Egitto. Dietro la tomba di Tutankhamon si cela la mummia della regina Nefertiti con i suoi tesori? La scoperta del secolo è rinviata. Richieste nuove scansioni col georadar. A maggio su Sky le immagini esclusive della National Geographic
Trovata la tomba della regina Nefertiti dietro la tomba di Tutankhamon? Per ora l’atteso annuncio della clamorosa scoperta previsto per aprile 2016 non è arrivato. Gli studiosi si sono presi dell’altro tempo per non commettere errori. Così le ricerche della tomba della regina Nefertiti continuano nelle camere “segrete” della camera mortuaria del faraone Tutankhamon nella Valle dei Re. Il nuovo ministro egiziano per le Antichità, Khaled El-Anani, annuncia che un team scientifico – sponsorizzato dalla National Geographic Society – ha realizzato oltre 40 nuove scansioni. Sono stati analizzati, in particolare, i muri della camera sepolcrale di Tutankhamon a cinque diverse altezze, utilizzando due antenne radar con frequenza 400 e 900 megahertz. Il ministro spiega che altre scansioni saranno realizzate alla fine di aprile e invita gli archeologi di tutto il mondo ad andare al Cairo per analizzare le scoperte. In ogni caso, Khaled El-Anani dichiara di non poter ancora parlare di risultati: sarà necessario attendere ancora un po’ in modo che i dati vengano analizzati dagli esperti in Egitto e negli Stati Uniti. Le telecamere di National Geographic Channel stanno intanto seguendo in esclusiva le ricerche che potrebbero portare a una delle scoperte archeologiche più importanti del secolo. Il tutto sarà oggetto del documentario “Nefertiti: I misteri della Tomba”, in onda su National Geographic a maggio: per l’Italia sul canale 403 di Sky.
La prudenza ha preso il posto all’entusiasmo contagioso dello scorso novembre 2015: c’è una stanza segreta dietro la tomba del faraone Tutankhamon – si diceva – e subito il pensiero era corso alla regina Nefertiti che la tradizione vorrebbe sepolta vicino a Tut. “Le ricerche effettuate con l’uso di georadar nella tomba di Tutankhamon hanno dimostrato che dietro i muri nord e ovest si celano scoperte archeologiche, ne siamo sicuri al 90%”, aveva dichiarato l’allora ministro delle Antichità egiziano Mahmoud el Damaty, illustrando le ricerche portate avanti dall’egittologo britannico Nicholas Reeves. Il ministro el Damaty aveva precisato che i dato sarebbero stati studiati: “Ci sono alte probabilità che una camera possa esistere dietro i muri. Se prima pensavamo che ci fossero il 60% di possibilità che qualcosa si nascondesse dietro le mura ora, dopo la lettura iniziale delle scansioni, ne siamo convinti al 90%”. La teoria di Reeves è che il faraone Tut, morto giovane alla sola età di 19 anni, sia stato sepolto in tutta fretta in una tomba non costruita apposta per lui. Il luogo prescelto sarebbe stato appunto una camera mortuaria nella Valle dei Re, proprio accanto alla tomba di Nefertiti. Si ritiene che la regina, che visse nel XIV secolo a.C. – immortalata nel celebre busto conservato a Berlino – ricordata per aver compiuto insieme al marito Akhenaton la rivoluzione monoteista in Egitto, fosse la madre di Tutankhamon.

Lo schema della tomba di Tutankhamon con la posizione della stanza della presunta sepoltura di Nefertiti (Centimetri-La Stampa)
Perché proprio qui? Secondo alcuni storici Nefertiti, il cui nome significa “la bella che è arrivata”, sarebbe la sposa di Akhenaton (padre di Tutankhamon). Secondo altri esperti, la tomba potrebbe appartenere alla regina Kiya, la seconda moglie di Akhenaton e madre di Tutankhamon. Se la scoperta della tomba fosse confermata, questa avvalorerebbe l’ipotesi della stretta parentela tra il faraone e la regina, la cui bellezza è stata immortalata in un celebre busto conservato a Berlino. I primi risultati della scansione mostrano la presenza di diversi materiali organici e metallici dietro al muro della tomba. Non si sa esattamente cosa si celi oltre quelle pareti, ma si sa che la tomba non è vuota. Sarebbe colma di tesori, pietre e metalli preziosi. Per questo le autorità egiziane hanno richiesto analisi più dettagliate con l’ausilio di speciali macchinari, per non alimentare inutili aspettative. “Dobbiamo raggiungere il nostro obiettivo, ma dobbiamo essere sicuri al 100% sui prossimi passi da compiere”, chiude l’ex ministro alle Antichità dell’Egitto, Mamdouh el-Damaty – E dobbiamo conoscere esattamente la nostra strada, per questo motivo stiamo avanzando grazie a una speciale scansione radar”. Per svelare l’ultimo segreto del faraone-bambino, Tutankamon.
Egitto, splendore millenario: a Bologna capolavori dal museo di Leiden. Cinquecento reperti che dialogano con i tesori del museo di Bologna. Per la prima volta ricongiunti i rilievi della tomba di Horemheb a 200 anni dalla sua scoperta a Saqqara

Al museo Archeologico di Bologna la mostra “Egitto. Splendore millenario” con i capolavori del museo di Leiden
Sotto le due torri di Bologna rivive lo splendore di una civiltà millenaria e unica che da sempre affascina tutto il mondo: l’Egitto delle Piramidi, dei Faraoni, degli dei potenti e multiformi, ma anche l’Egitto delle scoperte sensazionali, dell’archeologia avvincente, del collezionismo più appassionato, dello studio più rigoroso. Per la prima volta sono esposti l’uno accanto all’altro i capolavori delle collezioni del museo di Leiden e del museo archeologico di Bologna, nella mostra “Egitto. Splendore millenario. Capolavori da Leiden a Bologna” aperta al museo archeologico felsineo fino al 17 luglio 2016, curata da Paola Giovetti, responsabile del museo e Daniela Picchi, curatore della sezione egiziana del museo. Non solo un’esposizione di fortissimo impatto visivo e scientifico, ma anche un’operazione che non ha precedenti nel panorama internazionale. La collezione di antichità egiziane del museo nazionale di Antichità di Leiden in Olanda – una delle prime dieci al mondo – e quella di Bologna – tra le prime in Italia per numero, qualità e stato conservativo – si integrano in un percorso espositivo di circa 1700 metri quadrati di arte e storia. Sono 500 i reperti, dal periodo Predinastico all’epoca romana, giunti dall’Olanda al museo bolognese: opere quali la Stele di Aku (XII-XIII Dinastia, 1976-1648 a.C.), il “maggiordomo della divina offerta” la cui preghiera racconta l’esistenza ultraterrena del defunto in un mondo tripartito tra cielo, terra e oltretomba; gli ori attribuiti al generale Djehuty, che condusse vittoriose le truppe egiziane nel Vicino Oriente per il faraone Thutmose III (1479-1425 a.C.), il grande conquistatore; le statue di Maya, Sovrintendente al tesoro reale di Tutankhamon, e Meryt, cantrice di Amon, (XVIII dinastia, regni di Tutankhamon-Horemheb, 1333-1292 a.C.), massimi capolavori del museo nazionale di Antichità di Leiden, che hanno lasciato per la prima volta l’Olanda; e, tra i numerosi oggetti che testimoniano il raffinatissimo stile di vita degli egiziani più facoltosi, un Manico di specchio (1292 a.C.) dalle sembianze di una eternamente giovane fanciulla che tiene un uccellino in mano. E per la prima volta dopo 200 anni dalla riscoperta a Saqqara della sua tomba, la mostra offre l’occasione unica e irripetibile di vedere ricongiunti i più importanti rilievi di Horemheb, comandante in capo dell’esercito egiziano al tempo di Tutankhamon e poi ultimo sovrano della XVIII dinastia, dal 1319 al 1292 a.C., che Leiden, Bologna e Firenze posseggono. Ma non è tutto: assieme ai capolavori di Leiden e Bologna, la mostra ospita importanti prestiti del museo Egizio di Torino e del museo Archeologico nazionale di Firenze, all’insegna di un network che vede coinvolte le principali realtà museali italiane.
La mostra si articola in sette sezioni e sette temi principali. Tra tutte, il ruolo centrale spetta a quella dedicata alla tomba di Horemheb, generale dell’esercito egiziano, comandante militare al tempo di Tutankhamon e infine faraone che regnò sull’Egitto dal 1319 al 1292 a.C. Ogni tappa fondamentale della carriera di questo grande stratega si lega a una città diversa nella quale egli ogni volta fece costruire la propria sepoltura. La tomba – i cui resti sono confluiti nella collezione di Bologna – è quella della necropoli di Saqqara, nei pressi di Menfi, all’epoca capitale amministrativa del Paese e sede del comando dell’esercito e dell’arsenale militare. La storia della scoperta della tomba è affascinante, quanto le decorazioni parietali che la rendono un monumento eccezionale del Nuovo Regno (che comprende la XVIII, XIX e XX Dinastia e va dal 1552 fino al 1069 a.C.): individuata a Saqqara nell’Ottocento, fu spogliata di numerosi frammenti parietali, ora esposti nei musei di tutto il mondo, incluse Bologna e Leiden che conservano i nuclei più rilevanti sia per quantità, sia per qualità. Quando oramai si erano perse le tracce della sua esistenza, complice la sabbia del deserto che la aveva nuovamente nascosta, la tomba fu riscoperta nel 1975 da una missione archeologica anglo-olandese: fu così che i rilievi, asportati nell’Ottocento e non sempre attribuiti a Horemheb, poterono essere virtualmente ricollocati al loro posto, evidenziando la ricchezza, originalità e raffinatezza artistiche di questa sepoltura. E allora con gli egittologi di Bologna e Leiden iniziamo una “visita guidata” per conoscere più da vicino i tesori esposti in mostra.
Il predinastico e l’Età arcaica – alle origini della storia Il passaggio dalla tradizione orale a quella scritta, dalla preistoria alla storia, rappresenta il momento fondante della civiltà egiziana. La collezione di Leiden è ricchissima di materiali che documentano il ruolo centrale della natura in questa lunga evoluzione culturale e artistica. Molti di questi oggetti, di assoluta modernità stilistica, aprono l’itinerario espositivo, tra cui un vaso decorato con struzzi, colline e acque. La scena raffigurata su questo vaso del Periodo Naqada (dal nome di un sito dell’Alto Egitto e che raggruppa la produzione artistica tra il 3900 e il 3060 a.C.) ci riporta a un Egitto caratterizzato da un paesaggio rigoglioso che i cambiamenti climatici hanno poi trasformato nel tempo. Struzzi, come quelli dipinti in rosso sul contenitore, assieme a elefanti, coccodrilli, rinoceronti e altri animali selvatici erano allora una presenza abituale del territorio nilotico.
L’Antico regno – un modello politico-religioso destinato al successo e le sue fragilità Il periodo storico dell’Antico Regno (dalla III alla VI Dinastia, 2700-2192 a.C.) è noto per le piramidi e per il nascere di una burocrazia che ha al suo vertice un sovrano assoluto, considerato un dio in terra e padrone di tutto l’Egitto. Questo senso dello Stato e le sue regole terrene e ultraterrene, molto elitarie, sono ben documentati negli oggetti provenienti da contesto funerario di cui la collezione olandese è particolarmente ricca, tra cui una tavola per offerte in alabastro. L’offerta al defunto era parte fondamentale del rituale funerario per assicurare una vita oltre la morte. La particolarità di questa tavola appartenuta a un alto funzionario di stato è data dalla forma circolare, insolita, e dal ripetersi del concetto di offerta come indicato dal testo scritto, dal vasellame scolpito in visione zenitale e, soprattutto, dalla raffigurazione centrale che corrisponde al geroglifico hotep (offerta), ovvero una tavola su cui poggia un pane.
Il Medio Regno – il dio Osiride e una nuova prospettiva di vita ultraterrena La fine dell’Antico Regno e il periodo di disgregazione politica che ne segue determinano grandi cambiamenti nella società egiziana, che riconosce al singolo individuo una maggiore responsabilità del proprio destino, anche ultraterreno. Ogni egiziano, in grado di farsi costruire una tomba con adeguato corredo funerario, può ora aspirare a una vita eterna. Il dio Osiride, signore dell’oltretomba, diviene la divinità più popolare del Paese. Dal suo tempio ad Abido, uno dei più importanti luoghi di culto dell’Egitto, provengono molte stele ora a Leiden e a Bologna. Tra cui quella di Aku, il maggiordomo della divina offerta, che la dedica a Min-Hor-Nekhbet, la forma del dio itifallico Min adorata nella città di Abido. La preghiera che Aku rivolge al dio racconta di un’esistenza ultraterrena in un mondo concepito come tripartito: in cielo dove il defunto si trasfigura in stella, in terra dove la sepoltura è luogo fondamentale del passaggio dalla vita alla morte e in oltretomba dove Osiride concede al defunto la vita eterna.
Dal Medio al Nuovo Regno – il controllo del territorio in patria e all’estero La sconfitta degli Hyksos, “i principi dei paesi stranieri” che invadono e governano l’Egitto settentrionale per alcune generazioni, dà origine al Nuovo Regno. Una politica estera molto aggressiva arricchisce il Paese che vive uno dei periodi di maggiore splendore. La classe sociale dei professionisti della guerra si afferma sino al punto da raggiungere il vertice dello stato e dare origine ad alcune dinastie regnanti. La ricchezza e il prestigio di questi militari si concretizzano anche nella produzione di oggetti raffinati, quali gli ori appartenuti a Djehuty, generale del faraone Tuthmosi III. L’arte orafa egiziana ci ha lasciato in eredità gioielli di grande pregio artistico e valore economico, come un elemento di pettorale (o cintura) presente in mostra. Questo monile, attribuito alla tomba del generale Djehuty, l’uomo al quale il sovrano Thutmosi III affidò il controllo delle terre straniere, ne rappresenta un raffinato esempio. Figurato a fiore di loto blu, simbolo di rinascita e rigenerazione, doveva fungere da elemento centrale di un elaborato pettorale o di una cintura cerimoniale a numerosi fili. Il cartiglio inciso sul lato posteriore suggerisce che il gioiello sia stato donato da Thutmosi III in persona.
La necropoli di Saqqara nel Nuovo Regno I musei di Leiden e di Bologna possono essere considerati “gemelli” perché conservano due nuclei importanti di antichità provenienti da Saqqara, una delle necropoli della città di Menfi. Durante il Nuovo Regno questa antica capitale dell’Egitto tornò a essere un centro strategico per la politica espansionistica dei sovrani di XVIII Dinastia. Lo dimostrano le monumentali sepolture degli alti funzionari di stato che vi ricoprirono incarichi amministrativi, religiosi e militari, tra le quali le tombe del Sovrintendente al tesoro reale di Tutankhamon Maya e di sua moglie Meryt, cantrice di Amon, e di Horemheb, comandante in capo dell’esercito e principe ereditario di Tutankhamon. Le statue di Maya e di sua moglie Meryt arrivarono in Olanda nel 1828 con la collezione D’Anastasi. Solo molti anni dopo, nel 1986, una missione archeologica anglo-olandese individuò la tomba di provenienza a sud-est della piramide di Djoser a Saqqara. Queste statue, che rappresentano i massimi capolavori egiziani del museo nazionale di Antichità di Leiden, hanno lasciato per la prima volta il museo olandese per essere esposte in mostra. Quando Egypt Exploration Society di Londra e il museo nazionale di Antichità di Leiden intrapresero gli scavi a sud-est della piramide a gradoni di Djoser nel 1975, l’obiettivo era quello di individuare la tomba di Maya e di Meryt. Grande fu la sorpresa nello scoprire, invece, la sepoltura del generale Horemheb che concluse una strepitosa carriera politica divenendo ultimo sovrano di XVIII Dinastia. La sua tomba, che ha una struttura a tempio, è caratterizzata da un ingresso a pilone, tre grandi corti e tre cappelle di culto che affacciano sulla corte a peristilio più interna. Da quest’ultima proviene gran parte dei rilievi conservati a Leiden e a Bologna, che raccontano le più importanti imprese militari di Horemheb condotte contro Siriani, Libici e Nubiani, le popolazioni confinanti con l’Egitto.
Il Nuovo Regno – il benessere dopo la conquista Arredi raffinati, strumenti musicali, giochi da tavolo, gioielli: sono solo alcuni dei beni di lusso che testimoniano il benessere diffusosi in Egitto a seguito della politica espansionistica dei sovrani del Nuovo Regno. Grazie ai raffinati oggetti è possibile rivivere momenti di vita quotidiana, immaginando di essere all’interno di un palazzo regale o nella dimora di qualche alto funzionario. Come per il manico di specchio in mostra costituito dal corpo aggraziato e sensuale di una fanciulla, che tiene in mano un piccolo uccellino.
L’Egitto del primo millennio L’Egitto del primo millennio a.C. è caratterizzato da una sempre più evidente debolezza del potere centrale a favore dei governatori locali che si attribuiscono il ruolo di dinasti regnanti. La perdita di unità politica e territoriale indebolisce la capacità di difesa dei confini del Paese, che è conquistato a più riprese da Nubiani, Assiri e Persiani. Centri forti di potere rimangono i templi, che gestiscono una parte importante dell’economia e la trasmissione del sapere, svolgendo un ruolo d’intermediazione politica tra potere regnante e popolazione devota. Molti dei capolavori in mostra appartengono a corredi funerari di sacerdoti e provengono da importanti aree templari, tra cui il sarcofago di Peftjauneith che, nell’insieme di cassa e coperchio, riproduce le sembianze del dio Osiride, avvolto in un sudario di lino e con il volto verde che evoca il concetto di rinascita. La raffinata decorazione di questo sarcofago conferma l’alto rango in ambito templare del suo proprietario, sovrintendente ai possedimenti di un tempio del Basso Egitto. La scena interna alla cassa mostra la dea del cielo Nut inghiottire ogni sera (a Occidente) il disco del sole per poi partorirlo ogni mattina (a Oriente). La conquista dell’Egitto da parte di Alessandro Magno nel 332 a.C. chiude la fase “faraonica” della storia egiziana. Con i suoi successori, i Tolemei, ha inizio la dominazione greca del Paese che avrà come ultima sovrana la famosa Cleopatra VII. Il dorato declino del Paese continuerà per molti altri secoli, oltre la conquista romana del 31 a.C. sino alla dominazione araba nel VI secolo dopo l’era volgare. Il dialogo tra antico e nuovo, locale e straniero, che contraddistingue l’epoca greca-romana, permette ancora il raggiungimento di elevati livelli artistici, come testimoniano i celebri ritratti del Fayum, di cui il museo di Leiden conserva pregevoli esemplari presenti in mostra.
Antico Egitto. Le straordinarie scoperte nella tomba del visir Amenhotep Huy nella necropoli di El-Asasif: dal sarcofago del sacerdote di Amon a quello della cantrice del dio di Tebe ai misteri sul vero padre di Tutankhamon

Il gruppo di archeologi della missione spagnola dell’istituto per gli studi dell’Antico Egitto di Madrid impegnati nel progetto alla tomba del visir Amenhotep Huy a Luxor
“Un nuovo giorno nella necropoli tebana. Ora siamo nel mese di dicembre!!! Come corre il tempo. Siamo ormai nel tratto finale della campagna che è passata come un sospiro. La mattina inizia come un giorno normale, ma alla fine della giornata … siamo stati tutti contenti: avevamo fatto una grande scoperta. Purtroppo, al momento della stesura di questo diario, non possiamo ancora dire quanto è stato scoperto in quanto deve essere il Dipartimento delle Antichità d’Egitto che la notizia al mondo. Ma certo, è una di quelle scoperte che tutti noi vorremmo ci capitasse”. Era il 1° dicembre 2014, ultimo giorno della missione archeologica spagnola diretta dal prof. Francisco J. Martin Valentin, quando gli archeologi annotavano sul diario di scavo la “grande scoperta” dell’egittologa Teresa Bedman e dell’archeologo José Antonio Suárez della tomba di Amenhotep Huy nella necropoli di El-Asasif a Luxor, in Egitto: non era la prima volta che la tomba del visir dell’Antico Egitto sotto il regno del faraone Amenhotep III (più noto nella versione ellenizzata come Amenofi III, faraone della XVIII dinastia, vissuto nella prima metà del XIV secolo a.C. e padre di Akhenaton) regalava sorprese. Proprio nel febbraio 2014 il ministro alle Antichità egiziane Mamdouh el Damati aveva annunciato che le ricerche dell’Istituto di studio dell’Antico Egitto di Madrid col prof. Martin Valentin proprio nella tomba di Amenhotep Visir-Huy avevano prodotto la prova definitiva che Akhenaton aveva condiviso il potere con suo padre per almeno 8 anni. Una scoperta non senza conseguenze, come spiegano gli archeologi spagnoli: “L’anno scorso abbiamo trovato colonne con iscrizioni, mai viste prima, che potrebbero provare che Amenofi III e Amenofi IV (Akhenaton) hanno regnato per un periodo contemporaneamente. Può non sembrare un fatto significativo per la storia dell’Egitto, ma è davvero molto importante. Se questo è vero, e crediamo che lo sia, Tutankhamon sarebbe il figlio di un faraone diverso, poiché la datazione sarebbe un po’ prima. Potrebbe essere il caso che Amenhotep III, e non Akhenaton, sia stato il padre di Tutankhamon, come le iscrizioni sembrano suggerire. Alcuni colleghi hanno respinto questa teoria, ma alcuni di noi vi hanno creduto fin dall’inizio”.

Il sarcofago del sacerdote di Amon scoperto nella tomba del visir Amenhotep Huy nella necropoli di el Asasif a Luxor
E alcuni giorni fa il ministro delle Antichità El Damaty ha annunciato la scoperta all’interno della tomba del Visir Amenhotep, Huy numero 28 ad Asasif della sepoltura intatta con il sarcofago la bara di Ankhef in Khunsu sacerdote di Amon-Ra. El Damaty ha chiarito che il sarcofago ben preservato è stato trovato all’interno di un fosso intagliato nella roccia e coperto con pietre. Secondo i resoconti della missione archeologica spagnola dell’Istituto dell’Antico Egitto in collaborazione con la missione egiziana del ministero delle Antichità, il sarcofago è un tipico esempio per la XXI Dinastia (attorno al 900 a. C.). Il sarcofago rappresenta un uomo che indossa una parrucca tripartita con strisce e corona floreale, ed è fatto di legno e coperto di gesso. L’uomo porta una barba intrecciata e un largo collare “Usekh” che protegge il suo collo e le spalle. Le tre colonne di testo sono distinte al centro, variando dalla parte al di sotto delle braccia fino ai piedi. La scatola del sarcofago è decorata con diverse registrazioni del defunto che fa offerte agli dèi Osiride, Nefertem, Anubi, alla dea Hathor come vacca, e Signora dell’Occidente, con testi geroglifici.
Ma torniamo al sarcofago della sacerdotessa cantrice del dio Amon. Francisco J. Martín Valentín: “Portare alla luce un sarcofago intatta è abbastanza raro, soprattutto quando la mummia è ancora all’interno e lo è da 3100 anni. Ma la sua rilevanza è enorme per il tipo di sarcofago e il periodo di appartenenza, che non sono così comuni nell’archeologia egiziana. Il sarcofago risale infatti alla fine del Nuovo Regno (ca. 1100 a.C.) e l’inizio del cosiddetto Terzo Periodo Intermedio (1070-650 a.C.)”.

Il momento magico: l’apertura del sarcofago della cantrice del dio Amon alla presenza del ministro alle Antichità Mamdouh el Damati
Un momento magico. Era il 14 dicembre 2014 quando il sarcofago è stato aperto alla presenza – tra gli altri – del ministro egiziano delle antichità Mamdouh Eldamaty e del governatore di Luxor Tarek Saad El-Din. Martín Valentín: “Ancora oggi a raccontarlo mi emoziono. Abbiamo sollevato il coperchio del sarcofago e ci siamo resi conto che la mummia era ben conservata. Bedman ha subito notato un sacchetto, contenente un papiro, posto tra le gambe della cantrice del dio Amon. Decifrarlo sarà un compito della campagna prossima missione”. E la Bedman: “Per me il momento più speciale è venuto quando ho messo gli occhi sul sarcofago già di per sé spettacolare, ma anche il corredo funerario è notevole: vasi in ceramica per le offerte, e un bel mazzo di fiori che qualcuno ha lasciato per il defunto 3000 anni fa. Era ancora lì. È stato davvero una forte emozione”. Ha poi aggiunto che i membri della squadra avevano classificato e preso il mazzo di fiori con la stessa cura usata dalla persona che lo aveva messo nella bara tanti secoli fa.
Secondo Martín Valentín uno degli elementi più notevoli del sarcofago è il volto del defunto. “È un ritratto perfetto. Non è un volto femminile generale, ma il profilo della sacerdotessa conservata in quel sarcofago: una bella donna, con affascinanti occhi a mandorla, il naso delicato e lineamenti delicati. Particolarmente seducenti gli occhi che sono stati disegnati e dipinti”. Infine sulla conservazione del sarcofago, scolpito in legno e ricoperto di intonaco decorato: “La maggior parte della pittura è in ottime condizioni. Il deterioramento è principalmente dovuto alle centinaia di tonnellate che per secoli vi hanno pesato sopra, ma nel complesso è davvero in buono stato, pronto per il restauro “.
Egittomania dal Rinascimento al XX secolo: alla biblioteca Braidense di Milano la mostra “Da Brera alle piramidi”. Documenti e curiosità
L’Egitto ancora protagonista a Milano. Dopo la mostra all’università Statale di Milano, ecco una nuova esposizione alla Biblioteca Nazionale Braidense: dal 21 febbraio all’11 aprile, è aperta la mostra “Da Brera alle piramidi”: promossa dalla Biblioteca Nazionale Braidense e dall’università di Milano (Cattedra di Egittologia), con la partecipazione della Pinacoteca di Brera e dell’Archivio Storico Ricordi, ideata e curata rispettivamente per la Biblioteca da Anna Torterolo, esperta d’arte, e da Patrizia Piacentini, professore ordinario di Egittologia, la mostra vuole documentare l’attrazione e l’influenza, esercitata dalla civiltà egiziana sulla cultura italiana dal Rinascimento al XX secolo, sottolineando in particolar modo il gusto per l’Egitto nella storia dei diversi istituti del Palazzo di Brera e a Milano.
Sono esposte, dalle collezioni della Braidense, le tavole del Polifilo, realizzate alla fine del Quattrocento, con raffigurazioni di ispirazione egiziana riprese dai primi studi archeologici nella Roma rinascimentale, le interpretazioni dei geroglifici pubblicate nell’Horapollus, stampate come il Polifilo da Manuzio all’inizio del XVI secolo, gli Emblemi del milanese Alciato, ideati nei primi decenni del Cinquecento ad imitazione dei geroglifici, cercando di ricreare un linguaggio figurato universale. La mostra presenta anche raffigurazioni di obelischi e piramidi utilizzati nelle architetture effimere commissionate dalla città di Milano al professore di retorica del Collegio gesuita di Brera, Emanuele Tesauro, nei primi decenni del Seicento, e le famose illustrazioni dagli studi sui misteri egiziani di Athanasius Kircher, autore di un nuovo tentativo di interpretazione della scrittura geroglifica, conosciuti attraverso le missioni orientali gesuite.
Accanto alle rarità bibliografiche, la mostra propone i bozzetti per la prima scaligera dell’Aida dell’Archivio Storico Ricordi ed alcune rare curiosità: un papiro, già parte delle raccolte di Brera, ora conservato nelle collezioni civiche di Milano e una statua cubo che appartenne al pittore e direttore dell’accademia Giuseppe Bossi, una coppia di sfingi del XVIII secolo oggi di proprietà privata, provenienti da un antico giardino siciliano e divertenti, immaginifici oggetti di gusto egizio, creati all’inizio del Novecento, quando l’egittomania si coniuga con il Deco. Gustose copertine ed illustrazioni di riviste testimoniano della diffusione della “passione-Egitto” nell’universo del romanzo e della letteratura popolare.
Attraverso numerosi materiali d’archivio molti dei quali inediti, conservati all’università di Milano, è dedicato largo spazio alle grandi scoperte archeologiche in Egitto, da quelle effettuate da Mariette sino alla scoperta dalla tomba di Tutankhamon e a quella dei tesori della necropoli regale di Tanis, mettendo in risalto l’impatto che queste ebbero sull’immaginario collettivo dai livelli più alti sino alla sua penetrazione nella letteratura popolare. Arricchiscono il percorso alcune schede nella Pinacoteca di Brera affiancate ad opere di iconografia “egizia” (una per tutte la famosa Predica di S. Marco di Gentile e Giovanni Bellini) o provenienti dall’Egitto (i ritratti del Fayyum della collezione Vitali).
In occasione della mostra sono previste alcune conferenze in Biblioteca Nazionale Braidense, Milano, via Brera 28. Sabato 21 febbraio, alle 10.30, Umberto Eco interviene su “Athanasius Kircher e l’Egitto”. L’incontro è organizzato in collaborazione con l’Aldus Club. Lunedì 23 febbraio, alle 18, alla Mediateca di Santa Teresa in via della Moscova 28 a Milano, Jean-Marcel Humbert parla di “Egittomania: un fenomeno in continua evoluzione.
L’Antico Egitto a Conegliano. Da Osiride a Tutankhamon: così l’incontro con Donatella Avanzo anticipa la mostra che apre a Oderzo sul famoso faraone

La maschera funeraria di Tutankhamon: uno dei tesori trovati da Carter e Carnarvon nella tomba del giovane faraone
Da Conegliano a Oderzo. Da Osiride a Tutankhamon. L’Antico Egitto rimane in terra trevigiana. E stasera, 29 novembre, alle 18.30, in sala consiliare di Conegliano con l’incontro con l’egittologa Donatella Avanzo ci sarà un virtuale “passaggio di consegne” con Paolo Renier. Avanzo parlerà di “Arte e letteratura sulle sponde del Nilo”. Ma sarà anche l’occasione per presentare la mostra, da lei curata, “Omaggio a Tutankhamon: l’arte egizia incontra l’arte contemporanea” che aprirà a Palazzo Foscolo di Oderzo il 20 dicembre. Nella nuova esposizione, che rimarrà aperta fino al 3 maggio 2015, l’egittologa propone la ricostruzione a grandezza naturale della camera funeraria del giovane Re Tutankhamon.

Un dettaglio della stanza affrescata con il sarcofago all’interno della camera funeraria della tomba d Tut
Quando Howard Carter e lord Carnavon, nel 1922, scoprirono la tomba di Tutankhamon, videro che la camera funeraria di Tut era quasi totalmente occupata da una “cappella” (tra il soffitto della cappella e quello della camera funeraria c’erano meno di 90 cm, mentre tra le pareti di quest’ultima e quella della cappella c’erano meno di 30 cm). L’apertura della “prima cappella” ne rivelò una seconda, quindi una terza e una quarta prima di giungere al sarcofago vero e proprio, in granito, del peso di oltre 430 kg. Questo sarcofago si trova ancora oggi nella camera funeraria di KV62 (la tomba di Tutankhamon). Solo il coperchio in granito (peraltro spezzato) è stato sostituito con una lastra di vetro per permettere di vedere il sarcofago in legno e oro con la mummia di Tutankhamon. È questa l’unica camera dipinta della tomba; su una delle pareti è rappresentata una forma abbreviata della prima ora del Libro dell’Amduat (il libro di ciò che è nell’Aldilà): i dodici babbuini, che per gli antichi egizi erano gli animali che annunciavano il sorgere del sole, qui festeggiano l’arrivo del dio Sole che – “morto” col tramonto – “risorge” nell’Oltretomba. Su un’altra parete è visibile Ay, successore di Tutankhamon, che officia, sul corpo del suo giovane predecessore, la cerimonia dell’apertura della bocca, degli occhi e delle orecchie, il caratteristico e tipico rito dell’Antico Egitto che permetteva di rivitalizzare il defunto o la sua statua.
“Non è facile rievocare il fascino dell’Antico Egitto”, spiega l’egittologa, anticipando le linee dell’incontro dii Conegliano. “Infatti, la terra di Khemet è un paese di contrasti e forti accostamenti difficili da dimenticare. Le linee geometriche della natura sono così evidenti da risultare presenti anche all’occhio dell’osservatore più distratto e questo disegno rigoroso ha influenzato in passato la società, il pensiero filosofico, la percezione dello spazio, la religione e l’arte. La rappresentazione artistica, secondo il pensiero egizio, aveva valore di manifestazione reale: il rappresentare le offerte permetteva al defunto di avere cibo e sostentamento per l’eternità. Allo stesso modo la scrittura geroglifica rendeva reale quanto scritto”. “L’uomo moderno – conclude Avanzo -, così pragmatico, comprende questa mentalità con estrema difficoltà, legato com’è alla società d’oggi, al “qui, adesso e subito”. Tuttavia, a ben vedere, avevano ragione loro. La civiltà egizia ha dato vita ad oggetti, monumenti ed opere letterarie che per fascino e raffinatezza suscitano ancora oggi la nostra ammirazione”.
“Imagines”, weekend a Bologna col cinema archeologico di qualità: da Nefertiti a Cleopatra, dal fascino delle tombe di Tarquinia ai misteri di Gobekli Tepe in Turchia, dalla figura di Francesco Orsoni a quella di Antonino Di Vita
Weekend all’insegna del cinema archeologico di qualità: da Nefertiti a Cleopatra, dal fascino delle tombe di Tarquinia ai misteri di Gobekli Tepe in Turchia, dalla figura di Francesco Orsoni a quella di Antonino Di Vita. Come tradizione, l’ultimo fine settimana di novembre il Gruppo archeologico bolognese organizza “Imagines: obiettivo sul passato”, rassegna del documentario archeologico giunto alla dodicesima edizione. Alla Mediateca di San Lazzaro di Savena (Bologna) si inizia venerdì 28 Novembre 2014, alle 15.15, con la presentazione della rassegna con Gabriele Nenzioni, direttore del museo della Preistoria “L. Donini” di San Lazzaro (Bologna) e Giuseppe Mantovani, vicedirettore del Gruppo Archeologico Bolognese e curatore della rassegna “Imagines”. Segue la proiezione del documentario “Alla ricerca di Nefertiti”, regia di Brando Quilici (60’). Introduce la proiezione: Barbara Faenza. Oltre 3000 anni fa, una regina dalla leggendaria bellezza, Nefertiti, e suo marito, il faraone eretico Akhenaton, scossero le fondamenta dell’antico Egitto: la sua cultura, la sua capitale, perfino i suoi dei. Poi scomparvero, e della loro sorte, e di quella dei loro resti, per secoli non si seppe più nulla. Un famoso egittologo egiziano è ritornato nella Valle dei Re con le più avanzate tecnologie sulle tracce della bellissima regina, per scoprire cosa è stato di lei e della sua famiglia, una famiglia resa ancora più celebre dal giovane che si presume figlio di Akhenaton, e che a sua volta regnerà sull’Egitto col nome di Tutankamon. Dopo l’intervallo, proiezione del documentario “Al di là della Morte. Le tombe di Tarquinia si animano”, regia di Franco Viviani (25’). Introduce la proiezione: Silvia Romagnoli. Il filmato è lo sforzo di proporre in modo nuovo le tombe dipinte di Tarquinia, patrimonio UNESCO, dando cioè movimento ad alcune celebri scene della pittura etrusca, allo scopo di rendere il più possibile comprensibile ad un pubblico di non specialisti il celebre ciclo pittorico.

I fratelli Alfredo e Angelo Castiglioni, qui in una loro missione nel deserto nubiano, alla rassegna “Imagines” di Bologna sono presenti con il film “Il viaggio alla miniera di smeraldi di Cleopatra”
La seconda giornata, sabato 29 novembre 2014, inizia alle 15.15, proiezione del documentario “Il viaggio alla miniera di smeraldi di Cleopatra”, regia di Alfredo e Angelo Castiglioni (27’). Introducono la proiezione: Alfredo e Angelo Castiglioni. Il documentario è la cronaca di una missione archeologica condotta nel 1985 dai fratelli Alfredo e Angelo Castiglioni alla ricerca delle dimenticate miniere di smeraldi di Cleopatra. La missione, seguendo un vecchio itinerario, ritrovò le antiche miniere, i villaggi dei minatori e I templi scavati nella roccia. Alle 16.15, proiezione del documentario “La culla degli dei”, regia di Tim Conrad (53’). Introduce la proiezione: Gabriele Nenzioni. Il primo tempio conosciuto al mondo, un luogo in cui si professava una misteriosa religione organizzata già oltre 11000 anni fa, si trova sulla sommità di una collina nel sud della Turchia. Gobekli Tepe è un luogo enigmatico, eretto da un popolo sconosciuto di cacciatori-raccoglitori con blocchi di pietra monumentali per celebrare un culto di cui sappiamo ben poco. Un’équipe di National Geographic passa al vaglio tutti I dati disponibili per saper qualcosa di più su questa culla della religione e della civiltà umana. Dopo l’intervallo, alle 18.15, proiezione del documentario “Francesco Orsoni. Storia di un pioniere dell’archeologia preistorica”, regia di Claudio Busi e Giuseppe Rivalta (50’). Introduce la proiezione: Claudio Busi. Negli ambienti della ricerca scientifica bolognese dell’800 emerge, fra personalità di grande rilievo, la figura di Francesco Orsoni, singolare figura di autodidatta. Ebbe fin da ragazzo un forte interesse per le scienze naturali, che lo portò a scoprire nel 1871 la grotta del Farneto nella fascia collinare nei pressi di S. Lazzaro.

Il film “Storie dalla sabbia. La Libia di Antonino Di Vita” ricostruisce la figura del grande archeologo
“Imagines” si chiude domenica 30 novembre 2014 con una giornata piena. Alle 10.30, mattinata per i ragazzi. Proiezione del documentario “Le dodici fatiche di Ercole”, regia di Franco Viviani (30’). Introduce la proiezione: Elena Tonini. Alle 15.15, proiezione del documentario “Storie dalla sabbia. La Libia di Antonino Di Vita”, regia di Lorenzo Daniele (28’). Introduce la proiezione: Maria Antonietta Rizzo. “Anni sessanta. La Libia cambiava pelle in quegli anni. Modernità e tradizione si misuravano, si scontravano. Un mondo si trasformava e io avevo il privilegio di esserne testimone. Ogni giorno mi regalava un tassello nuovo su cui riflettere. Imparai a guardare la realtà in cui mi muovevo senza giudicare, senza pormi sul terreno di una diversità dichiarata. Appresi molto dalle persone più disparate”. La Libia di ieri, quella di oggi, filtrata attraverso I ricordi di uno dei più grandi protagonisti dell’archeologia mediterranea, il professore Antonino Di Vita. Alle 16.30, proiezione del documentario “La via Amerina”, regia di Raniero Pedica e Marcello Avoledo (40’). Introduce la proiezione: Marco Mengoli. Il Video è un viaggio archeologico-naturalistico sull’asse viario della via Amerina, tra boschi di lecci e le acque del Rio Maggiore, territorio ancora incontaminato. Il tratto della via preso in esame è stato a lungo luogo di sepoltura per gli abitanti di Falerii Novi, antica città romana del III secolo a.C. Dopo l’intervallo, alle 18, proiezione del documentario “Monumenti nella roccia”, regia di Giuseppe Mantovani (38’). Introduce la proiezione: Giuseppe Mantovani. Un viaggio nella splendida Tuscia Viterbese alla ricerca di antichi e poco conosciuti monumenti rupestri etrusco-romani e medievali che sorgono in questa zona d’Italia, nascosti tra boschi e foreste.
L’Antico Egitto a Conegliano. Non solo mostra: al via gli incontri sui misteri, l’arte, le scoperte, la cosmogonia di Abido, a tu per tu con egittologi e esperti

L’immagine del dio Osiride si staglia su uno scorcio dell’Osireion ad Abido: è il manifesto della mostra di Paolo Renier a Conegliano
Paolo Renier l’aveva promesso e annunciato. Ed è stato di parola: Conegliano fino a dicembre si conferma fucina di studi e interessi sull’Antico Egitto. Così alla mostra “EGITTO. Come Faraoni e Sacerdoti NEL TEMPIO DI OSIRIDE custodi di percorsi ormai inaccessibili”, aperta a Palazzo Sarcinelli di Conegliano fino al 21 dicembre, l’ultimo progetto-idea-creatura del vulcanico Paolo Renier, il fotografo trevigiano che da quasi trent’anni studia, fotografa, scheda, e cerca di valorizzare (cercando di favorirne così la sua salvaguardia) il sito di Abido, a 150 chilometri a sud di Luxor, la città sacra per eccellenza dell’Antico Egitto, sede del più antico culto di Osiride, il dio dell’Oltretomba e della resurrezione; così oltre alla mostra, dicevamo, ora a Conegliano ci sono anche gli incontri di approfondimento con famosi egittologi e studiosi sulla città sacra di Abido, il culto di Osiride, le implicazioni teogoniche e cosmogoniche dell’Antico Egitto, e molti altri temi suggeriti dalla mostra. Non dimentichiamo infatti che proprio ad Abido i faraoni delle prime dinastie hanno posto le loro sepolture, che ad Abido i faraoni hanno perpetuato la loro divina regalità rendendo omaggio ad Osiride, che ad Abido per tremila anni il popolo egiziano è venuto in pellegrinaggio o ha fatto giungere una propria epigrafe sulla tomba di Osiride, il cosiddetto Osireion, un unicum nell’architettura sacra dell’Antico Egitto. Così dopo esserci inoltrarci in quei percorsi ormai inaccessibili alla scoperta dei misteri dell’Antico Egitto, quelli che erano prerogativa dei faraoni e dei gran sacerdoti, e che oggi possiamo conoscere seguendo il percorso della mostra di Palazzo Sarcinelli, ci si può fermare a Conegliano anche per conoscere da vicino chi questo mondo affascinante – che si è sviluppato lungo le sponde del Nilo – lo studia da vicino.

L’egittologo Emanuele Ciampini di Ca’ Foscari apre gli incontri culturali sull’Antico Egitto a Conegliano
Si inizia venerdì 10 ottobre. Alle 18, a Palazzo Sarcinelli di Conegliano: il professor Emanuele Ciampini, egittologo dell’università Ca’ Foscari di Venezia, affronterà gli “Aspetti del culto di Osiride”, un tema più che propedeutico alla mostra. Il sabato della settimana successiva, 18 ottobre, alle 17, ma stavolta in sala consiliare del Comune di Conegliano, toccherà al professor Attilio Scienza, docente di Viticultura all’università di Milano, con un incontro destinato a suscitare l’interesse del pubblico: l’esperto collegherà – come già succede con una sezione della mostra – le conoscenze dell’Antico Egitto con la vocazione vitivinicola del territorio di Conegliano: “Nella vigna del faraone: vite e vino nell’Antico Egitto”.

Una ricostruzione dell’Osireion di Abido, la cosiddetta tomba di Osiride: un unicum nell’architettura dell’Antico Egitto
Si passa quindi all’ultimo venerdì del mese, il 31 ottobre, alle 18.30, ancora in sala consiliare del Comune di Conegliano, con un incontro che ci porterà direttamente nelle segrete cose dei faraoni e dei gran sacerdoti proponendo relazioni intriganti col monumento più carico di simboli del Cristianesimo. Alfonso Rubino, ingegnere, esperto in Geometria sacra, parlerà infatti de “L’Osireion: il codice geometrico armonico universale di tutti i tempi. Relazione armonica con il Santo Sepolcro di Gerusalemme”
Particolarmente atteso l’incontro di sabato 8 novembre (salvo impegni dell’ultima ora in Egitto), alle 18.30, in sala consiliare del Comune di Conegliano. Mahmoud Amer Ahmed Mohamed, archeologo dell’università di Sohag, la grande città molto vicina ad Abido, farà il punto sulle nuove scoperte fatte proprio ad Abido all’inizio di quest’anno (di cui archeologiavocidalpassato ha dato le anticipazioni nei post del 21 e del 29 gennaio 2014): “I faraoni di Abido: la dinastia perduta nelle più recenti scoperte”. Il sabato successivo, 15 novembre, alle 18.30, sempre in sala consiliare del Comune di Conegliano, Elisabetta Gesmundo, professoressa di Psicoterapia alla Scuola di Specializzazione in Psicosomatica di Milano, con “Morte e rinascita nel mito egizio e greco” accompagnerà il pubblico nel cuore dei misteri di Osiride. Una settimana dopo, sabato 22 novembre, alle 18.30, in sala consiliare del Comune di Conegliano, Maria Cristina Guidotti, direttrice del museo Egizio di Firenze, che da anni segue le iniziative di Paolo Renier su Abido, focalizzerà il suo intervento sui reperti di Abido conservati nel museo fiorentino: “Da Abido al museo Egizio di Firenze”.
L’ultimo sabato del mese, il 29 novembre, alle 18.30, in sala consiliare del Comune di Conegliano, ci sarà un gemellaggio ideale tra Conegliano e Oderzo nel nome dell’Antico Egitto. L’egittologa Donatella Avanzo parlerà di “Arte e letteratura sulle sponde del Nilo”, e con l’occasione presenterà in anteprima la mostra, di cui è curatrice, “Omaggio a Tutankhamon: l’arte egizia incontra l’arte contemporanea”, che appunto apre ad Oderzo il 19 dicembre, due giorni prima della chiusura della mostra di Conegliano su Abido: quasi un passaggio di consegne. Gli incontri culturali di Conegliano sull’Antico Egitto chiudono sabato 6 dicembre, alle 18.30, in sala consiliare del Comune di Conegliano, con Franco Naldoni, esperto di Antico Egitto dell’Associazione Archeosofica, il quale sta valutando quale portare tra i dei due temi ipotizzati, “Iside svelata” oppure “Il Libro cristiano dei Morti”: in entrambi i casi, temi impegnativi quanto intriganti per degno gran finale.
A 27 anni dalla scoperta del Señor de Sipán, il più importante ritrovamento degli ultimi 30 anni in Perù, incontro a Roma e Milano con il suo scopritore, Walter Alva
A 27 anni dal ritrovamento della Tumba del Señor de Sipán, definita una delle dieci scoperte archeologiche più importanti del XX secolo e paragonata alla scoperta della Tomba di Tutankhamon e di Machu Picchu, Walter Alva, lo scopritore della tomba di Sipan, è in Italia per illustrare al pubblico tre decenni di ricerche, che hanno rivelato le misteriose civiltà pre-incaiche, affermatesi nel Nord del Perù a partire dal secondo millennio prima di Cristo e soprattutto l’evento culturale che ha rivoluzionato il mondo del Perù. L’appuntamento è a Roma il 17 settembre (al museo preistorico-etnografico Luigi Pigorini, alle 17) e a Milano il 18 settembre (alla Cavallerizza, alle 18). Sarà un viaggio inedito lungo la Ruta Moche nel nord del Perù.
Era la primavera del 1987 quando un gruppo di tombaroli in Huaca Rajada, vicino alla città di Sipan nel mezzo della Valle del Lambayeque, nel distretto di Zaña nel nord del Perù, trovarono diversi oggetti in oro. E solo un disaccordo tra di loro fece sì che il ritrovamento fosse segnalato alla polizia locale che fece irruzione nel sito, recuperando un certo numero di oggetti e avvisando immediatamente l’archeologo Walter Alva. Fu lui che chiamò Il Signore di Sipán (El Señor de Sipán) la prima delle numerose mummie Moche trovate a Huaca Rajada, un ritrovamento considerato fin da subito una delle più importanti scoperte archeologiche in Sud America negli ultimi 30 anni, poiché la tomba principale è stata trovata intatta e inviolata. Il monumento di Huaca Rajada è composto da due piccole piramidi di mattoni crudi collegate da una piattaforma bassa. La piattaforma e una delle piramidi sono state costruite prima del 300 d.C. dai Moche; la seconda piramide di Huaca Rajada è stata costruita intorno al 700 d.C. da una cultura più tarda. Molti huacas – diversamente dalla tomba di Sipan – sono stati saccheggiati dagli spagnoli durante e dopo la conquista dell’impero Inca.
Gli esami sullo scheletro hanno stabilito che il Signore di Sipan era alto all’incirca 1,63 metri e che morì a 35-45 anni. I suoi gioielli e ornamenti, che comprendevano un copricapo, una maschera, un pettorale d’oro con la testa di un uomo e il corpo di un polpo, collane, anelli da naso, orecchini e altri oggetti, confermano che il Signore di Sipan era del rango più alto. La maggior parte degli ornamenti erano di oro, argento, rame e pietre semi-preziose. Ma non era solo. Sepolto con il Signore di Sipán c’erano altre sei persone: tre giovani donne (probabilmente mogli o concubine che sarebbero morte qualche tempo prima), due maschi (probabilmente guerrieri), e un bambino di circa nove o dieci anni. I resti di un terzo maschio (forse pure lui guerriero) è stato trovato sul tetto della camera funeraria seduto in una nicchia che si affaccia sulla camera. C’era anche un cane che era probabilmente l’animale preferito dal Signore di Sipan. I guerrieri che furono sepolti con il Signore di Sipán avevano i piedi amputati, come per impedire loro di lasciare la tomba. Le donne erano vestite in abiti cerimoniali. Oltre alle persone, gli archeologi hanno trovato nella tomba un totale di 451 oggetti cerimoniali e le offerte (beni di sepoltura), ed i resti di numerosi animali, tra cui un cane e due lama.
“Distruzione e recupero”. Il Cairo mette in mostra 200 tesori rubati dai musei dell’Egitto e recuperati nel mondo: tra questi una statua d’oro di Tutankhamon sottratta nel saccheggio del museo Egizio il 28 gennaio 2011

I soldati presidiano il museo del Cairo dopo il saccheggio subito nei giorni più difficili della rivoluzione
Vergogna, sbigottimento, smarrimento, disperazione, incredulità, angoscia: furono molti i sentimenti che provò il mondo intero vedendo le immagini del saccheggio del museo Egizio del Cairo trasmesse dai notiziari di ogni continente. Dappertutto vetrine sventrate, frammenti di vetri, segni del passaggio dei vandali, statue abbattute e finite in mille pezzi. Uno spettacolo che nessuno avrebbe mai voluto vedere. “Quel giorno, il 28 gennaio 2011”, raccontano le cronache, “la folla di piazza Tahrir era furibonda, incontrollabile. Da 18 giorni si succedevano dimostrazioni oceaniche e sanguinose; ma il regime di Hosni Mubarak sembrava deciso a resistere. Durante uno degli scontri, una colonna di manifestanti riuscì a scacciare i reparti di polizia che proteggevano la sede del partito di governo, e a darle fuoco. Ebbra di vittoria, la gente si riversò verso l’edificio adiacente: il museo Egizio, lo scrigno che custodisce il patrimonio più prezioso del Paese. Prima di rendersi conto di quel che faceva, di recuperare lucidità, la moltitudine aveva sfasciato 13 vetrine, distruggendo non meno di settanta reperti insostituibili”. A inventario completato, il direttore del museo, Tareq al-Awadi, avrebbe contato 54 opere scomparse. Tra queste due splendide statue di legno dorato di Tutankhamen: Tut mentre pesca con un arpione da una barca, e Tut da bambino trasportato sulla testa dalla dea Menkaret. E poi uno scriba, la regina Nefertiti, una principessa, tutti provenienti da tell el-Amarna, il grande sito archeologico nell’Egitto centrale dove Akhenaton fondò la sua nuova capitale. Dal corredo funebre di Yuya, un potente cortigiano di tremila anni fa, erano spariti uno scarabeo funerario, l’amuleto che veniva posto sul petto delle mummie per scongiurare l’asportazione del cuore, e undici “ushabti”, le statuine incaricate di sostituire il defunto nei lavori manuali richiesti nell’aldilà.
Sono passati tre anni da quel tragico giorno, per fortuna non invano. E mentre i laboratori del museo facevano il possibile per riparare i danni del saccheggio del 28 gennaio 2011, le autorità egiziane hanno avviato una rete di contatti per fermare l’emorragia di preziosi reperti dall’Egitto, sempre più richiesti dal mercato antiquario illegale. E oggi il Cairo può mostrare con orgoglio i suoi tesori rubati e recuperati nella mostra “Distruzione e recupero” aperta per tre mesi al museo Egizio del Cairo, poi ogni tesoro tornerà nel proprio museo di appartenenza: 200 reperti archeologici rubati negli ultimi tre anni in Egitto e recuperati negli ultimi mesi, tra i quali una statuetta d’oro di Tutankhamon. Il ministro egiziano delle Antichità Mohamed Ibrahim, nel presentare la mostra, ha elogiato il lavoro delle forze dell’ordine e gli ambasciatori di Germania, Regno Unito, Spagna, Australia, Cina e Nuova Zelanda per il loro aiuto nel riuscire a far tornare in Egitto i tesori rubati. “Non tutto il bottino, per fortuna, è andato perduto per sempre”, ha ricordato il ministro. “Qualche ora dopo il saccheggio, in una stazione della metropolitana fu trovata una borsa contenente la statua di Tutankhamon a pesca e altri due pezzi sottratti al museo. Menkaret era in un bidone dei rifiuti, ma senza il faraone bambino. Altre opere furono rinvenute o confiscate nei mesi successivi: 140 oggetti dei 200 in esposizione alla mostra sono stati recuperati da diversi Paesi, mentre gli altri 60 sono stati sequestrati dalla polizia del Turismo e delle Antichità, prima che fossero venduti ai ricettatori”. Notevole il lavoro dei restauratori per ricomporre i tesori rubati. Pochi sono infatti i pezzi recuperati integralmente. Fra questi, il Tutankhamon con l’arpione e altre due statue del grande faraone, e la mummia di un bambino, Amenhotep: i saccheggiatori le avevano tagliato la testa, che è stata riattaccata usando le tecniche originarie. Ma una statua d’avorio del faraone Tuthmosi III è ancora parzialmente mutilata.

Purtroppo non tutti i tesori spariti sono stati recuperati: mancano all’appello ancora undici “ushabti”
Il lotto più recente è arrivato poche settimane fa, ha aggiunto il ministro Ibrahim, e comprende dieci oggetti che sono stati rubati dal museo Egizio il 28 gennaio del 2011. Ali Ahmed, capo del dipartimento che si occupa del recupero di oggetti rubati del ministero delle Antichità, ha riferito che i dieci elementi sono gli oggetti più significativi della mostra e tra questi c’è proprio la statuetta d’oro di Tutankhamon. Tra gli altri tesori, anche una statua raffigurante la figlia di Akhenaton e 40 gioielli d’oro trafugati dal museo del Malawi a Minya. Fra gli altri oggetti salvati ci sono quaranta statuine di arcieri nubiani, un vaso di vetro policromo, una piccola statua raffigurante uno scriba, una della dea-gatta Bastet, una del faraone Akhenaton, una del dio-toro Apis. Molti pezzi importanti, tuttavia, sono ancora dispersi: come gli “ushabti”, una cintura di lapislazzuli appartenuta alla principessa Miretteamun, un Apis di bronzo. Con ogni probabiilità queste opera sono già all’estero. Le autorità del Cairo hanno fatto bloccare a Gerusalemme un’asta di 126 antichità egiziane, e al governo britannico è stato chiesto di sospendere la vendita di 800 oggetti presenti su Ebay, per consentire esami e ricerche sulla provenienza. Infine una legge che sta per essere approvata in Germania dovrebbe consentire la confisca e il rimpatrio di diversi pezzi presenti nelle case d’asta tedesche.
Nella Valle dei Re in Egitto scoperta una tomba con almeno 50 mummie della famiglia reale di faraoni della XVIII dinastia

L’ammasso di mummie appartenenti a membri della famiglia reale ritrovate in una tomba della Valle dei re dalla missione dell’università di Basilea
La XVIII dinastia, quella dei faraoni famosi come i Thutmosi, Hatshepsut, gli Amenofi, Akhenaton, Tutankhamon, ha ancora qualche segreto da svelare. Anzi, addirittura la super studiata Valle dei Re è ancora in grado di sorprenderci! Non molto distante dalla tomba di Tutankhamon, nella zona nord-ovest della Valle dei Re, nella provincia di Luxor, nel sud dell’Egitto, una missione dell’università svizzera di Basilea diretta da Susanne Bickel insieme a archeologi egiziani ha scoperto una grande tomba rupestre che si è rivelata un’immensa necropoli con almeno 50 mummie o resti di mummie, alcune delle quali bene conservate. E non mummie qualsiasi, ma appartenenti a membri della famiglia reale della XVIII dinastia (1590-1292 a.C.). Ad annunciare la straordinaria scoperta è stato il ministero delle Antichità egiziane: “La cachette (nascondiglio) contiene i resti di mummie che con tutta probabilità potrebbero appartenere ai membri della famiglia regnante della XVIII dinastia”, precisa il ministro Mohamed Ibrahim. Quindi il ritrovamento potrebbe fornire informazioni preziose sulla XVIII dinastia del Nuovo Regno e in particolare sui figli dei re Thutmosi IV (1402 – 1394 a.C.) e Amenofi III (1394 – 1356 a.C.).
Thutmosi IV non era il figlio maggiore di Amenofi II; non sappiamo come giunse al potere e se la successione fu traumatica. Come il suo predecessore ebbe un regno tranquillo e fece due sole campagne militari, una in Sudan e l’altra in Asia; quest’ultima fu più che altro un’ispezione, anche perché la situazione era molto cambiata e il pericolo ittita aveva spinto gli antichi nemici dell’Egitto, come Mitanni, a cercarne l’appoggio. Tra questi due paesi fu stretta un’alleanza e, per suggellarla, Thutmosi sposò una principessa mitanna a cui suo figlio, Amenofi III, deve il suo sangue indoeuropeo. Una stele del primo anno di regno di Thutmosi IV riferisce che, mentre ancor giovanetto si trovava a caccia nei pressi della Grande Sfinge di Giza, gli apparve in sogno Harmakhe (Harmachis) il dio solare impersonante la sovranità, che gli promise il regno; in cambio egli avrebbe dovuto liberare il dio dalle sabbie che lo ricoprivano, e certo il resto dell’iscrizione, andato perduto, narrava come egli portò a termine il compito. Tranne questo immaginoso racconto, c’è poco da dire sul regno di Thutmosi IV; non si deve, comunque, dimenticare che fu lui a far erigere il maggiore degli obelischi egizi, alto circa trentadue metri, che ora si trova a Roma davanti alla basilica di San Giovanni in Laterano; questo obelisco era rimasto per anni trascurato e steso al suolo a Karnak, finché Thutmosi IV non ne decise l’erezione.
Amenofis III, che successe naturalmente a suo padre, è noto come il “re Sole” dell’Egitto, appellativo che gli deriva da motivi diversi. Tra i suoi soprannomi ci fu quello di “disco splendente del Sole”, ma furono soprattutto lo splendore della corte di cui si circondò e la grandezza dei suoi monumenti a suggerirne l’assimilazione con Luigi XIV il più noto “re Sole” della storia. In particolare la città di Tebe, dove il sovrano trasferì la sua residenza nel ventinovesimo anno del regno, si abbellì di splendide costruzioni che ne fecero il centro più prestigioso del Paese. Qui i numerosi palazzi reali si affiancarono alle dimore sontuose dei funzionari, ricche di nuovi e raffinati oggetti d’arredo, impreziosite dai fregi architettonici e ornate di verdi giardini che, con gusto importato dall’Oriente, divennero parte essenziale delle architetture. Il periodo del regno di Amenofi III fu improntato a grande tranquillità sia interna sia esterna. Qualche tentativo di ribellione fu domato, ma l’Egitto visse in pace con i potenti vicini che il sovrano, forse sottovalutandone le potenzialità offensive, era solito definire “fratelli”. Quasi tutte le energie furono piuttosto impiegate nella realizzazione di opere civili, tra cui spicca il celeberrimo tempio di Amon a Luxor, frutto dell’iniziativa congiunta del re e del suo omonimo architetto. Sovrano di un Paese al suo apogeo politico ed economico, Amenofi III forse confidò eccessivamente nella diplomazia (per rafforzare il legame con il popolo dei Mitanni prese come moglie secondaria una principessa asiatica), ma non si rese conto che l’assenza di campagne militari indeboliva i legami di obbedienza verso l’Egitto dei potenti vicini e non avvertì che, a causa dell’indebolimento del controllo, l’influenza ittita si andava imponendo sull’Asia Minore. Del suo tempio funerario non sono rimaste che le due imponenti statue originariamente poste a guardia dell’ingresso, i celebri colossi di Memnone.
E ora la scoperta delle mummie. I corpi, alcuni dei quali ben conservati, ritrovati dagli archeologi di Basilea, comprendono anche mummie di bambini, sarcofagi lignei, maschere funerarie in cartonnage, numerosi oggetti di corredo, e vasi canopi, che dovevano contenere le viscere dei defunti. I canopi avevano come coperchio la testa delle divinità protettrici e proprio nella XVIII dinastia, durante il Nuovo Regno, questa forma di iconografia aveva avuto un forte sviluppo. Tutti i canopi recano l‘iscrizione di circa 30 nomi di principi e principesse a noi ancora sconosciuti. Da uno studio preliminare di queste iscrizioni in ieratico sulle ceramiche, i nomi e i titoli emersi di circa 30 defunti erano probabilmente quelli delle principesse della corte di Thutmosi IV e Amenofi III.
Secondo la direttrice della missione svizzera Susanne Bickel la tomba potrebbe far parte della KV40, di cui non si sapeva niente finora. La sepoltura, usata per decenni, dovrebbe appartenere a oltre 50 membri delle famiglie reali di Thutmosi IV e Amenofi III. “Si tratta di un pozzo funerario profondo 6 metri – spiega Bickel – che porta a 5 camere sotterranee, tra le quali quella centrale e tre laterali conservano le mummie. Le pareti presentano chiari segni d’incendio, forse provocato dalle torce dei tombaroli che, molto spesso, preferivano bruciare i corpi imbalsamati per arrivare prima agli amuleti”. Dalla lettura dei testi sulle ceramiche, emergono titoli quali «principe» e «principessa»: 8 almeno sono i nomi di principesse reali sconosciute (come Taemwadjes e Neferunebu), 4 principi e numerose spose straniere e bambini. La tomba è stata poi riutilizzata in un secondo momento nel IX sec. a.C.









































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