A Noceto (Pr) si stanno ultimando gli ultimi lavori in vista dell’inaugurazione del museo Archeologico della Vasca Votiva, un unicum a livello europeo che innova le conoscenze scientifiche sull’Età del Bronzo. Gli archeologi anticipano qualche curiosità sugli oggetti ritrovati e qualche ipotesi sull’utilizzo rituale della vasca

Alla vigilia di Ferragosto dal segretariato dell’Emilia Romagna del ministero della Cultura con l’augurio di “Buone vacanze” c’era stato anche un arrivederci importante: “Ci vediamo il 1° ottobre 2021 a Noceto, in provincia di Parma, per l’inaugurazione del museo Archeologico della Vasca votiva”. La Vasca Votiva rappresenta un unicum a livello europeo tale da innovare profondamente per dimensioni e caratteristiche le conoscenze scientifiche sull’Età del Bronzo. Si tratta infatti di un monumento senza confronti fra le strutture lignee pre-protostoriche europee. Il museo di Noceto è stato costruito proprio per ospitare esclusivamente questo incredibile reperto e gli oggetti ritrovati al suo interno. Ma non sarà aperto il 1° ottobre. L’attesa cerimonia è stata fatta slittare di una settimana. L’appuntamento è per venerdì 8 ottobre 2021, a Noceto (Pr), in via Ignazio Silone 1, per l’inaugurazione del museo Archeologico della Vasca votiva. L’inaugurazione sarà in presenza nel rispetto delle norme anti-Covid. Per accedere sarà necessario essere dotati di Green Pass. Diretta sul profilo Facebook del Comune di Noceto @ComuneNoceto.

Programma della giornata. Alle 10.30, inaugurazione e saluti istituzionali: Corrado Azzollini, segretario regionale del ministero della Cultura per l’Emilia-Romagna; Andrea Corsini, assessore al Turismo della Regione Emilia-Romagna; Fabio Fecci, sindaco del Comune di Noceto; Elio Franzini, magnifico rettore dell’università di Milano; Marco Masetti, direttore del dipartimento di Scienze della Terra “A. Desio”; Franco Magnani, presidente della Fondazione della Cassa di risparmio di Parma; Cristina Ambrosini, direttore del servizio Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna. Alle 11.10, intervengono: Maria Bernabò Brea su “La Vasca di Noceto nel contesto dell’Età del Bronzo”; Mauro Cremaschi, docente dell’università di Milano su “La struttura della Vasca: dallo scavo al museo”; Angela Mutti, funzionaria archeologa del Mic su “Il contenuto della Vasca: dallo scavo al museo”; Guillaume Pacetti, architetto “Il progetto del museo”.

Intanto prosegue a ritmo serrato il completamento dell’allestimento. “Allestire una vetrina”, spiega lo staff tecnico sul sito del segretariato regionale del Mic, “è operazione appassionante ma al tempo stesso fonte di preoccupazione, perché maneggiare i reperti comporta sempre un certo rischio. Per di più, quando si prepara un nuovo allestimento non basta spostare un oggetto da un posto all’altro, ma occorre provare più versioni espositive fino a raggiungere quella ottimale. La situazione è ancora più complessa quando il nuovo allestimento è completamente da realizzare: in questo caso sono addirittura da calcolare le dimensioni delle vetrine, la tipologia dei basamenti interni e finanche dei singoli supporti. Non sempre però si dispone di uno spazio e, ancor più, dell’attrezzatura di scena per effettuare queste prove come davvero si vorrebbe. E qui entra in gioco la capacità di immaginazione e l’inventiva degli archeologi, abituati a soluzioni improvvisate degne di un MacGyver o di Archimede pitagorico: i più svariati tipi di oggetti (purché stabili!) diventano utili per una simulazione”.


Proposta di allestimento di alcuni oggetti lignei recuperati dalla vasca votiva di Noceto (Pr) (foto Mic-ERO)
“Per buona parte dei reperti di Noceto”, continuano i tecnici, “nastro di carta e metro, cassette di svariato materiale, fogli per appunti e macchine fotografiche sono stati più che sufficienti per simulare perimetri di vetrine, suddividere gli spazi interni, riprodurre piani espositivi di diversa altezza, fissare le soluzioni individuate. La stessa procedura era però impossibile per i reperti lignei, troppo delicati per essere ripetutamente maneggiati e spostati. Per loro si è dunque fatto ricorso al modellino in scala: in parte con il vecchio stile (forbici per ritagliare le figurine, cartoncino e colla), in parte con tecniche più moderne, ossia con un programma di grafica. Il timore che la versione reale non fosse all’altezza del modello c’era, ma oggi, ad allestimento avviato, il risultato ci sembra niente male”.

La vasca conteneva ben 100/150 vasi interi o “ricomponibili”: si tratta di un ristretto numero di vasi integri, molti vasi “ricomponibili”, ossia in frammenti ma pressoché completi, e altri mancanti di qualche parte che potrebbe essere andata perduta durante lo scavo. “Quasi tutti i vasi rinvenuti nei pressi del fondo della vasca”, intervengono gli archeologi impegnati nelle ricerche, “erano ad esempio “ricomponibili”; sono stati i primi ad esservi depositati e hanno subito più degli altri il peso dei sedimenti e dei manufatti che li hanno coperti. Molti dei vasi “integri” provengono invece da livelli più alti, dove si sono conservati perché probabilmente sottoposti a una pressione minore”.


Un vaso in ceramica al momento dello scavo della vasca votiva di Noceto (Pr) (foto Mic-ERO)
“Poi ci sono i vasi scompleti, mancanti di qualche parte”, continuano: “è vero che tali parti potrebbero essere andate perdute in scavo, ma se così non fosse? Se questi vasi fossero stati deposti nella vasca già privati di un frammento o di una parte perché l’offerente desiderava conservare un legame con la divinità destinataria, condividendo con lei un oggetto investito di un importante significato? Bisogna infine dire che la vasca conteneva anche migliaia di frammenti ceramici; dunque come escludere del tutto l’ipotesi che alcuni oggetti fossero intenzionalmente frammentati e poi deposti, oppure che una semplice parte di vaso fosse ritenuta sufficiente a rappresentare, simbolicamente, l’intero dono? Per verificare queste ipotesi bisognerebbe esaminare migliaia di frammenti, cercare quelli cha attaccano e procedere, fino a dove il puzzle lo consente, con la ricomposizione. Oggi un’operazione del genere è quasi un sogno, ma in futuro chissà!”.


Nel disegno un’ipotesi di ricostruzione e utilizzo del telaio nell’Età del Bronzo (foto Mic-ERO)
“Tra i diversi oggetti in terracotta ritrovati nella vasca”, ricordano gli archeologi, “c’erano una ventina di fusaiole e alcuni (4) pesi da telaio. Fusaiole e pesi si rinvengono abbastanza facilmente negli abitati, mentre gli elementi lignei cui sono associatisi trovano in casi rarissimi: dalla vasca provengono invece almeno tre fusi, bastoncini con le due estremità assottigliate e appuntite e un altro manufatto forse usato con il telaio. Il fuso, con il movimento rotatorio impressogli dalla filatrice, trasforma in filo la matassa informe di fibre, lana o lino, avvolta su una conocchia (o rocca) retta dalla filatrice stessa con l’altro braccio; le fusaiole, infilate nella punta inferiore del fuso, gli garantiscono stabilità durante la rotazione. I fili sono poi collocati su un telaio verticale, tenuti tesi con il peso legato alla loro estremità inferiore; i fili verticali costituiscono l’ordito e un altro filo, intrecciato trasversalmente ai primi con l’aiuto di una spoletta (o navicella), dà origine alla trama. In epoca preistorica filatura e tessitura erano praticate in ambito familiare e dalle donne, comprese quelle appartenenti alle classi sociali più elevate; sappiamo tutti che Penelope, pur regina, trascorreva gran tempo al telaio. E non vorremo certo dimenticare la Bella addormentata, caduta vittima del malefico incantesimo proprio pungendosi con un fuso!”.

“Tornando a filatura e tessitura, come interpretare la presenza entro la vasca di oggetti legati a queste attività?”, si chiedono gli esperti. “Un’ipotesi è che nella mitologia di molte culture antiche, anche di aree distanti tra loro, vita e destino dell’uomo sono spesso assimilati a un filo, retto, avvolto e troncato da apposite figure divine e che, sempre nel mondo antico, si riteneva spesso che il passaggio tra mondo dei vivi e mondo dei morti avvenisse attraverso l’acqua”.

“Uno dei temi più dibattuti nel corso dello scavo”, spiegano ancora gli archeologi sul sito del segretariato regionale del Mic, “era con quali criteri e, soprattutto, in che modo erano affidati alla vasca gli oggetti che conteneva? Innanzitutto si può constatare che i primi vasi deposti si distribuivano lungo i lati Nord ed Est, formando delle piccole concentrazioni alternate a spazi vuoti. Forse perché questi lati erano quelli rivolti verso il villaggio e quindi i primi a cui si giungeva? E perché le concentrazioni? Corrispondevano forse a offerte effettuate in momenti diversi ma sempre dallo stesso punto del bordo, forse più facilmente accessibile? Ed è possibile che ognuna fosse ricollegabile o addirittura riservata a una stessa famiglia o a un clan familiare?”.

“Quando poi i doni più antichi e le travi basali erano già sepolti dai sedimenti – continuano -, le offerte (peraltro mai interrotte) si fanno di nuovo numerose. Che fosse in atto una carestia o fosse necessaria una maggiore produttività dei terreni per l’aumento della popolazione? A differenza dei doni più antichi, le offerte di questa fase si concentrano nell’angolo Nord-Est, che viene riempito da un enorme numero di vasi”.


Nel disegno un’ipotesi di come venivano depositati gli oggetti sul fondo della vasca votiva di Noceto (Pr) (foto Mic-ERO)
“A criteri precisi sembra poi rispondere la distribuzione dei principali manufatti in legno; aratri e vanghe, i più grandi attrezzi ritrovati entro la vasca, erano tutti in corrispondenza di angoli. Rami, intrecci, ghirlande sembrano invece distribuirsi un po’ su tutta la superficie, forse perché, a differenza degli oggetti pesanti che andavano subito a fondo, potevano galleggiare sulla superficie prima di affondare. Infine si tende a pensare che gli oggetti fossero delicatamente posati lungo il bordo, a pelo d’acqua, ma non possiamo non notare alcune stranezze: alcuni vasi sono esattamente sovrapposti tra loro, un grosso vaso rovesciato e privo di fondo era ben lontano dal bordo vasca. Come spiegare questi aspetti? Casualità forse o, come scherzosamente ipotizzato, dovremmo davvero pensare che a qualcuno spettasse l’onore (o l’onere?) di tuffarsi per andare a deporre gli oggetti? Incarico, almeno dal nostro punto di vista, poco attraente e nemmeno agevole data la presenza di un reticolo di travi anche alla sommità della vasca”.
Milano. L’università statale e l’Ambasciata d’Italia in Egitto dedicano una giornata a ricordare il salvataggio dei templi di File a 40 anni dalla straordinaria impresa con la presentazione del volume “File, la Perla del Nilo salvata dalle acque. Il contributo italiano”: incontro in presenza su invito e in streaming

Quarant’anni fa, era il 1980, grazie alla collaborazione tra Egitto e Italia, si concludeva l’epica impresa del salvataggio del magnifico complesso faraonico sorto sul Nilo: i templi di File. A quella straordinaria impresa l’università statale di Milano e l’Ambasciata d’Italia in Egitto dedicano la giornata del 21 settembre 2021 con l’incontro “File salvata dalle acque. Alla Statale gli archivi di un’impresa straordinaria”, promosso con la partecipazione dell’Istituto Italiano di Cultura – Centro Archeologico Italiano al Cairo. Appuntamento in Sala Rappresentanza della sede di via Festa del Perdono dell’Università Statale, alle 11 (ingresso su invito e solo con Green Pass), in diretta sul canale YouTube d’Ateneo @UnimiVideo. L’evento sarà l’occasione per presentare il volume “File, la Perla del Nilo salvata dalle acque. Il contributo italiano”, curato dall’Ambasciata d’Italia al Cairo e dall’Istituto Italiano di Cultura – Centro Archeologico Italiano al Cairo e stampato dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato attraverso il prestigioso marchio Libreria dello Stato.

Giampaolo Cantini, ambasciatore d’Italia al Cairo

Patrizia Piacentini, egittologa dell’università di Milano (foto mudec)

Giuseppina Capriotti Vittozzi (Centro Archeologico Italiano – Istituto Italiano di Cultura del Cairo)
La giornata sarà aperta, alle 11, dai saluti istituzionali del rettore Elio Franzini, della prorettrice a Ricerca e Innovazione Maria Pia Abbracchio, e da Claudia Berra, direttrice del dipartimento di Studi letterari, filologici e linguistici dell’Ateneo milanese. Ai saluti istituzionali seguirà l’intervento (da remoto) di Giampaolo Cantini, ambasciatore d’Italia in Egitto, su “L’Italia in Egitto: l’anniversario di una grande impresa”. Quindi, alle 11.30, gli interventi in presenza: Patrizia Piacentini, ordinario di Egittologia (Università di Milano), su “L’archivio Condotte negli Archivi di Egittologia dell’Università degli Studi di Milano”; Matteo Uggetti, commissario straordinario della Società Italiana per Condotte d’Acqua S.p.A., su “Le Condotte in Egitto”; Giuseppina Capriotti Vittozzi, Centro Archeologico Italiano – Istituto Italiano di Cultura del Cairo, presenta il volume “File, la Perla del Nilo salvata dalle acque. Il Contributo dell’Italia”, Roma, Poligrafico e Zecca dello Stato, 2021; Antonio Palma, presidente del Poligrafico e Zecca dello Stato Italiano, su “Il volume su File nel Catalogo della Libreria dello Stato”. Chiude, alle 12.10, la proiezione del video “Egyptian-Italian Cooperation for the Preservation of the Egyptian Cultural Heritage”.

Il volume raccoglie gli Archivi della Società Italiana per Condotte d’Acqua SpA (donati nel dicembre 2020 all’università di Milano) che ripercorrono la straordinaria impresa che 40 anni fa permise di salvare dalle acque, in seguito alla costruzione della Grande Diga di Assuan a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso, i monumenti dell’antica File e altri monumenti della Nubia, come quelli di Abu Simbel, che sarebbero andati definitivamente perduti. Nell’ambito della Campagna UNESCO (1960-1980), infatti, i monumenti furono salvati grazie a un intervento di traslazione altamente specialistico, nel quale l’Italia ebbe un ruolo importante. L’ultimo salvataggio fu quello di File, dove i lavori furono portati a temine dalla Società Italiana Condotte – Mazzi Estero (mentre il precedente intervento ad Abu Simbel era stato messo in atto da Impregilo).
L’università di Macerata lancia “PAST – L’Umanesimo che sa comunicare: Professioni per la comunicazione dell’Antico”, master annuale di II Livello per laureati in discipline umanistiche interessati agli aspetti relativi alla comunicazione e alla divulgazione del passato delle civiltà mediterranee. Bando a luglio. Ecco il comitato scientifico

Si chiama PAST – L’Umanesimo che sa comunicare: professioni per la comunicazione dell’Antico. È il Master annuale di II Livello, promosso dall’università di Macerata, indirizzato a laureati in discipline umanistiche, in possesso di Laurea magistrale presso una Università italiana o straniera riconosciuta, interessati agli aspetti relativi alla comunicazione e alla divulgazione del passato delle civiltà mediterranee. Il bando per la prima edizione di PAST per l’anno accademico 2021-2022 sarà pubblicato a luglio 2021. Il Master promuove la partecipazione – in qualità di docenti – di studiosi ed esperti del settore provenienti dall’Accademia e di professionisti del mondo dell’editoria e dell’imprenditoria. A integrazione della didattica frontale sono previste esercitazioni e attività laboratoriali, seminari e Masterclass di approfondimento. Il tratto distintivo del Master è la forte interazione tra il mondo universitario e della ricerca e il mondo del lavoro, che prevede, tra l’altro, un periodo di stage obbligatorio presso aziende leader del settore. A conclusione del Master lo studente sarà seguito nell’ideazione di un project work in uno degli ambiti definiti nell’offerta formativa (scrittura, audiovisivo, edutainment). Il Master è rivolto sia a giovani che desiderino completare la loro formazione con una declinazione professionalizzante, sia a professionisti che già operano nei settori dei Beni culturali che desiderino maturare e approfondire competenze specifiche nell’ambito della comunicazione e dei Social Media.

Scorcio del teatro romano di Sabratha in Libia (foto unimc)
Presentazione. Storia e archeologia del Mediterraneo antico sono il focus di questo master che l’università di Macerata dedica a laureati di formazione umanistica e a professionisti del settore dei Beni culturali per farne dei Comunicatori dell’antico. Il Master intende formare figure professionali, altamente qualificate, spendibili negli ambiti del giornalismo scientifico e divulgativo, nella documentaristica storica e nel cinema archeologico, nell’editoria anche digitale e con particolare riferimento all’infanzia, nell’edutainment, nella comunicazione e didattica museale. I profili in uscita potranno mettere a frutto le conoscenze solidamente maturate nell’ambito della storia e dell’archeologia del Mediterraneo antico, al fine di realizzare prodotti culturali a contenuto storico di alta divulgazione scientifica: libri, blog, piattaforme digitali, podcast, fumetti, videogames, film, serie tv, programmi televisivi, documentari, progetti culturali museali.

Dettaglio dell’arco di Settimio Severo a Leptis Magna in Libia (foto unimc)
Obiettivi. Unire la formazione storica, artistica e archeologica di base con le competenze tecniche e specifiche nella comunicazione dei contenuti di settore a un pubblico eterogeneo è l’obiettivo del master PAST. Il pubblico della comunicazione dell’antico può essere composto da specialisti così come da professionisti di diversa formazione appartenenti a generazioni differenti o con profili socio-culturali variegati. Il percorso di studi del master mira dunque da un lato a rafforzare la conoscenza metodologica e storiografica del passato, attraverso la selezione e l’utilizzo delle fonti, dall’altro a sviluppare la capacità creativa del saper raccontare in maniera efficace utilizzando media e forme espressive diversi. Sono figure professionali altamente qualificate e spendibili in diversi ambiti quelle formate da questo master. Dal giornalismo scientifico e divulgativo alla documentaristica storica e del cinema archeologico, passando per l’editoria (anche digitale) riferita all’infanzia, all’edutainment, alla comunicazione e alla didattica museale. I profili in uscita potranno mettere a frutto le conoscenze solidamente maturate nell’ambito della storia e dell’archeologia del Mediterraneo antico.

La prof.ssa Simona Antolini (foto unimc)
Vediamo i componenti del comitato scientifico. Simona Antolini (direttore del consiglio direttivo): professore associato all’università di Macerata, è un’epigrafista dell’età romana. È responsabile dello studio delle iscrizioni greche e latine nell’ambito di diverse missioni archeologiche. I suoi principali campi di indagine sono: l’epigrafia municipale dell’Italia medio-adriatica, l’epigrafia rupestre, l’epigrafia in lingua greca e latina della Cirenaica, dell’Illiria meridionale e dell’Epiro, di Creta.

L’archeologa Giorgia Cappelletti (foto unimc)
Giorgia Cappelletti: laureata in Archeologia e culture del mondo antico a Bologna, ha lavorato come archeologa nella sezione di Preistoria del Muse – Museo delle Scienze di Trento. Oggi scrive testi ed esercizi per le antologie scolastiche Mondadori, svolge laboratori didattici nelle scuole elementari e pubblica libri per bambini con l’editore Erickson. Dal 2019 collabora con il Centro studi Archeostorie®.

La giornalista archeologa Cinzia Dal Maso (foto unimc)
Cinzia Dal Maso: cammina e scrive di archeologia, comunicazione dei beni culturali, uso contemporaneo del passato, turismo culturale, ecoturismo. Collabora con Repubblica, Il Sole 24 ore e dirige Archeostorie Magazine (www.archeostorie.it), osservatorio sulle forme di comunicazione dei beni culturali e della storia. Con il Centro studi Archeostorie® aiuta musei, istituzioni culturali e imprese a raccontare il proprio patrimonio in modo preciso, coinvolgente, distintivo.

L’illustratore Andrea Dentuto (foto unimc)
Andrea Dentuto: illustratore per libri, insegnante di disegno, animatore e fumettista, ha iniziato a pubblicare poco dopo aver compiuto 20 anni su riviste a diffusione nazionale, ha realizzato illustrazioni per agenzie pubblicitarie, filmati animati come regista, trasferendosi poi in Giappone per 10 anni, dove ha pubblicato per editori come Mainichi Shinbun e Futabasha.

Il direttore artistico Dario Di Blasi (foto unimc)
Dario Di Blasi: direttore artistico del Firenze Archeofilm Festival dal 2018, ha guidato dal 1990 al 2017 la Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico a Rovereto e, più di recente, l’Archeo Cine Mann del Museo Archeologico di Napoli. Collabora nell’organizzazione di decine di manifestazioni che coniugano cinema e archeologia in Italia e all’estero.

Il regista Eugenio Farioli Vecchioli (foto unimc)
Eugenio Farioli Vecchioli: autore e regista televisivo. Si è specializzato in comunicazione della scienza alla SISSA di Trieste. Lavora in TV dal 1998. Dal 2010 la sua attività si è concentrata sulla produzione di documentari dedicati al patrimonio archeologico e storico-artistico. Attualmente è il responsabile editoriale dei programmi di Rai Cultura dedicati al patrimonio culturale e realizzati in collaborazione con il ministero della Cultura.

Il comunicatore Sandro Garrubbo (foto unimc)
Sandro Garrubbo: museante, docente, autore. Nei beni culturali dal 1987, ha studiato Scienze della Comunicazione. Da 27 anni in servizio al museo Archeologico “Antonino Salinas” di Palermo, è dal 2014 Social Media Strategist dello stesso museo. Insegna “Lab. Professionale di Comunicazione delle Istituzioni Culturali” all’università di Palermo. Coautore di saggi e articoli sulla comunicazione dei beni culturali.

Il professor Sauro Gelichi (foto unimc)
Sauro Gelichi: professore ordinario di Archeologia Medievale all’università Ca’ Foscari di Venezia. Si occupa di storia dell’insediamento e della “cultura materiale” nel medioevo. È direttore del CeSAV (Centro Studi di Archeologia Venezia), della SAAME (Centro Interuniversitario per la storia e l’archeologia dell’alto medioevo). È direttore responsabile delle riviste “Archeologia Medievale” e “Rivista di Archeologia”.

Il professor Anton Giulio Mancino (foto unimc)
Anton Giulio Mancino: professore associato di Storia del cinema all’università di Macerata, collabora con le riviste “Bianco e Nero”, “Cinecritica”, “Cineforum”, “8½”, “Fata Morgana”, il programma di Rai Radiotre “Wikiradio” e il quotidiano “La Gazzetta del Mezzogiorno”. Ha redatto numerose voci dell’Enciclopedia del Cinema Treccani e del Dizionario biografico degli italiani e per Einaudi del Dizionario dei registi del cinema mondiale.

La professoressa Silvia Maria Marengo (foto unimc)
Silvia Maria Marengo: professore ordinario di Storia romana all’università di Macerata, fa parte della XVI commissione dell’Unione Accademica Nazionale per i supplementi ai corpora delle iscrizioni greche e latine. È responsabile del progetto di collaborazione fra l’università di Macerata e l’università di Zagabria per lo studio delle iscrizioni di Salona. La sua attività di ricerca riguarda principalmente la storia romana delle Marche e l’epigrafia della Cirenaica.

Il professor Emanuele Papi (foto unimc)
Emanuele Papi: professore ordinario di Archeologia classica all’università di Siena, è direttore della Scuola Archeologica italiana di Atene dal 2016. Ha condotto scavi e ricerche a Roma sul Palatino, a Hephaestia (Lemnos) in Grecia, a Dionysias in Egitto, a Thamusida, Lixus, Sala, Zilil e Volubilis in Marocco. Si occupa di Mediterraneo antico, società e città, economia dell’impero romano, storia delle rovine. È autore di diverse monografie.

Il professor Roberto Perna (foto unimc)
Roberto Perna: professore associato in Archeologia classica all’università di Macerata. Dal 1996 al 2007 incaricato dalla Provincia di Macerata per la consulenza in materia di Beni Culturali: archeologici, storico-artistici ed architettonici. Si occupa di topografia antica e di gestione del patrimonio archeologico e culturale. Ha elaborato e realizzato progetti finalizzati alla tutela, gestione e valorizzazione del patrimonio culturale in Italia e in Albania.

Il professor Luca Peyronel (foto unimc)
Luca Peyronel: professore ordinario di Archeologia e Storia dell’arte del Vicino Oriente Antico all’università di Milano, dirige scavi e progetti di ricerca in Turchia, Siria ed Iraq e si occupa soprattutto di economia antica, artigianato, commerci e interazioni culturali del mediterraneo orientale e Asia occidentale durante l’età del bronzo. Ha fondato e coordinato il laboratorio Archeoframe di comunicazione e valorizzazione dei beni culturali dell’università Iulm di Milano.

La professoressa Jessica Piccinini (foto unimc)
Jessica Piccinini: ha lavorato come Wissenschaftliche Mitarbeiterin all’università di Vienna e ha svolto attività di ricerca in numerose università e istituti, come il Center of Hellenic Studies dell’università di Harvard a Washington DC, la Scuola Archeologica Italiana di Atene. Dal 2018 insegna Storia greca all’università di Macerata. Si interessa di storia politica e religiosa della Grecia Nord-occidentale e dell’Adriatico dall’età arcaica a quella ellenistico-romana.

Il radiofonico Sebastian Paolo Righi (foto unimc)
Sebastian Paolo Righi: ama ascoltare e raccontare storie, davanti a un microfono o dietro a un mixer. Soprattutto se parlano di arte, sperimentazione, innovazione sociale e culturale. Fondatore e Station Manager di NWRadio e Podcast Producer per NWFactory, ha curato regia e produzione di Branded Podcast e serie narrative di successo quali La Bestia Feroce, La Nube – Disastro a Bophal e Bistory – Storie dalla storia.

La professoressa Maria Antonietta Rizzo (foto unimc)
Maria Antonietta Rizzo: professore associato di Etruscologia e antichità italiche prima nell’università Carlo Bo di Urbino, poi in quella di Macerata. Ha condotto scavi, restauri e ricerche in Etruria (Cerveteri), in Grecia (Gortina di Creta, Rodi) ed è direttore delle missioni dell’università di Macerata in Libia (Leptis Magna e Sabratha). Direttore della rivista “Libya Antiqua”, ha curato allestimenti di musei, e organizzato mostre e convegni nazionali ed internazionali.

Il professor Ignazio Tantillo (foto unimc)
Ignazio Tantillo: professore ordinario all’università di Napoli L’Orientale, è uno storico dell’età romana e della tarda antichità. Si interessa di storia politica e culturale dal III al VI secolo, dell’Africa romana e della sua amministrazione civile e militare, di Cassiodoro e dell’Italia Ostrogota, della città di Leptis Magna e della Tripolitania, della provincia di Creta e di Gortina nel IV secolo d.C., dello statue habit tra II e VI secolo d.C., dell’epigrafia dell’Italia e delle province, latine ed ellenofone.
Torino. Al museo Egizio Anna Consonni del museo Egizio di Firenze su “Gli annessi economici nord del Ramesseum: nuove prospettive di ricerca. Gli scavi italiani nel quadro della Missione franco-egiziana”. Conferenza on line in collaborazione con Acme

Dal 2017 un gruppo di ricerca italiano è associato agli scavi condotti dalla Missione franco-egiziana sull’area del Ramesseum, diretta da Christian Leblanc nell’ambito della missione archeologica francese di Tebe Ovest (MAFTO), in partnership con il Centro di Studi e Documentazione sull’Antico Egitto (CEDAE, Egyptian Ministry of Antiquities), l’associazione per la salvaguardia del Ramesseum (ASR) e il Centro di Egittologia Francesco Ballerini (CEFB). Martedì 13 aprile 2021, alle 18, il museo Egizio di Torino in collaborazione con ACME (associazione amici collaboratori del museo Egizio di Torino) presenta la conferenza egittologica online “Gli annessi economici nord del Ramesseum: nuove prospettive di ricerca. Gli scavi italiani nel quadro della Missione franco-egiziana”, tenuta da Anna Consonni, curatrice della sezione “Museo Egizio” presso il museo Archeologico nazionale di Firenze, che si focalizzerà sugli scavi italiani al Ramesseum. La conferenza si terrà in italiano e sarà introdotta da Christian Greco, direttore del museo Egizio. L’incontro verrà trasmesso in diretta streaming sulla pagina Facebook e sul canale YouTube del museo Egizio.

Agli archeologi italiani è stata affidata in particolare la ripresa degli scavi negli “annessi nord”, una serie di strutture in mattoni crudi, che coprono un’area di circa 12mila mq ed erano parte del complesso economico-amministrativo del Tempio. La destinazione originaria di questi ambienti, indagati nei secoli passati in modo non esaustivo, non è in molti casi ancora chiara. Allo stesso modo necessita di essere meglio definita la dinamica complessa di riutilizzo che l’area ha subito a partire dal Terzo Periodo Intermedio. Le nuove ricerche, condotte con l’ausilio di moderne metodologie e un approccio multidisciplinare, hanno già consentito di raccogliere nuove interessanti informazioni.

L’archeologa Anna Consonni, curatrice del museo Egizio di Firenze
Anna Consonni si è laureata in Egittologia all’università di Milano e specializzata nella stessa università in Preistoria e Protostoria, e ha conseguito il dottorato in Egittologia all’università di Pisa con una tesi sulle ceramiche provenienti dai contesti funerari presenti sull’area del Tempio di Milioni di Anni di Amenhotep II a Luxor (Egitto). Ha partecipato a numerosi scavi preistorici e protostorici in Italia, sia da libero professionista che in collaborazione con Università e Istituti di Ricerca, partecipando inoltre a diverse missioni archeologiche in Egitto. Dal 2018 al 2020 è stata funzionario archeologo al museo Archeologico nazionale di Taranto dove è stata curatore delle sezioni dedicate alla Preistoria-Protostoria e alla cultura indigena, e responsabile dell’area operativa “Educazione e Ricerca, Servizi al Pubblico” e dei Servizi educativi. Da gennaio 2021 è in servizio al museo Archeologico nazionale di Firenze, come curatore della sezione “Museo Egizio”.
“Dalle Alpi alle Piramidi. Piccole storie di piemontesi illustri”: nella sesta clip del museo Egizio protagonista Verbano Cusio Ossola e Giuseppe Botti, papirologo e primo esperto di scrittura demotica in Italia
Sesta tappa, Verbano Cusio Ossola. Il viaggio proposto dal museo Egizio di Torino tocca Verbano Cusio Ossola con la sesta delle otto clip del progetto “Dalle Alpi alle Piramidi. Piccole storie di piemontesi illustri” in collaborazione con il Centro Studi Piemontesi e il patrocinio della Regione Piemonte. “Vi porteremo in giro per il Piemonte per raccontarvi storie di uomini audaci e appassionati di antico Egitto”, spiegano al museo. “Toccheremo tutte le province piemontesi, incontreremo le storie di personaggi vissuti tanto tempo fa: numismatici, viaggiatori, archeologi, architetti e collezionisti che, “parlando” in piemontese (sottotitolata in italiano), racconteranno perché c’è un museo Egizio proprio a Torino!”. La sesta puntata è dedicata a Verbano Cusio Ossola e Giuseppe Botti (1889-1968), papirologo e primo esperto di scrittura demotica in Italia, raccontata in piemontese da Albina Malerba, direttrice Centro studi piemontesi.

1914, Vanzone con San Carlo, provincia di Verbano Cusio Ossola. Seduto sulla scalinata della chiesa, un giovane tiene la testa tra le mani, una lacrima gli riga il volto mentre continua a sussurrare: “Non è vero, non è vero niente”. La leggenda narrava che Vanzone dovesse il suo nome alla capacità di essere sempre “avanzato”, risparmiato dalle epidemie e così era sempre stato. Eppure la sua amata Peppina non ce l’aveva fatta, a soli 24 anni era morta di spagnola proprio a Vanzone, il paese in cui erano nati entrambi, dove facevano ritorno ogni estate e dove si erano promessi amore eterno fin dall’infanzia. Quel giovane inconsolabile è Giuseppe Botti (1889-1968), si è formato in ambienti religiosi e si è appena laureato all’università di Torino con una tesi sulla letteratura cristiana. Ed è proprio per quel dolore lacerante che decide che nel suo cuore ci sarà solo più posto per una grande passione, l’unica che non lo abbandonerà mai e a cui dedicherà l’intera vita: gli studi e la ricerca umanistica. “Isepon”, come lo chiamano in famiglia, torna a Vanzone ogni estate, ma vive a Torino dove insegna in vari licei e continua a studiare, ottenendo anche il diploma in Filologia Classica. Anche la civiltà faraonica lo appassiona e diventa un assiduo frequentatore del museo Egizio, dove scopre che questa affascinante civiltà ha sviluppato tre tipi di scrittura: geroglifica, ieratica e demotica. Siamo negli anni ’20 del Novecento. Apprende che il geroglifico, già decifrato da Champollion quasi 100 anni prima, era utilizzato sui monumenti e sugli oggetti per riportare parole sacre. Lo ieratico veniva invece usato dagli antichi egizi alfabetizzati ed era usato per semplificare i geroglifici. Ma è il demotico a sedurlo, una scrittura che sembra fatta per scrivere velocemente, così come usano la stenografia negli uffici. Ed effettivamente scopre che gli egizi la usavano per i documenti amministrativi. Ernesto Schiaparelli, direttore del museo torinese, è molto colpito dall’intuito e dal rigore del Botti, lo incoraggia nello studio del demotico e lo guida nell’ordinamento dei papiri torinesi. E lui non si risparmia, frequenta corsi di specializzazione e intrattiene scambi con egittologi stranieri che ne apprezzano la vivacità intellettuale e la competenza. Nel 1939 esce un suo studio che la consacra come primo demotista nella storia dell’Egittologia italiana. Con l’umiltà e la sobrietà che gli è propria, pubblica altri studi di rilievo che gli consentono una rapida ascesa nel mondo accademico. Giuseppe Botti inizia a insegnare all’università di Firenze, poi vince il concorso per la prima cattedra italiana di Egittologia presso l’università di Milano. E infine, a 67 anni, viene chiamato all’università La Sapienza di Roma dove appassiona e forma generazioni di egittologi. Si dedica a loro come fossero suoi figli, quella famiglia a cui ha dovuto rinunciare in gioventù perdendo la sua Peppina. Dal 1968 riposano insieme a Vanzone, il loro paese natale all’ombra del Monte Rosa.
Gli eccezionali ritrovamenti tra le sabbie di Assuan nella tomba-necropoli scoperta dalla missione italo-egiziana diretta da Patrizia Piacentini: a TourismA l’egittologa dell’università di Milano porterà il pubblico dentro lo scavo

Gli occhi di un leopardo fanno capolino tra le sabbie di Assuan nella tomba AGH026 nell’ambito della missione italo-egiziana (foto EIMAWA)
Gli occhi di un leopardo hanno fatto capolino tra le sabbie di Assuan. Occhi vivaci e terribili, simbolo di forza e determinazione che quell’animale rappresentava per gli antichi egizi. Non è facile trovare la figura di un leopardo – dicono gli egittologi – e questo rafforza l’eccezionalità di una scoperta nell’ambito di una scoperta già eccezionale di suo quella fatta dalla missione archeologica di Patrizia Piacentini (università di Milano) e del ministero egiziano alle Antichità ad Assuan: una tomba-necropoli con 35 mummie, sarcofagi, anfore, vasi e cartonnages, utilizzata per più di un millennio, tra il VII sec. a.C. e il III sec. d.C., per la sepolture delle genti del luogo. “L’anello mancante dal tardo-faraonico al periodo romano”, ha commentato la Piacentini che venerdì 21 febbraio 2020 alle 14 a TourismA, il salone internazionale dell’Archeologia e del Turismo Culturale (organizzato da Archeologia Viva al Palazzo dei Congressi di Firenze fino a Domenica 23), guiderà il pubblico fin dentro allo scavo.
Dopo i primi sopralluoghi nel luglio 2018, la missione la missione di scavo italo-egiziana (Egyptian-Italian Mission at West Aswan – EIMAWA 2019), tra gennaio e febbraio 2019 ha portato alla luce ad Assuan una nuova tomba, completamente nascosta sotto sabbia e detriti, probabilmente utilizzata dal periodo tardo-faraonico al periodo romano: una scoperta importantissima per gli studi funerari dell’Antico Egitto: si conoscevano le tombe del 3000 e del 2000 a.C., il periodo tardo-faraonico, greco e romano era l’anello mancante. Gli scavi hanno mappato circa 300 tombe databili tra il VI secolo a.C. e il IV secolo d.C., situate sulla riva occidentale di Assuan, nell’area che circonda il Mausoleo dell’Aga Khan (vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2019/04/24/egitto-la-missione-archeologica-di-patrizia-piacentini-universita-di-milano-e-del-ministero-egiziano-alle-antichita-scopre-ad-assuan-una-tomba-necropoli-con-35-mummie-sarcofagi-anfore-vasi-e-car/).

Il frammento con il leopardo, dopo la pulizia, scoperto dalla missione italo-egiziana ad Assuan (foro EIMAWA)
Il pubblico potrà così scoprire i “tesori” restituiti dalla tomba AGH026, come i frammenti del coperchio di un sarcofago sul quale era rappresentato niente meno che il muso di un leopardo (simbolo di forza e determinazione) dipinto con colori vivacissimi. Una rarità assoluta così come l’incredibile ritrovamento in una stanza accanto, di resti vegetali che si è scoperto poi essere pinoli. Un rinvenimento quanto mai eccezionale in Egitto, dal momento che la pianta era di importazione.

L’eccezionale ritrovamento di pinoli nella tomba AGH026 dalla missione italo-egiziana ad Assuan (foto EIMAWA)
L’uso dei pinoli è conosciuto ad Alessandria d’Egitto nella preparazione di salse e piatti citate nell’Apicius, una collezione di ricette raccolte a Roma nel primo secolo d.C. da Marco Gavio, all’epoca dell’imperatore Tiberio. “Ci piace immaginare”, commenta la Piacentini durante la presentazione di TourismA 2020, “che le persone sepolte nella tomba di Assuan amassero questo seme raro, tanto che i loro parenti deposero accanto ai defunti una ciotola che li conteneva affinché potessero cibarsene per l’eternità”.
Ultime scoperte delle missioni archeologiche all’estero. Al museo Classis Ravenna per “Classe al chiaro di luna” protagonista Antonio Curci con “Tra egiziani e nubiani…recenti scavi di salvataggio della missione AkAP nella regione di Aswan (Egitto)”
Le serate al museo Classis – Museo della Città e il territorio alla scoperta delle missioni archeologiche italiane all’estero nell’ambito della rassegna estiva “Classe al Chiaro di Luna!” questa settimana ci portano in Nubia. Appuntamento dunque mercoledì 17 luglio 2019, al museo Classis, alle 20.15, per la visita guidata, e alle 21, con la conferenza a ingresso gratuita del ciclo “Missioni archeologiche all’estero: le ultime scoperte” su “Tra egiziani e nubiani…recenti scavi di salvataggio della missione AkAP nella regione di Aswan (Egitto)”, a cura di Antonio Curci dell’università di Bologna, in collaborazione con L’Ordine della casa Matha.
L’Aswan – Kom Ombo Archaeological Project (Akap) nasce nel 2005 con l’obiettivo di studiare, dal punto di vista storico-archeologico, l’interazione tra Egiziani e Nubiani nella loro terra di “confine”. Nel corso degli anni, diverse istituzioni hanno sostenuto il progetto (British Museum, università di Milano, La Sapienza università di Roma) e dal 2010 è missione congiunta tra l’istituto di Egittologia della Yale University e il dipartimento di Archeologia dell’università di Bologna. Le attività di ricerca principali prevedono: ricognizione geoarcheologica, archeologica ed epigrafica, scavo e documentazione dell’arte rupestre. Tutti gli interventi realizzati, in particolar modo le ricognizioni e gli scavi, sono da considerarsi di salvataggio poiché la costruzione di numerosi nuovi villaggi lungo la riva occidentale del Nilo, inclusa la città di New Aswan, e l’utilizzo delle aree circostanti, soprattutto come cave di arenaria e caolino, mettono in serio pericolo le evidenze archeologiche.
L’attività di ricognizione archeologica ha riguardato le tre aree in concessione della missione (Wadi Abu Subeira, la riva occidentale tra Qubbet el-Hawa e Kubbaniya e il deserto a est di Kom Ombo), concentrandosi soprattutto nella zona di Gharb Aswan. Numerosi sono i siti individuati databili dal Paleolitico Medio al periodo Ottomano. Secondo la tipologia i siti sono localizzati lungo la valle del Nilo, lungo i maggiori wadi o nel plateau. La maggior parte dei siti è a rischio distruzione a causa delle numerose attività edilizie e minerarie attualmente in corso. Al fine di visualizzare in maniera integrata tutti i dati archeologici disponibili, è stato deciso innanzitutto, di non realizzare un progetto GIS dedicato esclusivamente all’arte, ma di integrare i dati dell’arte rupestre nel GIS complessivo della missione. La revisione e l’aggiornamento dei dati, inclusa la conversione delle coordinate topografiche, ove necessaria, ha permesso di ottenere una piattaforma più completa sulla quale poter avviare nuovi studi ed analisi.
“Le mummie di Assuan: l’anello mancante”: la grande scoperta della missione dell’università di Milano e del ministero delle Antichità egiziano presentata al museo Egizio di Torino da Patrizia Piacentini, direttore dello scavo

La tomba scoperta dalla missione italo-egiziana (Egyptian-Italian Mission at West Aswan – EIMAWA 2019) (foto università di Milano)
La notizia, poco più di tre mesi fa, ha fatto il giro del mondo: ben 35 mummie, sarcofagi, anfore, vasi e cartonnages, materiali pronti per essere dipinti e diventare maschere funerarie scoperti in una tomba, in realtà una vera e propria necropoli, ad Assuan dalla missione di scavo italo-egiziana coordinata dall’università di Milano e dal ministero delle Antichità egiziano. Dopo i primi sopralluoghi nel luglio 2018, la missione la missione di scavo italo-egiziana (Egyptian-Italian Mission at West Aswan – EIMAWA 2019), tra gennaio e febbraio 2019 ha portato alla luce ad Assuan una nuova tomba, completamente nascosta sotto sabbia e detriti, probabilmente utilizzata dal periodo tardo-faraonico al periodo romano: una scoperta importantissima per gli studi funerari dell’Antico Egitto: si conoscevano le tombe del 3000 e del 2000 a.C., il periodo tardo-faraonico, greco e romano era l’anello mancante. Gli scavi, diretti da Patrizia Piacentini, docente di Culture del Vicino Oriente Antico, del Medio Oriente e dell’Africa dell’università di Milano e da Abdelmanaem Said del ministero delle Antichità egiziano, hanno mappato circa 300 tombe databili tra il VI secolo a.C. e il IV secolo d.C., situate sulla riva occidentale di Assuan, nell’area che circonda il Mausoleo dell’Aga Khan (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2019/04/24/egitto-la-missione-archeologica-di-patrizia-piacentini-universita-di-milano-e-del-ministero-egiziano-alle-antichita-scopre-ad-assuan-una-tomba-necropoli-con-35-mummie-sarcofagi-anfore-vasi-e-car/).
Mercoledì 10 luglio 2019, alle 18, nella sala conferenze del museo Egizio di Torino, la professoressa Patrizia Piacentini nell’incontro “Le mummie di Assuan: l’anello mancante”, introdotto dal direttore dell’Egizio, Christian Greco, presenterà i primi risultati delle ricerche archeologiche condotte ad Assuan nell’inverno 2019 da EIMAWA (Egyptian-Italian Mission at West Aswan), la nuova missione congiunta dell’università di Milano e del ministero delle Antichità egiziano. Se la vita degli abitanti di Assuan in quel periodo è nota grazie ai papiri e ai rinvenimenti archeologici di abitato e templi, si ignorava dove si trovassero le loro sepolture. La vastissima necropoli che è stata scoperta, e che è verosimilmente ancora più ampia di quanto è stato mappato finora, costituisce quindi un anello mancante di grande rilievo storico e culturale. Durante la conferenza saranno presentati anche i risultati dello scavo specifico di una tomba che non era visibile in superficie, nella quale sono state rinvenute 35 mummie e molti oggetti. Alcuni erano iscritti con testi geroglifici che riportano i nomi di persone che erano state sepolte nella tomba tra l’inizio dell’epoca tolemaica (IV sec. a.C.) e l’epoca romana (I-II sec. d. C.), probabilmente in due fasi successive. Ingresso libero da via Maria Vittoria, 3M, fino a esaurimento posti. Live streaming sulla pagina Facebook del museo Egizio.
Patrizia Piacentini è professore di Egittologia e di Archeologia egiziana all’università di Milano dal 1993 (Ordinario dal 2005). È titolare anche dell’insegnamento di Archeologia egiziana nella Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici. È coordinatore della Scuola di Dottorato in Scienze del patrimonio letterario, artistico e ambientale dal 2018 e membro del Collegio didattico di tale Scuola di Dottorato dal 2014. È membro della commissione Terza Missione del dipartimento di Studi letterari, filologici e linguistici sempre dell’università di Milano. È stata membro del collegio del dottorato in Storia e civiltà del Mediterraneo antico, poi Storia, dell’università di Pavia. (2003-2005; 2012-2013).
Il 2019 regalerà a Milano un nuovo museo, il museo Etrusco della Fondazione Rovati, che conferma il profondo legame tra il capoluogo lombardo e il mondo etrusco. Anteprima dell’evento la mostra “Il viaggio della Chimera. Gli Etruschi a Milano tra archeologia e collezionismo” aperta al museo Archeologico

Due splendidi orecchini in oro (ultimo trentennio VI sec. a.C.) della collezione della Fondazione Rovati in mostra al museo Archeologico di Milano (foto Mauro Ranzani)

La locandina della mostra “Il viaggio della Chimera. Gli Etruschi a Milano tra archeologia e collezionismo” aperta fino al 12 maggio 2019 al museo Archeologico di Milano

Statuetta in bronzo di capro (fine VI sec. a.C.) dal museo Archeologico di Firenze (foto Polo museale della Toscana)
Il 2019 dovrebbe portare a Milano un nuovo museo, il museo Etrusco della Fondazione Rovati a Palazzo Bocconi-Rizzoli-Carraro in corso Venezia. Intanto, per preparare l’evento, è stata aperta al museo Archeologico di Milano, in corso Magenta, la mostra “Il viaggio della Chimera. Gli Etruschi a Milano tra archeologia e collezionismo”, concepita e realizzata dal civico museo Archeologico di Milano e dalla Fondazione Luigi Rovati, in collaborazione con la soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Milano. L’esposizione, che chiuderà il 12 maggio 2019, illustra il profondo legame fra Milano e il mondo etrusco, nato nella metà dell’Ottocento con la costituzione del nucleo più antico delle Raccolte Archeologiche milanesi e rinsaldato nel dopoguerra, quando la città ospitò la grande “Mostra dell’Arte e della Civiltà Etrusca”, curata da Massimo Pallottino e svoltasi a Palazzo Reale nel 1955. Quell’anno segnò l’avvio di una feconda stagione per l’etruscologia a Milano. I protagonisti furono principalmente la Fondazione Lerici del Politecnico di Milano, che diede avvio a un nuovo capitolo dell’archeologia etrusca applicando metodi di indagine geofisica alla ricerca archeologica, e l’università di Milano con le sue campagne di scavo condotte a Tarquinia e nell’Etruria padana al Forcello di Bagnolo S. Vito. Un legame solido e virtuoso che continua con i recenti scavi condotti a Populonia e con l’imminente apertura al pubblico del nuovo Museo Etrusco della Fondazione Luigi Rovati.
Il progetto del nuovo museo di Arte etrusca è stato presentato il 15 novembre 2016 dal sindaco di Milano Beppe Sala e dalla Fondazione Luigi Rovati. Il museo verrà inaugurato dopo un’articolata operazione di restauro affidata allo studio Mario Cucinella Architects che prevede la ristrutturazione e l’ampliamento della storica proprietà immobiliare di Palazzo Bocconi-Rizzoli-Carraro, a Milano in corso Venezia 52. Un palazzo storico, in cui il lavoro di conservazione è importante, così come lo sono gli elementi di novità affidati alla guida creativa e rigorosa dell’architetto Mario Cucinella. Il palazzo è costituito da cinque piani per una superficie totale di circa 3300 metri quadrati. Il corpus cardine dell’esposizione museale sarà un’importante collezione di buccheri e impasti etruschi, che nel suo insieme di oltre 700 reperti è considerata dagli esperti la più completa raccolta di vasi del periodo arcaico, presa a riferimento dai grandi musei del mondo. La collezione è rientrata in Italia in virtù di un lungimirante accordo con il ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo e la collaborazione con le soprintendenze e i Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale. L’operazione rientra nel fondamentale contesto della restituzione e reintegrazione del patrimonio archeologico del nostro Paese da parte di privati. Il museo vuole proporsi come centro di eccellenza nel campo della conservazione, dello studio e della valorizzazione dei reperti antichi, configurandosi come un polo d’attrazione per le realtà legate all’archeologia etrusca dislocate sul territorio nazionale.

Anfora etrusca a figure nere (490-480 a.C.) con Chimera, simbolo della mostra, conservata al civico museo Archeologico di Milano (foto Studio fotografico Giuseppe Giudici)

Sette placchette in avorio decorate a intaglio con figure femminili (580-560 a.C.) dal museo civico Archeologico di Bologna (foto archivio mcabo)

Fibula in avorio (primo quarto del VI secolo a.C.) dal museo civico Archeologico di Chianciano Terme (foto archivio mcact)
La mostra si sviluppa in cinque sezioni, con l’esposizione di più di duecento reperti provenienti dai maggiori musei archeologici italiani, dalle collezioni del civico museo Archeologico di Milano e dalle collezioni della Fondazione Luigi Rovati stessa, che presenta in anteprima una selezione dei reperti che confluiranno nel nascente Museo Etrusco, manifestazione più recente della passione per l’arte e la cultura etrusca a Milano. Il titolo è ispirato al vaso con raffigurazione della Chimera, che introduce al tema del mondo animale, con le sue creature reali e fantastiche tipiche dell’immaginario ultraterreno etrusco. Conclude il ricco percorso espositivo una piccola selezione di reperti, che rappresenta un’anteprima del nuovo museo Etrusco della Fondazione Luigi Rovati, di prossima apertura presso lo storico Palazzo Rizzoli-Bocconi-Carraro, in corso Venezia 52.
Varese ospita in esclusiva per la Lombardia la prima edizione di Varese ArcheoFilm, festival internazionale del cinema di archeologia arte ambiente etnologia con serata finale speciale dedicata ad Alfredo e Angelo Castiglioni. In programma sette film e incontri con esperti nazionali nel campo dell’egittologia, della preistoria, dell’etnologia e della storia
Il cinema archeologico arriva per la prima volta a Varese. Dal 6 al 9 settembre 2018 i Giardini Estensi in via Sacco 5 ospitano Varese Archeofilm, festival internazionale del cinema di archeologia arte ambiente etnologia, a ingresso libero e gratuito, promosso dal Comune di Varese in collaborazione con il museo Castiglioni, la rivista Archeologia Viva, la rassegna Firenze ArcheoFilm, il Centro Ricerche del Deserto Orientale (Ce.R.D.O.), l’associazione Conoscere Varese, Tourisma, con il patrocinio dell’università Insubria. Dopo Torino, Agrigento, Pesaro, Aquileia e Ravenna, Varese è una nuova tappa delle manifestazioni promosse sul territorio da Firenze Archeofilm. “Varese entra in un prestigioso e già funzionante circuito nazionale che ha lo scopo di far diventare il nostro paese uno dei principali punti di riferimento internazionali del cinema documentaristico d’autore”, sottolinea soddisfatto Marco Castiglioni, presidente dell’associazione Conoscere Varese, che dal 2015 ha riaperto e gestisce il museo Castiglioni di Varese, dedicato agli scavi di suo padre Angelo e di suo zio Alfredo. Varese Archeofilm sarà tappa esclusiva per la Lombardia, un motivo di orgoglio per il sindaco di Varese, Davide Galimberti: “Una grande occasione di rilancio turistico della città che va a inserirsi nella ricca offerta di eventi programmati dall’amministrazione comunale. Una straordinaria opportunità che permetterà di far conoscere le bellezze del capoluogo e richiamare molti turisti, anche dalla vicina Svizzera. Parliamo di rilancio turistico ma anche culturale, grazie a veri e propri mostri sacri varesini dell’archeologia come i fratelli Castiglioni”. A suggellare l’entusiasmo per il connubio di Varese con il grande film archeologico, è proprio Angelo Castiglioni, archeologo, etnologo, antropologo, scrittore, cineasta, documentarista, presidente Ce.R.D.O.: “In una fase storica particolarmente favorevole al linguaggio filmico documentaristico, le ragioni del suo successo si possono rintracciare, almeno in parte, nel progressivo venir meno della creatività nel cinema di finzione e nella considerazione che una società globale sembrerebbe voler abbattere le frontiere tra cinema narrativo e cinema del reale, facendoli convergere in un unico flusso di immagini. Oggi il cinema del reale raccoglie sempre più proseliti sia tra il pubblico che tra gli autori. Dal film di Michael Moore Bowling a Columbine fino a Microcosmos della coppia Nuridsany e Pérennou, da Il cineocchio di Dziga Vertov a Lo and Behold di Werner Herzog, passando per il cinéma vérité e molte altre fasi della sua lunga storia, il cinema documentaristico d’autore rappresenta il fenomeno cinematografico più rilevante degli ultimi vent’anni”.
Ricco il programma di Varese Archeofilm: sette documentari provenienti da Francia, Inghilterra, Stati Uniti e Italia, girati nel corso dell’ultimo anno, tradotti e doppiati in italiano. Da Oetzi alla città di Persepoli, dagli scavi in Egitto all’armata perduta del re persiano Cambise, i documentari provenienti da tutto il mondo affronteranno argomenti leggendari, anche di archeologia industriale: uno di loro è dedicato infatti, per esempio, all’hangar dei dirigibili di Augusta. I film sono stati selezionati dal direttore artistico Dario Di Blasi tra quanti conservati nell’archivio di Firenze Archeofilm; Giulia Pruneti sarà la conduttrice del Festival; Davide Sbrogiò la voce narrante. Le traduzioni sono di Gisella Rigotti, Stefania Berutti e Carlo Conzatti. Le edizioni video sono di Fine Art Produzioni srl, Augusta (Sr); Giuditta Pruneti è il direttore editoriale. Dopo tre giorni di proiezioni e incontri con i massimi esperti nazionali nel campo dell’egittologia, della preistoria, dell’etnologia e della storia, intervistati dai giornalisti di Archeologia Viva, la serata conclusiva sarà invece dedicata a una retrospettiva sul lavoro dei fratelli varesini Angelo e Alfredo Castiglioni: archeologi, etnologi, antropologi, scrittori, cineasti e documentaristi di fama mondiale. Infine sempre domenica sera ci sarà la premiazione con l’assegnazione del Premio Città di Varese al film più gradito al pubblico e del Premio Alfredo Castiglioni al film scelto dalla giuria.

Il film “Enquêtes archéologiques. Persépolis, le paradis perse / Indagini archeologiche. Persepoli, il paradiso persiano” di Angès Molia, Raphaël Licandro
Il programma. Giovedì 6 Settembre 2018, dalle 20.30 alle 23. All’inaugurazione del festival segue la proiezione del primo film “Alla scoperta del tempio di Amenophis III” di Antoine Chéné (Francia, 2017; 52’). A Luxor, i colossi di Memnone, segnano l’ingresso del maestoso tempio di Amenophis III. A partire dall’inizio degli anni 2000, una équipe internazionale ha ridato vita a questo tempio, di cui, a parte i due colossi, ben poco era rimasto visibile. Seguiamo, insieme a tutta la squadra di archeologi, le grandi tappe di questa impresa, filmata a partire dal 2004, e prendiamo dunque consapevolezza del carattere grandioso di questo tempio, costruito da un faraone durante il suo regno pacifico e prospero. Segue il film “Indagini archeologiche. Persepoli, il paradiso persiano” di Angès Molia, Raphaël Licandro (Francia, 2017; 26’). Sugli altopiani iraniani si trova la culla di una delle più grandi civiltà di costruttori dell’antichità: i Persiani. Qui hanno edificato un capolavoro di architettura: Persepoli. Fino a oggi, si pensava che il sito si limitasse alla sua terrazza imponente, utilizzata dai re persiani solo qualche mese all’anno. Ma le recenti scoperte rivelano uno scenario completamente diverso, quello di una città tra le più ricche del mondo antico: un Eden tra le montagne persiane. Quindi c’è l’incontro/intervista con Alessandro Roccati, professore emerito di Egittologia e socio corrispondente dell’Accademia delle Scienze di Torino, già direttore della Missione Archeologica Italiana in Egitto e Sudan. Chiude la serata il film “Indagini in profondità. Il naufragio del Francesco Crispi” di Guilain Depardieu, Frédéric Lossignol (Francia, 2017; 26’). Aprile 1943. Il “Francesco Crispi”, un piroscafo di 7600 tonnellate, nave ammiraglia dei mercantili italiani, riconvertito dalla Marina militare, lasciò Genova per raggiungere la Corsica. A bordo c’erano armi, munizioni e soprattutto un’unità militare di 1300 uomini. Lungo la rotta, il Crispi incrociò il sottomarino britannico HSM Saracen, che sganciò due missili. Lo affondò in pochi minuti. Più di 900 uomini persero la vita. Nonostante numerosi studi, il relitto della nave non è stato mai trovato…
Venerdì 7 Settembre 2018, dalle 20.30 alle 23. Apre il film “Il misterioso vulcano del Medioevo” di Pascal Guérin (Francia, 2017, 52’). Il film mette in primo piano il lavoro minuzioso di ricerca, perseveranza, collaborazione e intuizione, degli scienziati che hanno dedicato tanti anni alla ricerca di questo misterioso vulcano. Questa scoperta sarebbe fondamentale per comprendere come le eruzioni vulcaniche, hanno trasformato il clima del pianeta e gli ecosistemi in cui viveva la società… Segue l’incontro/intervista con Giuseppe Armocida, medico, storico italiano, già docente dell’università dell’Insubria. Figura di rilievo della storia della medicina, è stato per oltre vent’anni presidente della Società Italiana di Storia della Medicina. Chiude la serata il film “Carri cinesi. All’origine del primo impero” di Julia Clark (Inghilterra, 2017, 52’). Per più di mille anni i carri da guerra hanno imperversato sui campi di battaglia della Cina antica, simboli di una tecnica militare che qui si è sviluppata prima che nel resto del pianeta, e che ha contribuito a unificare la nazione cinese. Grazie alle più recenti scoperte archeologiche e alla ricostruzione di un carro, verificata attraverso alcuni testi antichi, scopriremo come i Cinesi hanno messo a punto tale sofisticato mezzo di combattimento.
Sabato 8 Settembre 2018, dalle 20.30 alle 23. Si inizia con il film “Iceman Reborn” di Bonnie Brennan (Usa, 2017, 53’). Assassinato più di 5.000 anni fa, Oetzi, la più antica mummia umana sulla Terra, è portata alla vita e preservata con la modellazione 3D. Adesso, recentissime scoperte fanno luce non solo su questo misterioso uomo antico, ma sugli albori della civiltà in Europa. Segue l’incontro/intervista con Raffaele De Marinis, già ordinario di Preistoria e Protostoria dell’università di Milano. Past President e membro del consiglio direttivo dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria di Firenze. Già membro corrispondente dell’Istituto Nazionale di Studi Etruschi e Italici. Chiude la serata il film “La casa dei dirigibili. L’Hangar di Augusta tra passato e presente” di Lorenzo Daniele (Italia, 2017, 45’). L’hangar per dirigibili di Augusta è un monumento di archeologia industriale unico nel panorama architettonico internazionale. Tra i primi edifici in Italia realizzati interamente in cemento armato, la sua costruzione cominciò per esigenze militari nel 1917 e si concluse nel 1920, quando la Prima Guerra Mondiale era ormai terminata e l’utilizzo dell’aerostato per fini bellici era stato sostituito dall’idrovolante.

I pastori Borana, popolazione dell’Etiopia meridionale, documentati dai fratelli Alfredo e Angelo Castiglioni
Domenica 9 Settembre 2018, dalle 20.30 alle 23. La serata finale apre con un film fuori concorso “I pozzi cantanti dell’Etiopia” di Alfredo e Angelo Castiglioni (Italia, 2009, 40’). Tutti i popoli pastori dell’Africa hanno elaborato un sistema di approvvigionamento dell’acqua. Un esempio di perfetta organizzazione del lavoro per questo scopo si poteva vedere, fino a pochi anni fa, tra i Borana, una popolazione del sud dell’Etiopia. Una catena umana di quindici, venti persone portava l’acqua da trenta metri di profondità fino in superfice con un ritmo crescente in funzione degli animali che attendevano il loro turno per abbeverarsi. Gli “Abe Ella” – “i padri dei pozzi” – scandivano il ritmo del lavoro con il loro canto. Una vera e propria “fabbrica dell’acqua”. Segue l’incontro/intervista con Angelo Castiglioni, archeologo, etnologo, antropologo, scrittore, cineasta, documentarista, e presidente Ce.R.D.O; Serena Massa, docente di catalogazione dei reperti archeologici dell’università Cattolica di Milano, responsabile scientifica degli scavi archeologici di Adulis in Eritrea, consulente scientifica del museo Castiglioni; Giovanna Salvioni, già professore ordinario di Etnologia e Antropologia Culturale dell’università Cattolica di Milano, consulente scientifica del museo Castiglioni. Segue l’assegnazione del premio Città di Varese al film più gradito al pubblico e quella del premio Alfredo Castiglioni al film scelto dalla giuria. Chiude questa serata speciale il film “L’armata scomparsa di re Cambise” di Alfredo e Angelo Castiglioni (Italia, 2008, 30’). Nel 525 a.C. un esercito di 50.000 uomini fu inviato dal re persiano Cambise a conquistare l’oasi di Siwa e l’oracolo di Zeus Ammone in Egitto. Come racconta lo storico greco Erodoto, “i soldati furono sorpresi da una violenta tempesta di sabbia e scomparvero nel nulla”. Per secoli questa tragedia spinse gli archeologi nel deserto alla ricerca dell’armata perduta. La missione Castiglioni ha ritrovato i primi reperti achemenidi e resti umani restituiti dalla sabbia del deserto.
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