Nuoro. Al museo Archeologico nazionale aperta la mostra “Isole e idoli”, oltre 70 opere conta reperti archeologici e opere dei maestri moderni per comprendere come il potere simbolico e mitico delle figure arcaiche, custodite entro i confini dell’insularità, si sia rigenerato, a distanza di secoli, nelle forme del moderno
Quale legame profondo unisce un’isola ai suoi simulacri? E come hanno assorbito e interpretato tale legame i maestri del Novecento in viaggio fra Mediterraneo e Mari del Sud? La mostra “ISOLE E IDOLI”, a cura di Chiara Gatti e Stefano Giuliani col contributo di Matteo Meschiari, dal 27 giugno 2025 al 16 novembre 2025, che inaugura la stagione estiva del museo Archeologico nazionale “Giorgio Asproni” di Nuoro, nasce per rispondere a queste domande e per comprendere come il potere simbolico e mitico delle figure arcaiche, custodite entro i confini dell’insularità, si sia rigenerato, a distanza di secoli, nelle forme del moderno.
Una selezione di oltre 70 opere conta reperti archeologici in arrivo dai maggiori musei di archeologia della Sardegna, dal Menhir Museum di Laconi e dai Musei della Bretagna, oltre al prestito eccezionale concesso dal dipartimento di Antichità greche, etrusche e romane del Musée du Louvre di Parigi. Accanto a questi, le opere dei maestri moderni giungono da importanti collezioni europee, fra cui la National Gallery Prague (per le sculture lignee di Gauguin), la Galleria d’arte moderna di Milano, il Musée départemental Maurice Denis, il museo della Città di Locarno, la Fondation Giacometti e gli Archives Henri Matisse, cui si aggiungono l’Archivio Florence Henri e collezioni private italiane come Diffusione Italia International Group srl e la collezione di stampe di Enrico Sesana.

Statua Menhir maschile da Bau Caddore (2800-2500 a.C.) conservato al museo della Statuaria Preistorica della Sardegna di Laconi (foto nicola castangia)
In bilico fra neolitico e alba del Novecento, fra archeologia ed avanguardia, fra gli idoli cicladici e le sculture lignee che Gauguin intagliò nei suoi anni di Tahiti, il percorso fluttua fra passato e presente in cerca di ritorni, sentimenti condivisi, eredità genetiche, spinte effusive destinate a riaffiorare a fasi alterne, come nei cicli geologici, e a guidare le mani degli autori tese a plasmare forme affini. Non, dunque, l’idea del viaggiatore che, esplorando, trova, assorbe e replica. Ma il concetto, più vitale, che l’antico e il moderno si tocchino al di fuori del tempo e dello spazio, fortissimamente nutriti da una medesima necessità: rappresentare l’altrove attraverso statue, steli, monoliti che personifichino l’invisibile in terra. Un affondo dedicato alla Sardegna preistorica offre, infine, un approfondimento sul mondo dell’idolo in terra sarda, articolato intorno a quattro nuclei tematici principali: il toro (simbolo maschile associato al culto del potere e della fertilità), la Dea Madre (figura femminile legata alla nascita e alla continuità della vita), il “capovolto” (rappresentazione dell’aldilà e del rovesciamento rituale), e le statue menhir antropomorfe, veri idoli scolpiti nella pietra e destinati a dominare il paesaggio come presenze eterne.
L’allestimento, curato dall’architetto Giovanni Maria Filindeu, organizza l’insieme delle opere esposte in una forma spaziale che richiama la configurazione di un arcipelago formato da piccoli raggruppamenti tematici. A guidare l’articolazione degli elementi, sia a parete che a pavimento, sono l’uso intenzionale e critico del colore e la scelta dei materiali. In particolare, il celenit (un aggregato di fibre di legno e cemento) utilizzato per le basi espositive, oltre all’impiego della sabbia lavata, legante naturale ed evocativo, i cui toni algidi sposano la palette estiva delle trame che disegnano mappe metafisiche.

“Donne al lago” (1927) pittura e tempera su carta di Giuseppe Biasi dalla collezione d’arte della Fondazione di Sardegna (foto fondazione banco sardegna)
Ponendosi criticamente come una riflessione sui concetti odierni di alterità, primitivismo e sulle loro ricadute nel cuore del dibattito postcoloniale – esteso ben oltre la storia dell’arte – la mostra affonda dentro ragioni antropologiche connaturate alla presenza di figure totemiche nei circoscritti perimetri di un’isola e spiega quanto maestri del calibro di Gauguin, Pechstein, Miró, Arp o Matisse, nel corso dei loro viaggi, abbiano rielaborato tale convivenza, proiettando le loro stesse icone statuarie nella dimensione assoluta del sacro.
Partendo dalla prima “fuga” di Gauguin verso la Bretagna, nel 1886, secondo un concetto di isola come luogo ideale, immune dalle derive del mondo civilizzato, il percorso narra l’esperienza di Jean Arp, che collezionava statuette cicladiche, irretito dal loro magnetismo concentrato in un pugno, e di Max Pechstein approdato nel 1914 nell’arcipelago di Palau, dove visse a contatto con le comunità locali sull’isola di Angaur e vi ritrasse volti maschili solenni come divinità. “Vedevo gli idoli scolpiti in cui una trepidante pietà e il timore reverenziale di fronte all’imperscrutabile potere della natura avevano impresso speranza, paura e soggezione, davanti al loro ineluttabile destino”. Joan Miró, nei suoi appunti quotidiani, evocava le statue Moai dell’Isola di Pasqua, come riferimento potente per nuove forme scultoree, riconoscendo in esse l’incarnazione di uno spirito ancestrale. E ancora, Alberto Giacometti che aveva trovato la propria isola fra i massi erratici del Maloja, fece di ogni suo ritratto un idolo, un custode del tempio, inginocchiato al cospetto dell’immateriale.

Idolo schematico in marmo della cultura di Keros-Syros (Antico Cicladico II, 2700-2300 a.C.) conservato al Louvre di Parigi (foto musée du louvre)
“Non serve – scrive Chiara Gatti nel suo testo – il revisionismo postcoloniale per affermare che, nella loro statura ieratica, non vi sia nulla di primitivo, esotico, conturbante. È astrazione allo stato puro. Sono dee madri, pietose e grandiose allo stesso tempo, come prefiche egizie, come offerenti etrusche, come ancelle rubate alla pittura vascolare greca. E i loro sguardi che scrutano nel vuoto, immersi in un’attesa casoratiana, ricordano l’immobilità disarmata della Melencolia di Dürer, allegoria dell’intelletto umano che medita sul destino del cosmo”. Scrive Matteo Meschiari nel suo testo a catalogo: “Il punto è cercare di capire non tanto la sociologia, la filosofia e la geopolitica dell’essere e vivere l’isola, quanto in che modo la geomorfologia Terra-Mare contenga in sé dei fossili di pensiero mitico, in che modo l’incontro tra roccia e acqua sia una specie di campo morfogenetico in grado di generare mito. Gli stereotipi concettuali legati all’isola sono un filtro oscurante: esclusione, separatezza, solitudine, naufragio, arroccamento, prigione, esilio, confino, sono solo i più diffusi, ma appena ci spostiamo in culture Ocean-centered come quella vichinga o quella polinesiana, ci rendiamo conto che l’Occidente è impastoiato in un paradigma coloniale geocentrico che dà sempre priorità alle terre, uno sguardo continentale che perpetua un modello geografico egemonico dove il mare è il vuoto. Per chi vive in mare, al contrario, l’acqua è il centro del mondo, le sue mappe indicano paesaggi sommersi e moti di correnti, mentre le isole, soprattutto quelle oceaniche, sono piccole pause, zone di sospensione nell’immensità salata, e l’arcipelago è un iperoggetto bucherellato tenuto assieme dal dinamismo delle acque, dal pieno del mare”.
Torino. Al museo Egizio incontro con Laurence Des Cars, direttrice del museo del Louvre di Parigi, nono appuntamento del ciclo “What is a museum?”, in presenza e on line: dieci direttori dei più grandi musei del mondo si confrontano col direttore Christian Greco sul ruolo e le sfide del futuro dei musei
Come possono affrontare le sfide del futuro senza tradire la loro storia? Come possono affrontare la nuova fase che stanno attraversando ripensando il proprio passato e dando un senso alla loro esistenza oggi? Oggi i musei mirano a comprendere a fondo i meccanismi del cambiamento, generando relazioni e influenzando la società. Alla luce della nuova definizione di museo data da ICOM e delle sfide che attendono le istituzioni culturali, il museo Egizio di Torino presenta una serie di incontri dal titolo “What is a museum?” con protagonisti i direttori di alcuni dei più importanti musei internazionali in dialogo con Christian Greco. Ricerca, digitalizzazione, educazione, inclusione e cura del patrimonio sono i punti che verranno affrontati per ripensare il ruolo che i musei possono avere nella società contemporanea. Il protagonista del nono incontro, il 7 novembre 2024, alle 18, in dialogo con il direttore Christian Greco sarà Laurence Des Cars, direttrice del museo del Louvre di Parigi. L’evento si tiene nella sala Conferenze del Museo, In lingua inglese con traduzione simultanea in sala. Ingresso libero con prenotazione al link https://www.eventbrite.it/…/what-is-a-museum-tickets…. Anche in streaming sulla pagina Facebook e sul canale YouTube del museo Egizio.
Paestum. Il parco archeologico presenta una prestigiosa collaborazione internazionale col Rijksmuseum van Oudheden di Leiden (Paesi Bassi): la mostra “Paestum. Città delle dee”, con 80 prestiti dai depositi del museo nazionale
Una statua in marmo della dea Hera e otto lastre funerarie dipinte, uniche nel loro genere, provenienti dalle tombe dell’élite lucana di Paestum saranno tra i pezzi più significativi della mostra “Paestum. Città delle dee”, in programma dal 25 aprile 2024 al 25 agosto 2024 al Rijksmuseum van Oudheden – museo nazionale delle Antichità di Leiden, nei Paesi Bassi. La mostra, realizzata in collaborazione tra il ministero della Cultura, il parco archeologico di Paestum e Velia e il museo nazionale delle Antichità di Leiden, che sarà presentata mercoledì 20 marzo 2024, nella Sala Cella del museo Archeologico nazionale di Paestum, prevede l’esposizione oltralpe di alcuni tra i più significativi reperti archeologici di Paestum. Il percorso espositivo include anche statuette in terracotta, bronzo e marmo, vasi per bruciare incenso, ceramiche pregiate, raffinati oggetti in vetro, monete, un’armatura greca in bronzo e numerosi doni offerti alle dee Hera, Atena e Afrodite. Alla presentazione intervengono Tiziana D’Angelo, direttore del parco archeologico di Paestum e Velia; Ruurd Halbertesma, curatore della collezione greco-romana e curatore della mostra; Teresa Marino, archeologo del parco archeologico di Paestum e Velia; e Carlijn Oldenkotte, pr, marketing e comunicazione.

Lastra funeraria in travertino dipinta con scena di pugilato, conservato al museo Archeologico nazionale di Paestum (foto pa-paeve)

Tiziana D’Angelo, direttore del parco archeologico di Paestum e Velia (foto pa-paeve)
“Questa mostra”, dichiara il direttore Tiziana D’Angelo, “ha rappresentato una straordinaria occasione di collaborazione internazionale tra Italia e Paesi Bassi, in cui abbiamo avuto l’onore di lavorare con un istituto di elevata statura, quale il museo nazionale delle Antichità di Leiden, di confrontarci con colleghi di grande esperienza e di creare i presupposti per future sinergie. Inoltre il progetto, che conta 80 prestiti dal parco archeologico di Paestum e Velia pressoché interamente provenienti dai ricchi depositi del museo Archeologico nazionale di Paestum, ci consente di valorizzare a tuttotondo la nostra collezione. Infine, scegliendo Paestum come protagonista della narrazione espositiva, la mostra riconosce l’eccezionale valore storico-archeologico del sito su scala globale”. E il prof. Ruurd Halbertsma, curatore della mostra: “La mostra Paestum. Città delle dee non sarebbe stata realizzata senza la sinergia straordinaria tra il parco archeologico di Paestum e Velia e il museo nazionale di Antichità di Leida. La collaborazione culturale, la collegialità e l’integrità scientifica sono alla base di questo progetto straordinario. Vorrei esprimere sentimenti della mia più grande gratitudine a tutti i miei colleghi di Paestum che hanno reso possibile questa mostra”.

Statua in marmo della dea Hera, conservata al museo Archeologico nazionale di Paestum (foto luigi spina)

Lekythos parzialmente verniciata conformata a conchiglia bivalve con figura femminile inginocchiata, conservata al museo Archeologico nazionale di Paestum (foto pa-paeve)
“Paestum. Città delle dee” è la prima mostra retrospettiva realizzata nei Paesi Bassi sull’archeologia di Paestum e copre un arco temporale di circa ottocento anni, dalla fondazione della colonia magnogreca all’età imperiale. Oltre ai prestiti provenienti dal museo Archeologico nazionale di Paestum e ai reperti della collezione di Leiden, la mostra include oggetti provenienti dal museo del Louvre di Parigi, dall’Antikensammlung Staatliche Museen zu Berlin, dalla Banca d’Olanda e dal Museo Allard Pierson di Amsterdam. “Paestum. Città delle dee” è la quinta mostra realizzata dal Rijksmuseum van Oudheden nel contesto di una serie incentrata su importanti città del mondo antico. Le precedenti mostre si sono focalizzate su Petra (2013-2014), Cartagine (2014-2015), Ninive (2017-2018) e Byblos (2022-2023).
Nell’anno del bicentenario della sua fondazione (1824-2024), il museo Egizio di Torino approda per la prima volta al cinema con “Uomini e dei. Le meraviglie del museo Egizio”, nelle sale italiane solo per due giorni, il 12 e 13 marzo, con la partecipazione straordinaria del Premio Oscar Jeremy Irons, che guida il pubblico in un viaggio alla scoperta dei tesori di una delle civiltà più affascinanti della storia antica
Nell’anno del bicentenario della sua fondazione, il museo Egizio di Torino approda per la prima volta al cinema con “Uomini e dei. Le meraviglie del museo Egizio”, il film evento che è stato presentato in anteprima alla 41esima edizione del Torino Film Festival e che arriverà nelle sale italiane solo per due giorni, il 12 e 13 marzo 2024 (elenco cinema su nexodigital.it). Prodotto da 3D Produzioni, Nexo Digital e Sky in collaborazione con il museo Egizio e diretto da Michele Mally, che firma il soggetto con Matteo Moneta, autore della sceneggiatura.

Il premio Oscar Jeremy Irons durante sul set del film “Uomini e dei. Le meraviglie del museo Egizio” di Michele Mally (foto di Francesco Prandoni)
Il film vede la partecipazione straordinaria del Premio Oscar Jeremy Irons, che guida il pubblico in un viaggio alla scoperta dei tesori di una delle civiltà più affascinanti della storia antica. Completa il viaggio visivo la colonna sonora originale, composta ed orchestrata dal pianista e compositore Remo Anzovino ed eseguita dall’autore con l’Orchestra Sinfonica Accademia Naonis diretta da Valter Sivilotti, in uscita su etichetta Nexo Digital e distribuzione Believe nel 2024. Spiega Remo Anzovino: “La sfida era scrivere una colonna sonora che parlasse di una cultura di cui non conosciamo la musica. Comporre per “Uomini e Dei. Le Meraviglie del Museo Egizio” è stato davvero un viaggio spirituale alla scoperta del profondo significato che la morte aveva nell’Antico Egitto, ossia l’inizio di una nuova vita. In piena sintonia con il regista Michele Mally, l’uso della tecnica del corale a 4 parti bachiano – applicato sia alle sezioni della orchestra sia al pianoforte solo -, di movimenti fugati e di passaggi atonali, mi ha permesso di orientare il suono, per contrasto stilistico, verso il mistero che le immagini e il racconto sullo schermo suggeriscono. Ringrazio il maestro Valter Sivilotti e l’Orchestra Sinfonica Accademia Naonis per avere splendidamente diretto e interpretato la mia musica”. La Grande Arte al Cinema è un progetto originale ed esclusivo di Nexo Digital. Per il 2024 la Grande Arte al Cinema è distribuita in esclusiva per l’Italia da Nexo Digital con i media partner Radio Capital, Sky Arte, MYmovies.it e in collaborazione con Abbonamento Musei.

Christian Greco, direttore del museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
Reperti, studi scientifici e il dietro le quinte del Museo sono narrati in maniera corale non solo dalla presidente del museo, Evelina Christillin, e dal direttore Christian Greco, ma anche da alcuni dei curatori del museo come Cédric Gobeil, Beppe Moiso, Susanne Töpfer, Paolo Del Vesco, Federico Poole, Johannes Auenmüller, Enrico Ferraris, Alessia Fassone, Tommaso Montonati, dalle restauratrici Cinzia Oliva, Roberta Genta, Paola Buscaglia del Centro di Conservazione e Restauro de La Venaria Reale, dall’antropologo Pieter Ter Keurs, dal direttore dipartimento Egizio del Louvre Vincent Rondot, dal capo del dipartimento Egitto e Sudan del British Museum Daniel Antoine, dai curatori del British Museum Ilona Regulski e Marcel Maree, dalla direttrice del Ägyptisches und Papyrussammlung di Berlino Friederike Seyfried, dalla direttrice generale museo Egizio del Cairo Sabah Abdel Razik Saddik, dal Ceo di Ima Solutions Sarl Benjamin Moreno. Dal Louvre di Parigi al British Museum di Londra fino all’Ägyptisches Museum di Berlino: sono solo alcune delle importanti istituzioni museali mondiali da cui provengono i membri del comitato scientifico del Museo, che vanta oltre 90 collaborazioni scientifiche con musei, atenei e centri di ricerca internazionali.

Bernardino Drovetti, al centro, tra le rovine di Tebe nel 1818 (foto museo egizio)
Le collezioni custodite a Torino comprendono oltre 40mila reperti, che hanno una natura antiquaria – in quanto legati al collezionismo e al criterio di raccolta reperti di Bernardino Drovetti, diplomatico piemontese al servizio del governo francese che vendette a Carlo Felice di Savoia il primo nucleo delle collezioni del Museo per 400mila lire dell’epoca – e una natura archeologica, legata a campagne di scavo archeologico promosse da Ernesto Schiaparelli e Giulio Farina in Egitto all’inizio del Novecento. Con oltre un milione di visitatori nel 2023, il museo Egizio è il più antico al mondo dedicato alla civiltà degli antichi Egizi. Al museo Egizio di Torino dei 40mila reperti custoditi, 12mila sono esposti su 4 piani. Sfingi, statue colossali, minuscoli amuleti, sarcofagi, raccontano quasi 4000 anni di storia antica. Tra i reperti celebri nel mondo ci sono il Papiro dei Re, noto all’estero come la Turin King List, l’unica lista che sia giunta fino a noi che ricostruisce il susseguirsi dei faraoni, scritta a mano su papiro, o il Papiro delle Miniere, una delle più antiche carte geografiche conosciute. E ancora sculture come la statua del sacerdote Anen, quella di Ramesse II, quella della cosiddetta Iside di Copto, oltre al ricco corredo funebre di Kha, sovrintendente alla costruzione delle tombe dei faraoni che insieme alla moglie Merit sarà tra i protagonisti di tutto il racconto.

Statuetta in legno della dea Tauret, dedicata dal disegnatore Parahotep, venerata in ambito domestico, proveniente da Deir el Medina, e conservata al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“La strada per Menfi e per Tebe passa da Torino” scrisse Jean-François Champollion che nel 1824, due anni dopo aver decifrato i geroglifici, venne nella capitale sabauda. Ma perché proprio a Torino, nel 1824, si decise di aprire un museo che non aveva uguali al mondo, dedicato a una civiltà ancora in via di svelamento? Chi fu il primo a vedere nelle Alpi il profilo delle piramidi? Per scoprire le origini del museo in “Uomini e dei. Le meraviglie del museo Egizio” risaliremo così il corso del Nilo sulle tracce dei suoi grandi esploratori ed archeologi del passato: Donati, Drovetti, Schiaparelli. Visiteremo i luoghi da cui provengono i principali reperti delle collezioni torinesi, da Giza a Luxor fino all’antico villaggio di Deir el-Medina, abitato dagli scribi e dagli artigiani delle tombe della Valle dei Re e delle Regine. E viaggeremo a ritroso nel tempo, alla metà del 1500, quando i sovrani del Piemonte, i Savoia, per dare prestigio alla loro capitale riscrissero il mito delle origini egizie di Torino, sovrapponendo il toro, simbolo della città, col dio Api, che aveva le sembianze di toro ed era venerato nell’antico Egitto. Attraverso i sarcofagi e gli oggetti del corredo funebre della tomba di Kha e Merit racconteremo invece il viaggio dell’architetto Kha nell’Oltretomba, dal momento della mummificazione ai funerali, fino al giudizio di fronte ad Osiride e alla vita nell’Aldilà, seguendo le pagine del Libro dei Morti.
Egitto. Il museo Egizio di Torino partecipa con i grandi musei egizi d’Europa al progetto Ue “Trasformare il Museo Egizio del Cairo”: ora si sta operando su illuminazione, esposizione e interpretazione degli oggetti

Nuovi allestimenti e illuminazione al museo Egizio del Cairo (foto ministry of tourism and antiquities)

Nuovi allestimenti e illuminazione al museo Egizio del Cairo (foto ministry of tourism and antiquities)

Nuovi allestimenti e illuminazione al museo Egizio del Cairo (foto ministry of tourism and antiquities)

Nuovi allestimenti e illuminazione al museo Egizio del Cairo (foto ministry of tourism and antiquities)

Nuovi allestimenti e illuminazione al museo Egizio del Cairo (foto ministry of tourism and antiquities)

Nuovi allestimenti e illuminazione al museo Egizio del Cairo (foto ministry of tourism and antiquities)

Cooperazione Unione Europea- Egitto
L’annuncio, quasi un breve lancio di agenzia, da parte del ministero per il Turismo e le Antichità dell’Egitto, a conferma dell’impegno internazionale del museo Egizio di piazza Tahrir al Cairo: “Lo sviluppo dell’illuminazione, dell’esposizione e dell’interpretazione degli oggetti del Museo Egizio procede nell’ambito del progetto di finanziamento dell’Unione Europea “Trasformare il Museo Egizio del Cairo” in collaborazione con i grandi musei europei: il museo Egizio di Torino, il museo del Louvre, il British Museum, il museo Egizio di Berlino, il museo nazionale di Archeologia nei Paesi Bassi, insieme al Comitato direttivo per gli accademici egiziani dell’università del Cairo, dell’università di Ain Shams e dell’università di Helwan”. Immediato il commento postato dal museo Egizio di Torino: “È un grande onore lavorare insieme a questo grande progetto”.

Nuovi allestimenti e illuminazione al museo Egizio del Cairo (foto ministry of tourism and antiquities)

Gennaio 2019: presentazione del progetto di finanziamento dell’Unione Europea “Trasformare il Museo Egizio del Cairo” (foto ministry of tourism and antiquities)
Era il gennaio 2019 quando al Cairo fu lanciato il progetto di finanziamento dell’Unione Europea “Trasformare il Museo Egizio del Cairo”, destinato a trasformare il museo in un’istituzione di livello mondiale, al fine di essere riconosciuto come patrimonio mondiale dell’UNESCO. Il progetto triennale (2019-2021: ma poi in mezzo è scoppiata la pandemia, dilatando tutti i tempi), finanziato dall’UE con una sovvenzione di 3 milioni di euro (poi diventati 8), fornita dal “Promoting Inclusive Economic Growth Pogramme”, ha previsto una notevole cooperazione tra l’Egitto e l’Unione Europea, riunendo studiosi egiziani e i loro colleghi di un prestigioso consorzio di cinque musei europei: museo Egizio di Torino, British Museum di Londra, museo Egizio e Collezione Papiri di Berlino, museo del Louvre di Parigi e Rijks museum van Oudheden di Leida.
Vicenza. Tre incontri a tema a corollario della mostra “I creatori dell’Egitto eterno” in Basilica palladiana. Protagonisti gli stessi curatori: Corinna Rossi, Paolo Marini e Cédric Gobeil


Mostra “I creatori dell’Egitto eterno”: da sinistra, Paolo Marini, Corinna Rossi, Christian Greco, Francesco Rucco, Simona Siotto, Cédric Gobeil (foto graziano tavan)
Tre incontri a tema a corollario della mostra “I creatori dell’Egitto eterno” in Basilica palladiana a Vicenza fino al 7 maggio 2023. E a tenerli saranno gli stessi curatori della mostra, Corinna Rossi, Paolo Marini e Cédric Gobeil. Gli incontri sono a ingresso libero fino ad esaurimento posti. Si inizia venerdì 27 gennaio 2023, alle 17.30, con Corinna Rossi, docente di Egittologia al Politecnico di Milano, che terrà l’incontro “La tomba egizia come microcosmo” alle Gallerie d’Italia – Vicenza, museo di Intesa Sanpaolo, istituto bancario partner dell’esposizione (contra’ Santa Corona 25, Vicenza). Secondo appuntamento giovedì 23 febbraio 2023, alle 18: Paolo Marini, egittologo e curatore del museo Egizio, discuterà di “Timori e speranze a Deir el-Medina. Storie di geni, divinità mostruose e serpenti”, nella sede di Cereal Docks (via dell’Innovazione 1, Camisano Vicentino), nel contesto dell’iniziativa culturale “Carta Bianca l’arte in azienda”, aperta ai collaboratori del Gruppo Cereal Docks e alla cittadinanza. A concludere il ciclo di conversazioni sarà Cédric Gobeil, egittologo e curatore del museo Egizio, che venerdì 17 marzo 2023, alle 18, parlerà di “La vita quotidiana degli antichi egizi alla luce della scoperta di Deir el-Medina”, a Palazzo Chiericati (piazza Matteotti 37/39, Vicenza).

Statuetta in legno della dea Tauret, dedicata dal disegnatore Parahotep, venerata in ambito domestico, proveniente da Deir el Medina, e conservata al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
Il percorso espositivo presenta 180 reperti, 160 provenienti dalle collezioni del museo Egizio e 20 dal Louvre di Parigi: statue, sarcofagi, papiri, bassorilievi, stele scolpite e dipinte, anfore, amuleti e strumenti musicali permettono di ricostruire la vita quotidiana degli abitanti di Deir el-Medina. Tra i tesori esposti a Vicenza anche il sarcofago antropoide di Khonsuirdis e il corredo della regina Nefertari, che torna in Italia dopo diversi anni di tour all’estero, in prestito a musei ed enti internazionali. Ai reperti originali si uniscono alcuni contenuti multimediali, che senza sostituirsi all’imprescindibilità della cultura materiale, intendono ampliare, come una sorta di “doppio digitale”, le informazioni e le conoscenze che gli oggetti stessi ci tramandano (vedi Vicenza. Christian Greco, direttore del museo Egizio, introduce alla visita della mostra “I creatori dell’Egitto eterno. Scribi, artigiani e operai al servizio del faraone”, in Basilica Palladiana. Ecco la sua prolusione alla presentazione ufficiale | archeologiavocidalpassato).
Torino. Per il ciclo nel “Laboratorio dello Studioso” del museo Egizio la mostra “Sedersi allegramente davanti al dio: le cappelle votive di Deir el-Medina”, a cura di Cédric Gobeil che indaga la religiosità e la devozione personale nel Nuovo Regno (1539-1076 a.C.)

Cédric Gobeil curatore della mostra “Sedersi allegramente davanti al dio: le cappelle votive di Deir el-Medina” del ciclo “Nel laboratorio dello studioso” al museo Egizio di Torino (foto museo egizio)
Il 2023 al museo Egizio di Torino si apre con un focus sulle piccole cappelle votive di Deir el-Medina: è il primo appuntamento dell’anno con “Nel laboratorio dello studioso”, il ciclo di mostre che accompagna i visitatori dietro le quinte del museo Egizio, alla scoperta dell’attività scientifica condotta da curatori ed egittologi del Dipartimento Collezione e Ricerca del museo. La nuova mostra, dal titolo “Sedersi allegramente davanti al dio: le cappelle votive di Deir el-Medina”, dal 13 gennaio al 19 marzo 2023, indaga la religiosità e la devozione personale nel Nuovo Regno (1539-1076 a.C.).

Cappella votiva n. 2 a Deir el Medina negli scavi Schiaparelli di inizio Novecento (foto archivio museo egizio)
Al centro dell’esposizione alcuni reperti unici, conservati al museo Egizio: si tratta di sedili votivi con iscrizioni, datati tra il 1292-1070 a.C., giunti a Torino, in seguito agli scavi archeologici realizzati tra il 1905 e il 1909 e coordinati da Ernesto Schiaparelli, direttore del Museo a inizio Novecento. La particolarità dei sedili votivi conservati a Torino, la cui presenza è stata documentata in Egitto solo nelle cappelle di Deir el-Medina e di Marna, sono proprio le iscrizioni che hanno permesso agli studiosi di risalire ai riti praticati nelle cappelle votive, presumibilmente da famiglie o piccole corporazioni, visto che le cappelle avevano una capienza massima venti persone. Reperti analoghi sono conservati anche al Louvre di Parigi, ma questi ultimi sono privi di iscrizioni. Secondo quanto ricostruito, i devoti utilizzavano i sedili posti davanti alle divinità, per trascorrere una giornata di festa, con libagioni e birra. Sul sedile votivo non di rado era iscritto il nome del proprietario, che si garantiva un posto di riguardo in un luogo sacro in vita, e poteva continuare a essere simbolicamente associato ai rituali dopo la morte. A completare l’esposizione anche alcune stele e ostraka, che raffigurano sacrifici e riti religiosi.

Cédric Gobeil curatore della mostra “Sedersi allegramente davanti al dio: le cappelle votive di Deir el-Medina” del ciclo “Nel laboratorio dello studioso” al museo Egizio di Torino (foto museo egizio)
La mostra è stata curata da Cédric Gobeil, curatore del Museo ed egittologo specializzato in archeologia della vita quotidiana e cultura materiale del Nuovo Regno. Dopo aver conseguito il dottorato in Francia (all’université Paris IV-Sorbonne), Gobeil ha lavorato in Egitto per l’Institut français d’archéologie orientale du Caire e nel Regno Unito per l’Egypt Exploration Society.
Vicenza. Christian Greco, direttore del museo Egizio, introduce alla visita della mostra “I creatori dell’Egitto eterno. Scribi, artigiani e operai al servizio del faraone”, in Basilica Palladiana. Ecco la sua prolusione alla presentazione ufficiale

Locandina della mostra “I creatori dell’Egitto Eterno” alla Basilica Palladiana di Vicenza dal 22 dicembre 2022 al 7 maggio 2023

Mostra “I creatori dell’Egitto eterno”: da sinistra, Paolo Marini, Corinna Rossi, Christian Greco, Francesco Rucco, Simona Siotto, Cédric Gobeil (foto graziano tavan)
Nell’anno, il 2022, in cui vengono celebrati gli anniversari di due avvenimenti fondamentali per la storia dell’Egittologia, i 200 anni dalla decifrazione dei geroglifici da parte di Champollion e il centenario della scoperta della tomba di Tutankhamon, il museo Egizio di Torino cura, per la prima volta in Italia, un progetto espositivo così importante “al di fuori del museo”, presentando una straordinaria selezione di reperti e sviluppando un tema centrale per gli studi egittologici. Parliamo della mostra “I creatori dell’Egitto eterno. Scribi, artigiani e operai al servizio del faraone”, in Basilica Palladiana a Vicenza fino al 7 maggio 2023 (e durante le festività, fino all’8 gennaio 2023, sempre aperta dalle 10 alle 18, eccetto Capodanno dalle 13 alle 18), fortemente voluta dalla Città di Vicenza e curata dal direttore del museo Egizio, Christian Greco, dalla docente di Egittologia al Politecnico di Milano, Corinna Rossi, dagli egittologi e curatori del museo Egizio, Cédric Gobeil e Paolo Marini. Qualche numero: 180 reperti originali, 3 installazioni multimediali, 4 curatori, 2 prestatori (museo Egizio di Torino e museo del Louvre di Parigi), 17mila prenotazioni, 550 gruppi, 1 città (Vicenza).

L’allestimento della mostra “I creatori dell’Egitto eterno” nella Basilica palladiana di Vicenza (foto graziano tavan)

Christian Greco, Francesco Rucco e Simona Siotto alla presentazione della mostra “I creatori dell’Egitto eterno” in Basilica palladiana a Vicenza (foto graziano tavan)
In occasione della presentazione ufficiale della mostra, prima della vernice, alla presenza del sindaco di Vicenza Francesco Rucco e dell’assessore alla Cultura Simona Siotto, il direttore dell’Egizio Christian Greco nella sua prolusione ha introdotto gli elementi più significativi che hanno sotteso la realizzazione della grande mostra, e il perché della scelta del villaggio di Deir el Medina e dei suoi abitanti per il senso della vita e della vita dopo la morte secondo gli antichi Egizi. Grazie a una registrazione live del regista veneziano Alberto Castellani, che l’ha gentilmente messa a disposizione di archeologiavocidalpassato.com, tutti gli appassionati possono così prepararsi meglio alla visita della mostra.
“Questa mostra, grazie al lavoro di tutti, vi permetterà di fare un viaggio ideale – lo si vede già dal video all’inizio dell’esposizione – tra Vicenza e Deir el Medina”, annuncia Christian Greco. “E quando Guido Beltramini, direttore del Cisa, mi disse Vorremmo una mostra dell’Egitto a Vicenza, pensare a Deir el Medina fu immediato. Perché era pensare a un villaggio, a un insediamento di cui conoscevamo le vite delle donne e degli uomini che vi avevano lavorato; era vedere l’altra faccia della medaglia, era collegarlo a quell’idea che era piaciuta molto al sindaco che l’ha voluto porre anche come manifesto per Vicenza candidata alla capitale della Cultura: l’idea di fabbrica, ovvero di un contesto sociale ed economico che lavora assieme per una trasformazione. Ebbene, a Deir el Medina avvenne questo.

Statua della dea Sekhmet (XVIII dinastia, regno di Amenofi III, 1390-1353 a.C.) conservata al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“E quindi voi, visitando la mostra – spiega Greco -, vi troverete catapultati prima nella sponda Est della Tebe del Nuovo Regno, dove vengono eretti i grandi templi delle divinità locali che diventano divinità nazionali: Amon, colui che è nascosto – questo significa il nome -, che diventa la divinità principale dell’Egitto, profondamente legata alla regalità. E, come ricordava l’assessore Simona Siotto, l’esistenza e la caducità dell’esistenza era un qualcosa che interrogava molto gli Egizi e quindi proprio in quel periodo nella sponda Ovest di Tebe (vedrete la magnifica statua di Sekhmet) cominciarono a erigere i templi cosiddetti di milioni di anni, dove il culto del faraone potesse essere portato avanti.

La stele dedicata ad Amenofi I e Amhose Nefertari da Amenepimet e dal figlio Amennakht, conservata al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“Servivano però delle maestranze – fa notare il direttore del museo Egizio -, servivano delle persone che sapessero progettare, operare, scavare nella roccia, trasformare le pareti, levigarle, fare la sinopia. Dopo di ché scolpirle, e poi ancora con i pigmenti trasformare completamente questo spazio. Oggi si parla molto di metaverso. Ma cosa c’è di più metaverso della per djet, della casa per l’eternità, di quello spazio cioè che, una volta varcata la soglia, diventava la casa del faraone per sempre? Uno spazio però in cui valevano delle regole diverse, delle regole spazio-temporali completamente diverse. Non erano più in questa realtà. Serviva quindi uno sviluppo del tempo diverso, dal tempo ciclico che era il tempo del dio Sole, che ogni giorno risorge e di notte combatte contro Apofis e poi può tornare sulla terra. E il faraone, una volta entrato, dopo il rituale dell’Apertura della Bocca, era completamente trasformato.

Il faraone Ramses II tra il dio Amon e la dea Mut, gruppo in granito dal tempio di Amon a Karnak (XIX dinastia, regno di Ramses II, 1279-1213 a.C.), conservato al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“Prima l’assessore Siotto ricordava come si potrebbe definire la vita. Allora – continua Greco – i biologi e i filosofi si interrogano molto. E a me ha sempre molto colpito vedere immagini su cui i biologi lavorano molto: che differenza c’è tra una persona nel momento in cui è in vita e il momento successivo in cui la vita non c’è più? Cos’è la vita? Ebbene oggi ci dicono che nel momento successivo non ci sono più quelle connessioni, non ci sono più le connessioni molecolari, non c’è più l’energia, non c’è più lo scambio. E pensate che gli Egizi questo l’avevano capito perfettamente già nel Medio Regno, e codificato nel Nuovo Regno. E l’hanno capito in una serie di cose. Hanno capito che la persona era complessa. La persona era composta dal corpo. Però se io cadessi morto in questo momento gli egiziani mi definirebbero cadavere. Il corpo doveva ridiventare immagine vivente della persona, ricomponendo una serie di cose: ricomponendo il nome, ricomponendo l’ombra, ricomponendo il ba che è l’anima che può trasmigrare da questo all’altro regno, il ka che è la forza vitale, e mettendo assieme tutto questo potevano tornare a vivere.

Statuetta in legno della dea Tauret, dedicata dal disegnatore Parahotep, venerata in ambito domestico, proveniente da Deir el Medina, e conservata al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“Ebbene quindi in mostra – sintetizza Greco – vedrete come vivevano gli abitanti di Deir el Medina, questo villaggio voluto da Amenofi I e dalla madre Ahmose Nefertari, che per 600 anni ospita 120 famiglie che hanno un unico compito: quello di costruire le tombe nella Valle dei Re e nella Valle delle Regine. Il loro nome è “servitore nel luogo della verità (Set Maat)”, e avevano forse il lavoro più importante al mondo, cioè quello di consegnare all’eternità la vita dei faraoni in modo che il loro culto potesse perpetrarsi. Però non era un mero culto regale, era un qualcosa di più vitale, di cosmico. Lo vedrete nel video curato da Corinna Rossi, e ringrazio Robin Studio per il lavoro eccellente che anche questa volta hanno fatto, che vi farà fare un viaggio all’interno di uno dei progetti più antichi al mondo, il progetto della tomba di Ramses IV. La vedrete trasformata, potrete viaggiare assieme al faraone, come questo spazio era un nuovo spazio di vita.

Dettaglio del modellino della Tomba di Nefertari, scoperta da Ernesto Schiaparelli nel 1904, conservato al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“La mostra continua Greco – vi farà riflettere sulla wehem meswt, sulla rinascita, su quello che gli egiziani chiamavano la nuova vita che non era la morte. Ci saranno gli elementi che tutti noi ricolleghiamo all’Egitto, ovvero i sarcofagi, che sono quel luogo di trasformazione che permette al corpo di tornare a nuova vita. E passando dalla prima alla seconda parte della mostra, passerete proprio dalla vita del villaggio alla vita nell’aldilà e incontrerete un personaggio importantissimo, incontrerete Nefertari, la cui tomba fu trovata nel 1904 da Ernesto Schiaparelli. E vedrete il modello che Schiaparelli ha fatto fare. Ma vedrete anche le statuette funerarie. E vedrete gli oggetti che Nefertari si era portata con lei. Pensate, c’è persino una manopola con sopra il nome di Ahy, un faraone che era vissuto più di 200 anni prima, e quindi forse lei era legata ad Ahy che era stato sovrano dell’Egitto; o era un oggetto di famiglia caro, un ricordo che lei volle portare tomba. Non dobbiamo pensare che gli egiziani fossero degli alieni. Avevano lo stesso trasporto per la cultura materiale che abbiamo noi.

Ushabti in faience del faraone Seti I (XIX dinastia, 1290-1279 a.C.) conservati al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“In mostra si possono vedere le statuette in faiance, meravigliose, di un altro grande sovrano, Seti I, proprio di fronte a Nefertari. Vedrete i sarcofagi gialli. Vedrete il sarcofago di XXV dinastia che ci fa vedere un’evoluzione dell’iconografia.
“Però volevamo chiudere facendovi vedere anche la fine di questa storia. Amenofi I e Ahmose Nefertari hanno voluto questo villaggio. Questo villaggio ha funzionato. Poi probabilmente – oggi si direbbe – l’Egitto aveva speso troppo rispetto alle proprie necessità. Già all’epoca di Ramses III cominciamo ad assistere a dei disagi sociali, e nell’epoca di Ramses XI, probabilmente durante la vita di Butehamon, venne abbandonato il villaggio. Non è sicurissimo, perché alcuni ostraka, sia figurativi sia letterari, forse ci attestano una continuazione della vita nel villaggio. Però sappiamo sicuramente che Butehamon fondò un suo ufficio, la casa, forse anche la sua tomba nel tempio di Medinet Habu, qualche chilometro più a Sud, in un posto che era protetto. E sappiamo che Butehamon aveva un compito importantissimo: lui andava in giro per la necropoli, perché abbiamo ritrovato i suoi graffiti, a mettere in sicurezza i sarcofagi che venivano depredati. A Londra c’è un documento, il Robbery Papyrus, che ci parla del fatto di come fosse finito questo periodo dell’Eldorado, di come una vedova viene interrogata da un magistrato che le chiede ma perché tuo marito notte tempo si è introdotto in una tomba e ha rubato dei bacili di bronzo? e lei risponde perché con quello io e i miei figli abbiamo mangiato per tre anni. “E allora abbiamo voluto farvi riflettere anche su questo: come questa parabola del villaggio si concluda anche con un periodo di crisi e lo facciamo vedere – a mio giudizio in modo esemplare – utilizzando le nuove tecnologie, facendovi vedere il sarcofago di Butehamon, colui che mise in sicurezza i sarcofagi delle necropoli e al contempo, mentre lo faceva, prese dei pezzi per mettere in sicurezza anche il proprio.

Sarcofago giallo femminile, in legno e stucco, del Terzo periodo intermedio (XXI dinastia, 1076-943 a.C.) conservato al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“È una mostra quindi – conclude – che ci fa riflettere sulla vita, sulla vita dopo la morte, sull’esistenza, sulle difficoltà dell’esistenza, su come il lavoro veniva organizzato, su come si svilupparono anche delle credenze locali, e su come c’è un tema etico che pare trascendere i limiti temporali della storia. Alla fine anche per gli Egizi, come molto spesso anche per noi, quello che contava era maat, era la giustizia, era la verità, ed era l’unica cosa che ci permetteva di vivere bene sulla terra e di poter ambire a una vita dopo. E allora auguriamoci anche noi, come si auguravano gli antichi Egizi, di diventare maat keru, veritieri di voce, e di poter essere dotati di vita come il dio Sole per sempre”. Buona visita.
Al museo Egizio di Torino i protagonisti scientifici della mostra “I creatori dell’Egitto eterno. Scribi, artigiani e operai al servizio del faraone” hanno presentato l’evento a un mese dall’apertura in Basilica Palladiana di Vicenza: oltre 180 oggetti (tra cui una ventina dal Louvre) danno uno spaccato della vita quotidiana in Egitto 3500 anni fa

Locandina della mostra “I creatori dell’Egitto Eterno” alla Basilica Palladiana di Vicenza dal 22 dicembre 2022 al 7 maggio 2023

Corinna Rossi (politecnico di Milano) (foto graziano tavan)

Cédric Gobeil (museo Egizio Torino) (foto graziano tavan)

Paolo Marini (museo Egizio Torino)
Poco meno di un mese per il grande evento che in Basilica Palladiana a Vicenza chiude il ciclo “Grandi mostre in Basilica”: parliamo della mostra “I creatori dell’Egitto eterno. Scribi, artigiani e operai al servizio del faraone”, dal 22 dicembre 2022 al 7 maggio 2023. Curata dal direttore del museo Egizio di Torino Christian Greco, da Corinna Rossi, professore associato di Egittologia al Politecnico di Milano, da Cédric Gobeil e Paolo Marini, egittologi e curatori dell’Egizio, la mostra restituisce uno spaccato della vita quotidiana nell’antico Egitto, con un focus particolare su Tebe, l’odierna Luxor, e Deir el-Medina, il villaggio, fondato intorno al 1500 a.C., dove scribi, disegnatori e artigiani lavoravano per costruire e decorare le tombe dei faraoni nelle Valli dei Re e delle Regine, plasmando l’immaginario dell’antica civiltà nata sulle rive del Nilo.

La Basilica Palladiana nel cuore di Vicenza, capolavoro di Andrea Palladio, sede della mostra “I creatori dell’Egitto Eterno” (foto comune di vicenza)
Il progetto “Grandi Mostre in Basilica” è ideato e promosso dal Comune di Vicenza e dal museo Egizio, con il patrocinio della Regione Veneto e della Provincia di Vicenza, in collaborazione con il Centro Internazionale di Studi di Architettura “Andrea Palladio” e la Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza. La promozione e l’organizzazione sono curate da Marsilio Arte, che ne pubblica il catalogo. Tra i partner dell’esposizione Intesa Sanpaolo e Gallerie d’Italia – Vicenza, Fondazione Giuseppe Roi, AGSM AIM, Confindustria Vicenza, LD72, Beltrame Group ed Euphidra.

La presentazione della mostra “I creatori dell’Egitto Eterno” al museo Egizio di Torino: da sinistra, il sindaco Francesco Rucco, l’assessore Simona Siotto, il direttore delle Gallerie d’Italia Michele Coppola, e il direttore dell’Egizio Christian Greco (foto graziano tavan)
I protagonisti scientifici e politici della mostra “I creatori dell’Egitto eterno. Scribi, artigiani e operai al servizio del faraone” si sono ritrovati al museo Egizio di Torino a quattro settimane dal taglio del nastro per la presentazione ufficiale davanti a un nutrito gruppo della stampa specializzata e a egittologi, ricercatori e restauratori convenuti per conoscere in anteprima il grande evento culturale che ha convolto in prima linea tutto lo staff tecnico-scientifico del museo Egizio con la collaborazione del museo del Louvre di Parigi.

Stele dedicata da Smen, al fratello Mekhimontu e a sua moglie Nubemusekhet (Nuovo Regno, XVIII dinastia) da Deir el Medina, conservata al museo Egizio di Torino (foto museo egizio)
L’esposizione riunisce infatti più di 180 oggetti: oltre ai reperti dell’Egizio, ci sono una ventina di prestiti dal Louvre di Parigi. In esposizione capolavori della statuaria, sarcofagi, papiri, bassorilievi, stele scolpite e dipinte, anfore e amuleti. Molti i tesori che verranno svelati in occasione dell’esposizione, tra cui il sarcofago antropoide di Khonsuirdis e il celebre corredo della regina Nefertari, che torna in Italia, a Vicenza, dopo diversi anni di tour all’estero. Installazioni multimediali e riproduzioni in 3D arricchiscono il percorso espositivo: tra le curiosità la storia in 3D del sarcofago dello scriba Butehamon, che restituisce al visitatore quasi una biografia dell’oggetto a partire dalla sua costruzione e l’istallazione multimediale che svela i segreti del Papiro della tomba del faraone Ramesse IV.
“Chiudiamo un ciclo importante”, interviene il sindaco di Vicenza Francesco Rucco, “con una mostra sugli Egizi guidata da Christian Greco il direttore del museo Egizio, che oggi ci ospita per la presentazione. Sarà un bellissimo connubio tra Vicenza città del Palladio e Torino che ospita il museo Egizio. Quindi una collaborazione all’interno del monumento nazionale di Vicenza, una valorizzazione anche del nostro territorio che avrà sicuramente un grande riscontro nazionale”. E continua: “La Basilica palladiana, Monumento nazionale e una delle massime espressioni architettoniche di Andrea Palladio, è il luogo più visitato e ammirato di Vicenza. La mostra sugli Egizi – osserva – chiuderà il ciclo delle tre Grandi mostre, avviato nel 2019, con un evento internazionale che sta già suscitando notevole interesse. La mostra segue l’esposizione “La Fabbrica del Rinascimento” in cui i visitatori hanno potuto approfondire la conoscenza del Cinquecento a Vicenza, periodo di invenzioni che hanno reso la città veneta un territorio dinamico e vivace sotto il profilo economico e culturale. Attraverso reperti dell’antico Egitto, tra cui sarcofagi, statue monumentali e oggetti preziosi, che verranno esposti nel grande salone della Basilica, sarà possibile un confronto tra l’operosità di Vicenza nel Rinascimento e Deir el-Medina, il villaggio egiziano in cui vissero gli artigiani che costruirono e decorarono le tombe reali della Valle dei Re e delle Regine, sulla sponda occidentale del Nilo, di fronte alla capitale Tebe”.
“Questa mostra”, sottolinea Simona Siotto, assessore ala Cultura del Comune di Vicenza, “è innanzitutto un’operazione culturale. Portare 180 pezzi, di cui 170 dal museo Egizio nella Basilica Palladiana che è monumento nazionale, patrimonio mondiale dell’Unesco, non è stato affatto semplice. Il senso però è quello di valorizzare un luogo straordinario, che però è anche piuttosto complesso perché è molto grande, e di renderlo se possibile ancora più bello attraverso una mostra che vuole insegnare qualcosa. Io ci tengo sempre a dirlo: non c’è grande cultura se non c’è una scelta dietro. E queste sono le uniche mostre che mi sento di organizzare. Apriamo il 21 dicembre una mostra che resterà aperta fino al 7 maggio 2023, e che va a investigare su quello che era la quotidianità anche nell’antico Egitto, coloro che in qualche modo hanno creato la prima grande architettura, messa all’interno di una delle opere più belle del più grande architetto del Cinquecento, che ha insegnato che attraverso la bellezza si trasformano le città. Un insegnamento di cui vogliamo essere testimoni ancora oggi”.
“La mostra nasce per rendere omaggio a Vicenza con un progetto culturale che potesse legarsi e sposarsi con quanto si è fatto negli ultimi tre anni in Basilica”, ricorda Christian Greco, “e su quanto può funzionare all’interno del tessuto culturale di Vicenza. Allora, dopo la grande mostra sul Rinascimento, facciamo una mostra che ci parla di coloro che erano i creatori dell’Egitto eterno, ovvero gli operai, gli artigiani, gli artisti che hanno collaborato per creare le tombe e le tombe erano – potremmo definirlo il metaverso – lo spazio in cui il defunto entrava in una nuova dimensione, doveva essere assimilato al dio Sole e viaggiare in un periplo costante attorno alla Terra. Parlare quindi di quale era la concezione teologica della trasformazione che il defunto aveva dopo la fine della vita terrena in quello che gli Egiziani chiamano “la nuova nascita” era fondamentale, però noi lo volevamo fare raccontando la storia delle donne e degli uomini, la storia delle persone che hanno vissuto a Deir el Medina, uno dei pochi insediamenti culturali che noi abbiamo in cui troviamo dei frammenti di vita quotidiana: e a questa prima parte abbiamo dedicato uno spazio espositivo molto importante. E quindi ci racconterà delle vite di creatori dell’Egitto eterno e poi di come la tomba diventasse un elemento di trasformazione del defunto”. E continua: “Si è trattato di un lavoro sugli archivi e sulla materialità degli oggetti. Il tutto per permettere al visitatore di intraprendere un viaggio nella Tebe del Nuovo Regno, di conoscere coloro che lavorarono nelle necropoli reali e comprendere quali fossero gli elementi iconografici e testuali che rendevano la tomba una “casa per l’eternità”, una dimensione nuova dove il sovrano poteva intraprendere il suo viaggio e iniziare la wehem meswt, la sua rinascita”.
“Il tema di questa mostra”, entra nel merito la curatrice Corinna Rossi, “è la creazione dell’Egitto che noi conosciamo, nel senso che gli operai di Deir el Medina che realizzarono le tombe dei faraoni, in realtà realizzarono-materializzarono l’Aldilà degli Egizi, e quindi lo resero luogo, lo decorarono in maniera che questo luogo potesse ospitare il faraone e condurlo alla vita eterna. Ovviamente le tombe dei faraoni erano paradigmatiche, ma a seguire tutte le tombe di nobili e di chi se lo poteva permettere tendevamo a mantenere gli stessi criteri. Questa mostra è dedicata alle persone che hanno realizzato le immagini che fanno parte proprio dello stesso immaginario dell’antico Egitto per noi: tantissimi oggetti dell’Antico Egitto che conosciamo in realtà venivano creati per accompagnare appunto i defunti nell’Aldilà. Quindi è una mostra un po’ a cavallo tra la vita prima della morte e la vita dopo la morte”.




Come possono i musei essere luoghi di conservazione e costruzione della memoria? Come possono affrontare le sfide del futuro senza tradire la loro storia? Come possono affrontare la nuova fase che stanno attraversando ripensando il proprio passato e dando un senso alla loro esistenza oggi? Oggi i musei mirano a comprendere a fondo i meccanismi del cambiamento, generando relazioni e influenzando la società. Alla luce della nuova definizione di museo data da ICOM e delle sfide che attendono le istituzioni culturali, il museo Egizio di Torino presenta “What is a museum?”, una serie di conferenze per il 2023 e il 2024 con protagonisti i direttori di alcuni dei più importanti musei internazionali in dialogo con Christian Greco, per ispirare e accompagnare verso l’importante traguardo del bicentenario della fondazione del museo Egizio (2024). Ricerca, digitalizzazione, educazione, inclusione e cura del patrimonio sono i punti che verranno affrontati per ripensare il ruolo che i musei possono avere nella società contemporanea.
A inaugurare il ciclo, che si terrà presso la sala conferenze del museo Egizio, sarà martedì 9 maggio 2023, alle 18, Barbara Jatta, direttrice dei musei Vaticani a Roma. Tutti gli appuntamenti saranno a ingresso libero con prenotazione tramite evenbrite. Per gli incontri in lingua inglese sarà disponibile il servizio di traduzione simultanea in italiano per il pubblico in sala. È prevista inoltre la diretta streaming in lingua originale sulla pagina Facebook e sul canale YouTube del museo Egizio.
Il prossimo appuntamento sarà il 26 giugno con Massimo Osanna, direttore generale Musei del Mic. Dopo la pausa estiva si inizierà con i direttori dei musei stranieri: il 26 settembre sarà la volta Hermann Parzinger, direttore del Preußischer Kulturbesitz di Berlino; il 9 novembre è atteso a Torino Miguel Falomir Faus, direttore del Museo Nacional del Prado di Madrid. I protagonisti del 2024 saranno: Taco Dibbits, direttore del Rijksmuseum di Amsterdam; Anna-Vasiliki Karapanagiotou, direttrice del National Archaeological Museum di Atene; Tristram Hunt, alla testa di Victoria and Albert Museum di Londra. Sempre da Londra è atteso Hartwig Fischer, direttore del British Museum. Mentre gli ultimi due appuntamenti del 2024 saranno dedicati a Laurence des Cars, direttrice del Musée du Louvre di Parigi e a Hartmut Dorgerloh, direttore dell’Humboldt Forum di Berlino.
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