Torino. Conferenza on line di Heba Abd el Gawad, Corinna Rossi e Irene Morfini su “Transforming the Egyptian Museum in Cairo: an Egyptian European Partnership” per presentare il progetto di riallestimento del museo Egizio de Il Cairo: il museo Egizio di Torino, alla guida di un consorzio di musei europei, cura la galleria dell’Antico Regno

L’imminente apertura del Grand Egyptian Museum e di altri musei regionali in Egitto, ha portato a una redistribuzione degli oggetti che ha interessato il vecchio allestimento del museo di piazza Tahrir. Questa situazione ha rappresentato un’occasione per pensare al futuro del museo e per individuare le direzioni di sviluppo adeguate in modo coordinato. Giovedì 27 gennaio 2022, alle 18, nuovo appuntamento on line con le conferenze del ciclo “Museo e Ricerca. Scavi, Archivi, Reperti” del museo Egizio di Torino. Heba Abd el Gawad, Corinna Rossi e Irene Morfini con la conferenza “Transforming the Egyptian Museum in Cairo: an Egyptian European Partnership” ci guidano alla scoperta del progetto di riallestimento del museo Egizio de Il Cairo. Introduce Christian Greco, direttore del museo Egizio di Torino. La conferenza in inglese si tiene ONLINE sulla pagina Facebook e sul canale YouTube del museo Egizio.

Il progetto “Transforming the Egyptian Museum in Cairo” ha visto il museo Egizio di Torino guidare un consorzio di musei europei, tra cui l’Ägyptische Papyrussamlung di Berlino, il British Museum, il Louvre e il Rijksmuseum van Oudheden di Leida per disegnare un masterplan complessivo a supporto della riorganizzazione dell’iconico museo egizio de Il Cairo. Per testare e applicare i criteri scelti, ad ogni museo partecipante al progetto è stata assegnata una galleria da riallestire parzialmente e il museo Egizio di Torino si è focalizzato sulla sezione dell’Antico Regno. Heba Abd el Gawad, Irene Morfini e Corinna Rossi presenteranno il lavoro che sta per essere completato, le sfide che questo progetto ha dovuto affrontare, i criteri che sono stati individuati per suggerire il progetto di riallestimento, e i risultati preliminari della conservazione effettuata su alcuni oggetti selezionati.

Heba Abd el Gawad è egittologa e curatrice del museo Egizio di Torino
Heba Abd el Gawad è egittologa e curatrice/coordinatrice del progetto “Transforming the Egyptian Museum in Cairo” per il museo Egizio di Torino. Precedentemente ha co-curato il progetto di mostra “Beyond Beauty: Transforming the Body in Ancient Egypt”, nel 2016, al Two Temple Place; ha curato il progetto Assiut al Dipartimento Egitto e Sudan del British Museum ed è ricercatrice del museo Egizio de Il Cairo, per il Dipartimento Greco e Romano del British Museum relativamente al progetto Naukratis. Recentemente è stata curatrice ospite per la mostra “Listen to her! Turning up the Volume on Egypt’s Ordinary Women” al Petrie Museum of Egyptian and Sudanese Archaeology. Nel 2021 è stata selezionata come una delle 21 donne egiziane più influenti per il suo lavoro sulle comunità riguardo il patrimonio culturale.

L’archeologa Corinna Rossi ideatrice del progetto “Living in a Fringe Environment” (Life)
Corinna Rossi è professore associato di Egittologia al Politecnico di Milano. Si è laureata in architettura a Napoli (Italia) e si è specializzata in Egittologia a Cambridge (UK), dove ha conseguito un MPhil e un PhD e poi è diventata Junior Research Fellow al Churchill College. Il suo principale argomento di ricerca è il rapporto tra architettura e matematica nell’antico Egitto. Ha co-finanziato e co-diretto il North Kharga Oasis Survey insieme a Salima Ikram ed è attualmente direttore della missione archeologica italiana a Umm al-Dabadib (Oasi di Kharga). È membro del team della missione italo-olandese a Saqqara del museo Egizio e del Rijksmuseum van Oudheden oltre che membro della missione congiunta IFAO/Museo Egizio a Deir al-Medina. È direttrice del progetto LIFE (Living In a Fringe Environment) incentrato sul sito archeologico di Umm al-Dabadib con base al Politecnico di Milano in partnership con l’università di Napoli Federico II.

Irene Morfini, egittologa, fa parte del CAMNES (Center for Ancient Mediterranean and Near Eastern Studies)
Irene Morfini è egittologa e archeologa. Nata a Lucca, si è laureata in Egittologia sia all’università di Pisa (Italia) che all’università di Leiden (Paesi Bassi). Nel 2019 ha conseguito il dottorato di ricerca all’università di Leiden sotto la supervisione del dr. Demarée con una tesi sugli atti amministrativi del villaggio di Deir el-Medina. Ha partecipato a numerosi scavi in Italia dal 2000 e in Egitto dal 2007, prima nella Tomba di Harwa (Luxor) e poi a Saqqara. Dal 2013 è condirettore del Min Project a Luxor, lavorando nella tomba di Min. Dal 2011 è vicepresidente dell’associazione delle Canarie di Egittologia svolgendo attività di ricerca, studio e diffusione delle conoscenze nel campo del patrimonio archeologico, storico e scientifico dell’antico Egitto, sviluppando progetti culturali in Egitto, Cuba e Ghana. Dal 2017 fa parte dello staff del CAMNES (Center for Ancient Mediterranean and Near Eastern Studies) che ha organizzato nel 2019 il congresso internazionale Rethinking Osiris. Dal 2019 lavora sul campo per il progetto finanziato dall’UE “Transforming the Egyptian Museum al Cairo”, prima per il museo nazionale delle Antichità di Leida e poi per il museo Egizio.
Torino. Al museo Egizio Vincent Rondot del musée du Louvre su “Nubian studies”: gli ultimi risultati sul culto di Amon a Meroe. Conferenza on line in collaborazione con Acme

Il tema dell’organizzazione del culto di Amon nell’isola di Meroë, cuore dell’Impero Meroitico, è ancora molto aperto. Ne parlerà il professor Vincent Rondot martedì 25 maggio 2021, alle 18, al museo Egizio di Torino, nella conferenza online “Nubian studies”, in collaborazione con ACME.

Se il tema dell’organizzazione del culto di Amon è ancora aperto ci sono molte ragioni: le condizioni di conservazione dei monumenti presenti sull’isola, perlopiù in rovina, compreso il Grande Tempio di Amon annesso alla capitale; la conservazione relativamente buona dei due siti di Naga e Mussawarat es-Sufra, che tendono a catalizzare l’attenzione relativamente a questo tema; e il gran numero di siti che potenzialmente includono un tempio di Amon tra i loro monumenti reali che sono ancora sconosciuti o scarsamente documentati. Da quando è stata avviata nel 2000, la Missione di El-Hassa ha cercato di gettare ulteriore luce su questo argomento: dopo vent’anni, è possibile presentare una serie di nuovi dati che offrono molti spunti (archeologici, architettonici, epigrafici, iconografici e storici) sulla politica e l’evoluzione del culto di Amon nella regione.

Vincent Rondot è direttore del dipartimento di Antichità egizie del museo del Louvre (foto musée du louvre)
Vincent Rondot è direttore del dipartimento di Antichità egizie del museo del Louvre dal 2014 e ricercatore presso il Centre national de la recherche scientifique (CNRS) dal 1997. È stato inoltre membro dell’Institut français of oriental archaeology al Cairo (1988-1992 ) e, dal 2004 al 2009, direttore dell’Unità archeologica francese a Khartoum. Al Louvre ha curato la riorganizzazione della collezione del Dipartimento di antichità egizie (1993-1997). Epigrafista e archeologo, le sue ricerche si concentrano sui culti al dio Amon, sia in Sudan che in Egitto, e sui culti del dio coccodrillo Sobek nel Fayum in epoca greco-romana. I suoi interessi di ricerca più recenti riguardano, tra gli altri, la questione dell’iconografia divina e l’impatto dell’ellenismo durante gli ultimi secoli del paganesimo, sia in Sudan che in Egitto.
Roma. Ai musei Capitolini ricomposta la mano del Colosso di Costantino col frammento di dito della collezione del marchese Campana del Louvre esposta nell’esedra di Marco Aurelio con i bronzi del Laterano

Chi da ieri – 29 aprile 2021 – visita i musei Capitolini a Roma e si ferma nell’Esedra del Marco Aurelio dove sono esposti i bronzi, già in Laterano, donati al Popolo Romano da papa Sisto IV nel 1471, trova una novità che è tale soprattutto per quanti quelle sale le hanno frequentate in passato: la mano del colosso bronzeo di Costantino dei Musei Capitolini appare completa, ricomposta con il frammento del dito in bronzo, coincidente con le due falangi superiori di un indice, proveniente dal Museo del Louvre, grazie alla generosa disponibilità del suo presidente-direttore Jean-Luc Martinez. È di grande significato – sottolineano ai Capitolini – che questa straordinaria ricomposizione della mano con il suo frammento, frutto di una proficua collaborazione tra Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e il Museo del Louvre, avvenga in occasione dei 550 anni della donazione sistina (1471-2021), vero e proprio atto di fondazione delle collezioni capitoline, ma anche a quasi 500 anni dalla loro separazione.

La mano del colosso di Costantino ai musei Capitolini prima dell’integrazione col frammento dal Louvre (foto Graziano Tavan)

La mano del colosso di Costantino ai Musei Capitolini, ricomposta col frammento proveniente dal Louvre (foto Zeno Colantoni)
Il frammento in bronzo arrivò a Parigi nel 1860 insieme a buona parte della collezione del marchese Giampietro Campana, uno dei protagonisti del panorama collezionistico romano degli anni centrali dell’Ottocento. In anni recenti è stato possibile riconoscere la pertinenza del frammento a una delle sculture più iconiche dell’antichità romana, il colosso in bronzo di Costantino, di cui restano ai Musei Capitolini la testa, la mano sinistra, con lacune in corrispondenza del dito indice, del medio, dell’anulare e del palmo, e una sfera un tempo sorretta dalla mano. La conferma dell’eccezionale scoperta è venuta nel maggio del 2018 grazie a una prova effettuata a Roma con un modello 3D del frammento parigino, operazione coordinata da Françoise Gaultier e da Claudio Parisi Presicce. Al successo dell’operazione sono seguiti la realizzazione di un calco in vetroresina della porzione di dito così ricomposta e la presentazione della mano originale, completata con le falangi mancanti, in occasione delle due grandi mostre dedicate alla collezione Campana: “Un rêve d’Italie. La collection du marquis Campana”, al Museo del Louvre, e “A Dream of Italy. The Marquis Campana Collection”, all’Ermitage di San Pietroburgo.

La prima descrizione dei frammenti del colosso bronzeo di Costantino risale alla metà del XII secolo, quando questi si trovavano ancora in Laterano. La maestosità dei resti, in cui per lungo tempo si è voluto riconoscere il colosso del Sole eretto un tempo accanto all’anfiteatro flavio, denominato Colosseo per assimilazione con esso, e la preziosità del materiale sono menzionati in numerose cronache e descrizioni medioevali e quattrocentesche. La mano con il globo (integra) e la testa, ciascuna collocata su un capitello, sono riconoscibili in un disegno attribuito a Feliciano Felice del 1465, in cui campeggia, al centro, la statua equestre del Marco Aurelio, anche questa, fino al 1538, in Laterano. Con il trasferimento in Campidoglio nel 1471, la testa colossale trova la sua sistemazione sotto i portici del Palazzo dei Conservatori. L’ultima attestazione dell’integrità della mano è documentata da fonti databili entro la fine degli anni Trenta del Cinquecento. Testimonianze grafiche, di poco successive, mostrano la mano colossale separata dalla sfera e con l’indice già privo delle due falangi superiori. Il frammento oggi al Louvre, dunque, potrebbe essere entrato nel circuito del mercato antiquario romano già in questa fase molto precoce. Comunque nulla si sa del frammento fino alla sua ricomparsa, nella prima metà dell’Ottocento nella collezione del Marchese Campana. Ulteriori ricerche potranno chiarire le vicende del frammento in questo ampio lasso di tempo.
Torino. Il museo Egizio online non si ferma, mette al centro la ricerca, e raddoppia le conferenze con due calendari 2020-’21, entrambi al via da novembre: il primo con studiosi dall’Italia e dall’estero, su risultati e passi avanti delle ricerche in corso; il secondo con protagonisti i progetti di ricerca curati dal Dipartimento Collezione e Ricerca del museo Egizio

La cura e la cultura: per la stagione 2020/21 il museo Egizio di Torino “raddoppia” con due calendari di conferenze egittologiche, tutte online. A novembre il museo Egizio dà il via al proprio programma di conferenze scientifiche, che per la stagione 2020/2021 si presenta con un doppio calendario di incontri interamente online, incentrati sui temi di ricerca e di indagine egittologica, museale e archivistica, che vedrà alternarsi ricercatori internazionali e curatori del museo. L’istituzione, in linea con i propri principi e le proprie finalità, si propone quindi di diventare un palcoscenico dove egittologi e la comunità scientifica tutta raccontino le ricerche e gli studi condotti rendendoli accessibili a un pubblico ampio, che riunisce addetti ai lavori, appassionati e curiosi. Tutti gli appuntamenti verranno trasmessi in diretta streaming sulla pagina Facebook e sul canale YouTube del museo Egizio. “Uno dei compiti propri di un museo è quello di rendere visibile la ricerca che compie diffondendo i risultati degli studi compiuti e mettendoli a disposizione della comunità scientifica e del pubblico”, dichiara Christian Greco, direttore del museo Egizio. “Un’ambizione che in questo periodo assume una centralità ancora più forte perché ci permette di coltivare e mantenere vivo il fondamentale legame tra il museo e il suo pubblico, oltre che con la comunità scientifica nazionale e internazionale. Questo è possibile grazie a tutti coloro che seguono il museo Egizio e che possono esserne parte attiva non solo visitandolo, ma anche supportandone le attività di ricerca”.

Il primo ciclo di conferenze, realizzato in collaborazione con Acme (Associazione Amici e Collaboratori del Museo Egizio), si concentrerà sulla partecipazione di studiosi provenienti dall’Italia e dall’estero, i quali renderanno noti risultati e passi avanti delle varie ricerche in corso. Tra questi Vincent Rondot, direttore del Dipartimento di antichità egizie del Louvre (25 maggio 2021); Rita Lucarelli, che all’università di Berkeley sta conducendo degli studi sull’arte funeraria egizia utilizzando tecnologie 3D e di realtà aumentata (8 giugno 2021); Ramadan Badri Hussein, che terrà una lezione su alcune recenti scoperte legate agli scavi di Saqqara in Egitto (26 gennaio 2021); e Luigi Prada, membro del Dipartimento di Egittologia dell’università di Oxford e presidente ACME (29 giungi 2021). La prima Conferenza è in programma martedì 24 novembre 2020, a cura di Stefano De Martino dell’università di Torino e del direttore Christian Greco su “Cause, conseguenze e memoria della pandemia che colpì l’Egitto e il Regno Ittita nel XIV secolo a.C.”.

La novità di quest’anno è invece rappresentata dal ciclo di conferenze “Museo e Ricerca. Scavi, Archivi e Reperti”, che vedrà come protagonisti i progetti di ricerca curati dal Dipartimento Collezione e Ricerca del museo Egizio. Un modo per dare evidenza e centralità agli studi in corso sulla collezione, che comprendono sia approfondimenti specifici su singoli reperti o contesti archeologici, sia progetti di più ampio respiro e di interesse generale, sempre connessi alla cultura materiale custodita in museo. Sarà proprio con un incontro tenuto da uno dei curatori del Museo che inizierà la programmazione, che proseguirà fino al mese di giugno 2021: giovedì 12 novembre 2020 alle 18, infatti, sarà una conferenza a cura di Paolo del Vesco sugli scavi della missione congiunta del museo Egizio e del museo Nazionale di Antichità di Leiden a Saqqara a inaugurare la nuova stagione di conferenze egittologiche dell’istituzione.
Il film “Mesopotamia: la stagione dei grandi imperi”, seconda parte della miniserie “Mesopotamia: in memoriam. Appunti su un patrimonio violato” del regista veneziano selezionato per l’8° festival internazionale di Arkhaios (Pittsburgh, Pennsylvania, USA) che, causa Covid.19, sarà on-line

Il resgita Alberto Castellani durante le riprese della collezione mesopotamica “Ugo Sissa” a Palazzo Te di Mantova (foto Graziano Tavan)
La prima parte è stata presentata con successo all’edizione 2019 del Firenze Archeofilm; è stata invitata come evento nella serata conclusiva della Rassegna Internazionale del Film archeologico 2019 di Rovereto; e, sempre nel 2019, ha ottenuto un significativo riconoscimento nell’ambito di Aquileia Film Festival 2019 e di Imagines 2019 a Bologna, dove è stata presentata un’anteprima anche della seconda parte che avrebbe dovuto esordire nella versione definitiva al Firenze Archeofilm 2020: stiamo parlando della miniserie “Mesopotamia in memoriam” del regista veneziano Alberto Castellani, un affresco su quella terra fertile a forma di mezzaluna, dove nacquero civiltà antiche, Sumeri, Assiri, Babilonesi, cui far risalire scoperte come la scrittura o la nascita della società urbana. Il film abbina il racconto delle pagine più significative di quelle antiche civiltà con l’individuazione di ciò che l’uomo ha perduto: si tratta dei dolorosi saccheggi operati dall’Isis ma anche delle razzie operate da regimi diversi e favorite da connivenze colpevoli. Per queste testimonianze perdute – si tratta di sculture, tavolette cuneiformi, sigilli cilindrici – il film sottolinea come sia davvero difficile per le popolazioni della Mesopotamia conservare il legame con la propria terra perché sono venuti meno i riferimenti storici del mondo di cui sono eredi. E rimane, allora, soltanto un gigantesco buco nero di smarrimento e di angoscia sociale. “Il film – ricorda Castellani – gode dell’amichevole consulenza di alcuni eminenti studiosi quali Paolo Matthiae della Sapienza di Roma, Daniele Morandi Bonacossi dell’università di Udine, Paolo Brusasco dell’università di Genova e Massimo Vidale dell’università di Padova.

La presentazione del film di Castellani “Mesopotamia: la stagione dei grandi imperi” sul sito di Arkhaios Film Festival 2020
Ma il Covid-19 ha fatto prima rinviare (due volte) e poi cancellare definitivamente Firenze Archeofilm 2020. Ma dal 5 all’11 ottobre 2020 il film “Mesopotamia: la stagione dei grandi imperi”, diretto e prodotto da Alberto Castellani, Media Venice Comunicazione e Immagine, si potrà vedere on line sulla piattaforma Vimeo perché è stato inserito nella selezione finale di 2020 Arkhaios Cultural Heritage and Archaeology Film Festival di Pittsburgh ( Pennsylvania, USA). E quest’anno, proprio causa Covid-19, l’8° festival internazionale di Arkhaios sarà un’edizione on-line, e quindi si potrà seguire anche dall’Italia. Basta seguire le modalità di iscrizione sul sito http://www.arkhaiosfilmfestival.org/home.html. Soddisfatto Castellani che ha realizzato una versione in lingua inglese del film proprio per facilitarne una diffusione in ambito internazionale: “Siamo onorati che il film “ Mesopotamia: la stagione dei grandi imperi” sia stato prescelto ed inserito a rappresentare l’Italia in una così autorevole manifestazione. Ci auguriamo anche che questa produzione possa suscitare l’interesse di organizzazioni culturali e di networks sensibili al mondo dell’archeologia ed in particolare alle vicende del Vicino Oriente, purtroppo protagonista, in questi anni, di tragiche vicende”.
Arkhaios 2020 propone quattordici film di grande qualità e vasta gamma di argomenti, risultato di una rigorosa selezione. Registi di tutto il mondo hanno proposto i loro film, tra cui Argentina, Bangladesh, Brasile, Canada, Cile, Cipro, Repubblica Dominicana, Francia, Germania, Grecia, Iran, Italia, Messico, Polonia, Polinesia, Portogallo, Singapore, Spagna, Turchia e Stati Uniti. Il festival è sponsorizzato da The Friends of Arkhaios; The South Carolina Institute of Archaeology & Anthropology (SCIAA), University of South Carolina; The Department of Anthropology, University of South Carolina; The Greater Piedmont Chapter of The Explorers Club; The Council of South Carolina Professional Archaeologists (COSCAPA); The Department of Anthropology, University of Pittsburgh; The Allegheny Chapter #1, and the Ohio Valley Chapter #22, of the Society for Pennsylvania Archaeology (SPA). Arkhaios Cutural Heritage and Archaeology Film Festival considerato tra le più importanti manifestazioni internazionali del settore, ha confermato anche quest’anno, secondo lo spirito degli organizzatori, la propria linea editoriale: quella di promuovere il racconto di “una storia sia locale che globale, traendo ispirazione da produzioni che si ispirino alle radici della nostra civiltà così da meglio comprendere popoli appartenenti a culture provenienti da ogni parte del mondo” (dr. Costal Ganiewicz, president and CEO Coastal Discovery Museum – dr Stefen Smith, University of South Carolina, Director Institute of Archaeology and Anthropology).
“Mesopotamia: in memoriam. Appunti su un patrimonio violato”. Dopo “Kaled Asaad: quel giorno a Palmira”, realizzato dal regista veneziano Alberto Castellani sull’onda dell’orrore suscitato per l’eccidio del direttore del museo di Palmira, è nata una miniserie in due puntate di 50’ l’una (in italiano e in inglese) a cura dello stesso autore: “Mesopotamia in memoriam. Appunti su un patrimonio violato”. Il programma rappresenta il ritorno dell’autore sulle terre martoriate del Vicino Oriente e affronta il dramma in termini sociali e culturali che sta vivendo la Mesopotamia ed in particolare l’Iraq. C’erano una volta due fiumi, il Tigri e l’Eufrate, e tutt’attorno una terra fertile a forma di mezzaluna, dove nacquero civiltà antiche, a cui far risalire scoperte come la scrittura o la nascita della società urbana. Ora possiamo definirla come la tomba della civiltà della Mesopotamia. L’elenco di ciò che l’uomo ha perduto è oggi impossibile, si tratta di saccheggi operati dall’Isis che non hanno alcuna giustificazione: men che meno quella della distruzione dell’idolatria. Ma si tratta anche di razzie operate da regimi diversi e favorite da connivenze colpevoli. Per queste testimonianze perdute, si tratta di sculture, tavolette cuneiformi, sigilli cilindrici, risulta difficile se non impossibile per le popolazioni della Mesopotamia conservare il legame con la propria terra perché sono venuti meno i riferimento storici del mondo di cui sono eredi. E rimane allora soltanto un gigantesco buco nero di smarrimento e di angoscia sociale. Tutto finito dunque, nessuna speranza per il futuro? Per dare un senso al domani, il film si chiede allora perché il bassorilievo di un toro antropomorfo del primo millennio assiro fa ancora paura a ciò che resta del califfato, perché le statue di Mosul spaventano tanto che i suoi sgherri , le hanno fatte a pezzi, si sono accanite su di esse , le hanno gettate al suolo sbriciolate come se fossero nemici armati o ribelli. Perché forse, è la risposta dell’Autore in sintonia con quanto è già stato scritto da autorevoli testimoni, le pietre, le statue, i templi parlano. Parlano più dei sermoni e dei discorsi e tutti possono leggere quelle tracce. Allora bisogna ucciderle, quelle pietre, polverizzarle per affermare che la Storia è stata scritta di nuovo e definitivamente. Altrimenti l’impalcatura della finzione cade, l’avvento islamista diventa arbitrario, incerto, una parentesi che prima o poi finirà. Le riprese hanno interessato i maggiori musei Europei, in particolare il Louvre, il British Museum ed il Pergamon Museum di Berlino. Le riprese in Iraq e Kurdistan Iracheno sono state realizzate in collaborazione con l’università di Udine.
Padova. Ultimo week end per visitare “L’Egitto di Belzoni”, la grande mostra sull’esploratore patavino che ha contribuito in modo significativo a “importare” in Europa le meraviglie della terra dei Faraoni

La locandina della mostra “L’Egitto di Belzoni. Un gigante nella terra delle piramidi” a Padova fino al 28 giugno 2020: prorogata al 26 luglio 2020
Ultimo weekend per visitare “L’Egitto di Belzoni”, la grande mostra sulle incredibili avventure dell’esploratore padovano al Centro Culturale Altinate San Gaetano di Padova: la mostra dedicata a Giovanni Battista Belzoni, l’esploratore patavino che ha contribuito in modo significativo a “importare” in Europa le meraviglie della terra dei Faraoni, termina il 26 luglio 2020. Sono le ultime occasioni per rivivere le magnifiche gesta del “Gigante del Nilo”, un personaggio unico che con il suo inconfondibile carisma ha affascinato e ispirato il regista George Lucas nella creazione di “Indiana Jones e i Predatori dell’arca perduta” (1981). Promossa dall’assessorato alla Cultura del Comune di Padova, con il sostegno della Camera di Commercio di Padova, il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e organizzata dal Consorzio Città d’Arte del Veneto e dall’agenzia di comunicazione Gruppo Icat, “L’Egitto di Belzoni” è la prima mostra italiana che restituisce la vera dimensione e il giusto valore al grande esploratore padovano. E lo fa attraverso un percorso che affianca l’esposizione di reperti originali ad un percorso immersivo che si avvale delle più recenti tecnologie multimediali al fine di regalare ai visitatori un’esperienza ad alto impatto emozionale.

Ritratto di Giovanni Battista Belzoni,, nato a Padova nel 1778 e morto nel 1823 a Gwato, oggi in Nigeria
“Ultimi giorni per scoprire la straordinaria vita di Belzoni”, afferma Andrea Colasio, assessore alla Cultura del Comune di Padova. “Una bellissima occasione per ammirare per l’ultima volta importanti reperti storici provenienti da musei di caratura nazionale e internazionale quali il Louvre, il Museo Egizio di Torino, il British Museum o la Cambridge University Library. Una mostra da non perdere che, per la prima volta in Italia, racconta le avventure di un grande precursore dell’egittologia moderna”. E Claudio Capovilla, presidente di Gruppo Icat: “Sta per concludersi un importante capitolo della storia culturale di Padova – dichiara–. Per questo, invito tutti coloro che ancora non hanno avuto l’opportunità, di visitare la mostra in queste ultime settimane. Sarà un momento unico per scoprire un personaggio affascinante e fuori dagli schemi, che ha avuto il merito di far conoscere l’Egitto in Italia e in tutta Europa”.
Orari e biglietti. La mostra “L’Egitto di Belzoni” è aperta al pubblico fino al 26 luglio 2020 nei seguenti orari: venerdì dalle 10 alle 18; sabato e domenica dalle 10 alle 20. Infine, per quando riguarda i biglietti d’ingresso, continuano gli sconti applicati sulle entrate con un’offerta pensata per tutti (famiglie, bambini, gruppi): la tariffa intera è 12 euro invece che 16, e quella ridotta – quindi i ragazzi dai 6-17 anni, gli studenti universitari dai 18 ai 25 con presentazione documento appropriato, over 65, persone disabili dai 18 anni e convenzionati – è 10 euro invece che 14. L’ingresso in mostra è possibile fino a un’ora e mezza prima della chiusura. Le viste guidate per singoli o gruppi inferiori a 10 persone sono attivate ogni venerdì alle 16, sabato e domenica alle 11 e alle 17. Informazioni e prenotazioni gruppi@legittodìbelzoni.it
Padova. Prorogata di un mese la grande mostra “L’Egitto di Belzoni. Un gigante nella terra delle piramidi”: 150 opere da tutta Europa, disegni e racconti per conoscere la vita, la storia e l’Egitto di un personaggio sui generis, il padovano Giovanni Battista Belzoni, esploratore, attore, ingegnere esperto di idraulica, scopritore dei templi di Abu Simbel, della tomba di Seti I, dell’accesso alla piramide di Chefren

La locandina della mostra “L’Egitto di Belzoni. Un gigante nella terra delle piramidi” a Padova fino al 28 giugno 2020: prorogata al 26 luglio 2020
Un altro mese, ancora un altro mese per una full immersion nell’Antico Egitto sulle orme del padovano Giovanni Battista Belzoni. La grande mostra “L’Egitto di Belzoni. Un gigante nella terra delle piramidi” curata da Francesca Veronese e da Claudia Gambino, con la quale la sua città natale ha voluto celebrare i 200 anni dal suo ritorno dall’Egitto esponendo al Centro Culturale Altinate San Gaetano di Padova reperti originali, disegni e racconti che narrano l’epopea di questo personaggio sui generis, avrebbe dovuto chiudere il 28 giugno 2020. La mostra dedicata all’esploratore Giovanni Battista Belzoni rimarrà aperta fino al 26 luglio 2020. L’evento è promosso dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Padova, dal Consorzio Città d’Arte del Veneto, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e organizzata dall’agenzia di comunicazione gruppo Icat. Turisti e cittadini di Padova e Provincia hanno quindi qualche settimana in più per conoscere le gesta eroiche di un personaggio straordinario che la mostra ha contribuito a far conoscere in tutta Italia e in Europa grazie all’afflusso di persone da ogni angolo del Paese e dall’estero. Fino al 26 luglio 2020 ci sarà la possibilità di visitare la mostra al Centro Culturale Altinate San Gaetano con particolari sconti e con un’offerta pensata per tutti (famiglie, bambini, gruppi): il biglietto intero sarà a 12 euro invece che 16 euro e i ridotti (quindi i ragazzi dai 6-17 anni, gli studenti universitari dai 18 ai 25 con presentazione documento appropriato, over 65, persone disabili dai 18 anni e convenzionati) saranno a 10 euro invece che 14 euro. La mostra sarà aperta giovedì e venerdì dalle 10 alle 18, sabato e domenica dalla 10 alle 20. È possibile, inoltre, prenotare visite guidate per i gruppi in qualsiasi giorno e orario di apertura; le visite guidate per singoli o gruppi inferiori a 10 persone sono attivate ogni venerdì alle 16, sabato e domenica alle 11 e alle 17. Informazioni e prenotazioni gruppi@legittodìbelzoni.it

Francesca Veronese curatrice della mostra “L’Egitto di Belzoni. Un gigante nella terra delle piramidi” a Padova (foto Graziano Tavan)
“La possibilità di prorogare di un mese la chiusura”, dichiara Andrea Colasio, assessore alla Cultura del Comune di Padova, “è un evento eccezionale, soprattutto perché non era scontato che i prestigiosi musei prestatori concedessero le loro opere. Turisti e visitatori potranno così fare esperienza ancora per qualche settimana della straordinaria vicenda umana e storica di Belzoni in un contesto di sicurezza. È anche un segno importante di ripartenza e di rinascita culturale per Padova e per tutti gli appassionati di storia e dell’Egitto”. E Claudio Capovilla, presidente di Gruppo Icat, anticipa: “Stiamo lavorando anche per ipotizzare un proseguo che coinvolga tutta la città. L’Egitto di Belzoni, infatti, è un progetto che ha vissuto in simbiosi con Padova, coinvolgendo ristoratori, aziende, istituzioni: su questo concept stiamo sviluppando delle idee che potranno prendere vita nei prossimi mesi. Pur avendo subito una chiusura prolungata, dovuta alla pandemia, la mostra è rimasta nei cuori delle persone e questo ci spinge a trovare nuovi modi per coinvolgere turisti e cittadini”.
Il padre della moderna egittologia. Un personaggio fuori dagli schemi che ha avuto il merito di far conoscere l’Egitto in Italia e in tutta Europa. Il padovano Giovanni Battista Belzoni (1778-1823) è stato esploratore, attore, ingegnere esperto di idraulica: è difficile racchiudere in una definizione una personalità esuberante che in pochi conoscono ma che ha contribuito in modo significativo a “importare” nel Vecchio Continente le meraviglie della terra dei Faraoni. Il percorso della mostra racconta la vita del “grande Belzoni” alternando sistemi di visita tradizionali, con teche e pannelli esplicativi, a momenti di grande impatto emotivo con il ricorso a tecnologie innovative, effetti multisensoriali e multimediale a effetto immersivo. Ricostruzioni ambientali e ricostruzioni evocative di oggetti di grandi dimensioni in scala reale suggeriscono l’entità delle imprese belzoniane anche dal punto di vista tecnico.
Il percorso espositivo diventa a tratti uno spazio scenico che coinvolge il visitatore in spettacoli teatrali e in giochi d’acqua virtuali; uno spazio in cui l’alternarsi di passaggi stretti e labirintici, evocativi del percorrere cunicoli all’interno delle sepolture, e di spazi più ampi suscita continuamente il desiderio vedere che cosa accadrà dopo. Il percorso è arricchito da postazioni multimediali interattive, con monitor touch screen, per approfondimenti su temi specifici. Una grande mostra con la ricostruzione fedele degli ambienti grazie ad affascinanti effetti speciali e innovative tecnologie digitali. Tema i tre viaggi compiuti lungo il Nilo agli inizi dell’Ottocento, molti i preziosi reperti presenti provenienti da diversi musei italiani ed esteri, alcuni dei quali esposti per la prima volta al pubblico. Un impatto emozionale forte, rappresentato dall’immersione del visitatore negli scenari che Belzoni si ritrovò davanti ai suoi occhi, per rivivere così, in una sorta di diretta, le esplorazioni e i ritrovamenti di allora. Grazie infatti alle inedite soluzioni tecnologiche creative e multimediali proposte dal team di artisti di DrawLight, scientificamente ideate, “costruite e allestite” per veicolare messaggi ed emozioni, il pubblico si trasforma magicamente in infiniti Belzoni. Si addentra nelle straordinarie tombe, nei meravigliosi templi, nel buio delle Piramidi, lottando per le fatiche e assimilando al tempo stesso il piacere della scoperta.

Giovanni Battista Belzoni nel ritratto del pittore Vincenzo Gazzotto conservato nei musei civici di Padova (foto Graziano Tavan)
Fino agli inizi dell’Ottocento nella vecchia Europa l’Egitto e la sua cultura millenaria erano una realtà pressoché sconosciuta. Le prime, importanti conoscenze iniziarono a diffondersi con la campagna napoleonica del 1798-1801: al seguito di Napoleone era partita, infatti, anche una folta commissione di studiosi con il compito di raccogliere e censire dati sull’archeologia, la storia e la natura di quelle terre lontane e misteriose. Dati poi destinati a confluire nella poderosa Description de l’Égypte pubblicata in più volumi a partire dal 1809. Il processo era solo all’inizio. Uno straordinario avanzamento nella conoscenza di tante realtà che oggi costituiscono mete ben note dei viaggi turistici in Egitto si deve a un padovano, un personaggio tanto eccezionale e ‘fuori dagli schemi’, quanto poco ricordato: Giovanni Battista Belzoni. Nato nel borgo del Portello nel 1778, Belzoni fu uomo dall’intelligenza acuta ed esploratore infaticabile; una figura che, per lo spirito di avventura e le ‘missioni impossibili’ affrontate, ha finito con l’ispirare perfino il mondo del cinema. Non molti sanno, infatti, che George Lucas, il regista di Guerre Stellari, quando nel 1981 creò l’Indiana Jones dei Predatori dell’arca perduta, lo fece pensando proprio alla vita del padovano Belzoni. Figlio di un barbiere, Giovanni Battista fin da giovane si sentì imprigionato in un mondo dagli orizzonti troppo angusti e, sedicenne, riuscì a lasciare l’ambiente padovano per avviarsi a Roma, la città eterna. Qui intraprese la via degli studi, dedicando particolare attenzione al settore dell’idraulica.
La seconda vita: attore e uomo di spettacolo. Dopo aver vissuto a Parigi, e poi in Olanda, nel 1803 approdò in Inghilterra, dove sposò una giovane donna di Bristol, Sarah Banne, ed entrò nel mondo dello spettacolo nella compagnia teatrale di Isac Dibdin. Era infatti divenuto un uomo dall’eccezionale altezza – era un gigante alto 2 metri e 10 – che si faceva notare anche per la bellezza. Avvenenza e prestanza fisica lo portarono a perfezionare sul palcoscenico un numero di abilità, la cosiddetta ‘piramide umana’, nel corso del quale, grazie a un’apposita cintura, riusciva a tenere sulle proprie spalle ben 11 persone. In questo ruolo divenne un personaggio molto popolare e si guadagnò l’epiteto di ‘Sansone Patagonico’. Spesso poi gli spettacoli si concludevano con giochi d’acqua di sua invenzione, molto apprezzati dal pubblico. Ma di questa fase della sua vita successivamente non andò fiero.
Il primo contatto con l’Egitto. Nel 1813 intraprese un viaggio in Spagna in compagnia di Sarah e del domestico James Curtin; di qui si spostò poi in altre zone del Mediterraneo. L’anno successivo, mentre si trovava a Malta, venne a sapere che il pascià dell’Egitto Mohamed Alì cercava degli europei in grado di sottoporgli un’invenzione utile a risolvere la siccità che affliggeva il paese. Fu così che Belzoni, grazie alle ottime conoscenze di idraulica, nel 1815 sbarcò in Egitto, progettò una macchina per l’irrigazione dei campi e la presentò al pascià. La macchina idraulica fu messa in moto, sia pure con qualche disavventura iniziale, ma il progetto finì con il naufragare a causa del malumore che suscitò tra la popolazione, allarmata nel vedere la manodopera soppiantata dalla macchina. Una volta giunto in Egitto, Belzoni iniziò a subire il fascino di una cultura tanto antica, quanto ancora quasi sconosciuta. In poco tempo conobbe diversi personaggi di rilievo: primo fra tutti Gian Luigi Burckhardt, studioso e noto orientalista svizzero, a cui lo legò una sincera amicizia. Conobbe poi Henry Salt, console inglese al Cairo e appassionato ricercatore di antichità, con cui i rapporti non furono sempre facili. Conobbe, infine, Bernardino Drovetti, console francese al Cairo, di origini piemontesi. Personaggio determinato, ex soldato napoleonico, anche Drovetti era un appassionato di antichità egizie. Inizialmente i rapporti tra i due furono buoni, poi finirono per guastarsi in modo irrimediabile.
Le scoperte archeologiche. Nel 1816 Belzoni decise quindi di intraprendere un viaggio lungo il Nilo, nel corso del quale rimase letteralmente abbagliato da ciò che andava vedendo. Primo a mettere piede in luoghi inesplorati, Belzoni si sottopose a sforzi fisici enormi, si adattò a vivere in condizioni estreme all’interno di tombe usate come riparo di fortuna, a soffrire il caldo, la sete e la fame. Ma il desiderio di scoprire, di comprendere e di documentare ebbe sempre il sopravvento. Al primo viaggio ne seguirono altri due, nel 1817 e nel 1818 e Sarah fu sempre al suo fianco. La sua arguzia, l’intelligenza e la forza fisica si unirono a una straordinaria capacità di dialogo con le popolazioni locali, da cui riuscì a ottenere l’aiuto necessario per compiere imprese al limite dell’impossibile. A lui si deve il trasporto del busto colossale del ‘giovane Memnone’ – in realtà Ramses II, dal peso di circa 7 tonnellate – da Tebe ad Alessandria e da lì a Londra, dove oggi campeggia al British Museum. A lui si deve anche il disseppellimento delle strutture templari di Abu Simbel, nella Nubia: voluti da Ramses II, i due templi, scavati nella roccia, nel corso dei secoli erano stati completamente ricoperti dalla sabbia. Dopo un lavoro estenuante, condotto a temperature al limite della sostenibilità fisica e con la riluttanza della manodopera, Belzoni riuscì ad entrare nel tempio principale il 1° agosto del 1817. Qui, sul muro settentrionale del santuario, appose la sua firma: un segnale indispensabile, vista la corsa alle antichità che si stava mettendo in moto, senza esclusione di colpi da parte dei partecipanti.

La sala dedicata alla scoperta di Abu Simbel con la sfinge a testa di falco conservata British museum di Londra (foto Graziano Tavan)
Ancora a Belzoni si deve il trasporto in Inghilterra dell’obelisco da lui rinvenuto nell’isola di File, oggetto di un’aspra contesa con Drovetti: un monumento alto quasi 7 metri, oggi esposto Kingston Lacy nel Dorset, che si rivelerà fondamentale per la decifrazione dei geroglifici. E ancora sono opera di Belzoni gli scavi nel tempio di Karnak e la scoperta di numerose tombe faraoniche nella Valle dei Re. Tra queste, la tomba Seti I, padre di Ramses II: una tomba sotterranea “grande e magnifica”, come egli stesso la definì, lunga circa 140 metri, dotata di 11 stanze, tutta rivestita di decorazioni e contente uno splendido sarcofago in alabastro. È ancora merito dell’esploratore padovano la scoperta del varco d’accesso alla piramide di Chefren, ritenuta fino ad allora impenetrabile. Dopo giorni di indagini, di osservazioni e tentativi, riuscì finalmente a capire dove scavare per entrare, per poi strisciare lungo cunicoli e corridoi fino alla camera sepolcrale. Anche qui egli pose la sua firma, a scanso di equivoci e rivendicazioni sulla scoperta: “Scoperta da G. Belzoni. 2.mar.1818”. E a lui si deve anche la scoperta di Berenice, ricca città carovaniera affacciata sul mar Rosso, di cui nei secoli era andata perduta la memoria.

Una delle due statue colossali della dea Sekhmet donate da Belzoni alla sua Padova (foto musei civici)
Il ritorno in Europa. Alla fine del 1818 Belzoni decise di rientrare in Europa a causa di dissidi e spiacevoli incidenti con Drovetti. Nel frattempo, per amore nei confronti della sua città natale, inviò a Padova due colossali statue in diorite raffiguranti la dea leontocefala Sekhmet, rinvenute durante gli scavi nell’antica Tebe: inizialmente collocate nel Salone del Palazzo della Ragione, oggi le due statue accolgono il visitatore nella sala dedicata a Belzoni del museo Archeologico. Rientrato in Europa, nel 1819 giunse a Padova, dove venne accolto con grande festa da cittadini e notabili padovani ed entrò in amicizia con l’architetto Giuseppe Jappelli, che si lasciò forse in parte suggestionare dai racconti belzoniani sull’Egitto quando progettò la sala egizia al piano nobile del Caffè Pedrocchi. Di seguito tornò a Londra e nel 1820 pubblicò in inglese il Narrative of the Operations and Recent Discoveries Within the Pyramids, Temples, Tombs and Excavations in Egypt and Nubia and of a Journey to the Coast of the Red Sea, in search of the ancient Berenice; and another to the Oasis of Jupiter Ammon, una sorta di reportage delle sue esplorazioni in Egitto e in Nubia da cui emergono la grande conoscenza acquisita sull’antico Egitto, ma anche osservazioni e considerazioni di notevole rilievo.
Di nuovo in Africa per scoprire le sorgenti del Niger. Divenuto un personaggio assai celebre, ma sempre inquieto e alla ricerca di nuovi orizzonti, nel 1823 decise di partire nuovamente per l’Africa. Questa volta ad attirarlo fu il versante occidentale. Molto si favoleggiava sulle sorgenti del Niger, allora sconosciute, e sulla città di Timbuctu: tutti gli esploratori che si erano addentrati lungo il corso del fiume, non avevano fatto più ritorno. Organizzata la spedizione, alla quale non prese parte la moglie Sarah, Belzoni sbarcò nel possedimento britannico di Cape Coast, con il commerciante John Houtson, il 22 novembre. Di lì, con un salvacondotto del Re del Benin, si avviò verso l’interno, ma il 3 dicembre morì a Gwato (Regno del Benin, oggi Ughoton, Nigeria), a 45 anni, in circostanze non del tutto chiare: forse un avvelenamento, ufficialmente una malattia tropicale. La notizia della sua morte arrivò in Europa 5 mesi dopo. La moglie Sarah gli sopravvisse per 47 anni e trascorse tutta la vita nel ricordo del marito, coltivandone la memoria.

La coppa d’oro di Djehuti conservata al Louvre di Parigi, già parte della collezione Droveti (foto Graziano Tavan)
A Padova reperti dal Louvre e dal Bristish Museum. La storia e le scoperte di Belzoni hanno avuto una grande eco in Europa. Prova ne è il fatto che sono esposte in prestigiosi musei a Londra e a Parigi. Dal British Museum, infatti, è arrivata a Padova una sfinge a testa di falco rinvenuta da Belzoni ad Abu Simbel: in mostra si possono vedere, accoppiati, sia il disegno che l’esploratore fece della sfinge sia il reperto vero e proprio. Dal Louvre, invece, è arrivata una coppa in oro, decorata a sbalzo, che faceva parte di un corredo funerario, e oggi parte della collezione Drovetti, il grande amico e nemico di Belzoni. Da Bristol arrivano invece alcuni disegni, realizzati a mano da Belzoni e da Alessandro Ricci, altro collega esploratore del padovano, che rappresentano le decorazioni della tomba di Seti I. Sempre appartenenti alla tomba di Seti I sono le statuette in legno da Bruxelles, mentre dalla Cambridge University Library sono in mostra alcuni disegni di Johann Ludwig Burckhardt, grande studioso e amico di Belzoni. Di Burckhardt c’è inoltre un interessante quaderno di grammatica araba, utilizzato all’epoca per comunicare con gli egiziani.
Le 150 opere esposte – fra scritti, disegni, tavole e reperti – riscostruiscono un panorama suggestivo e inedito dell’Egitto: è, appunto, l’Egitto di Belzoni, quindi quello di inizio ‘800, territorio ancora tutto da esplorare e da conoscere che è stato luogo di amicizie e collaborazioni, ma anche di dispute fra i vari archeologi e personaggi che gravitavano nell’area del Nilo. In mostra, infatti, ci saranno sia reperti che raffigurano il grande culto delle divinità in Egitto, come la statuetta di Thot in forma di Ibis o il rilievo della dea Maat, ma anche alcuni frammenti che raccontano, per esempio, la centralità della musica nella cultura egizia. Infine, le tavole e i disegni che arricchivano il Narrative scritto da Belzoni con le raffigurazioni delle sue “imprese impossibili”: una graphic novel ante litteram, che ha di fatto reso famoso nel mondo, più che in Italia, la figura di Giovanni Battista Belzoni.

Il modello della piramide di Chefren in scala 1:15 realizzato per la mostra “L’Egitto di Belzoni” (foto Icat)
Al San Gaetano la ricostruzione della piramide di Chefren. È la sorpresa finale di tutto il percorso espositivo: nel grande atrio del San Gaetano è riprodotta in scala 1 a 15 la grande piramide di Chefren, alta circa 10 metri e con base di 15 metri. Fra le principali piramidi dell’area di Giza, e all’epoca di Belzoni ritenuta ancora impenetrabile, l’esploratore riuscì, dopo lunghi giorni di tentativi, a scoprire un varco di accesso. Una volta entrato, scavando e strisciando lungo i cunicoli e i corridoi arrivò alla camera sepolcrale dove pose la sua firma: “Scoperta da G. Belzoni. 2.mar.1818”.
“Le Passeggiate del Direttore”: col 26.mo appuntamento il direttore del museo Egizio, Christian Greco ci fa conoscere la sepoltura di Petamenofi di età adrianea proveniente dalla tomba della famiglia Soter che ha riutilizzato una tomba di età ramesside. I corredi di età romana sono sparsi in tutta Europa: obiettivo dell’Egizio ricomporlo in una grande mostra nel 2021
C’è una tomba al museo Egizio di Torino che ben racconta l’ibridazione della cultura egizia con la cultura greca nella fase greco-romana dell’Antico Egitto: è la tomba della famiglia Soter, una parte del cui corredo è arrivato anche al museo torinese. Ce ne parla Christian Greco nel 26.mo appuntamento con le “Passeggiate del direttore” dedicato a “Petamenofi e l’Egitto Romano”. La narrazione parte dalla TT32, la tomba tebana 32 del periodo ramesside appartenuta a Djehutymes, intendente al tempio di Amon, e alla moglie Aset, dei quali sono esposti al museo Egizio due coperchi di sarcofagi, in granito rosa. “Più di 1300 anni dopo, all’età di Traiano e Adriano”, racconta Greco, “la tomba viene riutilizzata dalla famiglia di Soter che la riserva a tutti i componenti della famiglia. Oggi il corredo delle sepolture dei componenti della famiglia Soter è sparso in tutta Europa. Soter e il corredo di Soter si trova al British Museum; i loro figli si trovano al Louvre di Parigi; un’altra loro figlia, Sensao, si trova al museo nazionale delle Antichità di Leiden; e proprio Sensao è la zia di Petamenofi che è conservato al museo Egizio di Torino. I fratelli e i cugini di Petamenofi sono al Neues Museum di Berlino. Proprio data l’importanza di tutto ciò, il museo Egizio di Torino sta lavorando, nella fattispecie la nostra curatrice Susanne Töpfer, alla ricomposizione di questo corredo per una mostra che dovremmo aprire nel 2021”.

Il sarcofago a pilastrini di Petamenofi (età adrianea) conservato al museo Egizio di Torino (foto museo Egizio)
Nella sepoltura di Petamenofi ritroviamo elementi antico-egizi che vengono recuperati. “Innanzitutto il sarcofago”, fa notare Greco. “La forma, che abbiamo imparato a conoscere, quella che vedevamo nei sarcofagi all’inizio della storia egizia, è a cassa con un coperchio bombato e con dei pilastri. In una delle puntate precedenti il sarcofago a pilastrini di Hori (VII sec. a.C.) è stato definito un cosmogramma. Ma qui la decorazione è completamente diversa. C’è una colonna di testo al centro in geroglifico, che ci riporta alla tradizione. Poi però nella lunetta c’è anche un testo scritto in greco, la lingua che si parlava, la lingua della burocrazia. In quel momento era il greco la lingua dell’impero romano d’oriente. E per vedere come la tradizione sia ancora vivente è interessante guardare la raffigurazione che si trova sulla parte inferiore della cassa, che con elementi nuovi ripropone però iconografie antico-egizie. C’è un geroglifico sopra, una piccola giara, che si legge “nw”, “nwt”, e quindi è la raffigurazione della dea Nut. E al contempo è interessante osservare la mummia. Si continua a mummificare i morti, quindi questo mondo greco-romano guarda con grande interesse alla tradizione millenaria dell’antico Egitto. I greci -l’abbiamo già sottolineato – guardavano sempre con grande attenzione all’antico Egitto come luogo di una storia millenaria, di tradizioni che si erano sedimentate, e un luogo di grande cultura e di grandi conoscenze. Addirittura Platone, nel libro decimo della Politeia, scaccia l’arte dalla città ideale, ad eccezione di quella egizia che invece deve essere mantenuta”.
“Quindi la mummificazione c’è ancora: la preservazione del corpo, perché il corpo deve essere wejat, deve essere conservato, il defunto deve essere assimilato a Osiride; la presenza poi della dea Nut, che abbiamo già visto nel sarcofago di Hori, veniva acclamata ricordando il capitolo 368 del Libro dei morti. Ma la mummia ha anche nuove caratteristiche. Non solo gli intrecci ci permettono di datare la mummia all’età di Adriano, siamo dunque in piena età imperiale, ma è anche interessante notare la posizione della testa. Il mento è schiacciato contro il petto e la testa sembra rialzata. Questo è un elemento tipico delle mummie di età romana. Infatti la testa si alza, il corpo si risveglia e il defunto non è più in quel torpore della morte, ma si solleva e comincia quindi la resurrezione. Eco quindi il simbolo, l’elemento, di resurrezione, l’augurio di resurrezione tipico dell’età romana che riscontriamo in queste mummie”.
Bologna. Al museo civico Archeologico riapre la grande mostra “Etruschi. Viaggio nelle terre dei Rasna”, grazie a Istituzione Bologna Musei ed Electa, e alla solidarietà dei gran musei europei prestatori: biglietti solo on line e ingressi contingentati. In 75 minuti si possono ammirare 1400 oggetti che dialogano con la collezione bolognese

Guerriero proveniente da un acroterio di Cerveteri, conservato al Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen (foto Ole Haupt)
Il viaggio alla scoperta degli Etruschi può riprendere. Proprio da Bologna, dove l’8 marzo 2020 era stato interrotto bruscamente per decreto governativo. Ma ora il coronavirus fa meno paura. Così, come annunciato e in qualche modo promesso alla riapertura del museo civico Archeologico di Bologna, sabato 6 giugno 2020 riprende la grande mostra “Etruschi. Viaggio nelle terre dei Rasna”, allestita proprio al museo civico Archeologico di Bologna. L’ambizioso progetto dedicato alla civiltà etrusca – circa 1400 oggetti esposti su oltre 1000 metri quadrati di superficie espositiva – sarà visitabile fino al 29 novembre 2020, grazie all’impegno congiunto di Istituzione Bologna Musei ed Electa e alla disponibilità di tutti i prestatori coinvolti che, con generoso spirito di solidarietà, hanno acconsentito a rendere possibile l’apertura, tra cui il British Museum di Londra, il Musée du Louvre di Parigi, il Musée Royal d’Art d’Histoire di Bruxelles, il Ny Carlsberg Glyptotek di Copenhagen e i Musei Vaticani. L’esposizione è progettata e promossa da Istituzione Bologna Musei | Museo Civico Archeologico, in collaborazione con la Cattedra di Etruscologia e Archeologia italica di Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, realizzata da Electa e posta sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana. Il progetto scientifico è a cura di Laura Bentini, Anna Dore, Paola Giovetti, Federica Guidi, Marinella Marchesi, Laura Minarini (Istituzione Bologna Musei | Museo Civico Archeologico) e Elisabetta Govi, Giuseppe Sassatelli (Cattedra di Etruscologia e Antichità Italiche Alma Mater Studiorum Università di Bologna). Il progetto di allestimento è a cura di Paolo Capponcelli, PANSTUDIO architetti associati.

Una sala della mostra “Etruschi. Viaggio nelle Terre dei Rasna” allestita da Paolo Capponcelli (foto Roberto Serra / Iguana / Electa)
“Abbiamo riaperto i musei, al termine del lockdown, per ridare ai bolognesi, e ora ai turisti, la possibilità di visitarli, e fare apprezzare loro il nostro patrimonio artistico e scientifico”, dichiara Matteo Lepore, assessore alla Cultura e Promozione della città del Comune di Bologna. “La notizia dell’apertura della mostra ‘Etruschi. Viaggio nelle terre dei Rasna’ è per noi molto importante perché aggiunge ai nostri percorsi culturali un itinerario di qualità, dando la possibilità di vivere la storia degli Etruschi attraverso opere provenienti da tutto il mondo. Ringrazio l’Istituzione Musei, i dipendenti del museo Archeologico ed Electa per questo importante accordo raggiunto”. E Roberto Grandi, presidente Istituzione Bologna Musei, commenta: “Siamo felici di offrire ai turisti e ai bolognesi l’esperienza unica di un viaggio nel tempo e nello spazio abitato dalle popolazioni etrusche. Aprire la mostra per questi 6 mesi è stato possibile, in primo luogo, perché i 60 musei ed enti prestatori hanno ritenuto che la grande qualità dell’esposizione giustificasse la concessione per un tempo così lungo di opere spesso tra le più significative delle loro collezioni. Siamo certi che questo sforzo congiunto di tante importanti istituzioni italiane e internazionali verrà ripagato da una presenza di pubblico numerosa che testimonia la curiosità e l’interesse per una civiltà che si è sviluppata dall’Italia meridionale fino al nostro territorio”. Sottolinea a sua volta Maurizio Ferretti, direttore Istituzione Bologna Musei: “Le condizioni di sostenibilità per riaprire in sicurezza la mostra sono state create grazie a uno sforzo straordinario sia del Comune di Bologna che di Electa. Si tratta di una disponibilità non scontata cui va riconosciuto un valore particolare, in ragione della sofferenza che il settore degli eventi espositivi sta attraversando in questo momento. Se si è riusciti a condividere questo percorso, lo si deve alla consapevolezza condivisa da tutte le parti del valore eccezionale di questa mostra. Si tratta davvero di una opportunità unica per scoprire un periodo di storia del territorio italiano poco conosciuta, attraverso un percorso ricco di informazioni e di cose sorprendenti da vedere”.

La sezione etrusca del museo civico Archeologico di Bologna (foto Matteo Monti / Istituzione Bologna Musei)
Informazioni per la visita. La mostra è visitabile con orari di apertura rimodulati: lunedì, mercoledì, giovedì dalle 10 alle 19; venerdì dalle 14 alle 22; sabato e domenica, dalle 10 alle 20; chiuso martedì non festivo; ultimo ingresso un’ora prima della chiusura. Al fine di garantire la visita in sicurezza, vengono attuate le seguenti disposizioni: acquisto del biglietto solo online tramite il circuito VivaTicket https://www.vivaticket.com/it/ticket/etruschi-viaggio-nelle-terre-dei-rasna/138252; modalità di recupero biglietti prenotati: per i possessori di biglietto open richiesta prenotazione senza costi aggiuntivi (tramite call center 051 7168807) o eventuale accesso diretto previa disponibilità posti per i possessori di biglietto non open richiesta prenotazione a pagamento (tramite call center 051.7168807); obbligo di indossare la mascherina durante la visita; contingentamento in slot per l’ingresso frazionato dei visitatori; predisposizione di percorsi distinti in entrata e in uscita; dotazione di gel igienizzanti a disposizione dei visitatori. Il tempo della visita è predefinito con un limite di 75 minuti. É disponibile il servizio di audioguide, con sanificazione dei dispositivi dopo ogni utilizzo. Il servizio di guardaroba non è disponibile (i visitatori sono pregati di presentarsi con il minimo di accessori personali, evitando bagagli, nonché borse e zaini voluminosi). Il servizio di bookshop è attivo.

Attizzatoio a forma di mano dalla tomba delle Hydriae di Meidias, conservato al museo Archeologico nazionale di Populonia (foto Polo museale della Toscana)
La mostra. L’esposizione conduce i visitatori in un itinerario attraverso le terre degli Etruschi e mostra come non esista una sola Etruria, ma molteplici territori che hanno dato esiti di insediamento, urbanizzazione, gestione e modello economico differenti nello spazio e nel tempo, tutti però sotto l’egida di una sola cultura, quella etrusca. Non c’è migliore metafora che quella del viaggio, per spaziare in un vasto territorio compreso tra le nebbiose pianure del Po fino all’aspro Vesuvio, attraverso paesaggi appenninici e marini, lungo strade e corsi fluviali. La prima parte del percorso offre un momento di preparazione al viaggio, facendo conoscere ai visitatore i lineamenti principali della cultura e della storia del popolo etrusco, attraverso oggetti e contesti archeologici fortemente identificativi. Così preparato, il visitatore può affrontare la seconda sezione, dove si compie il viaggio vero e proprio nelle terre dei Rasna, come gli Etruschi chiamavano se stessi. La mostra dialoga naturalmente con la ricchissima sezione etrusca del museo civico Archeologico, che testimonia il ruolo di primo piano di Bologna etrusca, costituendo, quindi, l’ideale appendice al percorso di visita dell’esposizione temporanea. Accompagna la mostra il catalogo Electa con saggi introduttivi di Giuseppe Sassatelli, Vincenzo Bellelli, Roberto Macellari, Marco Rendeli, Alain Schnapp e Giuseppe Maria Della Fina; saggi dedicati alle singole sezioni di mostre; un approfondimento sui musei etruschi italiani e un importante apparato di schede dedicate alle opere in mostra.
Durante il periodo della sospensione di apertura, l’esplorazione dei temi della mostra è proseguita online con iniziative digitali. Sulla pagina Facebook del museo civico Archeologico sono state presentate notizie e curiosità relative al mondo affascinante degli Etruschi e ai reperti esposti, mentre per il canale YouTube del museo Giuseppe Sassatelli, docente universitario e membro del comitato scientifico, ha curato un’introduzione al percorso espositivo.
Nell’ambito del festival multimediale #laculturanonsiferma promosso dall’assessorato alla cultura e paesaggio della Regione Emilia-Romagna e coordinato dall’Istituto per i Beni Artistici Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna, Lepida TV ha inoltre prodotto un documentario video alla scoperta della mostra con le archeologiche del museo Laura Minarini e Marinella Marchesi, trasmesso in diretta streaming sulla piattaforma digitale http://www.lepida.tv e sul canale 118 del digitale terrestre. Clicca qui per vedere il video.
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