Il ritrovamento dei dieci rilievi rupestri di Faida nel Kurdistan iracheno da parte dell’università di Udine premiato come la scoperta archeologica più importante del 2019 con l’assegnazione della sesta edizione dell’International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad” promossa dalla Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico e da Archeo
La scoperta dei “dieci rilievi rupestri assiri nel Kurdistan Iracheno” ha vinto la sesta edizione dell’International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad”, il Premio promosso dalla Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico e da Archeo, e assegnato in collaborazione con le testate internazionali, tradizionali media partner della Borsa: Antike Welt (Germania), Archéologia (Francia), as. Archäologie der Schweiz (Svizzera), Current Archaeology (Regno Unito), Dossiers d’Archéologie (Francia) e da quest’anno anche con British Archaeology (Regno Unito) la testata del prestigioso Council for British Archaeology. E queste testate hanno segnalato la scoperta in Kurdistan, rispetto alle altre finaliste candidate alla vittoria per il 2020: Cambogia: la città perduta di Mahendraparvata capitale dell’impero Khmer nella foresta sulle colline di Phnom Kulen a nord-est di Angkor; Israele: a Motza a 5 km a nord-ovest di Gerusalemme una metropoli neolitica di 9.000 anni fa; Italia: a Roma la Domus Aurea svela un nuovo tesoro, la Sala della Sfinge; Italia: nell’antica città di Vulci una statua di origine etrusca raffigurante un leone alato del VI secolo a.C. Il Premio sarà consegnato a Daniele Morandi Bonacossi, direttore della Missione Archeologica Italiana nel Kurdistan Iracheno e ordinario di Archeologia e Storia dell’Arte del Vicino Oriente Antico dell’università di Udine, venerdì 9 aprile 2021 (non più venerdì 20 novembre 2020, dopo i provvedimenti restrittivi dovuto all’emergenza sanitaria da Covid-19) alla presenza di Fayrouz, archeologa e figlia di Khaled al-Asaad, in occasione della XXIII Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico di Paestum. I rilievi rupestri del Kurdistan Iracheno si aggiudicano anche lo “Special Award”, il Premio alla scoperta con il maggior consenso sulla pagina Facebook della BMTA. L’importanza della scoperta archeologica compiuta dall’università di Udine è stata riconosciuta anche da Aliph, l’unico fondo globale dedicato esclusivamente alla protezione e riabilitazione del patrimonio culturale in aree di conflitto e post-conflitto, che ha finanziato la documentazione dei rilievi assiri di Faida e l’elaborazione di un progetto di restauro e protezione di questo monumentale complesso di arte rupestre gravemente minacciato da vandalismo e dall’espansione delle attività produttive del vicino villaggio (vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2019/12/10/grandi-dei-e-sovrani-scolpiti-nella-roccia-lungo-un-imponente-canale-dirrigazione-la-grande-scoperta-delluniversita-di-udine-nel-kurdistan-iracheno-illustrata-a-roma-il-team-di-dan/).

L’International Archaeological Discovery Award, il Premio intitolato a Khaled al-Asaad, direttore dell’area archeologica e del Museo di Palmira dal 1963 al 2003, che ha pagato con la vita la difesa del patrimonio culturale, è l’unico riconoscimento a livello mondiale dedicato al mondo dell’archeologia e in particolare ai suoi protagonisti, gli archeologi, che con sacrificio, dedizione, competenza e ricerca scientifica affrontano quotidianamente il loro compito nella doppia veste di studiosi del passato e di professionisti a servizio del territorio. Nella 1ª edizione (2015) il Premio è stato assegnato a Katerina Peristeri per la Tomba di Amphipolis (Grecia); la 2ª edizione (2016) all’INRAP Institut National de Recherches Archéologiques Préventives (Francia), nella persona del Presidente Dominique Garcia, per la scoperta della Tomba celtica di Lavau; nel 2017 a Peter Pfälzner Direttore della missione archeologica che ha scoperto la città dell’Età del Bronzo presso il villaggio di Bassetki nel nord dell’Iraq; nel 2018 a Benjamin Clément, Responsabile degli scavi, per la scoperta della “piccola Pompei francese” di Vienne; nel 2019 a Jonathan Adams, Responsabile del Black Sea Maritime Archaeology Project (MAP), per la scoperta nel Mar Nero del più antico relitto intatto del mondo.

“Da oltre 25 anni il nostro ateneo opera nel Vicino Oriente, prima in Siria e ora nel Kurdistan iracheno, con un gruppo di lavoro di archeologi, studenti e specialisti di varie discipline guidato dal prof. Morandi Bonacossi”, dice il rettore, Roberto Pinton. Gli importanti riconoscimenti di oggi sono frutto del pieno e convinto sostegno dell’intero Dipartimento, dell’Università, di tutti i rettori che si sono succeduti e, aspetto assolutamente non irrilevante, di un intero sistema regionale e nazionale. Il premio per l’eccezionale scoperta dei rilievi assiri di Faida e l’importante finanziamento ricevuto da parte di ALIPH per garantire protezione e conservazione di questo patrimonio culturale dell’umanità sono per l’università di Udine motivo di grande orgoglio e soddisfazione”. E Daniele Morandi Bonacossi sottolinea: “L’attribuzione dell’autorevole premio della Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico intitolato a Khaled al-Asaad alla scoperta dei rilievi assiri di Faida e la nuova collaborazione con ALIPH, che ha come obiettivo proprio la tutela di questi straordinari monumenti di arte rupestre sono traguardi molto importanti per il nostro progetto, frutto di una stretta collaborazione con i colleghi e le autorità del Kurdistan e di una sinergia sistemica fra il nostro Ateneo, il Ministero degli Affari Esteri, la Regione Friuli Venezia Giulia, la Fondazione Friuli e ArcheoCrowd, cui si aggiunge ora anche ALIPH. Questi due riconoscimenti rafforzano la convinzione che l’università di Udine, sede del primo dipartimento in Italia dedicato alla storia e tutela dei beni culturali, possa e debba dare un importante contributo internazionale allo studio, documentazione, protezione e valorizzazione del patrimonio culturale dell’umanità minacciato da conflitti e degrado. Il sostegno di ALIPH, infatti, consentirà di elaborare un progetto di tutela e restauro dei rilievi assiri di Faida”.

Il progetto Kurdish-Italian Faida Archaeological Project (KIFAP) è diretto da Daniele Morandi Bonacossi e da Hasan Ahmed Qasim, rispettivamente per l’università di Udine e la direzione delle Antichità di Duhok. Lo scavo dei rilievi assiri di Faida si svolge in una terra, la Mesopotamia del nord, cruciale per la storia e rimasta inesplorata per decenni a causa della complessa situazione politica e d’instabilità che l’ha caratterizzata fino ad anni recenti. Ricerca, tutela, restauri, valorizzazione, formazione e cooperazione internazionale sono i cardini del progetto, che è sostenuto anche da Repubblica dell’Iraq, Governo Regionale del Kurdistan – Iraq, Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Consolato d’Italia a Erbil e Ambasciata d’Italia a Baghdad, Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, Fondazione Friuli, ArcheoCrowd srl e Agenzia italiana per la Cooperazione allo Sviluppo. “Il Faida Salvage Project incarna molti dei valori di ALIPH, ovvero la realizzazione di azioni concrete per proteggere un sito culturale unico che è stato minacciato da conflitto. Il successo di questo progetto, coordinato dal team dell’Università di Udine diretto dal Prof. Daniele Morandi Bonacossi, è il risultato di vari anni di impegno e collaborazione con le comunità, le autorità e gli esperti locali”, afferma il direttore generale Valéry Freland. “Il riconoscimento assegnato ai rilievi di Faida dallo International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad” è la conferma del loro valore e importanza e ALIPH si congratula calorosamente con l’intero team per questo eccezionale riconoscimento. Quando il lavoro di valutazione e contenimento dei danni al sito sarà completato, auspichiamo che si possa procedere rapidamente alla progettazione e realizzazione delle misure di protezione del complesso archeologico. ALIPH sostiene questo importante progetto che non solo migliora la nostra comprensione di uno dei momenti chiave del passato dell’umanità, ma contribuisce anche a porre le basi per una ripresa culturale, sociale ed economica sostenibile in Iraq”.


Il logo del progetto archeologico regionale “Terre di Ninive” (“Land of Nineveh Archaeological Project”)
“L’assegnazione dello International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad” 2020 al prof. Daniele Morandi Bonacossi per la scoperta dei rilievi assiri di Faida”, dichiara l’assessore regionale al Lavoro, formazione, istruzione, ricerca, università Alessia Rosolen, “è motivo di orgoglio e successo per tutta la Regione Friuli Venezia Giulia. Abbiamo sostenuto sin dall’inizio l’importanza del Progetto Archeologico Regionale Terre di Ninive in un’ottica di valutazione non solo squisitamente scientifica, ma anche in rapporto ad una crescita del livello reputazionale del nostro Paese e, nello specifico, del nostro Sistema Regione, ricordandoci che la cura e la ricerca del settore archeologico riportano in essere le radici e le origini della nostra Storia Moderna. La costante sinergia messa in atto fra l’Università di Udine e la Regione FVG ha fortemente contribuito a fortificare il legame a favore della cooperazione culturale ed umanitaria nella complessa realtà dell’Iraq settentrionale e del Kurdistan iracheno”. “La Fondazione Friuli, che dal 2005 è a fianco dell’ateneo udinese a sostegno dei suoi progetti di ricerca archeologica prima in Siria e poi in Iraq”, afferma il presidente Giuseppe Morandini, “è orgogliosa del premio internazionale assegnato al prof. Morandi Bonacossi per la scoperta dei rilievi assiri di Faida e del sostegno garantito dalla Fondazione Aliph alla protezione di questo complesso di arte rupestre unico al mondo. Questo successo testimonia come l’Università di Udine, voluta dalla popolazione e dalle istituzioni del Friuli nel 1978, con il sostegno dell’intero sistema regionale abbia saputo proiettarsi ai vertici della ricerca scientifica, della cooperazione internazionale e della tutela del patrimonio culturale minacciato da conflitti”. E il presidente di ArcheoCrowd, Francesco Zorgno, conclude: “ArcheoCrowd è orgogliosa di far parte della squadra che ha reso possibile questo progetto. L’elevatissimo valore di questo riconoscimento sarà uno stimolo importante a quegli imprenditori privati che, come noi, intendono affiancare il pubblico nel sostegno della ricerca archeologica”.
I rilievi rupestri di Faida. Nell’estate e autunno del 2019, la missione congiunta italo-curda “IAMKRI Italian Archaeological Mission to the Kurdistan Region of Iraq”, coordinata da Daniele Morandi Bonacossi dell’università di Udine con la direzione delle Antichità di Duhok guidata da Hasan Ahmed Qasim, ha individuato presso il sito archeologico di Faida, a 50 km da Mosul, dieci imponenti rilievi rupestri di epoca assira (VIII-VII secolo a.C.) scolpiti nella roccia lungo un antico canale d’irrigazione di 8,5 km di lunghezza. Il canale di Faida, alimentato da un sistema di risorgenti carsiche, fu fatto probabilmente scavare dal sovrano assiro Sargon II (721-705 a.C.) alla base di una collina. Oggi, il canale, che ha una larghezza media di 4 metri, è quasi completamente sepolto sotto spessi strati di terra depositati dall’erosione del fianco della collina. Dal canale principale si diramavano canali più piccoli, che consentivano di irrigare i campi circostanti e di aumentare la produzione agricola della campagna ubicata nell’entroterra di Khorsabad e Ninive, le ultime due capitali dell’impero assiro.

I pannelli rinvenuti sono imponenti, lunghi quasi 5 metri e alti 2. Sulla roccia è raffigurato un campionario straordinario di divinità e animali sacri. Le figure divine rappresentano il dio Assur, la principale divinità del pantheon assiro, su un dragone e un leone con corna, sua moglie Mullissu, seduta su un elaborato trono sorretto da un leone, il dio della Luna, Sin, anch’egli su un leone con corna, il dio della Sapienza, Nabu, su un dragone, il dio del Sole, Shamash, su un cavallo, il dio della Tempesta, Adad, su un leone con corna e un toro, e Ishtar, la dea dell’Amore e della Guerra su un leone. I rilievi, ripetuti in dieci esemplari (e altri sono verosimilmente ancora sepolti sotto ai detriti che colmano il canale), furono fatti eseguire dal sovrano assiro per celebrare la costruzione del canale d’irrigazione. I pannelli scolpiti a bassorilievo rappresentano una scena di profondo significato religioso e ideologico incentrata sull’adorazione delle divinità da parte del re e sulla celebrazione della creazione di questa importante infrastruttura idraulica destinata a garantire fertilità al territorio circostante potenziandone la produttività agricola.
Grandi dei e sovrani scolpiti nella roccia lungo un imponente canale d’irrigazione: la grande scoperta dell’università di Udine nel Kurdistan iracheno illustrata a Roma. Il team di Daniele Morandi Bonacossi impegnato in una missione dove l’archeologia diventa strumento di cooperazione internazionale per la protezione del patrimonio culturale minacciato dell’Iraq

Daniele Morandi Bonacossi, direttore della missione dell’università di Udine, davanti al rilievo 4 scoperto a Faida, nel Kurdistan iracheno (foto Alberto Savioli / LoNAP)

Dettaglio del rilievo 8 di Faida con il corteo di animali che sorreggono le statute delle grandi divinità assire (foto Alberto Savioli / LoNAP)
Il sovrano assiro, stante, è al cospetto del sacro corteo: le statue di sette divinità su dei piedistalli procedono sul dorso di altrettanti animali. Sono il dio Assur, la principale divinità del pantheon assiro, su un dragone e un leone con corna; sua moglie Mullissu, seduta su un elaborato trono sorretto da un leone; il dio della luna, Sin, anch’egli su un leone con corna; il dio della sapienza, Nabu, su un dragone; il dio del sole, Shamash, su un cavallo; il dio della tempesta, Adad, su un leone con corna e un toro; e Ishtar, la dea dell’amore e della guerra su un leone. Gli animali che portano le statue delle divinità avanzano verso destra, nel senso della corrente dell’acqua che anticamente scorreva nel canale di Faida, nel Nord dell’Iraq, il Kurdistan iracheno. Proprio questi dieci imponenti rilievi rupestri raffiguranti il sovrano e i grandi dei d’Assiria lungo un grande canale d’irrigazione scavato nella roccia rappresentano l’ultimo eccezionale risultato delle ricerche della missione archeologica dell’università di Udine e della direzione delle Antichità di Duhok guidata dal professor Daniele Morandi Bonacossi e dal dottor Hasan Ahmed Qasim in una terra, la Mesopotamia del nord, cruciale per la storia rimasta inesplorata per decenni a causa della complessa situazione politica che l’ha caratterizzata fino ad anni recenti. Ricerca, tutela, restauri, valorizzazione, formazione e cooperazione internazionale sono i cardini di un progetto, presentato a Roma nella sede di rappresentanza della Regione Friuli-Venezia Giulia, sostenuto da Governo Regionale del Kurdistan – Iraq, Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, Fondazione Friuli, ArcheoCrowd e Agenzia italiana per la Cooperazione allo Sviluppo. Sono intervenuti Alessia Rosolen, assessore della Regione Friuli -Venezia Giulia a Istruzione, Ricerca e Università; Marina Brollo, delegata del rettore dell’università di Udine; Rezan Kader, Alto Rappresentante del Governo Regionale del Kurdistan- Iraq; Giuseppe Morandini, presidente della Fondazione Friuli; Paolo Bartorelli della Direzione Sistema Paese del Ministero degli Affari esteri e Cooperazione Internazionale; e Francesco Zorgno, presidente di ArcheoCrowd.

Veduta col drone dell’acquedotto assiro a Jerwan, nel Kurdistan iracheno (Foto Alberto Savioli /LoNAP)

Il logo del progetto archeologico regionale “Terre di Ninive” (“Land of Nineveh Archaeological Project”)
Una scoperta eccezionale, nata nell’ambito del progetto archeologico regionale “Terre di Ninive” (“Land of Nineveh Archaeological Project” – ParTeN) dell’università di Udine e della Direzione delle Antichità di Duhok guidata dal professor Daniele Morandi Bonacossi e dal dottor Hasan Ahmed Qasim, a sua volta collegata ad un’iniziativa di cooperazione internazionale della regione Friuli Venezia Giulia avviata nel 2012. “La Regione sostiene l’Università di Udine nel percorso di scoperta delle radici della nostra civiltà che si concentrano nella Mesopotamia”, ha ricordato l’assessore regionale alla Ricerca e Università, Alessia Rosolen. “È un dato importante perché credo che l’archeologia in un frangente diplomatico come questo e in un momento di nuove conoscenze sia fondamentale, da un lato per la trasversalità dei saperi che riesce a mettere in connessione, dall’altro per quella cooperazione internazionale che ci consente di iniziare davvero a parlare di diplomazia culturale e scientifica”. Per Rosolen “la collaborazione che l’università di Udine ha avuto con le università del Kurdisatn iracheno ci offre la possibilità di andare a tracciare una nuova identità del popolo iracheno e immaginare uno sviluppo della loro economia turistica”.

Veduta d’insieme col drone dell’area di scavo dei rilievi 5-10-6-7 a Faida, nel Kurdistan iracheno (foto Alberto Savioli / LoNAP)

Veduta dall’alto dello scavo dei rilievi 6 e 7 a Faida, nel Kurdistan iracheno (foto Alberto Savioli / LoNAP)
A tratteggiare gli aspetti salienti del progetto sono stati chiamati i protagonisti di questa cooperazione a partire da Rezan Kader, alto rappresentante del governo regionale del Kurdistan, che ha evidenziato come “sia stata salvata la radice dell’umanità di tutti quanti noi”. Di “trasversalità della ricerca” ha parlato Marina Brollo, delegata del Rettore dell’università di Udine per il trasferimento della conoscenza; Giuseppe Morandini, presidente della Fondazione Friuli Continuità, ha posto l’accento sulla determinazione, continuità e metodologia utilizzata impressa al progetto. Francesco Zorgno, presidente di ArcheoCrowd, è invece il partner privato che ha condiviso la finalità della difesa del patrimonio archeologico come investimento culturale. Paolo Andrea Bartorelli, capo ufficio VI della direzione generale per la promozione del sistema Paese, ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, ha evidenziato “il ruolo dell’Italia nella difesa del patrimonio dagli attentati sia del fondamentalismo islamico che della scarsa attenzione verso i siti in pericolo, sensibilizzando la comunità internazionale”.
La straordinaria scoperta della missione congiunta italo-curda nel sito archeologico di Faida (20 km a sud della città di Duhok, Kurdistan iracheno settentrionale) risale ai mesi di settembre e ottobre 2019. Gli archeologi hanno individuato dieci imponenti rilievi rupestri di epoca assira (VIII-VII secolo a.C.) scolpiti nella roccia lungo un antico canale d’irrigazione di quasi 7 km di lunghezza. Il canale di Faida, alimentato da un sistema di risorgenti carsiche, fu fatto probabilmente scavare dal sovrano assiro Sargon (720-705 a.C.) alla base di una collina. Oggi, il canale, che ha una larghezza media di 4 metri, è quasi completamente sepolto sotto spessi strati di terra depositati dall’erosione del fianco della collina. Dal canale principale si diramavano canali più piccoli, che consentivano di irrigare i campi circostanti e di aumentare la produzione agricola della campagna ubicata nell’entroterra di Ninive, la capitale dell’impero. Sono passati quasi duecento anni dall’ultima scoperta di rilievi rupestri assiri, monumenti estremamente rari, avvenuta nel 1845 in quest’area, per opera del console francese a Mosul, Simon Rouet, che scoprì i rilievi di Khinis e Maltai. Più recentemente, nel 1972, Julian Reade, un archeologo inglese del British Museum, aveva individuato l’ubicazione di tre bassorilievi sepolti lungo il canale, senza però poterli portare alla luce a causa dell’instabilità politica e militare che contraddistingueva la regione in quegli anni di aspro confronto fra i Peshmerga curdi e l’esercito del regime baathista.
Lungo il canale, il sovrano assiro fece scolpire grandi pannelli di quasi 5 metri di larghezza e 2 metri di altezza rappresentanti il sovrano assiro ai due lati di una serie di divinità stanti sui loro animali simbolo. Dalla terra che riempiva il canale emergeva solo la parte superiore dei pannelli scolpiti a rilievo, dei quali si intravvedeva la cornice superiore e, in alcuni casi, la sommità delle tiare indossate dalle divinità. Già nel 1972 Julian Reade, un archeologo inglese del British Museum, aveva individuato l’ubicazione di tre bassorilievi sepolti lungo il canale, senza però poterli portare alla luce a causa dell’instabilità politica e militare che contraddistingueva la regione in quegli anni di aspro confronto fra i Peshmerga curdi e l’esercito del regime baathista. Quarant’anni dopo, nell’agosto del 2012, durante la ricognizione archeologica condotta dal “Land of Nineveh Archaeological Project” dell’università di Udine diretto dal prof. Daniele Morandi Bonacossi, gli archeologi italiani individuavano sei nuovi rilievi lungo il canale di Faida. A sette anni di distanza, grazie alla collaborazione fra l’Università di Udine e la Direzione delle Antichità di Duhok e al sostegno del Consolato italiano a Erbil, i rilievi rupestri assiri di Faida sono stati finalmente portati alla luce.
Questo stupefacente complesso di opere d’arte rupestri uniche al mondo è però oggi parte di uno scenario ancora post-bellico, fortemente minacciato dal vandalismo, scavi clandestini e dall’espansione del vicino villaggio e delle sue attività produttive che lo hanno già gravemente danneggiato. Negli anni fra la nascita dello Stato Islamico come auto-proclamata entità statale nel 2014 e la sua sconfitta nel 2017, inoltre, i rilievi di Faida si sono trovati ad essere ubicati a soli 25 km dalla linea del fronte. Il progetto congiunto italo-curdo è dunque un intervento di salvataggio, che mira non solo a portare alla luce questi importantissimi rilievi assiri (dieci sono già stati scavati, ma molti altri attendono ancora di essere individuati ed esposti), ma anche a documentarli con tecnologie innovative, a restaurarli e soprattutto a proteggere questo sito archeologico assolutamente unico ed eccezionale. A conclusione dei lavori di scavo e restauro, sarà creato un parco archeologico dei rilievi assiri di Faida, che consentirà di aprire il canale e i suoi bassorilievi al turismo iracheno e internazionale, permettendo così la più vasta diffusione della loro conoscenza e una loro più adeguata protezione. In questo modo, il canale di Faida con i suoi meravigliosi rilievi si affiancherà agli altri canali, acquedotti e rilievi rupestri assiri (Khinis, Maltai e Shiru Maliktha, acquedotto di Jerwan) che il “Land of Nineveh Archaeological Project” ha già studiato e documentato, progettando il loro restauro e valorizzazione attraverso la creazione di un parco archeologico-ambientale del sistema idraulico assiro nella regione di Duhok ed elaborando il dossier necessario a sostenere la proposta di inserimento di questi straordinari beni culturali nella lista UNESCO del patrimonio dell’umanità.
Roma. Alla fiera “Più libri più liberi” Forum Editrice presenta le ricerche del progetto Terre di Ninive dell’università di Udine nel Kurdistan iracheno nell’incontro “Tutela e valorizzazione del patrimonio culturale nelle aree a rischio del Vicino Oriente. Il parco archeologico della regione di Duhok nel Kurdistan iracheno” con Matthiae, Morandi Bonacossi e Orazi, e con il libro “The Archaeological Environmental Park of Sennacherib’s Irrigation Network”

La locandina di “Più libri, più liberi”, la fiera nazionale della piccola e media editoria alla Nuvola di Roma-Eur
Dal 4 all’8 dicembre 2019 torna a Roma, nell’avveniristica cornice della Nuvola dell’Eur, Più libri più liberi, la fiera nazionale della piccola e media editoria. “E torniamo anche noi!”, ricordano a Forum, editrice universitaria udinese. “Ci trovate sempre agli stand B66-B68 con il coordinamento delle University Press Italiane, e venerdì 6 dicembre parleremo delle importanti ricerche del progetto della nostra Università Terre di Ninive”. E sarà presentato il libro di Roberto Orazi “The Archaeological Environmental Park of Sennacherib’s Irrigation Network” (Forum Editrice). La fiera Più libri più liberi si conferma come l’evento culturale più importante della Capitale – ormai sempre più riconosciuto sia a livello nazionale che internazionale – dedicato esclusivamente agli editori indipendenti italiani. Quest’anno oltre 520 espositori, provenienti da tutto il Paese, presentano al pubblico le novità e il proprio catalogo. Cinque giorni e più di 670 appuntamenti in cui ascoltare autori, assistere a letture, dibattiti, performance musicali e incontrare gli operatori professionali.

Tell Gomel, nel Kurdistan iracheno, il sito dell’antica Gaugamela, dove Alessandro Magno sconfisse Dario III nel 331 a.C. e completò la conquista dell’impero persiano (foto LoNAP)

La distribuzione dei siti archeologici rilevati dal progetto “Terra di Ninive” dell’università di Udine (foto LoNAP)
Il “Progetto Archeologico Regionale Terra di Ninive” è un’ampia ricerca interdisciplinare condotta dalla “Missione Archeologica Italiana in Assiria” (MAIA) dell’Università degli Studi di Udine. Il progetto mira a studiare il paesaggio archeologico della regione di Dohuk (Kurdistan Iracheno) e a documentare, tutelare e valorizzare lo straordinario patrimonio archeologico di questa regione posta nell’entroterra dell’antica capitale dell’impero assiro, Ninive (odierna Mosul). Attraverso la ricognizione archeologica di superficie di una regione di 3.000 kmq di estensione e lo scavo del sito di Tell Gomel (il sito dell’antica Gaugamela, dove Alessandro Magno sconfisse Dario III nel 331 a.C. e completò la conquista dell’impero persiano: vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2019/04/17/svelato-giallo-archeologico-in-kurdistan-iracheno-la-missione-delluniversita-di-udine-ha-scoperto-il-luogo-della-battaglia-di-gaugamela-330-a-c-dove-alessandro-magno-sconfisse-il-re-persi/), il progetto mira a ricostruire la formazione ed evoluzione del paesaggio culturale e naturale di una regione cruciale dell’antica Mesopotamia fra preistoria ed età islamica. Questa regione, mai esplorata da alcuna missione archeologica moderna, fu uno dei principali teatri della “rivoluzione agricola”, che diede origine alla moderna economia produttiva e fu il centro politico e geografico dell’Assiria, il primo impero globale della storia. Il suo studio ha ricadute non solo in ambito strettamente vicino orientale, ma è anche di assoluto rilievo per l’indagine dei grandi processi culturali che hanno caratterizzato il progresso delle società umane a partire dalle piccole comunità di cacciatori e raccoglitori preistorici fino alla formazione dei grandi centri urbani, degli stati territoriali e degli imperi nelle età del Bronzo e del Ferro.
Il secondo obbiettivo di MAIA consiste nella documentazione, conservazione e gestione degli straordinari monumenti archeologici presenti nella regione di Dohuk. Attraverso la stretta cooperazione con le autorità locali (Direzione Generale delle Antichità del Kurdistan, Direzione delle Antichità di Dohuk, Governatorato di Dohuk), la Task Force Iraq del Ministero degli Affari Esteri, l’UNESCO e il World Monuments Fund di New York, il progetto contribuisce in maniera determinante alla tutela e promozione dello straordinario patrimonio culturale della regione. L’imponente sistema irriguo costruito fra VIII e VII sec. a.C. dal re assiro Sennacherib, con i suoi monumentali rilievi rupestri, canali e i primi acquedotti in pietra della storia è stato documentato in maniera digitale e tridimensionale ed è in corso di valorizzazione. Con la Direzione delle Antichità di Dohuk sarà progettato l’inserimento del vasto complesso archeologico nella “World Heritage Tentative List” dell’UNESCO.

Il ritratto di Sennacherib in un rilievo rupestre assiro di Khinis nel Kurdistan iracheno (foto LoNAP)
Appuntamento venerdì 6 dicembre 2019, alle 16.30, in sala Marte, con l’incontro promosso da Forum Editrice “Tutela e valorizzazione del patrimonio culturale nelle aree a rischio del Vicino Oriente. Il parco archeologico della regione di Duhok nel Kurdistan iracheno” al quale intervengono Paolo Matthiae, decano degli archeologi assiriologi; Daniele Morandi Bonacossi dell’università di Udine, direttore del progetto Terre di Ninive; e Roberto Orazi del Cnr, coordinatore del gruppo dell’Ispc-Unid. Luogo cruciale per la storia nel nord dell’antica Mesopotamia, per molto tempo inesplorato a causa della complessa situazione politica, il Kurdistan Iracheno è al centro delle ricerche del Progetto Archeologico Regionale Terra di Ninive. In particolare gli studi sulla documentazione, tutela e valorizzazione dello straordinario patrimonio archeologico della regione di Dohuk costituito da enormi canali d’irrigazione, rilievi rupestri e dai primi acquedotti in pietra della storia sono raccolti in un dossier che propone l’inserimento di questo sofisticato sistema nella World Heritage Tentative List dell’UNESCO. Il progetto di valorizzazione del sito è nato dalla collaborazione tra l’università di Udine e l’istituto di scienze del patrimonio culturale-Ispc (Itabc) nell’ambito del progetto “Land of Nineveh Training Project for the Enhancement of the Cultural Heritage of the Kurdistan Region of Iraq” diretto dal prof. Daniele Morandi Bonacossi e affidato all’università di Udine dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (Aics).

Il libro di Roberto Orazi The Archaeological Park of Sennacherib’s Irrigation Network. Recording, Conservation and Management of the Cultural Heritage of the Northern Region of Iraqi Kurdistan” (Forum Editrice)

Un tratto dell’acquedotto di Sennacherib a Jerwan scoperto dalla missione archeologica dell’università di Udine nel progetto “Terre di Ninive” (foto LoNAP)
I risultati raggiunti dal gruppo di lavoro dell’Ispc-Unid, sotto il coordinamento dell’arch. Roberto Orazi, sono confluiti nel volume “The Archaeological Park of Sennacherib’s Irrigation Network. Recording, Conservation and Management of the Cultural Heritage of the Northern Region of Iraqi Kurdistan” di Roberto Orazi (Forum Editrice, Udine 2019, pp. 268, 80 euro), primo volume della collana Italian Archaeological Mission to the Kurdistan Region of Iraq (IAMKRI). Roberto Orazi si è occupato dello studio e del riuso del patrimonio architettonico con attività nel campo della ricerca, dell’insegnamento e del restauro sia in Italia che all’estero (Iran, Oman, Perù, Siria, Iraq). È autore di oltre sessanta pubblicazioni e monografie, tra cui Project to Restore the Monumental Complex of Khor-Rori (1997) e The Pavilion of the Forty Columns. Studies and Conservation at Isfahan (in stampa). Il sistema di canalizzazioni costruito dal sovrano assiro Sennacherib per portare acqua a Ninive e alla campagna circostante intorno al 700 a.C. costituisce forse il più rappresentativo esempio di patrimonio culturale monumentale del Kurdistan Iracheno. Canali, imponenti acquedotti in pietra, bassorilievi rupestri e iscrizioni commemorative sono sparsi su un territorio di tremila chilometri quadrati nella regione di Duhok, ma appartengono tutti alla stessa imponente impresa. Il volume, in inglese, è interamente dedicato alla documentazione, conservazione e valorizzazione del sistema irriguo di Sennacherib e alla redazione della proposta per l’inserimento del complesso nella lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO.
Svelato giallo archeologico. In Kurdistan iracheno la missione dell’università di Udine ha scoperto il luogo della battaglia di Gaugamela (330 a.C.) dove Alessandro Magno sconfisse il re persiano Dario III. Evento cruciale che fece nascere l’Ellenismo. Col progetto “Terre di Ninive” in sette anni mappati 1100 siti archeologici

Il prof. Daniele Morandi Bonacossi sul campo presso il sito neo-assiro di Chamarash, sulla sponda orientale del lago artificiale di Eski Mosul
È una delle battaglie che hanno segnato la storia: Gaugamela, 331 a.C. In una piana della Mesopotamia settentrionale, le truppe guidate da Alessandro Magno sconfiggono l’esercito persiano del re dei re Dario III, aprendo le porte dell’Oriente ai macedoni dalla Mezzaluna fertile all’altopiano iranico fino alla valle dell’Indo. Fu un evento cruciale: un mondo finiva e iniziava una nuova era, l’Ellenismo, fecondissimo momento di incontro culturale tra Oriente e Occidente. Ma a quasi 23 secoli dall’evento il luogo della battaglia è ancora in discussione, con gli storici e gli archeologi dubbiosi sull’interpretazione dei dati disponibili. Un giallo archeologico che ora è stato svelato dalle ricerche multidisciplinari della missione archeologica nel Kurdistan iracheno dell’università di Udine, guidata dal professore Daniele Morandi Bonacossi, dove è presente dal 2012 con il progetto “Land of Nineveh / Terre di Ninive”. La spedizione, sostenuta da ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale; Agenzia italiana per la Cooperazione allo Sviluppo; ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca; Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia; Fondazione Friuli, ha portato gli archeologi a una scoperta straordinaria: l’identificazione del sito di Gaugamela con l’attuale Tell Gomel, nei pressi dell’odierna Mosul – l’antica Ninive – nel Kurdistan iracheno. L’annuncio a Roma in un’affollatissima conferenza stampa, cui sono intervenuti Andrea Zannini, direttore del dipartimento di Studi umanistici e del Patrimonio culturale dell’università di Udine; Ettore Janulardo , ministero degli Affari Esteri e Cooperazione Internazionale; Ahmad A.H. Bamarni, ambasciatore della Repubblica dell’Iraq in Italia; Alessia Rosolen, assessore Istruzione, Ricerca, Università della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia; Daniele Morandi Bonacossi , direttore del “Land of Nineveh Archaeological Project” e ordinario di Archeologia del Vicino Oriente antico all’università di Udine.

Progetto “Terre di Ninive” in Kurdistan iracheno: mappatura dei 1100 siti individuati dalla missione dell’università di Udine
La spedizione archeologica dell’università di Udine, che coinvolge ogni anno circa 25 specialisti (archeologi, topografi, restauratori, archeobotanici, palinologi, esperti GIS,…) e diversi studenti, indaga la trasformazione del territorio dal Paleolitico al periodo islamico (da un milione di anni fa ad oggi) grazie ad una concessione di ricerca che copre un’area di 3mila kmq, una delle più ampie mai rilasciate in Iraq, che ha consentito al team di scoprire e mappare ben 1100 siti archeologici. Grazie alle riprese con droni, a ortofoto, allo studio della ceramica e agli scavi stratigrafici, è stata ricostruita la storia dell’insediamento e della demografia della regione, che risulta essere una delle zone della Mesopotamia con la più alta densità di siti archeologici (0,7 per chilometro quadrato). E il team del prof. Morandi ha ricevuto l’apprezzamento dell’ambasciatore della Repubblica dell’Iraq Ahmed Bamarni che ha commentato: “La squadra del prof. Daniele Morandi Bonacossi sta svolgendo un considerevole lavoro nella Regione del Kurdistan, e apprezziamo il loro impegno nel recupero del patrimonio culturale iracheno, come la recente identificazione del sito originale della Battaglia di Gaugamela, che vide la vittoria di Alessandro Magno sull’esercito persiano di Dario, evento che rappresenta uno dei momenti storici più significativi della storia regionale e mondiale”. E allora vediamo meglio questa eccezionale scoperta archeologica.
Cosa successe nella piana di Gaugamela nel 331 a.C.? Il re achemenide Dario III era già stato sconfitto da Alessandro Magno due anni prima, nel 333 a.C., a Isso, città costiera nell’Anatolia meridionale, al confine tra la Cilicia e la Siria, con la cattura della moglie, della madre e delle due figlie del re persiano che si era ritirato a Babilonia, per riorganizzare l’esercito. Di quella battaglia ci è rimasta una rappresentazione memorabile nel mosaico scoperto a Pompei nella Casa del Fauno, oggi conservato al museo Archeologico nazionale di Napoli. La vittoria di Isso aveva dato ad Alessandro il controllo dell’Asia Minore meridionale, e da lì aveva occupato la costa mediterranea dalla Fenicia fino all’Egitto, dove si era fatto consacrare faraone. E arriviamo all’autunno del 331 a.C. Le fonti disponibili sulla battaglia di Gaugamela non sono molte (Arriano con l’Anabasi di Alessandro; Quinto Curzio Rufo con Storie di Alessandro Magno; Diodoro Siculo con Biblioteca storica; Plutarco con Vita di Alessandro), e tutte di storici vissuti molti secoli dopo la spedizione di Alessandro in Asia. Non è quindi facile fare una ricostruzione fedele degli eventi, del numero di soldati e delle perdite della battaglia, ma almeno sul nome del luogo della battaglia sembrano concordare tutti: Gaugamela, nella Mesopotamia settentrionale.
Alessandro guada l’Eufrate senza trovare resistenza ed entra in Mesopotamia. Ma non punta direttamente su Babilonia. Sceglie la strada verso Nord che, una volta superate le colline, portava comunque alla città dove si era acquartierato Dario III. Ciò gli avrebbe reso più facile procurarsi foraggio e provviste, e non avrebbe fatto soffrire alle truppe il caldo estremo del percorso diretto. Alessandro passa anche il Tigri e si verifica un’eclisse lunare, ritenuto un presagio favorevole. E così decide di attaccare i persiani con la sua cavalleria. Alla vista del re macedone la cavalleria persiana fugge. I prigionieri riferiscono che Dario III non è lontano: è accampato a Gaugamela. Lo scontro è epocale. Alessandro riesce ad annullare il divario di forze in campo e a imporsi. Dario III riesce a fuggire ad Arbela (l’odierna Arbil), a un centinaio di chilometri a Est, convinto di poter ancora organizzare una resistenza che ormai appariva disperata anche agli occhi dei suoi più fedeli generali.
La scoperta del sito di Gaugamela. Le fonti – come si diceva – non concordano sul luogo della battaglia. Ma, grazie a un mix di storia antica e nuove tecnologie, filologia e GIS, remote sensing e lavoro sul campo, il team diretto dal prof. Morandi Bonacossi ha raccolto evidenze scientifiche sufficienti per individuare il luogo in cui il condottiero macedone trionfa sull’armata persiana. “La prova regina è lo studio filologico del toponimo del sito di Tell Gomel, che stiamo scavando”, spiega Morandi Bonacossi. È un percorso a ritroso che ci porta dai giorni nostri all’impero assiro. “Proprio sull’acquedotto di Jeruan, monumentale sistema d’irrigazione costruito dal re assiro Sennacherib nel 700 a.C. per portare l’acqua a Ninive e irrigare la pianura circostante”, continua il direttore della missione friulana, “troviamo in un’iscrizione cuneiforme celebrativa dell’epoca del re assiro Sennacherib (704-681 a.C.) che ricorda il sito di epoca assira Gammagara/Gamgamara. Da questo toponimo assiro deriva la dizione greca: da Gamgamara in greco la m diventa u e la r una l che ci dà Gaugamela. Il toponimo si mantiene nei secoli. Così lo troviamo trascritto in epoca medievale (IX sec. d.C.) con una storpiatura dal greco che dà Gogemal, toponimo che a sua volta subisce una corruzione in Gomel che è il nome del sito che stiamo scavando”.

Il rilievo del cavaliere rifacimento di età ellenistica di un precedente monumento assiro del complesso di Khinnis (Kurdistan iracheno) per celebrare la vittoria nella vicina Gaugamela
E poi ci sono i riscontri archeologici. “A ulteriore conferma, le nostre ricerche archeologiche hanno dimostrato che il sito di Gomel, dove si stanno concentrando le nostre ricerche, era solo un piccolissimo villaggio rurale poco prima dell’arrivo di Alessandro in Oriente, ma fu rifondato proprio alla fine del IV secolo a.C., quindi contemporaneamente alla battaglia, e da quel momento si sviluppò come un sito esteso e importante”. Ma non è tutto. Nelle vallate montuose circostanti, sono stati trovati alcuni monumenti rupestri con rilievi che potrebbero essere riconducibili alla presenza di Alessandro Magno. Due di questi potrebbero rappresentare proprio il condottiero a cavallo ed essere considerati monumenti celebrativi della vittoria di Gaugamela. Un rilievo si trova in una valletta della montagna che domina il sito di Gomel, nel complesso rupestre di Gali Zerdak, rilievo conosciuto, ma fortemente compromesso dal tempo e da recenti asportazioni vandaliche: si riesce a vedere una Nike alata che porge una corona a un cavaliere – che potrebbe essere Alessandro – proprio per la vicinanza all’iconografia che troviamo in pitture ellenistiche e tombe macedoni come a Kasta-Anfipoli. La rappresentazione di Gali Zerdak suggerisce agli archeologi friulani che questa potrebbe essere la montagna che, secondo le fonti, dopo la battaglia fu ribattezzata monte Nikatorion, “il monte della vittoria”. L’altro rilievo è ubicato a 20 chilometri di distanza dalla piana individuata come il campo della battaglia di Gaugamela: è il sito di Khinnis, noto dalla metà dell’Ottocento e leggibile ancora all’inizio del ‘900, danneggiato ancor prima dell’arrivo dell’Isis nella regione, più di recente studiato da Julian Reade, dove i re assiri avevano scolpito i loro volti. “Ma in periodo ellenistico”, riprende Morandi Bonacossi, “si interviene su questo rilievo celebrativo, un modo per dare continuità alla simbologia del monumento onorando il generale macedone: si cancella l’antica iscrizione in cuneiforme per aggiungere un cavaliere con la sarissa, la tipica picca macedone, molto simile a quella che vediamo impugnare ad Alessandro nel mosaico di Pompei”. C’è poi un terzo monumento, trovato nel raggio di pochi chilometri da Gomel: il rilievo di Nirok. “L’abbiamo scoperto nell’ambito del progetto Terre di Ninive, e riteniamo sia importantissimo per l’iconografia che rappresenta tre stelle o tre soli. È molto mal conservato, in gran parte distrutto in anni recenti, ma si riconosce il sole argeade o sole di Verghina, simbolo della dinastia macedone”.
“Mesopotamia: in memoriam. Appunti su un patrimonio violato”: prime anticipazioni della nuova produzione cinematografica di Alberto Castellani, una miniserie televisiva in uscita nel 2019, con immagini e testimonianze dall’Iraq e dalla Siria prima e dopo l’Isis. Il regista veneziano ospite a Montereale Valcellina per la “serata Palmira”
La Mesopotamia com’era. E com’è oggi la “culla della civiltà” dopo gli sfregi dell’Isis, e non solo. “Mesopotamia: in memoriam. Appunti su un patrimonio violato” è il nuovo film in lavorazione, o meglio la miniserie televisiva in due puntate (una sull’Iraq e l’altra sulla Siria), del regista veneziano Alberto Castellani, ideato sull’onda dell’orrore suscitato per l’eccidio del direttore del museo di Palmira, Khaled Asaad, e denunciato nel film “Khaled Asaad, quel giorno a Palmira” (2015), che si può vedere venerdì 28 settembre 2018, alle 18.30, a Montereale Valcellina (Pn), nella “serata Palmira” con l’intervento del giornalista Graziano Tavan e dello stesso regista.
Il montaggio del nuovo film di Castellani inizierà a giorni (“Devo visionare gli ultimi contributi filmici del prof. Daniele Morandi Bonacossi, direttore della missione archeologica “Terre di Ninive” nel Kurdistan iracheno, poi si comincia la nuova fatica”, annuncia Castellani). Ma archeologiavocidalpassato è in grado di dare qualche anticipazione sul progetto Mesopotamia che rappresenta il ritorno del regista veneziano nelle terre martoriate del Vicino Oriente, e affronta – ora con un respiro più ampio – in termini sociali e culturali il dramma che sta vivendo il Vicino Oriente, e in particolare l’Iraq e la Siria. “È il progetto più ambizioso che ho affrontato in tanti anni di lavoro sul campo – ammette -. Tutto nasce proprio dall’esperienza vissuta nell’incontro con Khaled Asaad. E allora mi sono chiesto: tutto qui? Così ho iniziato a cercare i segni delle ferite inferte dalla guerra e a confrontare la situazione attuale con quella giunta fino a noi, prima dell’Isis, attraverso millenni di storia. Conto di presentare l’opera in una grande rassegna cinematografica internazionale nel corso del 2019”.

Il resgita Alberto Castellani durante le riprese della collezione mesopotamica “Ugo Sissa” a Palazzo Te di Mantova (foto Graziano Tavan)
“C’erano una volta due fiumi, il Tigri e l’Eufrate, e tutt’attorno una terra fertile a forma di mezzaluna, dove nacquero civiltà antiche, a cui si fanno risalire scoperte come la scrittura o la nascita della società urbana. Ora possiamo definirla come la tomba della storia della civiltà”, esordisce Alberto Castellani nel suo studio di Venezia dove sta ultimando la sceneggiatura del programma (ben 160 pagine) e schedando il materiale già girato in musei italiani ed europei. Dietro questo progetto c’è più di un anno di ricerche, sia di materiali di archivio (Castellani ha all’attivo decine di documentari e ore di girato in Vicino Oriente, soprattutto in Siria, prima che arrivassero i miliziani dell’Isis), sia di nuove riprese delle più importanti collezioni mesopotamiche conservate in Europa, sia di contributi filmici di enti vari (dall’università di Udine alla comunità di monaci di Marango, vicino a Caorle, gemellati con una comunità vicino a Mosul, in Iraq). “Ho raccolto immagini al British di Londra, al Louvre di Parigi e al Pergamon di Berlino, dove ci sono le collezioni mesopotamiche più famose, ma anche in piccole collezioni, come quella mesopotamica messa insieme da Ugo Sissa e oggi conservata a Palazzo Te a Mantova”, spiega Castellani. “Inoltre posso contare sulla consulenza di grandi archeologi: Daniele Morandi Bonacossi, ordinario di Archeologia e storia dell’Arte del Vicino Oriente antico all’università di Udine; Paolo Matthiae, già docente di Archeologia e storia del Vicino Oriente antico all’università di Roma “La Sapienza”; Franco d’Agostino, docente di Assiriologia al Dipartimento italiano di Studi Orientali de “La Sapienza”; Massimo Maiocchi, docente di Archeologia del Vicino Oriente all’università Ca’ Foscari di Venezia; Paolo Brusasco, docente di Archeologia e storia dell’Arte del Vicino Oriente all’università di Genova. In più posso contare sul patrocinio di Consiglio d’ Europa- Venezia/ Bruxelles, CEI – Ufficio Comunicazioni Sociali Roma, Ente dello Spettacolo – Roma”.

La distruzione del tempio di Baal Shimin a Palmira, patrimonio dell’Unesco, da parte dei miliziani dell’Isis
Parlando con Castellani si percepisce tutta l’amarezza di chi ha firmato numerosi programmi di taglio archeologico ambientati nel Vicino Oriente ma che vede di giorno in giorno allontanarsi la possibilità di ripercorrere quelle terre con lo spirito di un tempo. “L’elenco di ciò che l’uomo ha perduto è oggi impossibile”, sottolinea Castellani. “Si tratta di saccheggi operati dall’Isis che non hanno alcuna giustificazione: men che meno quella della distruzione dell’ idolatria. Ma anche di razzie operate da regimi diversi e favorite da connivenze colpevoli”. Tra le testimonianze perdute ci sono sculture, tavolette cuneiformi, sigilli cilindrici. “Così risulta difficile se non impossibile per le popolazioni della Mesopotamia”, sottolinea il regista facendo proprie le parole dell’archeologo Paolo Brusasco, “conservare il legame con la propria terra perché sono venuti meno i riferimento storici del mondo di cui sono eredi. Rimane allora soltanto un gigantesco buco nero di smarrimento e di angoscia sociale”. Tutto finito dunque, nessuna speranza per il futuro? “Per dare un senso al domani e alle motivazioni che sottintendono il mio film, mi piace ricordare”, conclude Castellani, “quanto si è chiesto recentemente Domenico Quirico, inviato di guerra de La Stampa: … perché il bassorilievo di un toro antropomorfo del primo millennio assiro fa paura al califfato? – scrive Quirico -. Perché le statue di Mosul spaventano lo stato islamico tanto che i suoi sgherri le fanno a pezzi, si accaniscono su di esse, le gettano al suolo sbriciolate come se fossero nemici armati o ribelli? Perché …le pietre, le statue, i templi parlano. Parlano più dei sermoni e dei discorsi e tutti li possono leggere. Allora bisogna ucciderle, quelle pietre, polverizzarle per affermare che la Storia è stata scritta di nuovo e definitivamente. Altrimenti l’impalcatura della finzione cade, l’avvento islamista diventa arbitrario, incerto, una parentesi che prima o poi finirà”.
Da Ninive a Persepoli, dagli etruschi ai Mochica: appuntamento al IX Aquileia Film Festival. Tre serate con film, conversazioni, libri. E un’anteprima speciale su Caravaggio
Tre serate per esplorare da diverse prospettive, attraverso film e interviste con esperti, l’archeologia con un particolare focus sul Mediterraneo. E un’anteprima eccezionale martedì 24 luglio 2018. Un’occasione preziosa per ricordare il valore del nostro patrimonio culturale e farlo conoscere unendo contenuti rigorosamente scientifici alla spettacolarità del cinema. Ecco la IX edizione di Aquileia Film Festival (25-27 luglio 2018), rassegna internazionale del cinema archeologico, realizzata dalla Fondazione Aquileia in collaborazione con Archeologia Viva, Firenze Archeofilm, il patrocinio del Comune di Aquileia e il sostegno dell’azienda vinicola Jermann: film, conversazioni, libri con appuntamento in piazza Capitolo ad Aquileia (Ud) alle 21, con ingresso libero e gratuito. In caso di pioggia, le proiezioni si svolgeranno nella Sala Romana affacciata su piazza Capitolo (capienza della sala 240 persone, ritiro biglietti all’ingresso fino a esaurimento posti a partire dalle 20 il giorno della proiezione). In collaborazione con Arbor Sapientiae, casa editrice e di distribuzione editoriale specializzata del settore storico-archeologico, verrà allestito in piazza Capitolo un bookshop che proporrà un’ampia scelta di titoli per appassionati e studiosi.
Martedì 24 luglio 2018 serata speciale, realizzata in collaborazione con ARTE.it, NEXO Digital e SKY Cinema d’Arte, con la proiezione alle 21, a ingresso libero, in piazza Capitolo di “Caravaggio – l’Anima e il Sangue”, il film che ha da poco vinto il Globo d’Oro come miglior documentario dell’anno e che racconta la vita, le opere e i tormenti del geniale artista. Seguirà una conversazione con Laura Allevi, sceneggiatrice del film, Roberta Conti, responsabile comunicazione Sky Cinema dArte e Eleonora Zamparutti direttore editoriale di Arte.it. Mercoledì 25, giovedì 26 e venerdì 27 luglio 2018 il sito UNESCO di Aquileia sarà animato da tre serate di cinema, archeologia e grandi divulgatori intervistati da Piero Pruneti, direttore di Archeologia Viva: in concorso una selezione di documentari scelti tra il meglio della produzione cinematografica internazionale a tema archeologico e storico tra i quali il pubblico voterà il vincitore del Premio Aquileia, un mosaico realizzato dalla Scuola Mosaicisti del Friuli.
“Viaggeremo nella Mesopotamia settentrionale, cuore dell’impero assiro insieme agli archeologi delle numerose missioni che vi scavano – tra cui la missione dell’Università di Udine da anni impegnata a Ninive in Iraq – e nella Libia degli anni Sessanta attraverso la toccante testimonianza del grande archeologo Antonino Di Vita”, anticipano gli organizzatori. “Percorreremo poi un itinerario alla scoperta del popolo degli Etruschi, ci sposteremo sugli altopiani iraniani di Persepoli e nel deserto peruviano dove i Mochica hanno costruito immense piramidi di argilla”. Ospiti di questa edizione mercoledì 25 luglio il generale Fabrizio Parrulli, comandante dei Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale che porterà la testimonianza di chi è in prima linea nella tutela del patrimonio culturale, dalle ultime operazioni condotte per contrastare il traffico illegale di opere d’arte e l’azione dei caschi blu della cultura in zone di guerra e in caso di emergenze, come il sisma nell’Italia centrale. Giovedì 26 luglio l’ospite sarà Valentino Nizzo, etruscologo, da poco più di un anno alla guida del museo Etrusco di Villa Giulia che potrà raccontare tutte le sfide legate alla promozione e valorizzazione di un grande museo e venerdì 27 luglio ritorna sul palco di piazza Capitolo Alberto Angela, da anni amico del Festival, con cui parleremo di divulgazione culturale, delle sue nuove sfide televisive ed editoriali e dei suoi segreti per portare la cultura in prima serata con ascolti da record.
Il programma. Martedì 24 luglio 2018, alle 21, Anteprima Aquileia Film Festival: “Caravaggio, l’anima e il sangue” di Jesus Garces Lambert (Italia, 90’), documentario capolavoro di Sky Arte come esempio di diffusione della cultura attraverso il grande cinema. Segue la conversazione a cura di Piero Pruneti con Laura Allevi, sceneggiatrice del film “Caravaggio, l’anima e il sangue”, Roberta Conti, responsabile comunicazione e distribuzione Cinema d’Arte SKY, Eleonora Zamparutti, direttore editoriale Arte.it.

Il film “Enquêtes archéologiques. Persépolis, le paradis perse / Indagini archeologiche. Persepoli, il paradiso persiano” di Angès Molia, Raphaël Licandro
Mercoledì 25 luglio 2018, alle 21: “Mésopotamie, une civilisation oubliée / Mesopotamia, una civiltà dimenticata” di Yann Coquart (Francia, 52’). Lontana dalle principali spedizioni archeologiche del XX secolo per ragioni geopolitiche, la Mesopotamia settentrionale è il cuore dell’impero assiro. Per dieci anni, le porte di questo continente si sono gradualmente aperte e i più grandi archeologi del nostro tempo si sono affrettati a mappare, registrare, cercare, analizzare il territorio. Il film racconta un’incredibile avventura archeologica, tra passato e presente, in cui la conoscenza scientifica diventa una risposta alla barbarie. Segue la conversazione con il gen. B. Fabrizio Parrulli, comandante dei Carabinieri Tutela patrimonio Culturale, a cura di Piero Pruneti. Quindi il film “Enquêtes archéologiques. Persépolis, le paradis perse / Indagini archeologiche. Persepoli, il paradiso persiano” di Angès Molia, Raphaël Licandro (Francia, 26’). Sugli altopiani iraniani si trova la culla di una delle più grandi civiltà di costruttori dell’antichità: i Persiani. Qui hanno edificato un capolavoro di architettura: Persepoli. Fino a oggi, si pensava che il sito si limitasse alla sua terrazza imponente, utilizzata dai re persiani solo qualche mese all’anno. Ma le recenti scoperte rivelano uno scenario completamente diverso, quello di una città tra le più ricche del mondo antico: un Eden tra le montagne persiane.
Giovedì 26 luglio 2018, alle 21: “Italia viaggio nella bellezza: La fortuna degli Etruschi” in collaborazione con Rai Storia di Marzia Marzolla, Matteo Bardelli (Italia, 56’). Partendo dai capolavori Etruschi esposti nel museo di Villa Giulia il documentario offre un itinerario inconsueto alla scoperta della fortuna di una delle civiltà più affascinanti dell’Italia preromana, la cui eredità è ancora oggi parte integrante del nostro patrimonio identitario collettivo nazionale ed europeo. Segue la conversazione con Valentino Nizzo direttore del museo nazionale Etrusco di Villa Giulia, a cura di Piero Pruneti. Chiude la serata il film “Enquêtes archéologiques. Le crépuscule des Mochicas / Indagini archeologiche. Il crepuscolo dei Mochica” di Angès Molia, Nathalie Laville (Francia, 26’). Tra il II e l’VIII secolo i Mochica hanno domato il deserto peruviano e costruito immense piramidi di adobe (mattoni di argilla). Recenti scoperte hanno riaperto il dibattito sull’estinzione di questa civiltà. Al contrario di ciò che si pensa, non sarebbe scomparsa a causa di un brusco cambiamento climatico, ma a causa di una rivolta contro la sanguinaria teocrazia al potere.
Venerdì 27 luglio 2018, alle 21: “Storie dalla Sabbia. La Libia di Antonino Di Vita” di Lorenzo Daniele (Italia, 28’). “Anni Sessanta: la Libia cambiava pelle in quegli anni. Modernità e tradizione si misuravano, si scontravano. Un mondo si trasformava e io avevo il privilegio di esserne testimone. Ogni giorno mi regalava un tassello nuovo su cui riflettere. Imparai a guardare la realtà in cui mi muovevo senza giudicare, senza pormi sul terreno di una diversità dichiarata. Appresi molto dalle persone più disparate”. La Libia di ieri, quella di oggi, filtrata attraverso i ricordi di uno dei più grandi protagonisti dell’archeologia mediterranea, il professore Antonino Di Vita. Segue la conversazione con Alberto Angela a cura di Piero Pruneti. Chiude la serata l’assegnazione del Premio Aquileia, un pregiato mosaico realizzato dalla Scuola Mosaicisti del Friuli, al film più votato dal pubblico nel corso delle tre serate.
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