“Lapilli sotto la cenere”. Con la 13.ma clip del parco archeologico di Ercolano il direttore ci guida alla scoperta delle Terme nord-occidentali, che conservano dettagli ornamentali veramente eccezionali

Con la 13.ma clip della serie “Lapilli sotto la cenere” dedicata all’esplorazione di realtà che per necessità conservative, di restauro o contingenze non sono accessibili al pubblico, il direttore del parco archeologico di Ercolano, Francesco Sirano, ci guida alla scoperta delle Terme nord-occidentali, un piccolo impianto termale situato nella zona nord-occidentale della città antica, che conserva dettagli ornamentali veramente eccezionali.
Subito sul limite occidentale della città si trovava un piccolo complesso termale non completamente scavato ma davvero molto interessante, che fa da parallelo alle terme suburbane che si trovavano sul lato Sud-Est. “Le terme sono state solo parzialmente esplorate”, spiega Sirano, “ma la parte ormai nota ci colpisce per il grado di conservazione. Il padiglione del calidarium delle terme, che conserva ancora la sua copertura originaria con una parte delle tegole ancora al loro posto, era caratterizzato dalla presenza di tante finestre che evidentemente dovevano catturare la luce e la brezza marina che qui si respirava. Il laconicum, che era la sala dove si sudava, e tutti gli altri ambienti che caratterizzano una terma romana, sono stati solo parzialmente sfiorati oppure si trovano ancora al di sotto della terra. Anche le finestre del calidarium non sono ancora state scavate, con il flusso piroclastico ancora nella sua posizione originaria all’interno dei vani finestra. Ai lati del calidarium c’erano due piccoli cortili che venivano utilizzati per esercizi ginnici. Su un lato c’era anche un portico ad U che chiudeva questo cortiletto. Avviandoci verso quello che doveva essere l’affaccio a mare, l’edificio termale aveva una soluzione estremamente panoramica. Attraverso delle scalette si andava su una terrazza inferiore e qui si trovava una vasca circolare che doveva direttamente permettere a chi si trovava nella vasca di guardare verso il mare.

Nel calidarium si entra, come facevano anche gli antichi, attraverso una porta finestra che -come detto- serviva per poter uscire verso la vasca circolare. “Appena entrati – continua Sirano – si nota la presenza di un bordino di marmo che serviva a raccogliere le gocce d’acqua di chi stava uscendo dalla piscina. Una volta dentro il vano, gli occhi su devono abituare all’oscurità, che però non c’era nel periodo romano quando le finestre raccoglievano tantissima luce. Ma, come detto, le finestre sono state ancora lasciate non scavate. Si vede infatti ancora il flusso piroclastico e addirittura in una finestra gli scavatori hanno lasciato in situ, perché lo scavo non è completo, uno degli scuri che chiudevano la finestra in legno. Sul fondo di questa sala c’è un abside con i resti di decorazione dipinta, e si vedono anche una serie di nicchie alle pareti dove dovevano essere collocate delle statue che non sono state trovate però al momento dello scavo. Interessantissima la copertura a volta. Per creare la camera d’aria si utilizzavano delle tegole mammate, cioè delle tegole che avevano dei peducci ancora visibili che servivano a creare una piccola intercapedine in maniera che l’aria calda circolasse. Questo edificio aveva anche un sovrappiù di decoro. Oltre la cornice, con una modanatura a stucchi policromi ancora conservati, c’è un trattamento fatto con dei legni, con della spuma di lava, a finta rocaille, cioè si riproduce una specie di grotta. È come se avessero voluto imitare una grotta naturale”.
“Lapilli sotto la cenere”: terza puntata sulla Villa dei Papiri. Con la 12.ma clip del parco archeologico di Ercolano il direttore ci porta nella biblioteca per saperne di più sui preziosi papiri e le numerose statue ritrovati, e sul proprietario della villa

Terza puntata alla scoperta della Villa dei Papiri, uno dei luoghi simbolo dell’antica città di Ercolano. Dopo gli scavi moderni (vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2020/10/20/lapilli-sotto-la-cenere-con-lottava-clip-del-parco-archeologico-di-ercolano-il-direttore-ci-porta-alla-scoperta-degli-scavi-moderni-della-villa-dei-papiri/) e quelli settecenteschi (https://archeologiavocidalpassato.com/2020/11/11/lapilli-sotto-la-cenere-con-lundicesima-clip-del-parco-archeologico-di-ercolano-il-direttore-ci-porta-alla-scoperta-degli-scavi-borbonici-della-villa-dei-papiri/), con la 12.ma clip dei “Lapilli sotto la cenere del Parco archeologico di Ercolano” col direttore Francesco Sirano torniamo tra i tunnel borbonici che hanno permesso la scoperta della fornitissima biblioteca di papiri che dà il nome alla Villa, occasione quindi per saperne di più sui papiri e le statue qui rinvenuti, e sul proprietario dell’edificio.
Attraverso un tunnel si arriva all’ambiente V che gli scavatori del 1700 identificano con la biblioteca perché qui vedono proprio degli scaffali. “L’altezza e l’ampiezza di questa galleria”, spiega Sirano, “denunciano che qui sono avvenuti dei ritrovamenti molto importanti. Addirittura viene creato un pilastro per poter sostenere la volta. Dietro si vedono ancora gli spazi dove venivano appoggiate le lanterne per poter illuminare gli operai durante il lavoro. Questo è l’ambiente dove sulle pareti si ritiene siano stati trovati, ancora negli scaffali e per terra, i famosi papiri della biblioteca della villa dei Papiri. E forse i frammenti di legno che si vedono nelle sezioni esposte sono quello che resta degli scaffali che gli scavatori dl 1700 hanno riconosciuto con all’interno i papiri. I ritrovamenti avvengono sia nell’ambiente V sia nel tablino che si trova subito a Nord del peristilio quadrato. Durante gli scavi furono recuperati circa 1800 frammenti di papiro che formano al massimo circa 1200 volumi. Si tratta di un ritrovamento unico ed eccezionale e sin dal 1700 si era trovato il modo per poter svolgere questi papiri. Ma ad oggi solo una parte è stata letta perché si tratta di studi molto complicati. In base a quanto sinora scoperto si è visto che il grosso dei volumi recuperati sono riferibili alla filosofia epicurea, una filosofia che ha grande successo a Roma tra II e I sec. a.C. e che nasce nel IV sec. a.C. ad Atene. Questa biblioteca sembra sia stata raccolta da Filodemo di Gadara, filosofo della Scuola epicurea che vive nella zona di Roma e del golfo di Napoli, conosce Cicerone, ed era un personaggio molto noto. È lui che avrebbe riportato una parte della biblioteca di Epicuro da Atene alla Villa dei Papiri. Successivi approfondimenti da parte degli studiosi di papirologia hanno anche mostrato che alcuni papiri presentano dei commenti. Alcune opere sono riprodotte più di una volta. Ecco perché si pensa che qui si trovasse uno scriptorium, cioè una vera e propria scuola di filosofia dove venivano riprodotte e commentate le opere della scuola di Epicuro. Non vi erano solo opere in greco ma anche in latino perché c’è una serie di papiri che ci hanno restituito degli interessantissimi documenti in lingua latina”.


Le note di Karl Weber che registrano l’esatta posizione delle statue ritrovate a Villa dei Papiri a Ercolano (foto Paerco)
Nella Villa dei Papiri furono trovate anche moltissime statue: 65 di bronzo e 27 di marmo. “La cosa eccezionale – sottolinea Sirano – è che Karl Weber nella sua pianta ha annotato precisamente dove si trovava ciascuna statua. Nello spazio in basso e in alto della pianta ci sono le “explicaciones”, cioè le spiegazioni, le legende che registrano precisamente dove si trovavano queste statue. È una circostanza straordinaria perché ha permesso degli studi molto approfonditi sul programma decorativo che poteva essere dietro la scelta di quale statua esporre e in quale luogo all’interno della villa. In generale queste statue ci descrivono davvero la classe dirigente romana, una classe senatoria che dominava l’intero Mediterraneo. E abbiamo infatti statue che hanno riferimenti all’intero mondo mediterraneo, ma anche alla grande tradizione greca dei dinasti che succedono ad Alessandro Magno, oppure ai filosofi, cioè a Roma che oramai è diventata l’erede della grande tradizione di tutta la civiltà occidentale”.

Ma chi era il proprietario della Villa dei Papiri? “Gli studiosi si sono a lungo interrogati su questo tema anche perché dalla villa non è arrivata mai nessuna iscrizione, neppure un sigillo, un indizio che ci facesse riconoscere il proprietario. L’unico indizio importante è quello della presenza di Filodemo di Gadara. Attraverso le fonti letterarie, soprattutto Cicerone, sappiamo che Lucio Calpurnio Pisone Cesonino, membro di una famiglia importantissima, era il suocero di Giulio Cesare, e anche il patrono di Filodemo di Gadara. E Filodemo era ospitato e protetto da questo personaggio. Le altre ipotesi di attribuire alla famiglia degli Appi Claudi, o di attribuire a altre famiglie importanti della stessa Ercolano, sono oggi passate in secondo piano, e le uniche ipotesi in campo sono quelle che si possa trattare del padre Lucio Calpurnio Pisone Cesonino oppure del figlio Lucio Calpurnio Pisone Pontefice a seconda della datazione della villa: se va datata ancora nel II sec. a.C. (fine II – inizio I sec. a.C.) come si pensava un tempo, o se invece non debba essere datata la sua costruzione un pochino più tardi e quindi più probabilmente costruita all’epoca del Pisone Pontefice.
“Lapilli sotto la cenere”: con l’undicesima clip del parco archeologico di Ercolano il direttore ci porta alla scoperta degli scavi borbonici della villa dei Papiri

Villa dei Papiri è uno dei luoghi simbolo dell’antica città di Ercolano, ne abbiamo già parlato. Fu oggetto di scavo in epoca borbonica e moderna. Con l’ottava clip dei “Lapilli sotto la cenere del Parco archeologico di Ercolano”, serie di video che permette la visita digitale integrando quella reale ed ampliando ulteriormente la fruizione dei visitatori portandoli anche ad esplorare realtà che per necessità conservative, di restauro o contingenze non sono accessibili, il direttore Francesco Sirano ci ha accompagnato alla scoperta degli scavi moderni della villa dei Papiri (vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2020/10/20/lapilli-sotto-la-cenere-con-lottava-clip-del-parco-archeologico-di-ercolano-il-direttore-ci-porta-alla-scoperta-degli-scavi-moderni-della-villa-dei-papiri/). Con questa undicesima clip il direttore Francesco Sirano torna a esplorare la Villa dei Papiri attraverso i tunnel borbonici e la pianta settecentesca redatta dall’ingegnere Karl Weber per conoscere la storia eccezionale della scoperta dell’edificio.
La gran parte della Villa dei Papiri fu esplorata nel periodo borbonico tra il 1750 e il 1765. “Questi scavi avvenivano in galleria – ricorda Sirano – con una tecnica molto simile a quella utilizzata nelle miniere. Infatti a dirigerli erano ingegneri dell’esercito che si occupavano proprio delle mine che servivano sia per ricerca di materiale sia per minare – per esempio – le fortificazioni dei nemici durante gli assedi. Si facevano dei pozzi verticali e dai pozzi verticali poi si realizzavano dei cunicoli orizzontali che in mancanza di punti di riferimento seguivano le strutture, i muri e, come si può vedere, tunnel che sono stati utilizzati per esplorare sia il limite degli ambienti che si affacciano sul porticato, gli ambienti legati all’atrio, sia il porticato stesso che si affacciava con la vista sul mare. Questi tunnel – continua Sirano – ponevano tantissimi problemi non solo perché durante gli scavi si incontravano ancora spesso delle esalazioni venefiche con perdite di operai, di solito galeotti ai lavori forzati e utilizzati per questi scavi. Ma anche molti degli ingegneri che dirigevano gli scavi si ammalarono, come Roque Joaquín de Alcubierre che ebbe un problema agli occhi, Karl Weber che addirittura morì a seguito di una malattia contratta proprio durante questo lavoro. Vi erano anche molti problemi statici. Infatti questi tunnel tendevano a crollare. Quindi molto spesso bisognava costruire dei pilastri per sostenerli oppure si riempivano di nuovo di terra. Un modo per evitare di trasportarla in superficie con un grande dispendio di energie. Su questo problema mano a mano che gli scavi avanzavano si generò una disputa tra alcuni ingegneri, come Alcubierre che voleva appunto richiudere i tunnel per ragioni di sicurezza ma anche per impedire a chiunque di andare poi a esplorare per sottrarre altri materiali alla proprietà reale, mentre Weber cominciava ad avere – lo vediamo nei suoi scritti – una sensibilità per rendere questi tunnel visitabili per far sì che i turisti che cominciavano già ad arrivare potessero godere di questi tunnel. La cosa interessante è che nonostante questi fossero scavi in galleria, attraverso la tecnica trigonometrica delle strumentazioni molto rudimentali si riusciva a creare delle piante estremamente precise. Quando all’inizio degli anni 2000 furono realizzati i primi rilievi digitali si vide che gli scarti corrispondevano a pochi decine di centimetri che, in considerazione degli ampi spazi, è davvero un dato eccezionale”.

La pianta della Villa dei Papiri fu redatta da Karl Weber nel 1758. E oggi l’originale è conservata al museo Archeologico nazionale di Napoli, mentre una copia è al parco archeologico di Ercolano. “Si tratta di un documento eccezionale perché testimonia di un vero e proprio cambio di passo nel modo in cui si facevano gli scavi borbonici”, spiega Sirano. “Infatti Weber progetta secondo una precisa strategia sia lo scavo che la sua documentazione. Al numero 9 e al numero 10 sono segnati i famosi pozzi dei Ciceri che erano i pozzi da cui è cominciata l’esplorazione della Villa dei Papiri. Tra le prime scoperte il mosaico circolare che si trovava a decorare il Belvedere della villa, che dava verso il mare. Weber stabilisce una grotta principale – la gruta derecha – un tunnel principale, che è più largo e più alto di tutti gli altri, che va in senso più o meno Nord-Sud e attraversa per l’intera lunghezza la Villa dei Papiri. Tutti i cunicoli successivi di verifica e di controllo delle dimensioni dei vari spazi oppure l’esplorazione dei singoli ambienti della villa sono fatti a partire e attestandosi su questa gruta derecha”.

Appena entrati si incontra un bellissimo pavimento con un disegno a meandro. Si attraversa la cornice. “Siamo nella zona del peristilio quadrato”, descrive Sirano, “il peristilio minore della Villa dei Papiri. Siamo ora all’altezza del lato Nord del peristilio quadrato. C’è la cunetta dove scorreva l’acqua quando pioveva e veniva raccolta: qui si deve immaginare alla sinistra il giardino, l’area aperta che veniva circondata dal peristilio di cui si vedono ancora le basi delle colonne. Andando avanti si arriva fino al punto in cui parte un cunicolo che è stato chiuso in un secondo momento: dall’altro lato si trova il tablinum, cioè l’ufficio del padrone di casa dove furono recuperate statue molto importanti e anche una cassa con all’interno una parte dei papiri che danno il nome alla villa. Sul lato occidentale del peristilio quadrato, ci troviamo all’interno di uno dei cosiddetti orniglios che Weber faceva per allargare i tunnel e capire meglio alcune situazioni architettoniche o controllare delle ipotesi circa l’articolazione degli ambienti. Si vedono altre basi di colonne del peristilio e soprattutto un bellissimo pavimento che delimita tutto intorno il giro delle colonne a cornice del piccolo giardino quadrato. All’angolo dove gira il peristilio verso Sud si incontra un tunnel secondario che è stato chiuso dopo l’esplorazione e i rilievi con particolare cura. Sono stati utilizzati pietre e frammenti di laterizio, crollati da qualche muro, per chiudere e rendere stabili le pareti di questi tunnel”.
“Lapilli sotto la cenere”: la decima clip del parco archeologico di Ercolano alla scoperta di altri tesori dell’antica Herculaneum presenta lo studio 3D della Casa con Giardino

La Casa con Giardino a Ercolano (foro Paerco)
In questa decima clip dei “Lapilli sotto la cenere in 3D SCAN” del parco archeologico di Ercolano scopriamo la Casa con Giardino. Connotata da piccoli ambienti generalmente disadorni, dopo il terremoto del 62 d.C. la Casa con Giardino fu abbellita da un ampio giardino. Tra i pochi ambienti che la compongono, si segnala un grande ambiente di soggiorno (oecus) con le pareti annerite, forse perché, nell’ultima fase di frequentazione, la stanza divenne un locale di produzione e non più di soggiorno. Da segnalare gli affreschi nilotici sulle pareti che vogliono richiamare i paesaggi (immaginari) delle rive del Nilo, quadretti di genere che si diffusero molto nella penisola italica, a causa della notevole importanza che il culto della dea egizia Iside rivestì a partire della fine del I secolo a.C. Grazie al progetto Herculaneum 3D Scan possiamo esplorarla, misurarla ed osservarla nei minimi particolari con le nuvole di punti 3D ad altissima densità (https://bit.ly/3jwJe8U).
L’eccezionale scoperta a Ercolano dei neuroni nel cervello vetrificato di una vittima dell’eruzione di 2000 anni fa, è raccontata dai protagonisti Sirano e Petrone nella nona clip dei “Lapilli sotto la cenere del Parco archeologico di Ercolano”. E annunciano presto nuove scoperte
Individuati i neuroni del cervello umano in una vittima dell’eruzione del Vesuvio a Ercolano: la notizia della straordinaria scoperta scientifica a Ercolano l’hanno data all’inizio di ottobre 2020 il direttore del Parco archeologico di Ercolano, Francesco Sirano, e l’antropologo forense dell’università “Federico II” di Napoli, Pier Paolo Petrone (vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2020/10/12/nuova-straordinaria-scoperta-scientifica-ad-ercolano-del-team-di-petrone-individuati-i-neuroni-nel-cervello-vetrificato-dello-scheletro-carbonizzato-del-custode-del-collegio-degli-augustali-trovato-d/). Ora con la nona clip dei “Lapilli sotto la cenere del Parco archeologico di Ercolano”, serie di video che permette la visita digitale integrando quella reale ed ampliando ulteriormente la fruizione dei visitatori portandoli anche ad esplorare realtà che per necessità conservative, di restauro o contingenze non sono accessibili, sono gli stessi Sirano e Petrone a raccontarci questa nuova eccezionale scoperta ercolanese, a seguito del ritrovamento del cervello vetrificato del giovane custode del Sacello degli Augustali: la preservazione integrale di strutture neuronali di un sistema nervoso centrale di 2000 anni fa.

“Il parco archeologico di Ercolano vuole essere un laboratorio a cielo aperto”, spiega il direttore Sirano. “A tal fine promuove studi multidisciplinari in ogni campo della scienza. Con l’università “Federico II” di Napoli abbiamo lanciato un programma di antropologia fisica che si annuncia particolarmente promettente. Abbiamo ripreso gli studi sugli scheletri dei fuggiaschi sull’antica spiaggia e stiamo approfondendo quelli riguardanti altri importanti rinvenimenti all’interno della città antica. In particolare, una delle vittime del Vesuvio, il custode del sacello degli Augustali, ci sta rivelando delle informazioni preziosissime. All’altezza del cranio è stata riconosciuta una massa vetrosa che attraverso gli studi condotti da un’equipe multidisciplinare coordinata da Pier Paolo Petrone dell’università Federico II di Napoli hanno rivelato prima l’appartenenza al cervello, e poi la presenza di cellule neuronali”.

“Questa scoperta – continua Sirano – apre una pagina nuova non solo dal punto di vista degli studi di antropologia ma anche per ricostruire le dinamiche della distruzione della città antica. Infatti si sono create delle condizioni che normalmente si creano in laboratorio al momento in cui il primo flusso piroclastico si è abbattuto sulla città antica. Questo è un dato che noi possiamo combinare con altri dati che conosciamo dal sito: per esempio, il repentino cambio di colore di alcune pareti a fondo giallo che sono diventate di colore rosso, qui come a Pompei, e che evidentemente devono essere studiate in maniera più approfondita per capire come a Ercolano si abbatté l’onda di questi flussi piroclastici sul sito antico. Ma gli studi di antropologia ci servono soprattutto per ricostruire, insieme a dati epigrafici, insieme a dati archeologici, insieme alle analisi paleo-nutrizionali, questa comunità che ci è stata preservata in maniera eccezionale da una tragedia quale quella del Vesuvio. Attraverso questi studi contiamo anche di trarre degli utili insegnamenti per vivere nella maniera sempre più equilibrata possibile all’onda di un vulcano”.


Il prof. Pier Paolo Petrone, antropologo forense dell’università Federico II di Napoli
“Ercolano è di nuovo alla ribalta internazionale”, interviene Petrone. “Il nostro gruppo di ricerca, formato da archeologi, antropologi, biologi, matematici, biochimici, vulcanologi, è nuovamente riuscito a raggiungere la notorietà internazionale attraverso una pubblicazione fatta su Plos One che riporta i risultati di ricerche che abbiamo condotto su questo cervello vetrificato, scoperto di recente e pubblicato all’inizio di quest’anno sul New England Journal of Medicine (vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2020/04/07/ercolano-eccezionale-scoperta-per-la-prima-volta-al-mondo-trovati-i-resti-vetrificati-di-cervello-umano-erano-in-una-vittima-delleruzione-del-79-d-c-lo-studio-frutto-della-collaborazion/), all’interno del quale siamo riusciti eccezionalmente a rinvenire un intero sistema nervoso centrale. Quindi una scoperta eccezionale nella scoperta già eccezionale di per sé in quanto fino ad oggi non era mai stato prima rinvenuto un cervello vetrificato. Quindi la vittima, l’ultima delle vittime ancora presenti sullo scavo archeologico di Ercolano, un corpo carbonizzato che si trova all’interno di un letto carbonizzato nella stanzetta dentro il collegio degli Augustali, edificio dedicato al culto di Augusto, e quindi ritenuto il custode di questo edificio: questo individuo, dunque, l’ultimo lasciato per fortuna “musealizzato” da Amedeo Maiuri che lo rinvenne all’inizio degli anni ’60, e decise di lasciarlo così com’era. Per nostra fortuna, perché abbiamo avuto così la possibilità, dopo 60 anni, di poter studiare i resti di questo corpo incredibilmente preservato. Un corpo che, diversamente da quelli rinvenuti sull’antica spiaggia, mostrava effetti del calore particolarmente elevati. Quindi molto più forti rispetto alle vittime rinvenute all’interno dei cosiddetti fornici sull’antica spiaggia di Ercolano”.


I resti vetrificati di cervello umano studiati dall’università Federico II di Napoli (foto Petrone)
“Durante gli studi condotti in situ su questo corpo per la prima volta”, continua Petrone, “mi accorsi di resti vetrificati che scintillavano all’interno di quanto rimaneva del cranio esploso, quindi all’interno della cenere. Perciò doveva essere il cervello, come poi abbiamo dimostrato perché all’interno del materiale vetroso abbiamo identificato tutta una serie di acidi grassi dei capelli, trigliceridi del cervello umano, e soprattutto sette proteine ampiamente rappresentate in tutti i distretti cerebrali umani. E quindi, nell’approfondimento di studio che è stato fatto in questo frangente, abbiamo visto che queste proteine sono codificate da geni particolarmente interessanti perché sono correlati a tutta una serie di patologie umane, quindi un discorso molto interessante. Questo ulteriore studio, che è soltanto il secondo capitolo di una lunga storia che già sta dando nuovi risultati, e che quindi porterà a ulteriori pubblicazioni, ci dimostra ancora una volta che Ercolano è un sito eccezionale in quanto qui a Ercolano l’eruzione per le particolari condizioni verificatesi, distanza, temperatura, rapido seppellimento dell’intera città, si sono potute conservare non solo strutture e vittime, ma anche tessuti biologici, in questo caso il cervello con addirittura un intero sistema nervoso centrale”.

“Quindi è importantissimo capire che questa è una scoperta pazzesca perché mai prima è stato visto un sistema nervoso centrale a così alta risoluzione così perfettamente conservato con neuroni, assoni e strutture che sono evidentissime e che abbiamo analizzato al microscopio elettronico e attraverso tutta una serie di elaborazioni matematiche. Quindi questo gruppo di ricerca molto forte formato dal sottoscritto, dal direttore del parco archeologico di Ercolano Francesco Sirano, dal prof. Guido Giordano dell’università Roma Tre vulcanologo, dal prof. Giuseppe Castaldo del Ceinge – Biotecnologie avanzate alla “Federico II” di Napoli, dal prof. Massimo Niola medico legale, e dalla dottoressa Maria Giuseppina Miano che conduce un laboratorio presso il Cnr a Napoli, e molti altri ricercatori: insieme hanno permesso uno studio multidisciplinare. Tutte queste forze, tutte queste menti ha permesso di arrivare a tutte queste conclusioni eccezionali. Quindi tutto ciò è fondamentale non solo dal punto di vista archeologico e biologico, ma anche dal punto di vista del rischio vulcanico perché tutte queste evidenze ci stanno dando indicazioni in una certa direzione, che riguardano finalmente al valutazione del rischio vulcanico. Quindi rinviamo alla prossima puntata i risultati che nel frattempo stanno venendo fuori”.
“Lapilli sotto la cenere”: con l’ottava clip del parco archeologico di Ercolano il direttore ci porta alla scoperta degli scavi moderni della villa dei Papiri
È uno dei luoghi simbolo dell’antica città di Ercolano. Stiamo parlando della villa dei Papiri, oggetto di scavo in epoca borbonica e moderna. Con l’ottava clip dei “Lapilli sotto la cenere del Parco archeologico di Ercolano”, serie di video che permette la visita digitale integrando quella reale ed ampliando ulteriormente la fruizione dei visitatori portandoli anche ad esplorare realtà che per necessità conservative, di restauro o contingenze non sono accessibili, il direttore Francesco Sirano ci accompagna alla scoperta degli scavi moderni della villa dei Papiri.

“Oggi visitiamo poco più di un terzo della città antica”, ricorda Sirano. “Il resto si trova al di sotto della città moderna. Sul lato Nord tuttavia esiste una zona al confine tra la città moderna e la città antica dove, a partire dagli anni ’90, sono stati realizzati degli scavi che hanno ripreso in parte le ricerche borboniche della famosa villa dei Papiri e in parte hanno effettuato nuove scoperte che ci hanno posto di fronte ai quartieri più settentrionali dell’antica Herculaneum. Tra i principali impegni del Parco c’è quello di creare le condizioni per l’apertura al pubblico di questa parte della città antica”. Secondo lo storico romano Sisenna Ercolano antica sorgeva su una piccola altura delimitata a Nord e a Sud da due fiumi. Prendiamo in considerazione la piccola valle dove scorreva il fiume, che delimitava da Nord, la città antica, all’esterno della quale sorgeva la villa dei Papiri. “Si tratta di un edificio di grandissima importanza anche dal punto di vista architettonico, un vero e proprio palazzo. Se immaginiamo di sovrapporre la sola lunghezza della villa dei Papiri alla città antica scopriremmo subito la sproporzione e quanto essa giganteggia. Infatti la villa dei Papiri occupa più di quattro isolati e mezzo della città antica. Questo nel senso della lunghezza. Ma la villa dei Papiri sorgeva su almeno quattro piani. Quindi parliamo davvero di un edificio straordinario, i cui resti oggi sono a circa tre metri al di sotto dell’attuale quota del mare e più o meno all’altezza della quota del mare nell’età romana”.

La villa dei Papiri si affacciava direttamente sul mare. Aveva una splendida vista verso il mare e aveva una base, la cosiddetta basis villae, che si sviluppava su almeno due piani, al di sopra dei quali c’era l’atrio. Un corpo probabilmente staccato della villa era costituito da un padiglione che si affacciava direttamente sulla scogliera, antistante la villa. L’ingresso alla villa poteva avvenire sia via terra sia via mare. Dal mare una scaletta conduceva dalla scogliera al padiglione che aveva una facciata monumentale e si elevava per almeno due piani. Oggi si vedono le tracce del crollo di questo edificio avvenuto durante l’eruzione vesuviana.

In uno degli ambienti ricavati nella base della villa oggi si entra attraverso una finestra perché questo spazio non è stato completamente scavato. Appena entrati si nota la presenza della cornice della porta da cui probabilmente si accedeva a questo sito. “L’ambiente è articolato in due zone”, spiega Sirano: “Una sorta di anticamera e l’ambiente vero e proprio, come si ricava dalla diversa lavorazione della volta, una a crociera e una a botte. Se cominciamo a osservare meglio il luogo, che doveva essere affacciato sul mare e garantire freschezza nei periodi di maggiore calura, ci accorgiamo che ci troviamo in un vero e proprio cantiere. Non solo un cantiere archeologico, ma anche un cantiere antico perché poco prima dell’eruzione del 79 d.C. qui si stavano svolgendo lavori di restauro come si comprende dai tanti indizi ritrovati durante gli scavi archeologici. Abbiamo infatti i resti dell’impalcatura che serviva agli operai per poter dipingere: siamo a poco più di un metro dall’altezza del pavimento antico. Sulla parete ci sono dei quadretti solo preparati, non ancora completati. Se alziamo lo sguardo vedremo che la decorazione in stucco non è completa: mancano ancora molti dettagli e una parte presenta l’intonaco solo preparato. È rimasta la sinopia, cioè il disegno preparatorio che serviva da guida agli artigiani dell’officina per poter completare un disegno che doveva essere come quello sull’altro lato dello stesso ambiente che è stato già completato: pitture di quarto stile che ci rimandano al mondo di Dioniso. E lo vediamo dalle maschere, i tirsi, la vite con l’uva e vediamo anche i flauti e tutta una serie di cose che ci riportano ai piaceri della permanenza in quest’ambiente”.

“Ma secondo gli studiosi se nell’ultima fa la decorazione si rifaceva ai temi dionisiaci, ci deve essere stato un momento precedente durante il quale si poneva l’accento anche su un altro aspetto: quello militare. Il pannello principale della volta di stucco completa ci rappresenta infatti una serie di armi. Si tratta di armi barbariche, una vera e propria catasta di armi. Sono le spoglie che i generali vittoriosi prendevano al nemico e che venivano portate in processione a Roma durante il trionfo. Ora sappiano dalle fonti letterarie che solamente alcuni alti livelli dell’esercito, generalmente i generali vittoriosi, potevano fare riferimenti, anche all’interno della propria abitazione, a questo passato glorioso che aveva caratterizzato i padroni di casa o qualcuno dei suoi antenati”.

Siamo arrivati all’atrio della villa dei Papiri. Il nome, come è noto, deriva dal ritrovamento durante gli scavi del 1700 di più di mille rotoli di papiro che facevano parte dell’unica biblioteca antica sinora recuperata. “Questi testi, interessantissimi”, continua Sirano, “ci hanno dato informazioni preziose sulla vita culturale di Roma di quel periodo e anche sul padrone di casa. Alla villa si accedeva sia dal mare sia dalla terra, e l’ingresso via terra si trovava alle spalle dell’atrio. Lì infatti gli scavi borbonici hanno evidenziato la presenza di un piccolo porticato quadrato, e al di là di questo porticato ci doveva essere l’ingresso alla villa. Questa struttura segue le indicazioni tipiche nel modo romano per la costruzione di una villa suburbana, cioè una villa al di fuori della città o anche in campagna una villa rustica. Questo prevedeva infatti l’inversione tra il porticato e l’atrio. Laddove in una casa romana la prima cosa che si trovava in città era l’atrio, invece fuori dalla città la prima cosa che si trovava era un porticato e poi veniva l’atrio vero e proprio che era il punto dove il padrone di casa riceveva i suoi ospiti. E gli ospiti di questa casa dovevano essere rapiti da una vista incredibile che si parava ai loro occhi una volta attraversato l’atrio, perché questi ambienti affacciano su un portico di cui si sono conservate solo le basi delle colonne in mattoni che sono state spazzate via dalla furia dell’eruzione del 79 d.C. Ma dobbiamo immaginare davanti a noi una vista mozzafiato sull’intero golfo di Napoli”.

Su questa zona signorile della villa si aprivano gli ambienti più suntuosi. “Questo lo comprendiamo dalle soglie di marmo che dovevano supportare delle porte monumentali per entrare in ognuno di questi ambienti dalla splendida decorazione a mosaico che è stata strappata dagli scavi borbonici. Le bellissime pitture che decoravano i muri erano in secondo stile scenografico che sono state in parte recuperate già durante gli scavi borbonici, oggi al museo Archeologico nazionale di Napoli, e in parte invece recuperate e oggi nei depositi dell’antiquarium di Ercolano. Questi ambienti avevano anche una serie di ingressi secondari che venivano utilizzati dalla servitù che passava senza disturbare chi era presente, gli ospiti e il padrone di casa. C’è un’immensa sala utilizzata come sala da pranzo. Questo lo vediamo dalla presenza al centro dello splendido tappeto a mosaico geometrico di più colori intorno al quale c’è un’ampia fascia risparmiata per poter collocare i letti triclinari che secondo la tradizione romana venivano utilizzati per i banchetti in grandi occasioni, particolarmente importanti”.

Le pareti della villa dei Papiri avevano delle decorazioni particolarmente curate ed eleganti anche negli ambienti secondari. Ma queste decorazioni diventavano ancora più impressionanti quando si passava nella stanze di rappresentanza. “Nella grande sala triclinare abbiamo i resti di una megalografia, cioè una pittura figurata dove i personaggi sono rappresentati in proporzioni più o meno simili al vero. Si vede una figura femminile che ha in mano un tirso, strumento che ci riporta al mondo di Dioniso. Al centro di questa scena dobbiamo immaginare il dio dei piaceri della tavola, del vino, il dio Dioniso, in una rappresentazione più o meno simile a quella che si trovava nella villa dei Misteri a Pompei”.
“Lapilli sotto la cenere”: la settima clip del parco archeologico di Ercolano alla scoperta di altri tesori dell’antica Herculaneum presenta lo studio 3D della Casa del Sacello di legno
In questa settima clip dei “Lapilli sotto la cenere in 3D SCAN” del parco archeologico di Ercolano scopriamo la Casa del Sacello di legno. La casa prende il nome da un armadio larario ritrovato in una piccola stanza signorile, con copertura ad alcova e finestra chiusa da una grata, costituito da una parte inferiore, che conteneva al suo interno prezioso vasellame in terracotta e vetro, una statuetta in bronzo di Ercole e un sigillo in bronzo con l’iscrizione di L. Autroni Euthymi, ultimo abitante della casa prima dell’eruzione del Vesuvio, e una parte superiore simile ad un vero e proprio tempietto (sacello), di cui aveva la forma pur nelle ridotte dimensioni, utilizzato per i culti domestici (i lari erano infatti le divinità ancestrali, protettrici del focolare). La domus è interessante anche perché conservava, al momento della distruzione, parte dell’aspetto originale con i muri in opus incertum (i muri sono costruiti con pietre di piccole dimensioni unite con malta, senza un apparente ordine compositivo), i pavimenti in cocciopesto con inserti lapidei e le pareti dipinte in I Stile, tecniche costruttive e pittoriche ormai in disuso nella seconda metà del I secolo d.C. Da uno scaffale a muro rinvenuto all’interno di un cubicolo al piano superiore proviene, inoltre, un archivio di tavolette cerate legate a gruppi di due o tre (dittici e trittici), alcune delle quali di piccolo formato (e perciò dette pugillares, perché impugnabili), e rotoli di papiro (volumina). Grazie al progetto Herculaneum 3D Scan possiamo esplorarla, misurarla ed osservarla nei minimi particolari con le nuvole di punti 3D ad altissima densità (https://bit.ly/30bcA4C).
“Lapilli sotto la cenere”: la sesta clip del parco archeologico di Ercolano ci fa scoprire la Basilica di Ercolano, ripercorrendo gli antichi cunicoli borbonici
Nella sesta clip dei Lapilli sotto la cenere del Parco Archeologico di Ercolano, il direttore Francesco Sirano in compagnia dell’archeologo dell’Herculaneum Conservation Project Domenico Camardo ci accompagna alla scoperta della Basilica di Ercolano, ripercorrendo gli antichi cunicoli borbonici che mostrano in ogni angolo le meraviglie dell’antico edificio. Secondo le più recenti ricerche il foro di Ercolano si dovrebbe trovare proprio qui alle nostre spalle, all’incrocio tra il cardo terzo e il decumano massimo. Indagando sui resti di un arco che è caduto in crollo sul terzo cardo, attraverso cunicoli, è stata scoperta la Basilica. “La Basilica – ricorda Sirano – era un edificio molto simile alla nostra Borsa valori ma che aveva anche delle funzioni legate alla discussione di cause per lo più di tipo civile nel cosiddetto tribunal. Il nome deriva proprio dalla basilichè aulè: cioè la sala del re che era una delle principali sale dei palazzi dei monarchi ellenistici. A questo modello si ispirarono gli edifici romani”. L’interno della basilica era costituito da una grande sala che aveva colonne su tutti i lati. Sul fondo del lato Sud della basilica c’era una sorta di piccolo sacello, un ambiente nel quale si trovavano statue di imperatori qui venerati come delle divinità. Andando attraverso i cunicoli borbonici si può esplorare quello che si trovava alle spalle del muro di fondo della basilica. “Un piccolo cunicolo borbonico”, interviene Camardo, “costeggia il perimetro di questo sacello che era sul lato di fondo della basilica, e permette però di ricostruire quasi completamente quello che era l’apparato decorativo di questa stanza. In basso si vede che per oltre un metro di altezza vi erano delle lastre di marmo che sono state staccate in epoca borbonica. Subito sopra inizia la parete affrescata per la quale i Borbone hanno tagliato un piccolo quadro, si vede molto bene il distacco. Probabilmente questo è uno dei quadri che oggi sono conservati al museo Archeologico nazionale di Napoli dove appunto confluivano tutti questi materiali. Invece nella parte di fondo della stanza c’è ancora un quadretto, conservato nella posizione originaria perché era lesionato nella parte centrale, e quindi nel Settecento decisero di non staccarlo. La stanza era illuminata probabilmente da una finestra che si trovava più in alto. Questo lo possiamo affermare per la presenza in alto dei resti di una grata di legno intrecciata, come quelle che nelle case di Ercolano si trovano appunto a chiusura delle finestre. Si vedono emergere appena appena gli elementi in legno dalla massa di materiale vulcanico che ancora riempie la parte alta della stanza”.
L’interno della basilica di Ercolano si raggiunge con un cunicolo borbonico realizzato alla metà del XVIII secolo. Uno corre lungo il lato meridionale della basilica. “Esplorando questi cunicoli”, continua Camardo, “abbiamo potuto determinare con certezza le dimensioni di questa grande sala. Si tratta di un’aula di 16 metri di larghezza per oltre 30 metri di lunghezza: quindi un grande rettangolo con delle colonne addossate lungo tutte le pareti. Presso queste colonne abbiamo rinvenuto anche numerose basi di statue che attestano anche la ricchezza dell’apparato decorativo della stessa basilica. In epoca borbonica sappiamo che furono recuperate cinque statue dalla stessa basilica. E tre appartenevano a Marco Nonio Balbo, la madre e il padre, quindi erano una vera e propria Galleria Balba come veniva chiamata in epoca borbonica. Quindi in basilica si celebrava anche la famiglia di Marco Nonio Balbo che era stato proprio il personaggio che aveva donato alla città questo edificio. E infatti la basilica è stata costruita intorno al 20 a.C., quindi quasi un secolo prima dell’eruzione; e poi ha subito modifiche dal punto di vista architettonico. E anche le pitture della stessa basilica – ne abbiamo le prove – sono state quasi tutte rifatte nel corso dei decenni. Il dato interessante è che noi all’interno dei cunicoli abbiamo potuto riscontrare la presenza di almeno otto basi di statue, il che significa praticamente che, oltre alle cinque statue recuperate in epoca borbonica, nella parte di fango vulcanico sicuramente ci sono altre statue da recuperare nel giorno in cui si riuscirà a scavare completamente a cielo aperto questo edificio”. Le colonne erano realizzate con mattoni di terracotta ed erano rivestite di stucco che imitava il marmo. Quanto erano alte le colonne? “L’edificio era altissimo: era alto circa 15 metri”, conclude Camardo. “Noi lo sappiamo grazie a una porzione della facciata che è crollata sul terzo cardo. Quindi abbiamo proprio potuto rinvenire le diverse parti dell’alzato conservate. Sappiamo che c’erano queste colonne con capitello ionico, poi un alto fregio dove erano dipinte alcune scene dalle fatiche minori di Ercole, e infine un secondo ordine di colonne con capitello corinzio sul quale poggiava il tetto a capriate che era rivestito con tegole”.
“Lapilli sotto la cenere”: la quarta clip del parco archeologico di Ercolano alla scoperta di altri tesori dell’antica Herculaneum presenta lo studio 3D della Casa del Mobilio Carbonizzato
In questa quarta clip dei “Lapilli sotto la cenere in 3D SCAN” del parco archeologico di Ercolano scopriamo la Casa del Mobilio Carbonizzato che deve il suo nome alla scoperta di tre mobili in legno rinvenuti all’interno di un ambiente posto nella parte più privata dell’abitazione. Un tavolino e due letti, uno dei quali ad alta spalliera con tracce del tessuto che la rivestiva e doghe in legno alle quali era agganciata una rete fatta di corda, costituivano l’arredo di questa sala da pranzo (triclinium) dotata di tre ampie finestre con affaccio sul piccolo cortile interno. La dimora occupa un lotto quadrangolare di circa 250 mq con ingresso sul IV Cardo superiore definito da un ampio portale con stipiti in blocchi di tufo. Superando lo stretto corridoio (fauces) di ingresso, pavimentato in cocciopesto con tessere marmoree bianche e nere a forma di crocetta e un secondo portale, si raggiunge un vasto atrio quadrangolare dove ricorre, in tono minore, lo stesso partito architettonico del loggiato superiore della vicina Casa sannitica. Grazie al progetto Herculaneum 3D Scan possiamo esplorarla, misurarla ed osservarla nei minimi particolari con le nuvole di punti 3D ad altissima densità (https://bit.ly/3h6GJZS).
“Lapilli sotto la cenere”: nella terza clip del parco archeologico di Ercolano il direttore Sirano ci porta a scoprire i preziosi legni (mobili e arredi) ritrovati nell’antica Herculaneum e conservati nei depositi-laboratori dove sono studiati e restaurati
Nella terza clip dei “Lapilli sotto la cenere del parco archeologico di Ercolano” il direttore Francesco Sirano ci accompagna eccezionalmente alla scoperta di alcuni reperti che ancora oggi riescono ad emozionare: sono i legni ritrovati nella città antica, una testimonianza importante che ha aiutato gli studiosi a comprendere le diverse tecniche di lavorazione e l’estetica degli ornamenti ebanistici dei complementi di arredo delle domus. “Le modalità di seppellimento della città antica”, spiega Sirano, “hanno fatto conservare il materiale organico il cui aspetto è leggermente mutato, ha preso una forma carbonizzata, ma è perfettamente riconoscibile”. Uno dei reperti più importanti che non manca ancora oggi di emozionare è la culla dalla casa di Graniano. “Fu trovata con i resti di un materassino e adagiato lo scheletro del bambino. Un salto nel tempo che ci riporta direttamente al 79 d.C. e alla tragedia che imperversò Ercolano”. Le case di Ercolano avevano arredi di ogni genere: andiamo dagli sgabelli addirittura con l’impiallacciatura in legno di rosa, a tavolini con le zampe configurate. “Interessantissimo un armadio larario, un mobile composto in due parti: sopra abbiamo un vero e proprio piccolo tabernacolo all’interno del quale c’erano delle statuette di culto di divinità a cui quella famiglia era devota; e nella parte bassa un armadio dove erano deposti degli utensili che servivano per la vita di tutti i giorni. Si può notare in particolare la splendida ricostruzione fatta da Maiuri che poteva contare su degli operai, anche ebanisti, di eccezionale capacità che hanno ricostruito perfettamente questo mobilio. Infatti non ci dimentichiamo che i mobili si trovavano tutti all’interno del flusso piroclastico. Era davvero complicato già solo riconoscerli e poi riuscire a tirarli fuori da questa massa di fango che li inglobava”. Ritrovate anche delle cassapanche o addirittura delle panchine dove ci si poteva sedere, e ben tredici letti. “Uno dei letti meglio conservati ha una spalliera alta tutta decorata, anche questo in legno di rosa con impiallacciatura che fa dei disegni geometrici. La rete è in legno. Su questa veniva adagiato il materasso”. I materiali organici ritrovati sono dei materiali estremamente delicati, hanno bisogno di essere conservati in un ambiente climatizzato e inoltre di continua manutenzione.

Elemento del soffitto in legno del salone delle feste della Casa del Rilievo di Telefo di Ercolano (foto Paerco)
Oltre ai mobili a Ercolano sono stati ritrovati anche complementi di arredo. Eccezionali durante gli scavi effettuati in collaborazione con l’Herculaneum Conservation Project e con il finanziamento della fondazione Packard sono i resti di un soffitto che decorava il salone delle feste della Casa del Rilievo di Telefo. “Il legno in questo caso – continua Sirano – ha mantenuto il suo aspetto di legno vivo perché è stato ritrovato in un ambiente umido. Ma non solo: si può vedere come si sono conservati i colori. E inoltre è stato particolarmente interessante l’aver potuto ricostruire la tecnica degli incastri che venivano utilizzati da questi sapientissimi artigiani che hanno creato un vero e proprio capolavoro nella casa di Marco Nonio Balbo che era uno dei personaggi più importanti di Ercolano antica”. Elisabetta Canna, restauratore del parco archeologico di Ercolano: “Il restauro di questo reperto, come degli altri 75 pezzi del soffitto della Casa del Rilievo di Telefo, è iniziato molti anni fa, perché la fase preliminare all’intervento è stata una fase di studio e ricerca, proprio perché il legno bagnato e ritrovato a Ercolano è di estrema rarità. Conclusa la fase di studio nella quale si è indagata anche la natura del legno, ed è venuto fuori essere un abete bianco, e la natura dei colori delle ocre stese con un legante organico, una proteina, una tempera all’uovo, si è potuto mettere a punto un intervento di conservazione, un consolidamento con degli zuccheri, elementi compatibili con il materiale originale. E poi una seconda fase di restauro estetico della superficie che ha visto l’utilizzo del laser come elemento fondamentale per recuperare le cromie originali dal materiale di scavo che era rimasto incrostato sulle superfici”.

Elementi di mobili in legno con placche in avorio ritrovati nella Villa dei Papiri di Ercolano (foto Paerco)
Tra gli oggetti più sbalorditivi ritrovati nel corso degli scavi alla villa dei Papiri da Maria Paola Guidobaldi ci sono dei mobili di legno. Le analisi hanno rivelato che si tratta di legno di frassino e questi mobili erano rivestiti con placche di avorio in parte lavorate a rilievo. Durante la documentazione preliminare sono stati effettuati una serie di disegni accurati e un modello 3D che ha permesso di recuperare una copia perfettamente uguale all’originale stampata con laser scanner in maniera da poter manipolare facilmente questi pezzi che altrimenti non avremmo potuto toccare data la delicatezza. “In questa maniera si è cercato di ricostruire gli assemblaggi delle varie parti che formavano questo mobile. Si può vedere l’incastro sulla zampa leonina che era la base di un mobile che oggi sappiamo essere identificato con il sostegno di un bacino, un sostegno a treppiedi, un tripode che aveva in alto un coronamento al di sopra del quale dobbiamo immaginare un bacino. Sulla base del numero di frammenti si sono ipotizzati almeno tre tripodi, tre vasi di sostegno che in base alla decorazione dovevano avere un significato anche rituale. Infatti notiamo che tutto gira intorno al mondo di Dioniso: si riconosce il dio e personaggi del suo corteggio. Ed eccezionali sono le scene di sacrificio che avvengono sui pezzi che sostenevano il vero e proprio bacino. Qui infatti abbiamo una scena dove si vedono proprio delle persone che stanno compiendo un sacrificio incruento davanti a una statua del dio Priapo”.
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