San Pietro in Casale (Bo). Al via le “Conferenze al Fabbroni”: tre incontri al museo Casa Fabbroni. Ecco il programma
Al museo Casa Frabboni in via Matteotti 169 di San Pietro in Casale (BO) al via “Conferenze al Frabboni”, ciclo di conferenze con introduzione di Valentina Di Stefano, funzionaria archeologa della Sabap-Bo. Ingresso gratuito. Info e prenotazioni: Servizio Musei, Unione Reno Galliera – tel. 0518904829 / musei@renogalliera.it.

Concetta Caruso con il libro “101 Storie Svelate” (foto mnr)
Si inizia giovedì 23 marzo 2023, alle 20.30, con “Oltre le parole: (ri)dare vita alle iscrizioni del museo nazionale Romano”. Presentazione a cura di Carlotta Caruso del museo nazionale Romano. Dietro le poche parole incise sulla pietra si celano le vite di persone vissute molti secoli fa. Con l’idea di ricercare quelle vite e ricostruire le loro storie, il museo nazionale Romano ha ideato, a partire dal marzo 2020, durante i mesi di lockdown, la rubrica #StoriedaMNR. Il successo di queste storie, basate su un attento lavoro di ricostruzione mescolata a elementi immaginari, ha dimostrato come le epigrafi possano esercitare sul grande pubblico un fascino inatteso. Dalla rubrica social è nato oggi un libro, “101 Storie svelate”, pubblicato dal Servizio Educativo del museo nazionale Romano.

Locandina della mostra “Spina etrusca. Un grande porto nel Mediterraneo” al museo Archeologico nazionale di Ferrara dal 22 dicembre 2022 al 23 aprile 2023
Secondo appuntamento giovedì 30 marzo 2023, alle 20.30: “Spina etrusca, un grande porto del Mediterraneo – mostra al museo Archeologico nazionale di Ferrara dal 21.12.2022 al 23.04.2023”. Presentazione a cura di Tiziano Trocchi, direttore del Museo. L’incontro intende raccontare il ruolo di Spina quale nodo fondamentale nella rete di contatti e traffici che connettevano le principali città del Mediterraneo di età arcaica e classica, sottolineando l’eccezionalità del porto adriatico di Spina e mettendone in luce similarità e differenze con i grandi insediamenti etruschi del Tirreno e con la città gemellata di Cerveteri.

Copertina del libro “Archeosocial 2.0” di Antonia Falcone
Terzo appuntamento venerdì 5 maggio 2023, alle 20.30: “Archeosocial 2.0” a cura dell’archeologa Antonia Falcone. Archeosocial è stato il primo volume interamente dedicato alla comunicazione social delle discipline archeologiche, scritto da archeologi per archeologi. La nuova edizione aggiornata con la curatela di Antonia Falcone è uno strumento agile e utile per muoversi in un mondo, quello delle piattaforme social, in costante movimento.
Ferrara. Al museo Archeologico nazionale quarta visita guidata con Menotti Passarella alla mostra “Spina etrusca. Un grande porto nel Mediterraneo”
Quarta visita guidata alla mostra “Spina etrusca. Un grande porto nel Mediterraneo” al museo Archeologico nazionale di Ferrara, che celebra i cent’anni della scoperta della città etrusca sorta sul delta del Po. La visita sarà effettuata da Menotti Passarella domenica 22 gennaio 2023. Incontro all’entrata del museo Archeologico nazionale di Ferrara, Palazzo Costabili, alle 14.50-15. Il termine della visita è previsto per le 17 circa. Costo della visita guidata 10 euro adulti, bambini fino a 10 anni gratuito, minorenni ridotto 5 euro. Chi fosse interessato contatti il 348.3963900 (anche Whatsapp e Telegram). La visita sarà effettuata con qualunque numero di partecipanti. Il biglietto per l’ingresso da fare al momento, costa 8 euro, e consentirà l’accesso al museo Archeologico nazionale di Ferrara, alla mostra “Spina Etrusca. Un grande porto nel Mediterraneo” e al museo nazionale Etrusco di Marzabotto.

Preziose ceramiche a figure rosse dagli scavi di Spina (foto drm-emilia-romagna)
La mostra racconta di una città costruita sull’acqua e votata alla navigazione per mare, potente centro dell’alto Adriatico in dialogo paritario con l’Atene di età classica, porto dalla strategia aggressiva a controllo delle rotte verso occidente. Come il tragitto per mare dal Pireo fino al Delta del Po, su imbarcazioni percorse da marinai, cariche di contenitori di vino e profumi, ricche di raffigurazioni mitiche ben note agli Etruschi: così comincia il percorso espositivo, accompagnato dalle narrazioni mitologiche che ambientavano qui, alla foce dell’Eridano (antico nome del fiume Po), le tristi vicende di Fetonte e di Icaro, degli eroi greci civilizzatori per antonomasia, Diomede ed Eracle. Gli spineti si facevano seppellire con ricchi corredi di materiali ceramici e bronzei di provenienza eterogenea, che evocavano analoghe scelte nel rituale condivise con le élites aristocratiche degli altri grandi centri etruschi della Penisola. È una rete complessa di echi, di rimandi, somiglianze ed evocazioni quelle che si dipana tra gli oggetti delle tombe da Spina e da Pisa, Adria o Cerveteri. Due mari, Tirreno e Adriatico, due porti, e lo stesso privilegio: come ci tramandano Dionigi e Strabone, entrambe le città etrusche di Spina e Pyrgi (Cerveteri), a cui la mostra dedica un’intera sezione, ebbero l’onore di costruire un donario nel santuario panellenico di Delfi. Sono esposti, tra gli altri, materiali provenienti dal Metropolitan Museum di New York.
Ferrara. Al museo Archeologico nazionale terza visita guidata con Menotti Passarella alla mostra “Spina etrusca. Un grande porto nel Mediterraneo”
Terza visita guidata alla mostra “Spina etrusca. Un grande porto nel Mediterraneo”, al museo Archeologico nazionale di Ferrara, che celebra i cent’anni della scoperta della città etrusca sorta sul delta del Po. Appuntamento sabato 14 gennaio 2023 con Menotti Passarella all’entrata del museo Archeologico nazionale di Ferrara, Palazzo Costabili, alle 14.50-15. Il termine della visita è previsto per le 17: Costo della visita guidata 10 Euro adulti, bambini fino a 10 anni gratuito, minorenni ridotto 5 euro. Chi fosse interessato contatti il 348.3963900 (anche Whatsapp e Telegram). La visita sarà effettuata con qualunque numero di partecipanti. Il biglietto per l’ingresso da fare al momento, costa 8 euro, e consentirà l’accesso al museo nazionale di Ferrara, alla mostra “Spina Etrusca. Un grande porto nel Mediterraneo” e al museo nazionale Etrusco di Marzabotto.

Ceramiche esposte nella mostra “Spina etrusca: un grande porto del Mediterraneo” al museo Archeologico nazionale di Ferrara (foto drm-emilia-romagna)
La mostra racconta di una città costruita sull’acqua e votata alla navigazione per mare, potente centro dell’alto Adriatico in dialogo paritario con l’Atene di età classica, porto dalla strategia aggressiva a controllo delle rotte verso occidente (vedi Ferrara. Al museo Archeologico nazionale aperta la mostra “Spina etrusca: un grande porto nel Mediterraneo”, culmine delle celebrazioni Spina100: racconta di una città costruita sull’acqua e votata alla navigazione per mare, potente centro dell’alto Adriatico in dialogo paritario con l’Atene di età classica | archeologiavocidalpassato). Come il tragitto per mare dal Pireo fino al Delta del Po, su imbarcazioni percorse da marinai, cariche di contenitori di vino e profumi, ricche di raffigurazioni mitiche ben note agli Etruschi: così comincia il percorso espositivo, accompagnato dalle narrazioni mitologiche che ambientavano qui, alla foce dell’Eridano (antico nome del fiume Po), le tristi vicende di Fetonte e di Icaro, degli eroi greci civilizzatori per antonomasia, Diomede ed Eracle. Gli spineti si facevano seppellire con ricchi corredi di materiali ceramici e bronzei di provenienza eterogenea, che evocavano analoghe scelte nel rituale condivise con le élites aristocratiche degli altri grandi centri etruschi della Penisola. È una rete complessa di echi, di rimandi, somiglianze ed evocazioni quelle che si dipana tra gli oggetti delle tombe da Spina e da Pisa, Adria o Cerveteri. Due mari, Tirreno e Adriatico, due porti, e lo stesso privilegio: come ci tramandano Dionigi e Strabone, entrambe le città etrusche di Spina e Pyrgi (Cerveteri), a cui la mostra dedica un’intera sezione, ebbero l’onore di costruire un donario nel santuario panellenico di Delfi. Sono esposti, tra gli altri, materiali provenienti dal Metropolitan Museum di New York.
Bologna. Al museo Archeologico al via il ciclo “Spina 100: incontri di archeologia a Bologna” con tre appuntamenti di approfondimento su Spina, nel centenario della scoperta. Parleranno Trocchi, Sassatelli e Anna Dore
“Spina 100: incontri di archeologia a Bologna”: al via i nuovi appuntamenti del museo civico Archeologico di Bologna. E protagonista sarà Spina, che nel 2022 ha celebrato il centenario dalla scoperta, con tre appuntamenti, sempre alle 17, nella sala conferenze del museo civico Archeologico, con ingresso gratuito fino ad esaurimento posti. Sabato 14 gennaio 2023 si parte in compagnia di Tiziano Trocchi, direttore del museo Archeologico nazionale di Ferrara, che presenterà la mostra “Spina etrusca. Un grande porto nel Mediterraneo”, inaugurata lo scorso dicembre (vedi Ferrara. Al museo Archeologico nazionale aperta la mostra “Spina etrusca: un grande porto nel Mediterraneo”, culmine delle celebrazioni Spina100: racconta di una città costruita sull’acqua e votata alla navigazione per mare, potente centro dell’alto Adriatico in dialogo paritario con l’Atene di età classica | archeologiavocidalpassato). Sabato 21 gennaio 2023, si prosegue con il prof. Giuseppe Sassatelli, dell’università di Bologna, che illustrerà “Felsina e Spina: due città dell’Etruria Padana”. Domenica 22 gennaio 2023 si conclude il ciclo con “Fra Spina e Bologna: dagli archivi, i retroscena di uno scavo” insieme ad Anna Dore del museo civico Archeologico.
Ferrara. Al museo Archeologico nazionale aperta la mostra “Spina etrusca: un grande porto nel Mediterraneo”, culmine delle celebrazioni Spina100: racconta di una città costruita sull’acqua e votata alla navigazione per mare, potente centro dell’alto Adriatico in dialogo paritario con l’Atene di età classica

Ricostruzione di un’abitazione di Spina (foto università di zurigo)

Le Valli di Comacchio che conservano le tracce dell’antica città etrusca di Spina (foto http://www.rivadelpo.it)
“L’impresa archeologica più importante nell’ambito dell’Italia settentrionale preromana”: così Nereo Alfieri, primo direttore del museo Archeologico di Ferrara, chiosò nel 1960 l’epica vicenda degli scavi di Spina, che andavano allora chiudendosi dopo una stagione assai intensa di scoperte e ritrovamenti, campagne di scavo e trafugamenti, clamore mediatico e partecipazione popolare. Nella tarda primavera del 1922, durante le bonifiche dei bacini lagunari attorno a Comacchio, tra operai al lavoro e trincee colme di acque di risalita, riemerse dall’oblio la ricca città portuale degli Etruschi fondata in prossimità del delta del Po alla fine del sesto secolo a.C., sommersa per secoli dalle acque dolci e dal fango e perduta alla conoscenza diretta degli uomini. Solo le fonti antiche e i poeti (Boccaccio e Carducci, per fare qualche nome) ne conservarono memoria fino a cento anni fa.

Locandina della mostra “Spina etrusca. Un grande porto nel Mediterraneo” al museo Archeologico nazionale di Ferrara dal 22 dicembre 2022 al 23 aprile 2023

Presentazione della mostra “Spina etrusca”: da sinistra, Massimo Osanna, Vittorio Sgarbi e Giorgio Cozzolino (foto drm-emilia-romagna)
Dopo un secolo dall’impresa archeologica, il museo Archeologico nazionale di Ferrara, diretto da Tiziano Trocchi, nato per Spina e inaugurato nel 1935, intende celebrare questa ricorrenza con una mostra ospitata nei saloni di Palazzo Costabili, che – inaugurata il 22 dicembre 2022 – rimarrà aperta al pubblico fino al 23 aprile 2023: “Spina etrusca: un grande porto nel Mediterraneo” (nel video, la presentazione ufficiale con Vittorio Sgarbi, sottosegretario alla Cultura; Giorgio Cozzolino, direttore regionale Musei Emilia-Romagna; Massimo Osanna, direttore generale Musei; Monica Miari, soprintendente ABAP-BO reggente; Cristina Ambrosini, responsabile Cultura della Regione Emilia-Romagna; Marco Gulinelli, assessore alla Cultura del Comune di Ferrara; Giuseppe Sassatelli, presidente dell’istituto nazionale di Studi etruschi ed italici e presidente del comitato scientifico della mostra). La mostra racconta di una città costruita sull’acqua e votata alla navigazione per mare, potente centro dell’alto Adriatico in dialogo paritario con l’Atene di età classica, porto dalla strategia aggressiva a controllo delle rotte verso occidente. La mostra rappresenta il culmine delle iniziative per le celebrazioni del centenario, coordinate dalla direzione generale Musei in stretta collaborazione con la direzione regionale Musei Emilia-Romagna e il museo Archeologico nazionale di Ferrara, d’intesa con la soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per la città metropolitana di Bologna e per le province di Modena Reggio Emilia e Ferrara, con la partecipazione di Regione Emilia-Romagna, delle amministrazioni comunali di Ferrara e Comacchio e delle università di Ferrara, Bologna e Zurigo.

Allestimento della mostra “Spina etrusca” al museo Archeologico nazionale di Ferrara (foto drm-emilia-romagna)
L’allestimento sceglie di affidarsi in modo consistente al linguaggio delle tecnologie di ricostruzione dei paesaggi e dei contesti antichi per dare vita a una narrazione di forte suggestione. Al di là dell’indubbio splendore materico dei reperti esposti – con importanti prestiti dai principali musei archeologici italiani e prestigiosi materiali provenienti dal Metropolitan Museum of Art di New York, alla cui presenza in mostra ha contribuito anche la Regione Emilia-Romagna -, la mostra intende suggerire ai visitatori il significato del grande porto di Spina per gli Etruschi del V secolo a.C. e per i cittadini “mediterranei” del 2022.

Ceramiche esposte nella mostra “Spina etrusca: un grande porto del Mediterraneo” al museo Archeologico nazionale di Ferrara (foto drm-emilia-romagna)
Col tragitto per mare dal Pireo fino al delta del Po, su imbarcazioni percorse da marinai, cariche di contenitori di vino e profumi, ricche di raffigurazioni mitiche ben note agli Etruschi, comincia il percorso espositivo, accompagnato dalle narrazioni mitologiche che ambientavano qui, alla foce dell’Eridano (antico nome del fiume Po), le tristi vicende di Fetonte e di Icaro, degli eroi greci civilizzatori per antonomasia, Diomede ed Eracle. Il profilo di Spina, per chi vi approdava dal mare, si mostrava coi dossi e le depressioni delle sue necropoli, ancora evocati nella rappresentazione delle carte geografiche del Salone d’Onore del museo, e dichiarava nelle scelte del rituale funebre la complessità della comunità che vi abitava.

Corredi dalla necropoli di Spina (foto drm-emilia-romagna)

Bronzetto esposto nella mostra “Spina etrusca: un grande porto nel Mediterraneo” al museo Archeologico nazionale di Ferrara (foto drm-emilia-romagna)
Gli spineti si facevano seppellire con ricchi corredi di materiali ceramici e bronzei di provenienza eterogenea, che evocavano analoghe scelte nel rituale condivise con le élites aristocratiche degli altri grandi centri etruschi della Penisola. È una rete complessa di echi, di rimandi, somiglianze ed evocazioni quelle che si dipana tra gli oggetti delle tombe da Spina e da Pisa, Adria o Cerveteri. Ma la vita quotidiana degli spineti si muoveva tra l’abitato, con le sue costanti esigenze di manutenzione e adattamento all’ambiente lagunare, e il porto, fulcro dell’attività commerciale ed economica della città e dei suoi dintorni. Mercanti, anfore e marinai, rumori di sartie e di magazzini, prezzi e contrattazioni in più lingue. Anche testimonianze di culto, per pregare e ringraziare di un viaggio pericoloso giunto a destinazione. Il richiamo all’attualità, evocata con discrezione per associazione di funzioni e significati, senza mai sottintendere confronti impossibili, invita il visitatore a immaginare la storia “organica” che sfugge ai metodi di ricerca della disciplina archeologica: gli uomini, i rumori, gli odori che dovevano seguire il percorso dei bellissimi capolavori di ceramica attica oggi esposti in museo. Due mari, Tirreno e Adriatico, due porti, e lo stesso privilegio: come ci tramandano Dionigi e Strabone, entrambe le città etrusche di Spina e Pyrgi (Cerveteri), a cui la mostra dedica un’intera sezione, ebbero l’onore di costruire un donario nel santuario panellenico di Delfi.

Preziose ceramiche a figure rosse dagli scavi di Spina (foto drm-emilia-romagna)
L’incredibile mobilità che connota la comunità spinete si riflette nella pluralità delle provenienze degli oggetti delle necropoli e nella molteplicità culturale ed etnica della compagine cittadina, frequentata da persone che parlavano e scrivevano in lingue differenti. La mostra non trascura di raccontare anche di una mobilità più recente, che testimonia i fenomeni di dispersione del patrimonio emerso dalle valli di Spina in diversi musei italiani e stranieri. Il prestigioso prestito dei vasi del Metropolitan Museum of Art di New York si fa portavoce di questo racconto e porta luce sulla presenza internazionale di Spina in numerose esposizioni museali. Il viaggio per mare dalle coste della Grecia si conclude con un percorso che termina a Ferrara, nel momento della scoperta della necropoli di Valle Trebba e nella conseguente decisione di dar vita al Regio Museo di Spina, oggi Museo archeologico nazionale di Ferrara. La mostra che celebra a Ferrara il centenario della scoperta di Spina segue dopo quasi vent’anni l’ultima grande esposizione dedicata alla città etrusca e vuole narrare il volto di un centro nodale nei traffici mediterranei e adriatici di età classica.

Hydria etrusca a figure nere del Pittore del Vaticano 238 dal museo nazionale Etrusco di Villa Giulia (foto drm-emilia-romagna)
Nella seconda metà del 2023 la mostra “Spina etrusca” sarà ospitata dal museo nazionale Etrusco di Villa Giulia, ultima tappa del suo viaggio. “Un grande motivo di orgoglio”, commenta il direttore Valentino Nizzo, “di cui dobbiamo ringraziare la direzione regionale musei dell’Emilia Romagna e la Direzione generale Musei del MiC. Cercheremo di onorare adeguatamente l’impegno rendendo omaggio a Spina e a ciò che rappresenta nell’archeologia, nell’arte, nella storia e nel mito”.
Bologna. Al via “IMAGINES. Obiettivo sul passato”, rassegna del documentario archeologico promossa dal Gruppo archeologico bolognese giunta alla 20.ma edizione: due giornate con film introdotti dagli esperti e dai protagonisti, aperto dal film di Alberto Castellani sull’Afghanistan

L’esterno della Mediateca di San Lazzaro di Savena (Bo) che ospita la rassegna IMAGINES del gruppo archeologico bolognese (foto gabo)
Il Gruppo archeologico bolognese accende la ventesima candelina di “IMAGINES. Obiettivo sul passato”, rassegna del documentario archeologico, tradizionale appuntamento di fine autunno atteso dagli appassionati, organizzato insieme al museo della Preistoria “Luigi Donini” di San Lazzaro, col patrocinio del Comune di Bologna e del Comune di San Lazzaro. IMAGINES è in programma sabato 3 e domenica 4 dicembre 2022 nella sala eventi della Mediateca Comunale di San Lazzaro di Savena (Bo). Un’edizione ancora in forma ridotta, come nel 2021, ma non per questo meno ricca: tre film per giornata introdotti da esperti. L’ingresso è libero e gratuito fino ad esaurimento dei posti disponibili. Non è obbligatorio l’uso della mascherina per tutta la durata della manifestazione. Il suo utilizzo è vivamente consigliato alle persone fragili. Al termine di ogni giornata di IMAGINES sarà estratto fra i presenti un abbonamento annuale alla rivista Archeologia Viva. Inoltre, domenica 4 sarà estratta la partecipazione gratuita ad un viaggio di un giorno organizzato da Insolita Itinera per il Gruppo Archeologico Bolognese.
SABATO 3 DICEMBRE 2022. Alle 15.30, inizio delle proiezioni con il film “Afghanistan, tracce di una cultura sfregiata” (Italia, 2022; 52’) di Alberto Castellani, che dà voce e spazio al dolore, alla sofferenza ma anche alla lotta per resistere e salvare il patrimonio, della nazione e del popolo afghano. L’Afghanistan, il cui patrimonio è sottoposto a sistematico saccheggio, rischia di perdere la propria identità e di svegliarsi dal caos attuale senza la coscienza di possedere una storia. L’Archeologia con le sue capacità di scoprire e ricostruire il passato può fornire un prezioso contributo per la sua rinascita (vedi “Afghanistan: tracce di una cultura sfregiata”: il regista veneziano Alberto Castellani svela in anteprima il suo nuovo film che racconta di un Paese martoriato, un popolo umiliato, una cultura millenaria e un patrimonio archeologico ricchissimo a rischio; con il contributo dei massimi esperti in materia | archeologiavocidalpassato). Il film sarà introdotto dal regista Alberto Castellani. Segue il film “L’antichità svelata” di Claudio Busi (30’), introdotto da Gabriele Nenzioni, direttore del museo della Preistoria “Luigi Donini” di San Lazzaro di Savena (Bo).

Il tempio di Amnehotep II (Amenofi II) a Tebe Ovest (foto khekeru.ch)
Dopo l’intervallo, proiezione del film “Una stagione di scavo sui resti del tempio di Amenhotep II a Tebe Ovest” di Claudio Busi (30’) introdotto dal regista Claudio Busi, speleologo, viaggiatore e film-maker. Il tempio di Amenhotep II venne sommariamente scavato, insieme ad altre strutture templari, da Sir William Matthew Flinders Petrie, che pubblicò i risultati della sua indagine in Six Temples at Thebes 1896. Nel 1997 il CEFB ha riaperto le ricerche sul sito del tempio funerario di Amenhotep II.

Le ricche necropoli della città di Spina furono scoperte nel 1922
DOMENICA 4 DICEMBRE 2022. Le proiezioni iniziano alle 15.30 con il film “Gli architetti del deserto” di Joseph C. Sousa (43’) introdotto da Silvia Romagnoli, archeologa e travel designer. Seguono due film per ricordare i 100 anni dalla scoperta dell’antica città di Spina: “La scoperta di Spina. I personaggi” di Cesare Bornazzini (33’) e “Le tombe di Spina” di Salvatore Aurigemma (17’) introdotti da Silvia Romagnoli. La necropoli della città greco-etrusca di Spina, nelle Valli di Comacchio fu scoperta il 23 aprile 1922. La scoperta del sito è legata alle opere di bonifica del primo dopoguerra, come ricostruisce Nereo Alfieri in “Spina. Storia di una città tra Greci ed etruschi” (catalogo mostra, 1994). La prima comunicazione, infatti, è dell’ingegner Aldo Mattei, direttore della sezione staccata del Genio civile a Comacchio, con una lettera alla soprintendenza agli Scavi e Monumenti archeologici di Bologna: “Nella valle Trebba (Valli settentrionali di Comacchio), in cui è stata compiuta la bonifica idraulica a cura dello Stato e dove si stanno facendo da Comuni interessati opere di bonifica agraria, è stato scoperto casualmente da un operaio un sepolcreto probabilmente dell’epoca etrusca: così almeno ritengo vai vasi istoriati scoperti”. Le campagne di scavo, condotte fino al 1935 dal neo soprintendente Salvatore Aurigemma nell’area di Valle Trebba portarono alla luce la zona settentrionale della necropoli di Spina con più di 1200 sepolture i cui materiali sono oggi esposti al museo Archeologico nazionale di Ferrara (vedi Comacchio. A Palazzo Bellini apre la mostra “Spina 100. Dal mito alla scoperta” per le celebrazioni nazionali del centenario della scoperta della città etrusca di Spina (1922-2022) | archeologiavocidalpassato). Dopo l’intervallo, la rassegna si conclude con il film “I luoghi del mito. Demetra e Kore” di Gaspare Mannoia (30’) introdotto da Giuseppe Mantovani, Vicedirettore del Gruppo Archeologico Bolognese e curatore di IMAGINES.
Ferrara. Al museo Archeologico nazionale presentazione del libro di Luigi Malnati “La passione e la polvere. Storia dell’archeologia italiana da Pompei ai giorni nostri” (La nave di Teseo) con Vittorio Sgarbi, Monica Miari e Caterina Cornelio. Obbligatoria la mascherina FFP2
“La ricostruzione di Luigi Malnati è molto precisa: l’archeologia è una trincea in una guerra difficile”, scrive Vittorio Sgarbi nell’Introduzione del libro di Luigi Malnati “La passione e la polvere. Storia dell’archeologia italiana da Pompei ai giorni nostri” (La nave di Teseo), perché l’archeologia è fango, polvere, cemento, baracche prefabbricate in lamiera, bagni mobili, panini consumati in fretta. E l’emozione della scoperta. Lo descrive molto bene l’archeologo, già soprintendente, Luigi Malnati nel suo libro che sarà presentato al museo Archeologico nazionale di Ferrara. E stavolta ci sarà anche lui, il noto critico d’arte. Appuntamento venerdì 6 maggio 2022, alle 17, nel Salone delle carte geografiche del Man-Ferrara. Luigi Malnati presenta “La passione e la polvere” con la partecipazione di Vittorio Sgarbi. Intervengono Monica Miari, responsabile area archeologia della soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio di Bologna Modena Reggio e Ferrara, e presidente dell’istituto italiano di Preistoria e Protostoria; e Caterina Cornelio, già direttore del museo Archeologico nazionale di Ferrara e direttore del museo del Delta Antico di Comacchio. Ingresso libero fino a esaurimento dei posti. Obbligo di indossare la mascherina FFP2.

Luigi Malnati, già soprintendente archeologo (foto Mibact)
Avventurosa e carica di mistero: da sempre, è così che immaginiamo l’archeologia. Spesso legata a paesi lontani, esotici e favolosi, o a scoperte di tesori e reperti straordinari come le tombe etrusche, gli affreschi di Pompei, le sculture classiche. Non è più così da molto tempo, da quando nell’Ottocento l’archeologia ha iniziato a distinguersi dalla storia dell’arte antica ed è diventata una scienza intimamente connessa alla storia umana, contribuendo, insieme alle fonti scritte, a scoprire e raccontare la vita nelle diverse civiltà. Da allora si sono moltiplicati gli scavi, condotti con metodi rigorosi, specie nelle città che conservano sotto l’aspetto attuale le tracce delle epoche e delle culture precedenti. In Italia la professione di archeologo nasce formalmente negli anni ottanta del Novecento e richiama giovani spinti da una grande passione, che lavorano duramente, a fianco delle soprintendenze, il più delle volte lontani dalla ribalta. Questo perché non esistono solo Pompei e il Colosseo: il patrimonio archeologico è diffuso e la battaglia per salvaguardarlo non è ancora perduta. Ripercorrendo momenti e figure decisive e illustrando le tecniche dell’archeologia, La passione e la polvere racconta un mondo tanto affascinante quanto ancora poco conosciuto nelle parole di un testimone diretto.
Il 2022 è un anno speciale per l’Archeologia, segnato da importanti anniversari: decifrazione geroglifici (200 anni), scoperta della tomba di Tutankhamon (100), della necropoli di Spina (100), dei Bronzi di Riace (50)

Per l’archeologia il 2022 è un anno di grandi anniversari. A cominciare l’Antico Egitto (vedi il video promo (3) Facebook): 100 anni della scoperta della tomba di Tutankhamon e 200 della decifrazione della stele di Rosetta e della scoperta dell’antica lingua egizia che segna la nascita ufficiale dell’Egittologia. Ma anche l’Italia ha un calendario di tutto rispetto, dai 100 anni della scoperta della necropoli di Spina ai 50 anni dal rinvenimento dei Bronzi di Riace.


La famosa maschera di Tutankhamon e il pugnale in ferro trovato avvolto tra le bende della mummia del faraone bambino
4 novembre 1922: è la data ufficiale della scoperta della Tomba di Tutankhamon nella valle dei Re, a Tebe Ovest, quindi sulla sponda occidentale del Nilo. Ma l’evento che avrebbe avuto una risposta mediatica eccezionale portando per la prima volta in prima pagina l’Archeologia. Il racconto di quei giorni è noto, a cominciare dal famosissimo dialogo tra l’archeologo Howard Carter e il suo finanziatore Lord Carnarvon del 24 novembre 1922: “Era venuto il momento decisivo. Con mani tremanti praticammo una piccola apertura nell’angolo superiore sinistro…”. “Potete vedere qualche cosa?”. “Sì, cose meravigliose”. In realtà la scoperta della sepoltura del re bambino era avvenuta all’inizio del mese di novembre 1922. Il 1° novembre 1922, Carter fece spostare il campo di scavo proprio dinanzi all’ingresso della tomba KV9 di Ramses VI, faraone della XX dinastia, in un settore di forma triangolare dove aveva già lavorato parecchi anni prima, ma che aveva incomprensibilmente abbandonato. Qui erano precedentemente stati rinvenuti i resti (ritenuti archeologicamente privi di importanza) di alcune capanne costruite dagli operai che avevano lavorato alla tomba KV9 e proprio in quel punto, tre giorni dopo, il 4 novembre 1922, fu scoperto il primo gradino di una scala di accesso a un ipogeo: la tomba intatta di Tutankhamon, nota come KV62, giovanissimo sovrano della XVIII dinastia che salì al trono a 9 anni e morì a 18, poco prima di compierne 19, divenuta famosa per la ricchezza del suo corredo e dei sarcofagi che proteggevano la mummia reale, che costrinse le autorità egiziane dell’epoca a rivedere l’organizzazione degli spazi del museo Egizio del Cairo, riservando un’intera ala al faraone bambino (vedi 4 novembre 1922 – 4 novembre 2020: nel 98.mo anniversario della scoperta del secolo, ingresso scontato nella tomba di Tutankhamon. Il ministro El-Anani: “L’anno prossimo tutto il tesoro del faraone bambino esposto al Grand Egyptian Museum” | archeologiavocidalpassato).


Jean François Champollion ritratto da Leon Cogniet nel 1831
27 settembre 1822, Jean François Champollion detto Champollion il Giovane annuncia la decifrazione dei geroglifici: nasce l’Egittologia. Secondo quanto raccontato dal nipote, Aimé Champollion-Figeac, Champollion il 14 settembre 1822 aveva notato che un cartiglio di Abu Simbel conteneva quattro segni geroglifici. Intuì che il primo segno circolare rappresentasse il sole che in copto si dice “ri”. Mentre il segno che appariva due volte alla fine del cartiglio era la “s” nel cartiglio di Tolomeo. Ciò gli fece concludere che se il nome nel cartiglio inizia con Re e termina con “ss”, potrebbe quindi corrispondere a “Ramesse”, suggerendo che il segno al centro rappresentasse “m”. Un altro cartiglio conteneva tre segni, due uguali a quelli del cartiglio Ramesse: un ibis, simbolo del dio Toth. Seguendo il ragionamento fatto per Ramesse giunse a indicare che il nome nel secondo cartiglio sarebbe Thothmes, cioè il faraone Thutmosis. Il passo successivo su sulla Stele di Rosetta: Champollion conosceva le parole copte che avrebbero tradotto il testo greco e poteva dire che segni fonetici come “p” e “t”, che erano già stati identificati nel nome di Tolomeo, si sarebbero adattati a queste parole. Da lì poteva indovinare i significati fonetici di molti altri segni. L’annuncio ufficiale delle sue proposte di letture dei cartigli greco-romani nella Lettre à M. Dacier (titolo completo: Lettre à M. Dacier relative à l’alphabet des hiéroglyphes phonétiques “Lettera a M. Dacier riguardante l’alfabeto dei geroglifici fonetici”) che completò il 22 settembre 1822. Questa comunicazione scientifica, sotto forma di una lettera, inviata a Bon-Joseph Dacier, segretario francese dell’Académie des Inscriptios et Belles-Lettres, è considerata il documento fondante dell’Egittologia, ma rappresentava solo un inizio. Champollion non dice nulla della scoperta sui cartigli di Ramesse e Thutmose, non dice ancora nulla (forse per prudenza) di quanto già sa o intuisce, e si limita a suggerire che segni fonetici avrebbero potuto essere usati nel lontano passato dell’Egitto. Ma la strada è aperta.


Le Valli di Comacchio che conservano le tracce dell’antica città etrusca di Spina (foto http://www.rivadelpo.it)
23 aprile 1922: scoperta della necropoli della città greco-etrusca di Spina, nelle Valli di Comacchio. La scoperta del sito è legata alle opere di bonifica del primo dopoguerra, come ricostruisce Nereo Alfieri in “Spina. Storia di una città tra Greci ed etruschi” (catalogo mostra, 1994). La prima comunicazione, infatti, è dell’ing. Aldo Mattei, direttore della sezione staccata del Genio civile a Comacchio, con una lettera alla soprintendenza agli Scavi e Monumenti archeologici di Bologna: “Nella valle Trebba (Valli settentrionali di Comacchio), in cui è stata compiuta la bonifica idraulica a cura dello Stato e dove si stanno facendo da Comuni interessati opere di bonifica agraria, è stato scoperto casualmente da un operaio un sepolcreto probabilmente dell’epoca etrusca: così almeno ritengo vai vasi istoriati scoperti”. Questa sobria segnalazione – scrive ancora Alfieri – dette l’avvio a un’impresa archeologica tra le più notevoli dell’Italia settentrionale. La ricerca dell’antica Spina tra le paludi nel delta del Po era stata fino ad allora un vero giallo archeologico che aveva appassionato eruditi e studiosi illustri fin dal Medioevo. Il primo che ipotizzò il sito di Spina a Valle Trebba fu il medico bolognese Gian Francesco Bonaveri (fine del XVII secolo) attratto dalla singolarità di quell’ambiente lagunare da cui emergevano di tanto in tanto manufatti antichi, ma del celebre e florido emporio marittimo descritto dagli autori greci e romani sembrava essersi persa ogni traccia. E la sua intuizione trovò conferma solo due secoli dopo. Alla scoperta casuale del 1922 seguirono le indagini scientifiche dirette dalla soprintendenza alle Antichità dell’Emilia e della Romagna, istituita il 19 settembre 1924. Le campagne di scavo, condotte fino al 1935 dal neo soprintendente Salvatore Aurigemma nell’area di Valle Trebba portarono alla luce la zona settentrionale della necropoli di Spina con più di 1200 sepolture i cui materiali sono oggi esposti al museo Archeologico nazionale di Ferrara. Ma la ricerca continua. L’obiettivo è scoprire il nucleo abitato dell’antica Spina (vedi Ritrovare l’antica città etrusca di Spina (le vaste necropoli sono state una delle scoperte più importanti del Novecento): è l’obiettivo del progetto Eos (Etruscans on the Sea) dell’università di Bologna all’interno del progetto interreg Value. A Comacchio la presentazione in streaming della prima campagna di scavo e le attività future. Intanto a Stazione Foce sta nascendo la ricostruzione dell’abitato di Spina | archeologiavocidalpassato).


Agosto 1972: il ritrovamento dei Bronzi di Riace da parte del sub Stefano Mariottini
16 agosto 1972: rinvenimento dei Bronzi di Riace. Era il 16 agosto 1972 quando un giovane sub dilettante romano, Stefano Mariottini, si immerse nel mar Ionio a 230 metri dalle coste di Riace Marina. Quando, a 8 metri di profondità, fu attratto da un qualcosa che emergeva dalla sabbia del fondo marino: sembrava un braccio. Non si sbagliava. Era il braccio sinistro di quella che poi sarebbe stata denominata statua A: aveva scoperto le statue di due guerrieri considerati tra i capolavori scultorei più significativi dell’arte greca, e tra le testimonianze dirette dei grandi maestri scultori dell’età classica. Stefano Mariottini aveva scoperto i Bronzi di Riace. Da quel momento è iniziato un delicato, lungo processo di restauro. Prima all’Opificio delle Pietre Dure di Firenze e poi direttamente a Reggio Calabria, man mano che si riscontravano nuove problematiche sui fragili bronzi. L’ultimo spettacolare intervento di restauro conservativo, dal 2009 al 2013, in una sala appositamente predisposta a Palazzo Campanella, sede del Consiglio regionale della Calabria, da dove a un certo punto era sembrato non dovessero più tornare a casa. Ciò avvenne grazie a un blitz notturno dell’allora ministro ai Beni culturali Massimo Bray con la soprintendente Simonetta Bonomi: il guerriero A e B furono rimessi in piedi e trasportati in assoluta sicurezza a Palazzo Piacentini, sede del museo Archeologico nazionale della Magna Grecia, alloggiati in una speciale sala dotata di uno specifico sistema di filtraggio, e di un percorso di depurazione, attraverso il quale transitano i visitatori, per mantenere sempre costante il clima in cui sono conservati i Bronzi. Inoltre è stata attivata una protezione antisismica (vedi 16 agosto 1972, il sub Mariottini scoprì nel mar Ionio i Bronzi di Riace. L’anno prossimo saranno passati 50 anni. Al museo Archeologico nazionale di Reggio Calabria si lavora per #BronzidiRiace2022: incontro strategico tra il direttore e l’assessore alla Cultura. In attesa di promuovere i Bronzi di Riace nel mondo, il MArRC promuove in classe la storia e il patrimonio archeologico della Calabria antica | archeologiavocidalpassato).
Vicenza. Alle Gallerie d’Italia-Palazzo Montanari presentato al ministro Erika Stefani il progetto scientifico e didattico “Argilla. Storie di vasi”, percorso espositivo triennale per la valorizzazione della collezione di ceramiche attiche e magnogreche di Intesa Sanpaolo, concepito per eliminare le barriere nella fruizione dei luoghi e degli oggetti con l’inclusione delle persone con disabilità

“Argilla. Storie di vasi” a cura di Monica Salvadori, Monica Baggio e Luca Zamparo, con il contributo di Federica Giacobello, è il nuovo percorso scientifico e didattico di Intesa Sanpaolo, concepito per eliminare le barriere nella fruizione dei luoghi e degli oggetti, che nasce dalla collaborazione con il dipartimento dei Beni culturali dell’università di Padova in seno alle ricerche sviluppate dal progetto “MemO. La memoria degli oggetti. Un approccio multidisciplinare per lo studio, la digitalizzazione e la valorizzazione della ceramica greca e magnogreca in Veneto”, sostenuto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, e si inserisce nell’ambito delle attività dedicate alla valorizzazione della collezione di ceramiche attiche e magnogreche di Intesa Sanpaolo, costituita da oltre cinquecento reperti prodotti tra il VI e il III sec. a.C., prodotti tra VI e III secolo a.C. in Puglia e in Lucania o importate da Atene, e tutti provenienti da un’unica necropoli di Ruvo di Puglia, che forniscono una significativa testimonianza della cultura e dell’arte della Grecia d’Occidente. Erano beni di prestigio scelti per ricchi corredi, collocati nelle sepolture dell’aristocrazia apula. Sono per lo più contenitori per cibi, liquidi, unguenti che, all’utilità pratica, uniscono un alto valore artistico, dato dalle scene pittoriche a figure rosse o nere dipinte sui manufatti. Capolavoro della collezione è la kalpis attica del Pittore di Leningrado (V secolo a.C.), sul cui fregio è rappresentata un’officina ceramica, con artigiani e una giovane donna intenti nella decorazione di vasi.

Il progetto espositivo, che avrà un’articolazione triennale, si situa nel solco dell’impegno di Intesa Sanpaolo per l’inclusione delle persone con disabilità. In particolare, le Gallerie d’Italia offrono percorsi didattici e di visita dedicati realizzati su misura in collaborazione con le associazioni del territorio a Milano, Napoli e Vicenza. Lunedì 8 novembre 2021 oggi alle Gallerie d’Italia – Palazzo Leoni Montanari, museo di Intesa Sanpaolo a Vicenza, il percorso scientifico e didattico “Argilla. Storie di vasi” è stato visitato dal ministro per le Disabilità Erika Stefani. La visita istituzionale si è svolta alla presenza di Michele Coppola, executive director Arte, Cultura e Beni storici Intesa Sanpaolo, e della rettrice dell’università di Padova Daniela Mapelli, di Monica Salvadori, prorettrice al Patrimonio artistico storico culturale dell’università di Padova, di Vincenzo Tinè, soprintendente Archeologia belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza, del vice presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo Donato Nitti e degli assessori del Comune di Vicenza Simona Siotto (Cultura) e Matteo Tosetto (Politiche Sociali).
“Argilla. Storie di vasi” indaga le modalità tecniche di realizzazione dei manufatti ceramici nel mondo greco antico, partendo dalla fase di estrazione dell’argilla per giungere al vaso finito, attraverso un percorso che ambisce a svelare alcuni segreti di questa produzione artistica e artigianale millenaria. Il progetto allestitivo intende anche approfondire il rapporto fra la società attuale e il patrimonio archeologico con l’obiettivo di diffondere una cultura della legalità.

Un supporto tattile del progetto “Argilla. Storie di vasi” a Palazzo Montanari – Gallerie d’Italia (foto sofia sandri / gallerie d’italia)
L’itinerario narrativo, caratterizzato da una precisa/decisa/chiara finalità didattica e da una particolare attenzione ai diversi pubblici, specialmente quelli di età scolare, si contraddistingue per un linguaggio semplice ma allo stesso tempo specifico, che intende fornire le basi di un lessico per la conoscenza della produzione ceramica greca e magnogreca, attraverso un’esperienza educativa che dal mondo antico giunge al contemporaneo. L’esposizione è dotata di supporti audio, video e tattili per essere ampiamente inclusiva e accessibile, con l’obiettivo di ridurre, per quanto possibile, le barriere culturali, motorie e sensoriali al fine di creare uno spazio condiviso. Il progetto presenta un gruppo di ceramiche greche e magnogreche della collezione Intesa Sanpaolo accanto ad alcuni reperti gentilmente concessi in prestito dal museo regionale della Ceramica di Caltagirone (parco archeologico e paesaggistico di Catania e della Valle dell’Anci), dal museo civico di Bassano del Grappa, dal museo Archeologico nazionale di Ferrara e dal Centro d’Ateneo per i Musei dell’università di Padova.

Modello 3D della pelike apula a figure rosse n. 39 della Collezione Merlin (Museo di Scienze Archeologiche e d’Arte, Università di Padova) realizzato mediante scansione laser a luce strutturata (elab. Emanuela Faresin, dipartimento dei Beni Culturali, Università di Padova). Il modello permette una visione a 360° di un oggetto archeologico solitamente inaccessibile (ossia conservato all’interno di apposita teca museale) con un grado di precisione dei dettagli infinitesimale, emblema del connubio fra la ricerca umanistica e le più aggiornate soluzioni tecnologiche.
Nella prima sala, chiamata dell’Antico Testamento, si racconta come gli antichi realizzavano i vasi, con particolare attenzione al mondo greco e magnogreco. Gli esemplari, di cui noi ammiriamo le forme, la fattura, il rivestimento e le raffigurazioni, sono il risultato di un lungo e complesso processo scandito da diverse e precise fasi di lavorazione che richiedeva di possedere la tecne, la perizia che nasce dall’esperienza. Ad aiutarci a ricostruire le fasi produttive sono le scene raffigurate sui vasi e le immagini dipinte su alcune tavolette d’argilla ritrovate a Penteskouphia nei pressi di Corinto che in questa sala sono state riprodotte graficamente. Nelle vetrine si possono ammirare esemplari prodotti con tecniche figurative differenti insieme a vasi che, a causa di errori nella delicata fase di cottura nelle fornaci, appaiono difettosi.
La vicina sala dell’Antica Roma ci guida all’interno della bottega di un antico vasaio greco attraverso le immagini dipinte e la selezione delle forme vascolari. Le forme ceramiche attestate nel mondo greco antico sono poche, standardizzate e riconducibili a precise funzioni: trasportare l’olio, versare l’acqua, contenere il vino oppure gli unguenti profumati. Queste azioni appartengono sia ai differenti momenti della vita quotidiana sia alle azioni rituali. Le immagini dipinte si ispirano al mito, all’epica, alla vita quotidiana e talvolta, in un gioco di specchi, anche al lavoro del ceramista e del ceramografo. Esse non hanno solo un valore estetico ma i segni che le compongono, fatti di oggetti e gesti, rimandano al pensiero e all’ideologia delle società che le ha prodotte.
Nella terza sala, chiamata dei Quattro Continenti, il pubblico è sfidato a mettere alla prova le proprie capacità di analisi dei manufatti, per individuare alcuni oggetti che imitano le produzioni antiche. Questo ambiente, infatti, narra le storie di oggetti e di persone che producono, collezionano e conservano. Allo stesso tempo, questo spazio vuole parlare di quanto oggetti estremamente umili, provenienti dalla terra, possano suscitare interessi economici e sociali. Ci parla, infine, della ricerca archeologica e storico-artistica, ricerca attenta alla società e rivolta alla tutela del patrimonio culturale che accomuna la storia di tutti noi.
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