pietra, infine l’anticatura manuale. Un documentario internazionale, realizzato da Sky Arte HD e che andrà in onda a gennaio, racconta non solo la storia dei tre monumenti, ma anche le fasi della ricostruzione in 3D, un lavoro durato mesi che ha visto all’opera i professionisti di tre aziende italiane (Nicola Salvioli, Arte Idea, Tryeco 2.0).

Una fase della ricostruzione dell'archivio di Stato di Ebla proposto nella mostra al Colosseo

Una fase della ricostruzione dell’archivio di Stato di Ebla proposto nella mostra al Colosseo

Un modello di ricostruzione digitale 3D del toro androcefalo di Nimrud

Un modello di ricostruzione digitale 3D del toro androcefalo di Nimrud

Denuncia della furia iconoclasta jihadista, ma anche un test tecnologico: la ricostruzione in 3D servirà alla rinascita dei tre siti archeologici quando le condizioni lo permetteranno. La ricostruzione è già stata fatta a Dresda, a Varsavia e anche a Montecassino. L’obiettivo è arrivarci anche in Medio Oriente. “Purché”, mette in guardia Matthiae, “la ricostruzione non diventi la scusa per un nuovo neocolonialismo. Infatti i restauri, laddove possibile, e le ricostruzioni devono avvenire secondo tre principi fondamentali: il rispetto pieno della sovranità degli Stati in cui opere e monumenti si trovano; il coordinamento, la supervisione e l’approvazione dell’Unesco; la più ampia, solidale e intensa collaborazione internazionale». La mostra di Roma è un primo passo perché questo avvenga: quando la situazione politica sarà stabile e sarà possibile intervenire, gli archeologi potranno contare su un lavoro preliminare già avviato”.

Tourisma 2016. Al salone internazionale dell’archeologia di Firenze migliaia di presenze. Matthiae, Morandi Bonacossi e Peyronel su archeologia e ricerca italiana all’estero nei periodi di crisi e di guerra. Il Vicino Oriente in fiamme

L'auditorium del centro congressi di Firenze stracolmo per Tourisma 2016 (foto Valerio Ricciardi)

L’auditorium del centro congressi di Firenze stracolmo per Tourisma 2016 (foto Valerio Ricciardi)

L'archeologo siriano Khaled Asaad, decapitato dall'Isis nel 2015

L’archeologo siriano Khaled Asaad, decapitato dall’Isis nel 2015

Una marea di appassionati e addetti ai lavori, di curiosi e aficionados: ecco Tourisma 2016, il salone internazionale dell’archeologia che ha animato il Palazzo dei Congressi di Firenze dal 19 al 21 febbraio 2016. Tra 10 e 12mila le persone che, si calcola, hanno partecipato alla kermesse promossa dalla rivista Archeologia Viva diretta da Piero Pruneti. E il colpo d’occhio dell’auditorium del centro congressi straboccante nella foto di Valerio Ricciardi ben rende l’atmosfera di calda partecipazione. Partecipazione vissuta comunque non solo in auditorium, sede privilegiata della kermesse, ma anche nelle altre sale messe a disposizione da Firenze Fiere per workshop, presentazioni, assemblee, incontri, come pure negli spazi comuni riservati agli stand espositivi e ai laboratori. Molti i temi toccati, ma uno in particolare ha percorso trasversalmente le tre giornate di lavori: il rapporto dell’archeologia e della ricerca italiana all’estero con le crisi internazionali e la guerra, insieme a un ricordo-omaggio a Khaled al-Asaad, l’archeologo siriano custode per anni del sito Unesco di Palmira decapitato nell’agosto 2015 dall’Isis, affidato a Paolo Matthiae, il decano degli archeologi italiani in Siria, e all’instant movie del regista veneziano Alberto Castellani “Khaled al-Asaad: quel giorno a Palmira”. Toccanti le parole dello scopritore di Ebla: “Khaled Asaad era un uomo giusto, onesto, liberale, ospitale, simpatico. Era un figlio di quella regione, un efficace ambasciatore dei tesori del suo Paese. Lui è stato giustiziato dall’Isis per tre motivi: perché non ha rivelato dove aveva nascosto i tesori portati in salvo da Palmira; perché era ritenuto un servo del regime di Assad; perché era custode di un luogo pagano. In realtà Khaled fu un eccellente servitore del suo Paese”.

La distruzione del tempio di Baal Shimin a Palmira, patrimonio dell'Unesco, da parte dei miliziani dell'Isis

La distruzione del tempio di Baal Shimin a Palmira, patrimonio dell’Unesco, da parte dei miliziani dell’Isis

L'archeologo Paolo Matthiae, lo scopritore di Ebla

L’archeologo Paolo Matthiae, lo scopritore di Ebla

Proprio a Matthiae, professore emerito di Archeologia e storia del Vicino Oriente antico alla Sapienza di Roma, è stato affidato il compito di fare il punto sulla situazione della Mesopotamia in fiamme. “Stiamo assistendo a un inaudito disastro del patrimonio culturale dell’Iraq e della Siria”, spiega, attraverso anche una cinica guerra di comunicazione parallelamente alla guerra vera e propria. “Si parla – è vero – di propaganda dell’Isis. Ma in questo contesto si dicono anche tante stupidaggini. Una delle più ricorrenti è quella che sostiene che l’Isis si finanzia attraverso la vendita delle antichità. Niente di più assurdo. Ci vorrebbero almeno 200 opere originali di Leonardo Da Vinci per finanziare le spese che sostiene l’Isis. E lo si può capire facilmente che le antichità non possono essere remunerative. Basta controllare le quotazioni del mercato antiquario alle aste e si vede che le valutazioni dei reperti archeologici non superano alcune migliaia di euro”. E aggiunge polemico: “Allora viene il sospetto che quando soprattutto negli Usa si fanno queste affermazioni è solo per non dire o non affrontare il vero problema: chi finanzia, chi c’è dietro l’Isis? Se noi lo svelassimo, la guerra sarebbe presto finita. In questo contesto Palmira è un esempio calzante che spiega la non volontà di intervento. Palmira – lo sappiamo – è un’oasi nel deserto, senza consistenti nuclei abitati nelle vicinanze. Quindi, considerando la potenzialità delle forze alleate in campo, difendere e salvaguardare Palmira sarebbe stato un gioco da ragazzi. Invece Palmira è stata lasciata sola, permettendo che poche centinaia di miliziani jiahdisti, si parla di 800, la occupassero facilmente. Con le conseguenze che poi conosciamo tutti. È ridicolo. Perché non si è fatto niente?”.

Il sito di Ebla in Siria: senza la manutenzione la città del III millennio si sta distruggendo

Il sito di Ebla in Siria: senza la manutenzione la città del III millennio si sta distruggendo

In Siria è dal 2010 che sono state interrotte le missioni archeologiche. Oggi le attività di ricerca archeologica sono possibili e continuano in quei territori che sono ancora sotto il controllo dello Stato siriano. Ovviamente lavorano solo gli archeologi siriani perché le missioni straniere sono bloccate. “A Ebla, ad esempio, nel 2010 si stava predisponendo – col pieno appoggio delle autorità governative – il piano per la realizzazione del Parco archeologico di Ebla, che prevedeva il coinvolgimento di cinque villaggi vicini per l’appoggio logistico e di servizio al previsto e auspicato flusso turistico. E a Idlib, la città capoluogo, era già stata realizzata la Casa della Cultura, che doveva fungere da centro logistico e informativo per i turisti, con annesso il rinnovato Museo archeologico di Idlib, che nelle intenzioni doveva diventare il museo di Ebla con reperti e ricostruzioni della grande città del III millennio a.C. La Casa della Cultura”, ricorda amaro Matthiae, “è stata distrutta dall’Isis, mentre il sito di Ebla abbandonato al degrado si sta distruggendo per mancanza di manutenzione. Infatti, senza la necessaria cura (noi la facevamo due volte l’anno) si è praticamente sfaldata. E non potrebbe essere altrimenti trattandosi di strutture in mattoni crudi”.

La storia cancellata con l'esplosivo: così è stata distrutta dall'Is la città assira di Nimrud in Iraq

La storia cancellata con l’esplosivo: così è stata distrutta dall’Is la città assira di Nimrud in Iraq

Daniele Morandi Bonacossi a Tourisma 2016 (foto Valerio Ricciardi)

Daniele Morandi Bonacossi a Tourisma 2016 (foto Valerio Ricciardi)

Purtroppo non c’è solo Ebla: l’archeologia oggi è ferita in Iraq e Siria, come ricorda Daniele Morandi Bonacossi, docente di Archeologia e Vicino Oriente antico all’università di Udine e direttore del Progetto Archeologico Regionale Terra di Ninive, nel Kurdistan iracheno, ampia ricerca interdisciplinare condotta nell’ambito della Missione Archeologica Italiana in Assiria (MAIA). “L’Isis mostra di voler distruggere quanto offende la presenza del monoteismo coranico di matrice salafita e wahabita, perché l’Isis si richiama all’Islam delle origini. Di qui la distruzione di quanto non rientra in questi canoni: moschee, mausolei, chiese, statue antiche, siti archeologici. Di qui le distruzioni del museo di Mosul, dei siti di Nimrud e Hatra, fino a Palmira e alla decapitazione di Khaled Asaad”.

Daniele Morandi Bonacossi (univ. di Udine) in Iraq con Gil J. Stein (Oriental Institute of Chicago)

Daniele Morandi Bonacossi (univ. di Udine) in Iraq con Gil J. Stein (Oriental Institute of Chicago)

Morandi Bonacossi mette in guardia da facili conclusioni. “La furia iconoclasta non è una prerogativa dell’Isis, e soprattutto non ha nulla a che fare con l’Islam”, assicura. “L’iconoclastia è uno strumento politico di potere di cui l’uomo si è sempre servito fin dalle origini, in ogni cultura e in ogni latitudine. Oggi in Isis c’è la volontà di distruggere quegli Stati creati a tavolino dagli inglesi alla caduta dell’impero ottomano. Ma il saccheggio dei siti archeologici in Iraq e Siria non è legato solo all’Isis. Se infatti il saccheggio promosso dagli uomini del Califfo hanno praticamente distrutto il sito della città carovaniera seleucide di Dura Europos e quello della città sumera di Mari, diversa è la responsabilità per la città greco-romana di Apamea che, pur essendo sotto il controllo delle forze governative, ha avuto la stessa tragica sorte”. Un saccheggio annunciato, purtroppo. “Noi archeologi orientalisti”, continua, “avevamo già previsto come sarebbe andata a finire: un grande saccheggio. Lo sapevamo perché lo avevamo visto in Iraq all’indomani della caduta di Saddam Hussein quando, essendo venuto meno il controllo del territorio da parte dell’autorità centrale, le aree archeologiche furono violentate e distrutte da un saccheggio sistematico. E nei saccheggi si porta via di tutto: dalle ceramiche alle sculture, dai rilievi alle monete. E questi “tombaroli” forti dell’esperienza maturata in Iraq, oggi sono assoldati dall’Isis per depredare il nord della Mesopotamia, e per tale “servizio” lo Stato Islamico ha previsto anche una tassa, il khums (il quinto), vale a dire che il 20% dei proventi deve essere versato all’Isis. Le antichità depredate finiscono per la maggior parte nei mercati antiquari degli Usa e dell’Europa. Proprio la quantità di oggetti che raggiungono il mercato antiquario occidentale sono una cartina di tornasole dell’entità del saccheggio in atto. E le cifre sono drammatiche: secondo l’Unesco, il traffico di materiale archeologico da scavi illegali o clandestini produrrebbe un volume di affari di 7 miliardi di euro”.

L'archeologo dello Iulm, Luca Peyronel, in Vicino Oriente

L’archeologo Luca Peyronel in Vicino Oriente

Che fare, allora, di fronte all’Isis? Lo indica Luca Peyronel, professore di Archeologia e Storia dell’Arte del Vicino Oriente antico alla Iulm di Milano, e direttore della missione archeologica italiana nella piana di Erbil in Kurdistan iracheno: “Bisogna continuare a fare ricerca, ovviamente in una situazione di relativa sicurezza, perché la nostra presenza ha un valore etico. E ciò vale anche per la Siria dove, se non è possibile andare fisicamente in missione, almeno si può continuare a studiare e a pubblicare quanto già scavato. E anche la recente creazione dei Caschi blu della Cultura (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2016/02/19/istituiti-i-caschi-blu-della-cultura-sotto-legida-dellunesco-la-prima-task-force-united4heritage-e-italiana-con-tecnici-specializzati-e-carabini/) va letto positivamente a livello internazionale, perché è una importante risposta politica al fondamentalismo”.

Ai Lincei Paolo Matthiae, scopritore di Ebla, per mezzo secolo in Siria, interviene sulla situazione in Vicino Oriente: “Italia in prima linea per salvare il patrimonio dall’odio dell’Isis”

L'archeologo Paolo Matthiae, scopritore di Ebla, per quasi 50 anni ha operato in Siria

L’archeologo Paolo Matthiae, scopritore di Ebla, per quasi 50 anni ha operato in Siria

Dolore e rabbia per quanto sta accadendo nel Vicino Oriente, ma anche una certezza: “L’Italia è e sarà in prima linea per contrastare la distruzione del patrimonio storico e artistico della Siria e dell’Iraq che il sedicente Stato Islamico sta compiendo, mostrando un odio inconcepibile, oltre ogni più orribile previsione”. Paolo Matthiae, accademico dei Lincei, uno dei più grandi archeologi orientalisti non solo tra gli italiani, direttore per 47 anni (1964-2010) della missione archeologica a Tell Mardikh, in Siria, dove ha scoperto l’antica città di Ebla e i suoi straordinari archivi reali, proprio all’Accademia dei Lincei a Roma ha coordinato la conferenza su “Le distruzioni del patrimonio culturale tra passato e futuro. Il dramma della Siria e dell’Iraq, e le iniziative dell’Italia” alla presenza del senatore Francesco Rutelli e dello storico Andrea Giardina.

L'archeologo Paolo Matthiae

L’archeologo Paolo Matthiae

Quanto è a rischio il patrimonio archeologico del Vicino Oriente? Che cosa sta facendo e cosa può fare il mondo civile per fermare questa barbarie? Temi cari allo scopritore di Ebla che sarà uno dei protagonisti alla seconda edizione di Tourisma, il salone internazionale dell’archeologia in programma a Firenze dal 19 al 21 febbraio (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2016/01/18/dal-19-al-21-febbraio-2016-appuntamento-a-firenze-per-tourisma-il-salone-internazionale-dellarcheologia-decine-di-incontri-con-piu-di-duecento-relatori/). Per Matthiae “una sofferenza non facilmente dicibile”. Lui che in Siria ci ha vissuto quasi mezzo secolo, e che la Siria ha visto crescere e aprirsi al mondo. “Negli ultimi decenni era un luogo di concentrazione di attività archeologiche straordinarie. Pensate: nel 1964, quando sono andato in Siria per la prima volta, c’erano 7-8 missioni archeologiche straniere. Quando gli archeologici di tutto il mondo hanno dovuto abbandonare la Siria nel 2010 c’erano un’ottantina di missioni straniere che arrivavano a 120 missioni se si calcolavano quelle congiunte siro-francesi, siro-tedesche, siro-italiane”.

La distruzione del tempio di Baal-Bel a Palmira, patrimonio dell'Unesco, da parte dei miliziani dell'Isis

La distruzione del tempio di Baal-Bel a Palmira, patrimonio dell’Unesco, da parte dei miliziani dell’Isis

“Dopo i disastri della Seconda Guerra Mondiale”, spiega Matthiae, “nessuno di noi avrebbe mai pensato che si potessero ripetere intenzionali distruzioni del patrimonio per odio dell’altro. Un odio assolutamente inconcepibile, perché quando si distrugge un tempio spettacolare di Palmira si distrugge un patrimonio storico siriano, ma anche un patrimonio straordinario dell’umanità non in maniera diversa da quello che è avvenuto a Dresda alla fine della Seconda guerra mondiale”. Per il sedicente Stato Islamico “la cui radice culturale è nel fanatismo wahhabita e salafita, ciò che appartiene al mondo pagano e preislamico è esecrabile e va distrutto”, continua, “ma la furia dell’Is-Daesh non si abbatte solo contro le testimonianze del mondo pagano anteriore all’Islam, ma anche contro opere islamiche e non solo del mondo sciita, ma anche sunnita”.

Il direttore di Palmira, Khaled Asaad, e il tempio di Baal

Il direttore di Palmira, Khaled Asaad, e il tempio di Baal

Accanto all’aspetto teologico, però, la distruzione dei siti storico-archeologici nelle terre conquistate dai miliziani dell’Isis ha anche un aspetto economico. “C’è questo paradosso”, denuncia Matthiae: “l’Is-Daesh distrugge, annienta, polverizza monumenti, opere e centri interi di interesse storico, ma una parte la salva per chi ha un interesse nell’antiquariato. Qui ci sono deplorevoli connivenze nel mondo del Vicino Oriente e Occidentale. Perché ovviamente se si vendono delle cose c’è qualcuno che le acquista”. Su come intervenire per fermare questa barbarie, l’accademico sostiene che “sarebbe un rischio assurdo, impensabile e inattuabile intervenire sullo scenario di guerra”. Tuttavia “l’Italia è in prima linea con una serie di proposte e l’Unione Europea lo riconosce”, conclude Matthiae, che approva la proposta del ministro dei Beni culturali Dario Franceschini sostenuta dal premier Matteo Renzi dell’istituzione di caschi blu dell’Unesco a protezione del patrimonio culturale: “Il fatto che l’Unesco abbia approvato all’unanimità questa proposta italiana è importante per il futuro sotto un duplice aspetto. Da un lato perché appena si creeranno condizioni di sicurezza si potrà intervenire con dei caschi blu. In secondo luogo perché le forze militari di pace possono essere affiancate da forze specializzate per la protezione culturale”.