Pakistan. A Saidu Sharif (Swat) celebrato il 70mo della MAI in Pakistan oggi co-gestita da ISMEO e l’università Ca’ Foscari Venezia e lanciato il nuovo progetto “Khyber PATH” di Ca’ Foscari per proteggere i siti archeologici, migliorane la leggibilità, e rafforzare la filiera turistica

Veduta aerea del tempio buddista scoperto a Barikot, nello Swat, dalla missione archeologica italiana dell’Ismeo e dell’università Ca’ Foscari di Venezia (foto ismeo/unive)
Il 25 ottobre 2025 a Saidu Sharif (Swat, Pakistan) si è celebrato il settantesimo anniversario della Missione Archeologica Italiana in Pakistan oggi co-gestita da ISMEO (Associazione Internazionale di Studi sul Mediterraneo e l’Oriente) e l’università Ca’ Foscari Venezia. Ne dà notizia il numero di cafoscariNEWS del 29 ottobre 2025. Le attività archeologiche italiane in Swat, provincia del Khyber-Pakhtunkhwa (KP), hanno inizio nel 1955, quando Giuseppe Tucci, famoso tibetologo e orientalista, visitò per la prima volta la regione. Così ebbe inizio un’attività ininterrotta per 70 anni, che ha visto la missione archeologica italiana dell’allora IsMEO, l’istituto presieduto da Tucci (oggi ISMEO) assumere un ruolo di primo piano nell’archeologia dell’Asia meridionale. La celebrazione è stata aperta da un messaggio dell’Ambasciatrice d’Italia in Pakistan, Marilina Armellin, che ha sottolineato il ruolo della Missione nel promuovere la visibilità su scala globale del patrimonio culturale del Pakistan e nel rafforzare la storica collaborazione tra i due Paesi. Sono seguiti una serie di interventi da parte delle istituzioni pakistane e italiane che da anni sostengono il lavoro della Missione. È stato trasmesso anche un messaggio della rettrice dell’università Ca’ Foscari, Tiziana Lippiello, che ha affermato: “La Missione Archeologica Italiana in Pakistan celebra oggi il suo 70° anniversario – 70 anni di esplorazione del ricco patrimonio del Pakistan e di costruzione di ponti culturali e di una profonda e duratura amicizia tra i nostri due paesi. L’università Ca’ Foscari Venezia è orgogliosa della sua vocazione internazionale e della sua volontà di imparare dal mondo, specialmente dall’Asia, rendendo le sue conoscenze disponibili alla nostra comunità studentesca e approfondendo la comprensione del suo passato e del suo presente attraverso la ricerca collaborativa”.

Podio del tempio di Zalamkot scoperto nello Swat dalla Missione archeologica italiana in Pakistan di Ismeo e università Ca’ Foscari di Venezia (foto unive)
Nella seconda parte dell’evento sono intervenuti i rappresentanti di diverse università pakistane che collaborano attivamente con la Missione, che hanno evidenziato l’impegno della stessa nella formazione di giovani archeologi pakistani, attraverso seminari e attività sul campo, nonché il suo ruolo nella promozione dell’eco-turismo in Pakistan grazie al progetto ACT (Archaeology Community Tourism) – Field School Project (2011–2017). L’evento si è concluso con il lancio del nuovo progetto triennale progetto “Khyber PATH (Professions for Climate Adaptation ecoTourism and Heritage)”, gestito da Ca’ Foscari in partenariato con il DGOAM del KP e implementato localmente da ISCOS INGO, finanziato dal ministero degli Affari esteri tramite l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo con 3 milioni di euro. Il progetto è volto a proteggere i siti archeologici del Pakistan settentrionale e a migliorarne l’accessibilità e la leggibilità, nonché a rafforzare la filiera turistica sostenibile e responsabile lungo un percorso integrato (circa 125 km) che collega otto siti archeologici che si estendono da Taxila a Barikot. Durante la presentazione, il prof. Luca Maria Olivieri, direttore della Missione e del Progetto, ha annunciato “durante lo scavo in corso a Zalamkot è stata riportata alla luce una nuova grande città dell’antica civiltà del Gandhara posizionata lungo l’antica strada nota come Hati-lar. Secondo una nostra recente rilettura di una iscrizione bilingue, sanscrito-persiana, si tratterebbe della città di Jayapālanagara che porta il nome dell’ultimo sovrano Hindu Shahi. Gli scavi sono potuti iniziare, nonostante le difficoltà logistiche, grazie alla collaborazione con la comunità locale guidata dal poeta, scrittore e archeologo Abdul Nasir di Alladan-dheri”. Questo nuovo progetto testimonia la continuità dell’impegno della Missione Archeologica Italiana in Pakistan, che da settant’anni rappresenta un punto di riferimento non solo per la ricerca scientifica — con oltre 1000 pubblicazioni — ma anche per la cooperazione culturale e lo sviluppo sostenibile della regione e nella formazione di professionisti locali nel campo dell’archeologia, nella tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e nella promozione della consapevolezza della sua centralità sociale ed economica. Tale rilevanza è stata confermata dalla varietà del pubblico presente alla celebrazione: non solo docenti universitari e rappresentanti delle autorità pakistane provinciali e federali, ma anche studentesse e studenti di college e università, associazioni culturali, la casa editrice Sang-e-Meel, architetti impegnati in progetti di Heritage, giornalisti e membri delle comunità locali dei siti archeologici in cui la Missione opera.
Roma. Al museo Pietro Canonica a Villa Borghese la mostra “I Giganti gentili: architettura e antropologia delle torri colombaie della provincia di Esfahan” che esplora l’architettura e il significato storico delle torri colombaie di Esfahan (Iran), affascinante aspetto poco noto della cultura locale
Dal 22 ottobre 2025 all’11 gennaio 2026 il museo Pietro Canonica a Villa Borghese a Roma ospita la mostra “I Giganti gentili: architettura e antropologia delle torri colombaie della provincia di Esfahan” a cura di Danilo Rosati, co-direttore della Missione di ricerca ISMEO nella regione di Esfahan (Iran), Ilaria Elisea Scerrato, responsabile della documentazione antropologica nel quadro della Missione, e Livio Pittui, coordinatore del progetto espositivo. La mostra, promossa da Roma Capitale, assessorato alla Cultura – sovrintendenza Capitolina ai Beni culturali, è organizzata da ISMEO – Associazione Internazionale di Studi sul Mediterraneo e l’Oriente, con il patrocinio del ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale. ISMEO è un’associazione culturale fondata a Roma nel novembre 2012, erede scientifica dell’Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente (IsMEO) e dell’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente (IsIAO), di cui prosegue le finalità ideali e accademiche, nonché le missioni e i programmi di ricerca archeologica, filologica e culturale in numerosi Paesi dell’Asia, dell’Africa e del bacino del Mediterraneo.

L’interno di una torre colombaia della provincia di Esfahan in Iran (foto progetto ismeo borj-e kabotar)
L’esposizione, che rientra nelle attività di divulgazione del progetto di ricerca ISMEO “Borj-e Kabotar” dedicate allo studio e alla documentazione delle torri colombaie della regione di Esfahan, intende valorizzare questo patrimonio culturale e architettonico, costruendo un percorso visivo che racconti la storia, la funzione e l’importanza di queste strutture nel contesto socio-culturale della regione. Attraverso immagini dettagliate, mira a sensibilizzare il pubblico sulla rilevanza di questi edifici e sull’importanza del lavoro di ricerca e di documentazione svolto sul campo. Il catalogo della mostra, prodotto da ISMEO ed edito dalla casa editrice Scienze e Lettere (Roma), contiene testi di Danilo Rosati, Ilaria Elisea Scerrato, Tania De Nile e Carla Scicchitano e foto di Gaetano Pezzella e Danilo Rosati.
Le imponenti torri colombaie di Esfahan, esempi di una particolare architettura vernacolare in terra cruda, furono realizzate allo scopo di ospitare migliaia di colombi e raccoglierne il guano, utilizzato come fertilizzante naturale in agricoltura. Sovente cilindriche, esse potevano raggiungere i 25 metri di diametro e i 20 metri di altezza. Le pareti interne erano caratterizzate da nicchie per la nidificazione, mentre le superfici esterne erano rivestite da intonaci lisci, pensati per impedire l’accesso ai predatori. Molte delle circa tremila torri che un tempo circondavano Esfahan risalgono al regno di Shah Abbas il Grande (1557-1628), sovrano della dinastia safavide che lasciò un’impronta duratura sull’assetto urbanistico e monumentale della città. La mostra ruota attorno alla presentazione di vedute panoramiche e fotografie di dettaglio di queste imponenti strutture, con l’obiettivo di restituirne la complessità spaziale e architettonica. Ad accompagnare le immagini due modelli tridimensionali in polvere di gesso e resina che riproducono differenti tipologie di torri, insieme a materiali audio-video.

“Colombai per raccogliere il guano nelle pianure di kunickak e cavalcata persiana” di Aberto Pasini (foto roma capitale)
Un interessante legame tra il museo Pietro Canonica e il tema della mostra è offerto da due dipinti ad olio di Alberto Pasini (1826-1899), facenti parte della collezione di quadri raccolta dallo scultore. Le opere, realizzate durante il viaggio in Iran compiuto da Pasini tra il 1855 e il 1856 al seguito del diplomatico Prosper Bourée, includono una rara raffigurazione delle torri colombaie di Kunickak, preziosa testimonianza dell’immaginario orientalista dell’arte italiana dell’Ottocento.
Il percorso espositivo si articola in tre sezioni, accompagnate da pannelli informativi in lingua italiana e inglese. L’ingresso è dedicato a introdurre il visitatore al contesto geografico e storico-culturale delle torri colombaie, evidenziandone l’origine, l’evoluzione nel tempo, l’utilizzo e l’importanza socio-economica che hanno assunto nell’ambito della vita rurale iraniana. La seconda sezione espone i dipinti di Pasini e presenta al pubblico il progetto di ricerca “Borj-e Kabotar”, che affronta lo studio delle torri attraverso una prospettiva multidisciplinare che combina archeologia, architettura e antropologia. L’approccio etnografico della Missione ha permesso di approfondire la relazione tra queste architetture e le comunità rurali, documentando conoscenze tramandate oralmente e analizzando le trasformazioni legate ai mutamenti d’uso. Le attività di ricognizione e rilievo architettonico, condotte con l’ausilio di tecnologie avanzate come sistemi GIS e WebGIS, hanno consentito la raccolta e l’analisi di dati dettagliati sulla morfologia e sulla distribuzione delle torri nella regione.

L’interno di una torre colombaia della provincia di Esfahan in Iran (foto progetto ismeo borj-e kabotar)
L’ultima sala, cuore dell’allestimento, è dedicata all’analisi tipologica delle torri e presenta una ricca selezione di fotografie realizzate nell’ambito del progetto ISMEO. Le immagini illustrano da un lato il dialogo armonico tra le torri e il paesaggio, dall’altro le peculiarità costruttive, materiche e decorative che ne caratterizzano le diverse tipologie. Si indagano anche i temi dell’abbandono, del restauro e del riuso contemporaneo, documentando esperienze di recupero che hanno trasformato alcune torri in spazi funzionali, come sale da tè, a conferma della loro integrazione nella vita quotidiana dei villaggi moderni. Un’occasione preziosa, dunque, per scoprire un aspetto poco noto ma estremamente affascinante del patrimonio culturale iraniano. Attraverso il percorso di immagini e racconti, i visitatori saranno guidati alla scoperta della varietà architettonica e della funzione storica delle torri colombaie di Esfahan e del costante dialogo che le lega al presente.
Novità editoriali: “Le forme della città Iran, Gandhara e Asia Centrale”, scritti offerti a Pierfrancesco Callieri in occasione del suo 65° compleanno a cura di Luca Colliva, Anna Filigenzi, Luca Maria Olivieri con Marco Baldi

Copertina del libro “Le forme della città Iran, Gandhara e Asia Centrale” (Scienze e Lettere)

Pierfrancesco Callieri co-direttore a Tol-e Ajori (Persepoli, Iran) con Alireza Askari Chaverdi
Novità editoriali in commercio dal 3 giugno 2024. Per i tipi della casa editrice Scienze e Lettere, è stato pubblicato il libro “Le forme della città Iran Gandhara e Asia Centrale”, scritti offerti a Pierfrancesco Callieri in occasione del suo 65° compleanno a cura di Luca Colliva, Anna Filigenzi, Luca Maria Olivieri con Marco Baldi. “La preparazione da parte di ISMEO di questo volume in onore di Pierfrancesco Callieri”, scrive nella premessa Adriano V. Rossi, “rappresenta qualcosa di più dell’edizione di un insieme di studi con cui allievi e amici rendono solitamente omaggio a un collega internazionalmente stimato nel momento della sua massima maturità scientifica. Come spiegano i curatori di questo volume, è stata determinante in ogni fase della biografia scientifica di Pierfrancesco Callieri la scuola di Domenico Faccenna, con la particolare accentuazione da essa veicolata della dimensione pragmatica dello scavo, da una parte, e della meticolosità della documentazione e dello studio che seguono l’acquisizione dei dati, dall’altra. Il ‘metodo Faccenna’ (“un sistema forse un po’ spartano, ma efficace […] fatto di grande rispetto, regole precise, tanto rigore”, nelle parole di Pierfrancesco stesso), su cui l’amico qui festeggiato è tornato più volte, guidò il giovanissimo studioso, poco più che ventenne, fin dal suo esordio, con lo scavo della missione IsMEO nello Swat nel monastero buddhista di Saidu Sharif. Le cinque campagne di scavo che ne seguirono furono impeccabilmente illustrate in P.C., Saidu Sharif I (Swat, Pakistan). 1. The Buddhist Sacred Area. The Monastery (IsMEO Reports and Memoirs, XXIII 1, Rome 1989), dove, nelle pagine introduttive della pubblicazione (ibid., p. ix), Pierfrancesco ricorda i dettagli degli insegnamenti del suo maestro, relativi perfino al modo di predisporre il rapporto di scavo stesso”.
Milano. Al via l’VIII edizione delle Giornate di Archeologia Arte e Storia del Vicino e Medio Oriente promosse da Fondazione Terra Santa e Commissariato di Terra Santa del Nord Italia. Tre giorni di lavori in presenza e on line
Dal 20 al 22 ottobre 2022, a Milano, all’auditorium del museo dei Cappuccini in via Antonio Kramer 5 e in streaming, appuntamento con le Giornate di Archeologia Arte e Storia del Vicino e Medio Oriente, giunte all’VIII edizione, promosse da Fondazione Terra Santa e Commissariato di Terra Santa del Nord Italia. L’iscrizione per la partecipazione in presenza è gratuita previa iscrizione che dovrà essere effettuata registrandosi sulla piattaforma Eventbrite o via email all’indirizzo iscrizioni@fondazioneterrasanta.it indicando il proprio nominativo, quello di eventuali accompagnatori e le sessioni alle quali si desidera partecipare. Iscrizioni diretta streaming: l’iscrizione per la partecipazione alla diretta streaming prevede un piccolo contributo che andrà a sostenere i costi del servizio, da devolvere esclusivamente tramite carta di credito all’atto della registrazione su piattaforma Eventbrite. Offerta consigliata per singola sessione: 5 euro. Offerta consigliata per la partecipazione a tutte le sessioni: 15 euro. Per iscriversi a tutte le sessioni streaming del programma cliccare qui.
Giovedì 20 ottobre 2022, dalle 15 alle 17.30: “Cinema. Sguardi di Celluloide sulla Terra Santa”. Relazione introduttiva di Elena Mosconi, professoressa di Storia del Cinema all’università di Pavia. Selezione di filmati tratti da una quarantina di documentari storici realizzati tra gli anni Quaranta e Ottanta dalla Custodia di Terra Santa, restaurati e digitalizzati a cura del museo del Cinema di Milano. Iscriviti qui
Venerdì 21 ottobre 2022, dalle 9 alle 13: “Crisi ambientali e guerre dell’acqua in Medio Oriente”. Intervengono: Cristina Cattaneo, responsabile di ricerca sulle migrazioni all’European Institute on Economics and the Environment (Eiee), su “Cambiamenti climatici e migrazioni nel Mediterraneo, un quadro”; Mauro Primavera, ricercatore dell’università Cattolica del Sacro Cuore di Milano / Fondazione Oasis, su “La dimensione ambientale della guerra in Siria”; Anna Pozzi, giornalista e scrittrice, Fondazione Pime, su “Crisi climatica, conflitti e migrazioni nel Sahel”; Manuela Borraccino, giornalista, esperta di Medio Oriente, su “Prospettive di genere sul contrasto alla crisi climatica in Medio Oriente”; Giuseppe Caffulli, giornalista, direttore della rivista Terrasanta, su “Il caso Mar Morto”. Sessione accreditata per la formazione permanente dell’Ordine dei Giornalisti. Per chi svolge la professione iscriversi dal portale formazionegiornalisti.it. Iscriviti qui.
Venerdì 21 ottobre 2022, dalle 14.30 alle 17: “Anniversari 2023-2025 – Verso gli 800 anni di Francesco d’Assisi”. Intervengono: fra Giuseppe Buffon, professore di Storia della Chiesa alla Pontificia Università Antonianum di Roma, su “1223-2023 | Carisma e Istituzione, otto secoli della Regola bollata”; Antonio Musarra, professore di Storia Medievale alla Sapienza Università di Roma, su “1223-2023 l Presepe di Greccio: una translatio francescana dei Luoghi Santi?”; Rosa Giorgi, storica dell’arte, direttrice del museo dei Cappuccini di Milano, su “1224-2024 | Le Stimmate di Francesco, un percorso iconografico”; fra Stefano Luca, professore di Islamistica allo Studio Teologico Laurentianum di Venezia, esperto del dialogo cattolico-islamico, su “1225-2025 | l Cantico delle creature, una lettura missiologica”. Iscriviti qui.
Sabato 22 ottobre 2022, dalle 10 alle 13: “Archeologia: dal Nilo alla Via della Seta”. Intervengono: Alberto Elli, orientalista, docente di Lingue dell’Antico Egitto, su “I geroglifici, Champollion e la Stele di Rosetta a 200 anni dalla decifrazione”; Maria Giovanna Biga, già docente di Storia del Vicino Oriente antico alla Sapienza Università di Roma, su “Il velo nelle religioni e culture dell’antico Medio Oriente”; Massimo Vidale, archeologo, dipartimento dei Beni culturali, università di Padova, su “Hatra, rinascita di una città in Iraq”; Sergio Ferdinandi, vice-presidente ISMEO – Associazione Internazionale di Studi sul Mediterraneo e l’Oriente di Roma, su “Armenia medievale: sistemi di difesa e di incastellamento della Via della Seta”; fra Amedeo Ricco, archeologo, Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme, su “I resti architettonici della Rotonda del Santo Sepolcro a Gerusalemme: riscoperta e valorizzazione”. Iscriviti qui.
“Afghanistan: tracce di una cultura sfregiata”: il regista veneziano Alberto Castellani svela in anteprima il suo nuovo film che racconta di un Paese martoriato, un popolo umiliato, una cultura millenaria e un patrimonio archeologico ricchissimo a rischio; con il contributo dei massimi esperti in materia
“Afghanistan, una terra dimenticata. Un popolo ferito e umiliato. Una tragedia immane. Un conflitto senza fine. Afghanistan, ultimo atto? Afghanistan, una cultura millenaria. Una cultura calpestata. Una incredibile avventura archeologica. Un patrimonio archeologico ricchissimo singolare incrocio di culture diverse oggi sottoposte a un sistematico saccheggio”. È con queste parole accompagnate da immagini straordinarie e drammatiche che il regista veneziano Alberto Castellani ci svela con un promo in anteprima il suo ultimo nuovo film, di cui sta ultimando in queste settimane la produzione: “Afghanistan: tracce di una cultura sfregiata” destinato a essere uno dei film protagonista delle rassegne cinematografiche a soggetto archeologico dell’autunno 2022. “Dovrebbe durare all’incirca un’ora”, anticipa Castellani, “ma un minutaggio preciso al momento non è possibile. Vorrei che il film fosse disponibile per settembre in tempo per partecipare fuori concorso ad un momento dedicato all’Afghanistan che il RAM, il festival internazionale di Rovereto, sta organizzando per la giornata finale della manifestazione di quest’anno, esattamente tra tre mesi, il 2 ottobre 2022”.

La valle di Bamiyan in Afghanistan con quel che resta dei Budda fatti saltare dai Talebani (foto TOI)
Dopo il film “Mesopotamia in memoriam” il racconto di una nuova pagina drammatica destinata a sconvolgere le nostre coscienze: “È stata una decisione presa all’indomani della presa di Kabul da parte dei talebani”, racconta Castellani. “Una decisione forse un po’ avventata per l’impegno e le difficoltà che poteva comportar la realizzazione di programma televisivo dedicato all’Afghanistan. Ed è così che abbandonato per un po’ il Medio Oriente legato alla mia produzione audiovisiva di questi ultimi anni, mi sono letteralmente “tuffato” nel continente asiatico venendo a contatto con un mondo ed una cultura che fino ad oggi non mi avevano coinvolto”.

La corona d’oro trovata nelle tombe di Tillia Tepe (Afghanistan)
L’Afghanistan è una data, il 15 agosto 2021, quando ha cominciato a chiamarsi “Emirato islamico dell’Afghanistan”. “È lo Stato, se così possiamo ancora chiamarlo, che, nel corso di poche settimane, le milizie talebane hanno conquistato o meglio riconquistato occupando i principali centri della nazione compresa la capitale Kabul. Ed è lo Stato totalmente disfatto, da cui la popolazione civile sta tuttora cercando, con crescente difficoltà, di fuggire verso l’occidente. A quale Afghanistan rivolgersi? mi sono allora chiesto. Ma perché allora non pensare anche ad un altro possibile intervento, ad altre risorse che non debbono essere dimenticate dall’opinione pubblica internazionale oltre che dagli stessi afghani? Perché non pensare, ad esempio, alla millenaria cultura di quel popolo, a qualcosa che va ad inserirsi nelle radici più lontane di una comunità oggi in ginocchio ma che forse un domani potrà trovare nuove forze guardando al suo glorioso passato? L’Afghanistan rischia di perdere la propria identità e di svegliarsi dal caos attuale senza la coscienza di possedere una storia”, denuncia il regista. “L’Archeologia con le sue capacità a volte inesauribili di scoprire e ricostruire il passato può fornire un prezioso contributo per la sua rinascita”.

Un rilievo dell’arte di Gandhara esposto nella mostra “Città, palazzi, monasteri. Le avventure archeologiche dell’IsMEO/IsIAO in Asia”
Il programma intende ricordare le principali figure di studiosi che nel corso del ‘900 e di questo inizio secolo si sono dedicati a ricostruire le vicende artistiche più lontane dell’Afghanistan facendo conoscere al mondo soprattutto l’arte del Gandhara che si caratterizza per la compresenza di elementi indiani, ellenistici ed iranici. Si tratta, nella fase iniziale, di archeologi francesi ma anche di ricercatori italiani tra i quali spicca la figura di Giuseppe Tucci.

L’archeologa Anna Filigenzi in Afghanistan dove dirige la missione archeologica italiana dal 2004 (foto ismeo)
Per accompagnare il pubblico in questo viaggio, il regista veneziano si è avvalso della collaborazione di prestigiose istituzioni culturali, dal Museo Guimet di Parigi al Museo delle Civiltà di Roma, dal Museo Archeologico di Kabul all’ISMEO di Roma. E soprattutto ha trovato dei “compagni di viaggio” preziosi che ora costituiscono il comitato scientifico del film. “A partire dal coinvolgimento di Anna Filigenzi, direttrice della missione archeologica italiana in Afghanistan”, ricorda Castellani. “È stata la sua una presenza discreta, concretizzatesi in un incontro avvenuto a Firenze e proseguito poi con una serie di contatti telefonici e di suggerimenti per individuare alcune figure chiave di consulenti”. Si tratta di Massimo Vidale (università di Padova), di Luca Maria Olivieri (università Ca’ Foscari Venezia), di Ciro Lo Muzio (università La Sapienza di Roma), di Laura Giuliano e di Michael Jung (museo delle Civiltà di Roma). Particolarmente significativo il carattere scientifico del contributo ma anche il valore simbolico della partecipazione, il coinvolgimento di Mohammed Fahim Rahmi, Direttore Museo di Kabul, che in qualche modo, è proprio il caso di dirlo, è riuscito a far giungere nel mio computer delle preziose immagini a testimonianza della situazione del Museo più importante dell’Afghanistan”.

Il regista Alberto Castellani al Museo Guimet di Parigi per le riprese del film “Afghanistan” (foto media venice)
Sono stati soprattutto due i Musei cui Castellani si è rivolto per la sua documentazione. Innanzitutto il parigino museo nazionale delle Arti Asiatiche, più noto come Museo Guimet, una esposizione permanente dedicata all’arte asiatica, in grado di documentare, tutte le campagne di scavo, tenutesi in territorio afghano, tra gli anni Venti e gli anni Quaranta del secolo scorso grazie ad accordi intercorsi tra Francia ed Afghanistan. Quanto esposto al Guimet ha consentito a Castellani di far emergere alcune figure base della archeologia afghana. Si tratta di Alfred Foucher, giustamente considerato l’iniziatore di una campagna di indagini sul territorio che porterà alla individuazione di alcuni fondamentali siti come Hadda e Balkh. Si tratta di Joseph Hackin e di sua moglie Marie legati alla scoperta del Tesoro di Begram, di Jean Carl ed alle sue indagini sul monastero di Fundukistan, di Daniel Schlumberger che tanto operò sul sito di Ai Khanun.

Il prof. Massimo Vidale, dell’università di Padova, tra i consulenti scientifici del film di Alberto Castellani (foto castellani)
Senza contare l’impegno italiano che ha preso avvio sin dal lontano 1957 con indagini su siti pre-islamici e islamici, Ghazni soprattutto, ponendo in luce aspetti inediti della storia culturale dell’Afghanistan e la sua centralità nella creazione e diffusione pan-asiatica di modelli artistici originali. Un impegno complessivo che ha fatto conoscere all’opinione pubblica internazionale quella che viene conosciuta come l’arte del Gandhara e attraverso essa lo sviluppo di una rivoluzione formale, di un nuovo modo di concepire le forme, il corpo umano, la narrazione, fattori questi che non esistevano nel mondo indiano. “Prima ci si esprimeva più attraverso delle icone statiche, dense di significato, immagini codificate”, sostiene il prof. Vidale in un suo contributo che appare nel film. “L’ellenismo portò veramente la capacità di rappresentare la vita dell’uomo in tutte le sue forme: la sensualità, i movimenti delle donne, i bambini, gli asceti i boschi, gli animali. Tutte cose che prima non c’erano. Ma questi codici formali non furono utilizzati per parlare dell’Occidente e dei valori del mondo greco, furono utilizzati per raccontare il mondo indiano. Ed è stata questa sintesi che ha avuto l’effetto così rivoluzionario che ancora oggi ci ammalia per la sua ambiguità e per la sua vitalità”.

Shiva e Parvati: il prezioso rilievo fa parte delle collezioni del museo di Arte orientale “Giuseppe Tucci” al Muciv di Roma
Una seconda tappa fondamentale è costituita dal materiale esposto al Museo romano delle Civiltà e la riscoperta di una figura forse un po’ dimenticata in questi ultimi anni. Si tratta di Giuseppe Tucci. In anni in cui il Nepal era ancora un paese misterioso, il Tibet un paese proibito e favolistico, l’India una realtà poco conosciuta, Tucci fu uno dei primi occidentali a visitare quei paesi. Per decenni ne ha percorso le mulattiere, gli altopiani e le vette innevate. Lo ha fatto servendosi di asini o cavalli, unendosi a carovane di passaggio, spesso muovendo da solo a piedi, trascorrendo le notti in ricoveri di fortuna. Per avvicinare e comprendere civiltà allora in gran parte ignote, ha usato la sua conoscenza, eccezionale per quegli anni, del sanscrito, del tibetano, del cinese, e di molte altre lingue orientali come l’ebraico, l’hindi, l’urdu, l’iranico, il pashtu, il mongolo. “I temi sono tanti, forse troppi per un film, me ne sto rendendo conto di giorno in giorno”, conclude Castellani. “Forse sessanta minuti alla fine saranno pochi per celebrare un Paese come l’Afghanistan. Perché questa terra, come ha sostenuto il prof. Olivieri davanti alla mia camera, è certamente un ammasso di orografie confuse e difficili da comprendere. Ma questo ammasso dice due cose. Innanzitutto come sia difficile affrontare la complessità di questo territorio, come sia difficile prenderlo, conquistarlo, mantenerlo sotto un controllo. Ma anche come dietro quel mucchio di pietre ci siano altri mucchi di pietre: mucchi di pietre che sono quelle lasciate dall’uomo. E la straordinaria ricchezza dell’Afghanistan, dal punto di vista archeologico, non ha probabilmente pari in tutta l’Eurasia”.
Roma. Anna Filigenzi su “Archeologie difficili e sistemi di valori. Il caso dell’Afghanistan”: conferenza in presenza e on line per il ciclo di incontri “Ripensare il mondo. Il confronto tra culture nella formazione delle civiltà”, presentato dal museo delle Civiltà e ISMEO

Locandina dell’incontro “Archeologie difficili e sistemi di valori. Il caso dell’Afghanistan” con Anna Filigenzi
Cosa può e deve fare l’archeologia? C’è ancora per essa uno spazio sociale da riconquistare e valori umani da riaffermare? La Missione Archeologica Italiana dell’ISMEO, attiva dal 1957, ha cercato possibili risposte entro il perimetro etico e scientifico della ricerca, dell’avanzamento degli studi e della condivisione delle conoscenze. Non solo per difendere e proteggere il patrimonio materiale, ma per difenderne e proteggerne anche i valori immateriali. Questa operazione dipende dalla nostra capacità e volontà di comprendere la connessione dell’archeologia con la storia e la dimensione umana. Questo il tema dell’incontro “Archeologie difficili e sistemi di valori. Il caso dell’Afghanistan”: un racconto di esperienze, che dal lavoro sul campo, hanno condotto a ricostruzioni di frammenti di storia condivisa. Appuntamento giovedì 23 giugno 2022, alle 16.30, nella sala conferenza del Palazzo delle Scienze a Roma, nell’ambito del ciclo di incontri “Ripensare il mondo. Il confronto tra culture nella formazione delle civiltà”, presentato dal museo delle Civiltà e ISMEO (Associazione Internazionale di Studi sul Mediterraneo e l’Oriente). La conferenza sarà trasmessa anche in diretta streaming sul canale YouTube del Museo delle Civiltà: https://youtu.be/OY8kdYRwAHs.

L’archeologa Anna Filigenzi in Afghanistan dove dirige la missione archeologica italiana dal 2004 (foto ismeo)
L’archeologia in Afghanistan è condizionata, oggi come ieri, da una storia conflittuale, contrassegnata alla fine degli anni Settanta dall’occupazione sovietica e dagli eventi che a questa sono seguiti (quali la guerra civile, il regime talebano, l’occupazione internazionale, l’interludio democratico che non ha interrotto i conflitti in corso e, infine, il recente ritorno al potere dei Taliban). Sullo sfondo di questo scenario, l’archeologia diviene bersaglio di una propaganda che la rappresenta come espressione di una élite, più interessata a cose inerti che alle persone, o tenta di servirsene per mostrare all’opinione pubblica occidentale il volto umano e progressista della politica. Nel frattempo, la filiera locale dei beni culturali, con le sue infrastrutture e professionalità, duramente colpita dai lunghi anni del conflitto e, a partire dai primi anni 2000, sulla strada di una faticosa rinascita, ripiomba in una situazione pericolosamente precaria.

L’archeologa Anna Filigenzi
Anna Filigenzi è professore associato di Archeologia e storia dell’arte dell’India all’università di Napoli “L’Orientale”. Dirige dal 2004 la Missione Archeologica Italiana in Afghanistan e dal 1984 è membro attivo della Missione Archeologica Italiana in Pakistan. È vice-presidente dell’ISMEO e della SEECHAC ed è membro di diverse istituzioni scientifiche, in Italia e all’estero, e di comitati editoriali stranieri. Il suo lavoro sul campo, le sue pubblicazioni e la sua attività didattica hanno come oggetto principale l’archeologia e la storia dell’arte dell’area compresa tra il Nord-Ovest del Subcontinente indiano, le regioni himalayane e l’Asia Centrale, con particolare riferimento ai periodi gandharico e post-gandharico; al rapporto tra culture religiose, politica e società civile; ai rapporti culturali tra Pakistan settentrionale, Kashmir, Afghanistan, Himalaya occidentale e Xinjiang, soprattutto in relazione allo sviluppo e alla circolazione di forme di arte visiva. Ha all’attivo numerosi progetti di ricerca, individuali e collettivi, svolti in Italia e all’estero, e numerose pubblicazioni.
Roma. All’Archivio centrale dello Stato apre la mostra fotografico-documentaria “Italia-Libia: i luoghi dell’archeologia. Dagli archivi all’impegno sul campo” che racconta 70 anni di missioni archeologiche italiane in Cirenaica, Tripolitania, Fezzan a partire dagli anni ‘50 del secolo scorso col contributo delle fonti archivistiche

Locandina della mostra fotografico-documentaria “Italia-Libia: i luoghi dell’archeologia. Dagli archivi all’impegno sul campo”: all’Archivio centrale dello Stato dal 9 al 30 giugno 2022
I paesaggi archeologici della Libia, che coincidono con i luoghi dove ancora oggi sono attive le missioni operanti in seno al Dipartimento di Antichità della Libia (DoA), rappresentano un patrimonio che negli anni dell’occupazione italiana della Libia (1911-1943) si è prestato a lungo a narrazioni retoriche con finalità apertamente propagandistiche. A partire dagli anni Cinquanta il confronto con questa eredità si è espresso in un dialogo sempre più costruttivo tra il DoA e le missioni archeologiche italiane: il processo di rinnovamento è stato segnato da ricerche che esulano totalmente dalla tradizione coloniale e che sono ancora oggi sostanziate dal proficuo scambio con altre missioni straniere presenti in Libia. La ricerca archeologica, senza dimenticare il passato – le fonti documentarie sono lì a ricordarlo – si presenta oggi totalmente rinnovata negli obiettivi, nelle metodologie e nell’assunzione di nuove responsabilità sotto il segno di una nuova cooperazione. Giovedì 9 giugno 2022, alle 9.30, a Roma. all’Archivio centrale dello Stato, verrà inaugurata la mostra fotografico-documentaria “Italia-Libia: i luoghi dell’archeologia. Dagli archivi all’impegno sul campo” organizzata dall’Archivio centrale dello Stato, l’ISMEO e la Fondazione MedA col patrocinio del ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale. Con l’occasione sarà presentato il catalogo della mostra “Libia-Italia: un’archeologia condivisa” (Tripoli, 22 settembre-22 dicembre 2021). Il programma. Dopo i saluti istituzionali, intervengono: alle 10.15, Mohamed Faraj al-Faloos, presidente Dipartimento di Antichità della Libia; 10.30, Giorgio Sobrà, Istituto centrale per il restauro – MiC; 10.45, Mirco Modolo, Archivio Centrale dello Stato – MiC; 11, Mustafa A. Turjman, Dipartimento Antichità della Libia; 11.15, Bashir O. Galgham, Dipartimento Antichità della Libia. Presentazione catalogo mostra “Libia-Italia: un’archeologia condivisa” (Tripoli: 22 settembre-22 dicembre 2021); 12, Andrea Manzo, ISMEO; 12.30, Emanuele Papi, direttore della Scuola Archeologica Italiana di Atene. A seguire: visita alla mostra e buffet. La mostra è allestita nell’atrio della sede monumentale di piazzale degli Archivi e si propone il duplice scopo di raccontare 70 anni di missioni archeologiche italiane in Cirenaica, Tripolitania, Fezzan a partire dagli anni ‘50 del secolo scorso e di mettere in evidenza il ruolo delle fonti archivistiche per ricostruire la storia della ricerca archeologica italiana in Libia. Ne sono un esempio i fondi archivistici dell’Archivio centrale dello Stato e le fotografie della Biblioteca IsIAO (Biblioteca nazionale centrale di Roma), che aprono il percorso espositivo. La mostra resterà aperta al pubblico, con accesso gratuito, dal 9 al 30 giugno 2022, dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 18.
Roma. Al museo delle Civiltà la conferenza di Roberto Dan in presenza e in streaming “Tra i regni di Colchide e Urartu. Tre anni di ricerca di ISMEO in Georgia”

A partire dal 2017 è stata avviata l’esplorazione di una vasta regione, il Samtskhe-Javakheti, posta nella Georgia meridionale. Questa si trova all’incrocio di importanti vie di comunicazione come quella che permetteva il raggiungimento dell’area costiera del mar Nero, la leggendaria Colchide, o quella che metteva in collegamento l’altopiano Armeno e l’Asia minore con le immense steppe a nord della catena montuosa del Grande Caucaso. Di questo parla la conferenza di Roberto Dan “Tra i regni di Colchide e Urartu. Tre anni di ricerca di ISMEO in Georgia” promossa in presenza e in streaming al museo delle Civiltà a Roma-Eur per il ciclo di conferenze “Ripensare il mondo. Il confronto tra culture nella formazione delle civiltà”. Appuntamento giovedì 5 maggio 2022, alle 16.30, in sala conferenze “F.M. Gambari” del Muciv e online sul canale YouTube, link https://youtu.be/9_BvrYFi6Wo. Con l’obiettivo di esplorare sistematicamente questa regione è stata creata la missione archeologica Samtskhe-Javakheti Project, un progetto congiunto georgiano (AAG, Università di Tbilisi) – italiano (ISMEO) di investigazione di un’area che è rimasta ai margini della ricerca archeologica ed è ancora oggi ampiamente inesplorata. I primi anni di attività sono stati dedicati all’indagine del cosiddetto plateau del Javakheti, un’area di grande bellezza ricca di evidenze archeologiche rilevanti e di notevole impatto architettonico. Gli obiettivi della missione sono molteplici, la realizzazione della prima carta archeologica della regione; lo studio delle comunità protostoriche e dei processi di incremento della complessità sociale; l’analisi dell’impatto dello stato di Urartu sulle comunità protostoriche durante la media Età del Ferro; le dinamiche di interazione tra le comunità locali e l’impero Achemenide; l’inquadramento crono-tipologico dei monumentali complessi fortificati spesso impropriamente definiti come “ciclopici”. Nel corso della presentazione saranno introdotte e discusse le principali problematiche di natura storica e archeologica affrontate nei primi tre anni e le prospettive future della ricerca.

Roberto Dan (Ismeo)
Roberto Dan ha conseguito laurea e dottorato in Archeologia del Vicino Oriente Antico presso la “Sapienza” Università di Roma. È specialista dell’Età del Ferro (Urartu, Mannea, Achemenidi), in particolar modo di Caucaso Meridionale e Iran con scavi e attività archeologiche svolte in Armenia, Georgia, Turchia e Iran. È direttore della Missione Archeologica nel Caucaso Meridionale – ISMEO, progetto di ricerca che include tre differenti progetti scientifici di ricognizione e scavo in Armenia (Kotayk Survey project dal 2013 e Vayots Dzor Project dal 2016) e Georgia (Samtskhe-Javakheti Project dal 2017). È autore di due monografie a proprio nome, due volumi in curatela e oltre 100 articoli scientifici che spaziano da ambiti protostorici all’archeologia Achemenide.
Gea 2021-Ica: “Archeologia e inclusione”. Contributo 12: “Missione Archeologica Italiana Afghanistan ISMEO”, fondata nel 1957 da Giuseppe Tucci
Per l’edizione 2021 delle Giornate Europee per l’Archeologia, l’ICA – Istituto centrale per l’Archeologia propone il tema guida dal titolo “Archeologia e inclusione. Missioni archeologiche italiane all’estero e comunità locali dei paesi ospitanti: interazioni, coinvolgimento, formazione”. Dodicesimo contributo: “Missione Archeologica Italiana Afghanistan ISMEO”.
L’ICA condivide con piacere, in occasione delle GEA 2021, il video trasmesso dalla Missione Archeologica Italiana in Afganistan – ISMEO. La Missione (1957-1979/2002-), diretta da Anna Filigenzi (UniOr), è amministrata dall’ISMEO – Associazione Internazionale di Studi sul Mediterraneo e l’Oriente e, come tutti i progetti archeologici di ISMEO, è sostenuta dal ministero degli Affari Esteri e Cooperazione Internazionale, DGSP, Ufficio VI e gode di un contributo del Progetto MIUR “Studi e ricerche sulle culture dell’Asia e dell’Africa: tradizione e continuità, rivitalizzazione e divulgazione”.
(12 – continua)








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