Torino. Il direttore del museo Egizio Christian Greco ci introduce alla nuova Galleria dei Re: ecco l’allestimento “dall’oscurità alla luce”

Il nuovo allestimento della Galleria dei Re nel museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
È stato uno dei momenti più attesi, il 20 novembre 2024, delle celebrazioni del bicentenario del museo Egizio di Torino, alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella: la riapertura, dopo il restauro e il riallestimento, della Galleria dei Re: “From darkness to light” non è solo il titolo del progetto, ma è l’effetto – stupefacente – che fa sul visitatore, e che sta facendo alle centinaia di migliaia di persone che dalla sera del 20 novembre 2024 accedono – magari un po’ prevenuti – alla Galleria dei Re, curata da Johannes Auenmüller, Paolo Del Vesco, Alessandro Girardi, Cédric Gobeil, Federico Poole e Martina Terzoli. sapendo che non avrebbero più trovato l’allestimento “hollywoodiano” di Dante Ferretti (del quale un po’ tutti ci eravamo innamorati) (vedi Torino. Al museo Egizio il presidente Mattarella col ministro Giuli apre i festeggiamenti per il bicentenario: consegnato alla città e all’Italia il tempio di Ellesiya e riaperta la Galleria dei Re che stupisce e convince anche i più prevenuti | archeologiavocidalpassato). Intesa Sanpaolo è main partner del riallestimento della Galleria dei Re, con il contributo di Alpitour World
A introdurre gli appassionati alla visita della “nuova” Galleria dei Re è il direttore del museo Egizio, Christian Greco. “La nuova Galleria dei Re”, spiega il direttore Christian Greco ad archeologiavocidalpassato.com, “è dall’oscurità alla luce: nel luogo in cui siamo che le finestre ci permettono di sbirciare all’interno, di sera si potrà passeggiare fuori e vedere dentro e – l’ho documentato – si vede il nostro Seti II, si vede Ptah, si vede Ramses II. E poi queste pareti in metallo che sono pareti di un materiale diverso che non vanno in contraddizione, in competizione con l’elemento materico della pietra, diafane, che permettono di specchiare ma non proprio. Ci fanno intravedere come fossero un eidolon (immagine) platonico una forma che noi cerchiamo di afferrare. Ci ricordano che noi il passato lo conosciamo per sineddoche, in modo granulare, e quello che è oltre le pareti è tutto ciò che noi abbiano perso, e con la ricerca dobbiano cercare di ricostruire. 
Nuova Galleria dei Re al museo Egizio di Torino: per la prima volta le statue di Thitmosi III e Ramses II al centro (foto graziano tavan)
“E poi è la prima volta in 200 anni – continua Greco – che Thutmosi III e Ramses II sono posti al centro; che possiamo girare attorno a queste statue monumentali, che possiamo guardare il nostro Horemheb e Amon in tutto il loro splendore. C’è un elemento che ci fa capire perché andava cambiato: prima del riallestimento il colore del nostro Horemheb era questo (tassello grigio scuro, ndr), era praticamente nero, ma non lo si vedeva nell’oscurità. Adesso nella luce, l’abbiamo pulito, l’abbiano restaurato, è ritornato a risplendere e lo possiamo guardare negli occhi, e quasi ci sentiamo parte di questo mondo divino che si è abbassato e noi tra i grandi Re dell’antico Egitto finalmente possiamo camminare”.

Galleria dei Re al museo Egizio di Torino: la statua di Ramses II e le grandi finestre riaperte (foto graziano tavan)
L’architettura originale dello statuario monumentale risalente al XVII secolo è stata completamente riportata a vista dallo Studio OMA – Office for Metropolitan Architecture, un ritorno alle origini che valorizza le volte e le alte finestre che caratterizzano lo spazio e che fa tornare visibili due importanti iscrizioni che celebrano i natali del Museo, entrambe fatte apporre nella seconda metà dell’Ottocento dall’allora ministro Luigi Cibrario, una in memoria di Bernardino Drovetti, il console francese che ha venduto a Carlo Felice di Savoia il primo nucleo di reperti del Museo, e l’altra in onore di Jean-François Champollion, colui che decifrò i geroglifici, diventando il padre dell’Egittologia, tra i primi a giungere a Torino per studiare la collezione Drovetti.

Dettaglio della statua di Ramses II nella Galleria dei Re al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
Sotto il profilo egittologico, visitare la Galleria dei Re è quasi un viaggio ideale all’interno di un antico tempio egizio. La posizione delle statue, non più su piedistalli, ma ribassate sul pavimento, richiama quella originale, che si nota nei cortili dei grandi templi dell’antico Egitto, dove le divinità e i faraoni, pur manifestando la propria ieraticità e autorevolezza, mantenevano uno stretto legame con i fedeli, un contatto vis-à-vis, come quello che avrà il pubblico del Museo con le statue della Galleria. La maggiore vicinanza dei visitatori alle statue permette loro di cogliere nuovi dettagli dei reperti, che prima non erano fruibili, come le iscrizioni geroglifiche sulla parte alta del trono della statua di Thutmosi I o come la parte posteriore del copricapo del sovrano Horemheb. Al centro della prima sala campeggia la statua di Ramesse II, attorno al quale ruotano tutte le altre dei faraoni, esposte per la prima volta in ordine cronologico. Jean-François Champollion, il padre dell’egittologia quando vide per la prima volta la statua a Torino ne rimase colpito e la definì l’Apollo del Belvedere egizio. In una lettera del 1824, Champollion scrive a proposito del Ramesse II, esposto a Torino: “ne sono innamorato e arriverò a Parigi con una buona copia in gesso dell’intero busto di questa statua. Vedrete allora se la mia passione non è legittima. La testa è divina, i piedi e le mani sono ammirevoli, il corpo è morbido; lo chiamo l’Apollo del Belvedere egizio”.

Le statue delle dee Sekhmet e, in fondo, la statua colossale di Seti II nella Galleria dei Re al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
Non sono solo i faraoni ad essere protagonisti della Galleria dei Re, ma anche le dee Sekhmet. Anche per le 21 statue delle Sekhmet si è puntato ad una ricontestualizzazione archeologica, ispirata al tempio funerario di Amenhotep III a Tebe, l’odierna Luxor, loro sito di provenienza. La serie di statue mette in evidenza la ritmicità seriale e al contempo, osservandole da vicino e immerse nella luce naturale, saltano all’occhio i dettagli che differenziano ogni statua. Nel nuovo riallestimento costituiscono davvero “Una litania monumentale di granito”, come recita il titolo di una delle più celebri pubblicazioni dedicate alle Sekhmet dell’egittologo francese Jean Yoyotte.
Torino. Alle Gallerie d’Italia la video-installazione immersiva “Paesaggi/Landscapes”, progetto culturale ideato dal museo Egizio – in partnership con Intesa Sanpaolo – in cui la fotografia e la video-arte incontrano l’archeologia e l’antico Egitto: anticipazione di ciò che i visitatori del museo Egizio potranno sperimentare con “Egitto immersivo” nel 2025

La sala immersiva delle Gallerie d’Italia di Torino con la video-installazione “Paesaggi/Landscapes” (foto graziano tavan)
Otto minuti per una full immersion nel paesaggio dell’Egitto, dalle campagne di oggi all’interpretazione di quello antico. “Paesaggi/Landscapes” è l’installazione immersiva, che dal 13 giugno al 12 settembre 2024 si potrà vedere gratuitamente, al mattino, alle Gallerie d’Italia di Torino, parte del progetto culturale ideato dal museo Egizio in cui la fotografia e la video-arte incontrano l’archeologia e l’antico Egitto. A corollario della video-installazione, e in concomitanza della chiusura del museo Egizio (17 giugno – 12 luglio 2024) per i lavori di copertura del cortile barocco, è in programma un ciclo di dialoghi a ingresso libero che metterà a confronto fotografi, artisti ed egittologi saranno i protagonisti di “Paesaggi/Landscapes”. La dicotomia tra paesaggio reale e paesaggio immaginario nella ricerca archeologica e fotografica è il tema centrale dell’iniziativa, curata dall’egittologo Enrico Ferraris, curatore del museo Egizio di Torino, e che rientra nell’ambito di un accordo triennale tra la Fondazione Museo delle Antichità Egizie e Intesa Sanpaolo su iniziative di sviluppo e diffusione della cultura e dell’arte. Intesa Sanpaolo è infatti main partner del progetto di trasformazione architettonica avviato dal museo Egizio, con il riallestimento e rinnovamento della Galleria dei Re, in occasione del bicentenario della fondazione del Museo.

Progetto OMA per il museo Egizio di Torino: rendering della sala immersiva (foto OMA Rotterdam)
Il video rappresenta proprio un’anticipazione di ciò che i visitatori del museo Egizio potranno sperimentare con “Egitto immersivo”, nel 2025, quando aprirà al pubblico uno spazio immersivo da mille metri quadrati, grazie alla collaborazione tra il Museo e l’Istituto italiano di Tecnologia. Le chiavi di lettura di “Paesaggi/Landscapes” e del nuovo museo sono la multidisciplinarietà e l’apertura verso l’esterno dei musei, verso altri enti museali e scientifici, temi che il museo Egizio sta perseguendo con più vigore proprio nel 2024, anno in cui celebra il suo bicentenario e in cui il Museo affronta un ambizioso progetto di trasformazione, sia da un punto di vista architettonico firmato dallo Studio Oma di Rotterdam, con la corte barocca che sarà coperta per diventare il centro nevralgico del nuovo Museo, e sotto il profilo culturale, con nuove collaborazioni, tra cui quella con le Gallerie d’Italia che non si esaurirà solo con “Paesaggi/Landscapes”.
“A 200 anni dalla fondazione del museo Egizio”, spiega il direttore Christian Greco, “ci siano interrogati su due quesiti fondamentali: cosa manca al museo dopo 200 anni? E la risposta era immediata: manca l’Egitto. E la seconda domanda era: il museo è un luogo di conservazione o di distruzione? Un po’ entrambe, perché i grandi musei europei comprarono delle collezioni che venivano tolte, private del loro luogo di appartenenza. E quindi si uccideva quasi la biografia dell’oggetto. Su questo tema noi stiamo riflettendo con un artista contemporaneo che è Ali Cherri, che è l’artista in residenza del museo Egizio. E allora ci siamo subito interrogati: come facciamo a riportare l’Egitto a Torino? Come facciamo dopo 200 anni a sanare questa divisione che era successa? E la risposta è stata immediata: dobbiamo portare il paesaggio. Allora il paesaggio lo riportiamo in due modi: lo portiamo ricostruendo un giardino. Quindi ricostruendo la flora, portando fisicamente un qualcosa di vivo che è un aspetto innovativo all’interno di un museo. Il museo non è più solo di cose inanimate, ma avremo finalmente un curatore dei giardini, un curatore di questa flora dell’antico Egitto. E poi la ricostruzione digitale del paesaggio, che è un rapporto tra materiale e immateriale, la possibilità di riflettere su cosa sia il paesaggio, il palinsesto in cui l’elemento antropico ha sempre operato, in cui i frammenti di memoria – che sono gli oggetti – da lì derivano, e poi far riflettere come la documentazione si evolva dalla mastaba di Mereruca ai papiri alla Description de l’Égypte alle nuove modalità digitali e quello che possiamo fare anche grazie all’intelligenza generativa e a capire come ci sia una mutazione del paesaggio. E tutto e nella dinamicità delle immagini – conclude Greco – ci fa vedere che non esiste il paesaggio statico, non esiste l’antico Egitto: quella è una costruzione culturale fatta all’interno dei musei, perché l’antico Egitto esiste nella nostra testa. Esiste la costruzione illuministica degli oggetti e noi cerchiamo di riavvicinarli, cerchiamo di cogliere quei momenti, quei frammenti di memoria e questo video insegna soprattutto questo”.

Christian Greco, Evelina Christillin e Michele Coppola alla presentazione del progetto “Paesaggi/Landscapes” alle Gallerie d’Italia di Torino (foto graziano tavan)
“Questo progetto, che ospita il museo Egizio dentro le Gallerie d’Italia”, commenta Michele Coppola, executive director Arte, Cultura e Beni Storici e direttore generale Gallerie d’Italia, “è evidente testimonianza della forte e vitale amicizia fra due importanti realtà torinesi che, poste a pochi metri l’una dall’altra, traducono la vicinanza in una visione e attività comuni. La nuova iniziativa arricchisce il nostro rapporto di sostegno e collaborazione, fondato sulla condivisione di competenze e contenuti per costruire proposte che, unendo fotografia, tecnologia, mondo digitale e archeologia, coinvolgono un pubblico sempre più ampio ed eterogeno. Siamo lieti di accogliere “Paesaggi” nella sala immersiva del museo di piazza San Carlo, offrendo ai visitatori un modo per continuare ad apprezzare il lavoro e bellezza di una delle istituzioni più prestigiose in Europa e nel mondo, anche durante la sua temporanea chiusura”.

Da sinistra, Antonio Carloni, vicepresidente Gallerie d’Italia; Michele Coppola, direttore generale Gallerie d’Italia; Evelina Christillin, presidente museo Egizio; Riccardo Antonino di Robin Studio; Christian Greco, direttore museo Egizio; Enrico Ferraris, curatore museo Egizio, alla presentazione del progetto “Paesaggi/Landscapes” alle Gallerie d’Italia di Torino (foto graziano tavan)
“Siamo grati a Gallerie d’Italia Torino, che per la prima volta apre le porte al nostro Museo e all’archeologia”, dichiara Greco. “In questi anni il museo Egizio si è aperto al mondo, ha cambiato la sua offerta espositiva, anche al di fuori dei suoi confini, ha studiato nuove strade e modalità per raccontare non solo la cultura materiale, ma anche la storia nascosta dei reperti e della civiltà dell’antico Egitto, attraverso la ricerca e le nuove tecnologie digitali. Ora ci apprestiamo a vivere una nuova stagione di trasformazione, in occasione dei 200 anni del Museo. Celebrarli non è solo un esercizio di memoria, ma significa anche programmare il futuro con un occhio attento alla ricostruzione del paesaggio, della natura e della cultura, da cui provengono gli oggetti che custodiamo e raccontiamo al pubblico. Alla base di questa evoluzione c’è l’idea di un museo come laboratorio della contemporaneità, attento alla sostenibilità e pronto a creare nuovi legami con discipline ed enti culturali”.
A introdurre e spiegare la genesi e la realizzazione della video-installazione “Paesaggi/Landscapes” è lo stesso curatore Enrico Ferraris: “Qui stiamo sfidando quella che è la rappresentazione tradizionale di un Egitto eterno, immutabile, tanto diverso da noi, lontano nel tempo e nello spazio, che tuttavia – dobbiamo ammetterlo – è un’eredità del nostro passato coloniale, dell’800, quando nasceva il museo Egizio, si formava un’idea di mondo moderno di cui l’Europa era al centro e tutto il resto era periferia. Quando era importante definire, polarizzare, un noi e un loro, un centro e una periferia, un ordine e un caos. Quella è un po’ un’eredità che poi è rimasta proiettata fondamentalmente nell’immaginario comune che è stato anche sfruttato nell’ambito di una certa industria culturale di cui in fondo hanno poi beneficiato tutti quanti. Adesso il museo compie 200 anni. È nato esattamente in quel momento in cui nasceva questo modo di raccontare l’Egitto. Adesso sente l’esigenza – proprio perché grazie alla direzione di Greco è ormai veramente un centro di ricerca – sente la necessità di non solo di portare quello che oggi è la ricerca in sala, ma soprattutto di portarlo al pubblico e di trovare una modalità per raccontare cose che sono altrimenti sentite come accademiche e farle diventare invece un’occasione di dialogo con il pubblico. Questo argomento è proprio quello dei paesaggi. Fondamentalmente ogni civiltà si delinea grazie a un sistema di interazioni con un territorio di partenza, un territorio che ha un clima, risorse, minerali; che ha ovviamente altre popolazioni che sono lì intorno, e tutti questi fattori contribuiscono a generare una fisionomia di una cultura. Questo succede davvero per tutte le civiltà, è così anche per l’Egitto. Ora dobbiamo pensare che tutti questi fattori che contemplano poi la lingua, il modo di definire persino i colori, tutti gli aspetti sensoriali che un essere umano può cogliere in un ambiente in cui si trova genera cultura e crea una cultura.

Frame della video-installazione “Paesaggi/Landscapes” alle Gallerie d’Italia a Torino (foto museo egizio)
“Ora noi che siamo di fronte a queste culture e di cui depositiamo di cui curiamo la tradizione culturale, ebbene abbiamo un limite – continua Ferraris -: siamo tanto lontani nel tempo da quelle civiltà. E più andiamo indietro nel tempo e meno è facile riuscire ad avere una visione integra. Dunque dobbiamo procedere a delle interpretazioni. Dobbiamo setacciare tutti questi “livelli”, tutti questi elementi che creano appunto culture e in generale possiamo definire paesaggi. Perciò ci sono paesaggi sonori, ci sono paesaggi linguistici, paesaggi naturalistici, eccetera. Se a questo aggiungete che nel tempo questi paesaggi cambiano, cambiano le lingue, cambiano i territori, e noi però siamo con i contemporanei che ci troviamo a dover lavorare. Dunque è attraverso questa indagine su tutti questi livelli che nel tempo dobbiamo setacciare, ripercorrere e a un certo punto dobbiamo interpretare. E questo tema dell’interpretazione è il cuore centrale dell’affermazione, del desiderio che il museo Egizio ha di condividere con i propri visitatori, proprio perché la ricerca in fondo non è un procedere per assoluti, è un procedere per domande, per ipotesi, per continue riscritture.

Frame della video-installazione “Paesaggi/Landscapes” alle Gallerie d’Italia a Torino (foto museo egizio)
“Esattamente questo è quello che proviamo a raccontare in questo video. Passiamo dalle immagini in 8K con droni, retiniche, soundscape preso in presa diretta, in quello che è oggi la campagna egizia e man mano iniziamo a spostarci indietro nel tempo, e vedrete a un certo punto che alle immagini che rappresentano il paesaggio naturale inizia a entrare in gioco il tempo attraverso l’ingresso delle luci che iniziano a muoversi in timelapse. Poi passiamo allora a un secondo livello, perché stiamo andando indietro nel tempo. Lì entra in gioco la riflessione egittologica, ovverosia la ricerca. E vedremo perciò immagini dell’antico Egitto, che vengono analizzate e scandite attraverso immagini che vengono dalle tavole della Description de l’Égypte che ovviamente. figlia dell’Illuminismo, è stato uno dei primi modi di classificare una civiltà, e i modi più recenti che abbiamo di studiare i reperti come flora e fauna. Infine – conclude Ferraris – l’interpretazione: attraverso algoritmi di intelligenza artificiale che creeranno degli effetti morphing vedrete in questo caso quel processo di interpretazione, che significa forme di idee che si formano e si deformano e si riformano in continuazione come se fossimo veramente nella testa di un ricercatore o mi piace pensare del museo Egizio stesso che si presenta appunto a tutti voi”.
Il video – che qui vediamo nella presentazione ufficiale nella sala immersiva delle Gallerie d’Italia di Torino – si muove dalla rappresentazione oggettiva della campagna egiziana oggi, per virare verso il passato. Riprese con droni e tecnologie moderne, realizzate in Egitto da Robin Studio, in collaborazione col Museo Egizio, sotto la curatela di 8 egittologi, propongono una traduzione visiva delle ricerche e delle riflessioni multidisciplinari degli archeologi sui reperti, sulle loro connessioni spazio-temporali e sul paesaggio, in una sorta di percorso a ritroso dall’Egitto moderno fino alle schegge di memoria, ai frammenti di reperti archeologici e alle loro interpretazioni. Il filtro digitale ricostruisce e rimodella lo sguardo, rappresenta in maniera simbolica il passato. Il suono della natura sconfina nella musica, in un crescendo che porta il visitatore quasi ad immagini allucinatorie, metafora del dubbio e della pluralità di discipline che oggi sovraintendono alla ricerca archeologica.
Napoli. Aperta al museo Archeologico nazionale la mostra “Gli Dei ritornano. I bronzi di San Casciano” con gli straordinari ritrovamenti del 2022 e le novità del 2023 nel santuario termale etrusco e romano del Bagno Grande di San Casciano dei Bagni. Gli interventi di Sangiuliano, Osanna, Tabolli e Carletti

Il suggestivo allestimento della mostra “Gli Dei ritornano. I bronzi di San Casciano” al museo Archeologico nazionale di Napoli (foto graziano tavan)
Gli azzurri pastello che virano al verde acqua con riflessi di luce che si fanno strada dalla superficie della piscina creano un’atmosfera particolare attorno ai bronzi etruschi che sembrano fluttuare nelle acque calde verso il fondo della vasca sacra del santuario termale etrusco e romano del Bagno Grande di San Casciano dei Bagni, dove sono stati trovati, duemila anni dopo, coperti e protetti da uno strato di fango. È questo l’ambiente, raccolto e suggestivo, che dal 16 febbraio al 30 giugno 2024 accoglierà i visitatori del museo Archeologico nazionale di Napoli che saliranno al terzo piano per accedere alle nuove sale – appena restaurate e recuperate alla nuova fruizione espositiva (qui, fino a qualche mese fa, c’era la sala conferenze) – dove è allestita la mostra “Gli Dei ritornano. I bronzi di San Casciano”, che presenta al pubblico gli straordinari ritrovamenti effettuati nell’estate 2022 e le novità venute alla luce nel 2023 nel santuario termale etrusco e romano del Bagno Grande di San Casciano dei Bagni: un viaggio attraverso i secoli alla scoperta del paesaggio delle acque calde tra Etruschi e Romani nel territorio dell’antica città-stato etrusca di Chiusi.

Locandina della mostra “Gli Dei ritornano. I bronzi di San Casciano” al museo Archeologico nazionale di Napoli dal 16 febbraio al 30 giugno 2024
La mostra, curata da Massimo Osanna e Jacopo Tabolli, è stata presentata per la prima volta al Palazzo del Quirinale tra giugno e dicembre del 2023, grazie all’iniziativa della Presidenza della Repubblica (vedi Il 2024 porta al museo Archeologico nazionale di Napoli la mostra “Gli dei ritornano – I Bronzi di San Casciano” dopo il successo al Quirinale. Bilancio dello scavo nel 2023 e presentazione del progetto CADMO (museo Archeologico, area archeologica e Hub Internazionale di ricerca) | archeologiavocidalpassato). Il nuovo allestimento al museo Archeologico nazionale di Napoli, arricchito da nuovi reperti provenienti dallo scavo della scorsa estate, è stato progettato da Guglielmo Malizia e Chiara Bonanni. Il catalogo è a cura di Treccani, con la sponsorizzazione tecnica di Intesa Sanpaolo. Hanno inoltre finanziato lo scavo e i restauri per la mostra Friends of Florence, Ergon, Robe Cope per Vaseppi, Banfi srl e il Castello di Fighine.

Auditorium del Mann: presentazione della mostra “Gli Dei ritornano. I bronzi di San Casciano”. Da sinistra, Jacopo Tabolli, Massimo Osanna, Gennaro Sangiuliano, Luigi La Rocca, Agnese Carletti (foto graziano tavan)
La mostra, presentata ufficialmente il 16 febbraio 2024 in auditorium del Mann alla presenza del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, il direttore generale Musei e direttore ad interim del Mann Massimo Osanna, il direttore generale SABAP Luigi La Rocca, il direttore dello scavo Jacopo Tabolli, e il sindaco di San Casciano dei Bagni Agnese Carletti, è promossa dal ministero della Cultura, ed è stata realizzata grazie alla collaborazione tra una pluralità di istituzioni preposte alla ricerca, alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio. Organizzata dalla direzione generale Musei del MiC, l’esposizione presenta al pubblico i risultati degli scavi archeologici del Bagno Grande di San Casciano dei Bagni. Gli scavi sono in concessione al Comune di San Casciano dei Bagni dalla direzione generale Archeologia Belle arti e Paesaggio del Mic, con la tutela della soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per le Province di Siena Grosseto e Arezzo. Il coordinamento scientifico è dell’università per Stranieri di Siena. I restauri sono avvenuti con il supporto dell’Istituto Centrale del Restauro.
La scelta del Mann per la seconda tappa della mostra “Gli Dei ritornano. I bronzi di San Casciano” non è casuale, come spiega ad archeologiavocidalpassato.com il dg musei Massimo Osanna.

Massimo Osanna, direttore generale Musei, e co-curatore della mostra “Gli Dei ritornano. I bronzi di San Casciano” (foto graziano tavan)
“Questa mostra nasce da un ambizioso progetto di ricerca – ricorda – e, come spesso dovrebbero essere le mostre cioè mostre che nascono dalla ricerca della conoscenza, questa esposizione nasce da uno scavo straordinario fatto da un’équipe internazionale coordinata da Jacopo Tabolli per l’università degli Stranieri di Siena insieme al ministero della Cultura, una mostra che raccoglie e racconta questa straordinaria avventura della scoperta dei bronzi di San Casciano. La prima tappa – continua – è stata quella romana ospitata, ed è veramente un orgoglio, nel Palazzo del Quirinale. Dopo Roma si è deciso di portarla a Napoli, perché Napoli è il grande museo archeologico italiano, e dove – tra l’altro – il contatto con l’Antico dal Settecento ha significato moltissimo per la città e per l’Europa”.

Una statua in bronzo riemersa dallo scavo del Bagno Grande del santuario etrusco-romano a San Casciano dei Bagni (Si) (foto mic)
“E come i bronzi vesuviani, gli oggetti delle eruzioni, sono venuti fuori all’improvviso, dopo un evento catastrofico, così anche i bronzi di San Casciano vengono fuori per un evento, un evento meno catastrofico ovviamente dell’eruzione, ma altrettanto d’impatto per questi materiali: un fulmine (in età tiberiana, ndr) cade nel santuario e richiede delle azioni espiatorie. I grandi bronzi e anche molti ex voto vengono deposti sacralmente nella fonte sacra alla dea, la dea della Fonte, e questo li ha preservati per sempre, fino a quando gli archeologi non li hanno scoperti. Quindi – conclude – un riaffiorare dell’Antico attraverso gli oggetti che si soni salvati dal naufragio del passato che, come a Pompei, ci restituisce cose straordinarie”.

Il ministro Gennaro Sangiuliano, al centro, accompagnato dal dg sabap Luigi La Rocca (a sinistra) e dal dg musei Massimo Osanna (a destra) alla mostra “Gli Dei ritornano. I bronzi di San Casciano” al Mann (foto mann / valentina cosentino)
“I Bronzi di San Casciano, esposti dal 16 febbraio 2024 al museo Archeologico nazionale di Napoli”, interviene il ministro Sangiuliano, “offrono alla nostra comunità un frammento di storia sepolta e anche l’emozione di questa scoperta, definita dagli esperti una delle più rilevanti degli ultimi tempi. Si tratta di uno scavo giovane, siamo certi che le ricerche condotte dal ministero della Cultura, con il coinvolgimento di tanti atenei, coordinati dall’università per Stranieri di Siena, ci regalerà nel prossimo futuro molte nuove scoperte. Abbiamo già proceduto all’acquisto di un palazzo cinquecentesco nel centro storico di San Casciano e ciò renderà possibile presto l’apertura di un museo che diventerà la nuova casa di questi reperti. La ferma volontà di mantenere il legame inscindibile delle scoperte con il territorio è parte costitutiva del progetto di valorizzazione dell’identità delle nostre comunità locali. I musei sono punti cardinali della nostra identità e memoria. La mostra al Mann, fra i più importanti musei archeologici al mondo – chiude Sangiuliano -, testimonia l’importanza per il ministero della Cultura di questo progetto e ribadisce come il patrimonio sia di tutti”.

Jacopo Tabolli. Agnese Carletti e Massimo Osanna al Mann (foto graziano tavan)
Particolarmente orgogliosa che il progetto di San Casciano dei Bagni venga ospitato a Napoli, all’interno delle prestigiose sale del museo Archeologico nazionale, è il sindaco di San Casciano dei Bagni, Agnese Carletti, che guarda già avanti. “Questa scoperta per San Casciano rappresenta un punto di partenza innanzitutto per costruire il futuro di un piccolo comune di neanche 1500 abitanti”, spiega Agnese Carletti ad archeologiavocidalpassato.com. “E questo scavo è uno scavo che l’amministrazione ha voluto, ha finanziato, ha portato avanti. Pian piano ha portato tutti anche a credere in questa attività. E se oggi siamo qui è anche grazie alla squadra che pian piano siamo riusciti a costruire e insieme a questa squadra – quindi università per Stranieri di Siena – stiamo realizzando i prossimi step, cioè la realizzazione di un museo, un hub di ricerca universitaria internazionale e il parco archeologico”.
Vediamo allora come si è giunti alla scoperta archeologica premiata alla XXV Borsa mediterranea del turismo archeologico a Paestum come “scoperta internazionale dell’anno 2022” col 9° International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Assad” (Paestum. 9° International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad” 2023 promosso da Bmta e Archeo: ecco le 5 scoperte archeologiche del 2022 candidate. Egitto: a Saqqara trovata piramide regina Neith, 300 sarcofagi e 100 mummie del Nuovo Regno; Guatemala: tracce del più antico calendario Maya; Iraq: nel bacino idrico di Mosul una città dell’Età del Bronzo; Italia: a San Casciano dei Bagni dal fango 24 statue di bronzo di epoca etrusca e romana; Turchia: a Midyat una grande città sotterranea di 2000 anni fa | archeologiavocidalpassato).

Jacopo Tabolli osserva una statua femminile con dedica in etrusco allo scavo al Bagno Grande del santuario termale etrusco-romano di San Casciano (foto uni-stranieri siena)
“Lo scavo è iniziato nel 2019”, ricorda Jacopo Tabolli ad archeologiavocidalpassato.com, “scavo che ha portato nel 2021 e 2022 al rinvenimento di una grande vasca sacra all’interno di un tempio tetrastilo, che è stato costruito probabilmente nel III sec. a.C. e sopravvive fino agli inizi del V sec. d.C. Anno dopo anno stiamo scavando il deposito all’interno della vasca sacra che ha vari momenti di chiusura, cioè momenti in cui il materiale sacro all’interno del santuario viene raccolto e deposto all’interno del fango caldo. Il primo grande momento è in età tiberiana, alla fine, quindi all’inizio del I sec. d.C., momento in cui probabilmente dopo la caduta di un fulmine viene raccolto il materiale del santuario e posato all’interno della grande vasca. E poi su questa deposizione più antica per oltre 400 anni i romani continueranno a fare deposizioni sempre in bronzo, soprattutto sotto la forma di moneta (vedi San Casciano dei Bagni (Si). Dai fanghi della sorgente termale del Bagno Grande del santuario etrusco-romano emergono oltre 20 statue in bronzo, molti ex-voto, cinquemila monete in oro argento e bronzo di oltre duemila anni fa. L’archeologo Tabolli: si riscrive la storia della statuaria antica e della romanizzazione del territorio. È la scoperta più importante dai Bronzi di Riace del 1972 | archeologiavocidalpassato.

Statua di donna orante (II sec. a.C.) scoperta a San Casciano dei Bagni (foto graziano tavan)
“I nuovi materiali esposti all’interno delle sale meravigliose del Mann – spiega Tabolli – raccontano della prosecuzione dei restauri e dello scavo. Da una parte la figura dell’orante femminile, rinvenuta nel 2022, ma parte di un complesso processo di restauro coordinato dalla soprintendenza di Siena e dall’istituto centrale del Restauro, e poi un donario bilingue, una rarissima iscrizione in etrusco e in latino che testimonia la coesistenza di comunità plurilingui all’interno del santuario, un messaggio di accoglienza del santuario. Per l’anno prossimo (2024, ndr) lo scavo ovviamente continuerà dalla fine di giugno per oltre 4 mesi, con studenti e studentesse da tutto il mondo. Il nostro obiettivo – conclude – è sempre quello: non solo di continuare lo scavo del deposito votivo ma di comprendere l’evoluzione topografica del santuario, un santuario-sorgente che si lega all’acqua calda”.

I bronzi di San Casciano esposti nelle nuove sale del museo Archeologico nazionale di Napoli (foto mann / valentina cosentino)
Dall’età del bronzo fino all’età imperiale, la grande tradizione di produzioni in bronzo di quest’area dell’Etruria è raccontata in un percorso ricco di suggestione: come l’acqua calda delle sorgenti termali si fa vortice e diviene travertino, così il visitatore scopre come le offerte in bronzo incontrino l’acqua calda, non solo a San Casciano dei Bagni, ma anche in una moltitudine di luoghi sacri del territorio. Oltre venti statue e statuette, migliaia di monete in bronzo ed ex-voto anatomici narrano una storia di devozione, di culti e riti in luoghi sacri dove l’acqua termale era usata anche a fini terapeutici. L’eccezionale stato di conservazione delle statue ha permesso di tramandare lunghe iscrizioni in etrusco e latino che restituiscono nuovi dati sul rapporto tra Etruschi e Romani, sui culti presso le sorgenti termali e sulle divinità qui venerate.
Napoli. Al museo Archeologico nazionale la mostra “Alessandro Magno e l’Oriente” chiusa con 200mila visitatori. E a ottobre si presentano due libri su Alessandro

Testa di Alessandro dal museo di Salonicco all’ingresso della mostra “Alessandro e l’Oriente” al museo Archeologico nazionale di Napoli (foto graziano tavan)
Chiusa la grande mostra “Alessandro Magno e l’Oriente”, al museo Archeologico nazionale di Napoli è tempo di bilanci e di annunciare le iniziative a corollario dell’evento espositivo. Di prossima pubblicazione, infatti, editi da Electa, “Alessandro Magno”, volume di saggi a cura di Filippo Coarelli ed Eugenio Lo Sardo, e il fumetto “Nico alla scoperta di Alessandro Magno” di Blasco Pisapia. Il primo titolo sarà presentato al Mann il 9 ottobre e il secondo il 26 ottobre 2023.

Il salone della Meridiana al museo Archeologico nazionale di Napoli che ha ospitato la sezione principale della mostra “Alessandro e l’Oriente” (foto graziano tavan)
Circa duecentomila visitatori hanno ammirato la mostra che ha accompagnato l’avvio della fase esecutiva del restauro del grande mosaico della battaglia tra Alessandro e Dario, proveniente dalla Casa del Fauno di Pompei, uno dei capolavori iconici del Mann. Promossa dal ministero della Cultura, l’esposizione organizzata dal Mann in collaborazione con Electa, con la curatela scientifica di Filippo Coarelli ed Eugenio Lo Sardo, ha proposto con 170 opere il percorso di conquista di Alessandro. La mostra ha avuto il sostegno della Regione Campania, del parco archeologico del Colosseo e Intesa Sanpaolo, e si è avvalsa della collaborazione del museo delle Civiltà di Roma e del ministero ellenico della Cultura e dello Sport. Catalogo Electa.

Mostra “Alessandro Magno e l’Oriente”: da sinistra, i due curatori Filippo Coarelli ed Eugenio Lo Sardo tra il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e il direttore del Mann Paolo Giulierini (foto graziano tavan)
“Un grande successo per un museo che vuole essere luogo di confronto tra culture, identità e storie”, sottolinea il direttore Paolo Giulierini. “Siamo felici non solo per il numero degli ingressi, ma per il gradimento espresso dai visitatori e il riscontro eccellente della critica, anche internazionale. Il nostro racconto di Alessandro continua. Ad ottobre si parte con due presentazioni del vasto programma di iniziative editoriali che accompagneranno gli approfondimenti su Alessandro. Altri appuntamenti arricchiranno il programma degli incontri settimanali di Archeologia, da novembre, anche in collaborazione con l’università L’Orientale”.

Copertina del libro “Alessandro Magno” a cura di Filippo Coarelli ed Eugenio Lo Sardo (Electa)
Lunedì 9 ottobre 2023 sarà presentato al Mann il volume edito da Electa “Alessandro Magno” con testi di Filippo Coarelli ed Eugenio Lo Sardo, che ne sono anche i curatori, e una preziosa raccolta di saggi di Stefano De Caro, Anna Trofimova, Emanuele Greco, Calogero Ivan Tornese, Paola Piacentini, Luca Attenni, Fausto Zevi, Theodoros Mavrojannis, Elena Calandra, Michaelis Lefantzìs, Laura Giuliano, Lara Anniboletti, Paolo Giulierini, Laura Forte. I testi raccolti in questo volume – che si aggiunge al catalogo pubblicato in occasione della mostra – raccontano, da vari punti di vista, questo irripetibile momento della storia umana, a partire dalle fonti e dalla ricca iconografia che da sempre accompagna Alessandro Magno.

Copertina del libro “Nico alla scoperta di Alessandro Magno” di Blasco Pisapia (Electa)
Giovedì 26 ottobre 2023 sarà presentato al Mann il volume destinato al pubblico dei più giovani e degli appassionati di fumetti “Nico alla scoperta di Alessandro Magno” (ed. Electa) firmato da Blasco Pisapia, da venticinque anni uno dei più apprezzati disegnatori Disney e Panini comics. Si tratta del quarto fumetto di Pisapia per il Mann, nell’ambito del progetto universitario Obvia, referente Daniela Savy (università di Napoli Federico II).
Brescia. Al nuovo Capitolium apre la mostra “Il Pugile e la Vittoria Alata”, per Bergamo Brescia 2023: per la prima volta insieme i due straordinari bronzi di età ellenistica e romana

Locandina della mostra “Il Pugile e la Vittoria” al Capitolium di Brescia dal 12 luglio al 29 ottobre 2023
Il Pugile e la Vittoria, due straordinari bronzi di età ellenistica e romana per la prima volta insieme a Brescia, esposti in un’evocativa installazione artistica site specific del maestro spagnolo Juan Navarro Baldeweg, in cui il metaforico dialogo sul significato della “vittoria” ci riporta all’universale tensione verso l’alto, sia esso il traguardo sportivo o la pace ritrovata. La mostra “Il Pugile e la Vittoria”, punta di diamante di Bergamo Brescia Capitale della Cultura 2023, sarà visitabile dal 12 luglio al 29 ottobre 2023 al parco archeologico di Brescia Romana, sito UNESCO. Catalogo Skira.
L’ambizioso progetto, promosso dal Comune di Brescia e Fondazione Brescia Musei con il museo nazionale Romano e il fondamentale contributo di Intesa Sanpaolo, permette di compiere un confronto culturale tra due assoluti capolavori dell’arte occidentale e sigla un nuovo prezioso tassello del programma di valorizzazione e riqualificazione che Fondazione Brescia Musei sta sviluppando intorno all’area archeologica di Brixia romana.
Legata al progetto espositivo – in collaborazione con Il museo nazionale Romano – è l’esposizione dell‘Ala di Vittoria nella sezione archeologica L’età romana. La città, in corrispondenza della narrazione digitale dedicata alla Vittoria Alata. Un’ala bronzea rinvenuta nell’alveo del fiume Tevere nel 1891, in corrispondenza di ponte Sisto, che sarà visitabile fino al 29 ottobre 2023 al museo di Santa Giulia. Il pezzo venne ritrovato insieme ad altri resti di statue in bronzo che potevano appartenere in origine ad un unico gruppo scultoreo onorario posto proprio a decorazione del Ponte, con la statua della Vittoria in posizione sommitale, in occasione di un restauro effettuato per volontà di Valentiniano e Valente tra il 365 e il 367 d. C., impiegando elementi scultorei più antichi. Contemporaneamente nella sede di Palazzo Massimo a Roma al posto del Pugile sarà esposta una statua in bronzo di un personaggio togato proveniente sempre dal gruppo scultoreo di ponte Sisto.

La Vittoria Alata e il Pugile in dialogo, anche visivo, tra loro nel Capitolium di Brescia (Archivio Fotografico Civici Musei di Brescia – foto A. Chemollo)

Juan Navarro Baldeweg, curatore della mostra “Il Pugile e la Vittoria” (fondazione brescia musei)
“Il Pugile e la Vittoria” costruisce l’ideale legame tra il patrimonio archeologico dell’Urbe, unico al mondo, e quello di Brescia, la Brixia latina, oggetto di un esemplare programma di valorizzazione e riqualificazione che Fondazione Brescia Musei ha intrapreso con l’installazione della Vittoria Alata nel nuovo Capitolium disegnato da Juan Navarro Baldeweg. Tramite il Pugilatore in riposo e la Vittoria Alata, entrambi protagonisti di recenti valorizzazioni e restauri epocali, Fondazione Brescia Musei si protende verso l’arte fondativa della cultura europea, suggellando il rapporto tra la Vittoria bresciana e la cultura ellenistica e romana. Il tema astratto che lega questi due straordinari bronzi, nell’assenza e nella personificazione, è quello del successo, di un esito positivo, della vittoria appunto. Per il Pugilatore è il responso dell’arbitro al termine dello scontro nel quale si è strenuamente difeso senza esclusione di colpi, come indicano le ferite e gli ematomi sapientemente resi nel bronzo con altissima perizia tecnica; per la Vittoria Alata è la designazione del vincitore sul campo di battaglia e la ricostituzione della pace, la cessazione del conflitto. L’uno attende il verdetto, l’altra omaggia il vincitore militare affidando al bronzo dello scudo, che doveva trattenere in origine nelle mani, il suo nome. Il progetto espositivo sarà l’occasione per ridurre la distanza che ha separato le due opere in antico, con una triangolazione di elementi che grazie all’allestimento permetterà comunque di comprenderla, ma nello stesso tempo di cogliere i numerosi fili rossi che le legano.

La Vittoria Alata e il Pugile in dialogo, anche visivo, tra loro nel Capitolium di Brescia (Archivio Fotografico Civici Musei di Brescia – foto A. Chemollo)
Nello spazio dell’aula del Capitolium si insinuerà un racconto visivo, spaziale, in cui l’invocazione del Pugile, che chiede protezione, si incanala attraverso il riflesso speculare della Vittoria Alata, con contrappunti armonici e l’aiuto di un cristallo specchiante, che porteranno lo spettatore a prendere parte, nel raggio di pochi metri, a una narrazione concettuale sui valori assoluti che i due capolavori rappresentano ancora oggi per l’uomo contemporaneo.
Ecco il progetto “Il Pugile e la Vittoria” raccontato dalle voci di chi lo ha pensato, ideato e realizzato: Francesca Bazoli, presidente di Fondazione Brescia Musei; Stéphane Verger, direttore del museo nazionale Romano; e Fabrizio Paschina, executive director Comunicazione e Immagine di Intesa Sanpaolo.

Il pugilatore a riposo (IV-I sec. a.C.), scoperto nel 1895 alle pendici del Quirinale, e conservato al museo nazionale Romano (foto fondazione brescia musei)
LE OPERE. Il Pugilatore in riposo, uno dei bronzi di più alta qualità che siano giunti a noi dal mondo antico, fu rinvenuto nel 1885 alle pendici del Quirinale, occultato tra i muri di fondazione di un tempio. Rappresenta un pugile nel momento del riposo dopo una competizione, seduto con le gambe divaricate e gli avambracci poggiati sulle cosce. La critica non è unanime nella datazione di questo capolavoro che oscilla tra il IV e il I secolo a.C. La statua è stata realizzata in bronzo con la tecnica della fusione cava a cera persa con metodo indiretto; fusa in più parti, al busto sono saldate la testa, le braccia e la gamba sinistra, mentre la gamba destra è fusa con il torso. Ogni dettaglio è reso con soluzioni di altissima qualità estetica e sofisticatezza tecnica, con ampio utilizzo anche di metalli di colore contrastante per dare policromia e icasticità all’insieme. Le porosità e i difetti di superficie successivi alla fusione sono stati riparati con estrema cura inserendo piccoli tasselli quadrangolari. Gli occhi non sono conservati, ma dovevano essere realizzati con un materiale differente come pasta vitrea, pietre dure o avorio.

La Vittoria alata, capolavoro del I sec. d.C., è conservata dal 2020 nel Capitolium di Brescia, dove fu ritrovata nel 1826 (foto Fotostudio Rapuzzi / fondazione Brescia musei)
La statua della Vittoria Alata venne portata in luce la sera del 20 luglio 1826, durante la campagna di scavi avviata nel 1823 dall’Ateneo di Scienze Lettere e Arti di Brescia, su delega della municipalità e grazie a una raccolta pubblica di fondi, nell’area del Capitolium. La realizzazione della Vittoria Alata – sappiamo oggi – è da circoscrivere a poco dopo la metà del I secolo d.C. e va ricondotta a un atelier di alto livello – da collocarsi nel territorio bresciano – che ha saputo creare un modello statuario nuovo e originale; la tecnica utilizzata è quella della fusione a cera persa cava indiretta, che richiede grande maestria e capacità tecnologica. Alcune parti della statua presentano tracce di doratura, lasciando intendere che il suo aspetto in antico doveva essere diverso da come la percepiamo oggi. La presenza di questa statua, con un significato così strettamente legato a una battaglia militare, lascia supporre che si possa trattare di un dono fatto dalla casa imperiale a Brixia per il supporto dato in un evento militare, forse proprio gli scontri del 69 d.C. verificatisi tra Brixia e Cremona tra gli eserciti di Vespasiano, Ottone e Vitellio. Brescia supportò il primo, che risultò vincitore; il nome di Vespasiano è ricordato anche nel frontone del Capitolium dove non si esclude che la statua fosse esposta.
Napoli. Al museo Archeologico nazionale apre la mostra “Alessandro Magno e l’Oriente” che racconta con 170 opere il percorso di conquista giunto fino alla lontana India, dopo aver annesso l’Egitto dei faraoni, il medio Oriente e la Persia

Locandina della mostra “Alessandro Magno e l’Oriente” al museo Archeologico di Napoli dal 29 maggio al 28
Ci siamo. Il 29 maggio 2023, al museo Archeologico nazionale di Napoli, apre la mostra “Alessandro Magno e l’Oriente” dedicata alla figura del grande condottiero macedone: inaugurazione alle 17.30. Dal 29 maggio al 28 agosto 2023 viene raccontato attraverso circa 170 opere il percorso di conquista giunto fino alla lontana India, dopo aver annesso l’Egitto dei faraoni, il medio Oriente e la Persia dove Alessandro è incoronato Re dei re. Promossa dal ministero della Cultura italiano e dal ministero della Cultura e dello Sport della Grecia, l’esposizione è organizzata dal Mann, diretto da Paolo Giulierini, con il sostegno della Regione Campania e il parco archeologico del Colosseo in collaborazione con Electa, in partnership con Intesa Sanpaolo. La curatela scientifica è di Filippo Coarelli e Eugenio Lo Sardo. “Il Mann”, spiega Paolo Giulierini, “ha pensato a questa mostra in primo luogo per celebrare l’avvio della fase esecutiva del restauro del grande mosaico della battaglia tra Alessandro e Dario, proveniente dalla Casa del Fauno di Pompei. L’incontro con l’Oriente rappresenta inoltre la cifra della nostra politica culturale e cioè l’idea che un museo sia un vero ombelico del mondo, dove si confrontano culture, identità e storie”. Alessandro, infatti, subì il fascino dell’Oriente. Ebbe modo di ammirare la porta dei leoni di Babilonia, i Grifoni di Susa, l’Apadana di Persepolis e gli elefanti turriti dell’India. Attraverso i numerosi materiali custoditi dal Mann e i preziosi prestiti di musei stranieri e italiani, in particolare del Museo delle Civiltà di Roma, la mostra evidenzierà i molti aspetti delle grandi civiltà antiche d’Oriente che in seguito furono recepiti e assimilati da quella greco-latina. La vita, le imprese e la fama che trasformò in leggenda Alessandro Magno sono raccontate nel catalogo, edito da Electa.
Al museo Egizio di Torino i protagonisti scientifici della mostra “I creatori dell’Egitto eterno. Scribi, artigiani e operai al servizio del faraone” hanno presentato l’evento a un mese dall’apertura in Basilica Palladiana di Vicenza: oltre 180 oggetti (tra cui una ventina dal Louvre) danno uno spaccato della vita quotidiana in Egitto 3500 anni fa

Locandina della mostra “I creatori dell’Egitto Eterno” alla Basilica Palladiana di Vicenza dal 22 dicembre 2022 al 7 maggio 2023

Corinna Rossi (politecnico di Milano) (foto graziano tavan)

Cédric Gobeil (museo Egizio Torino) (foto graziano tavan)

Paolo Marini (museo Egizio Torino)
Poco meno di un mese per il grande evento che in Basilica Palladiana a Vicenza chiude il ciclo “Grandi mostre in Basilica”: parliamo della mostra “I creatori dell’Egitto eterno. Scribi, artigiani e operai al servizio del faraone”, dal 22 dicembre 2022 al 7 maggio 2023. Curata dal direttore del museo Egizio di Torino Christian Greco, da Corinna Rossi, professore associato di Egittologia al Politecnico di Milano, da Cédric Gobeil e Paolo Marini, egittologi e curatori dell’Egizio, la mostra restituisce uno spaccato della vita quotidiana nell’antico Egitto, con un focus particolare su Tebe, l’odierna Luxor, e Deir el-Medina, il villaggio, fondato intorno al 1500 a.C., dove scribi, disegnatori e artigiani lavoravano per costruire e decorare le tombe dei faraoni nelle Valli dei Re e delle Regine, plasmando l’immaginario dell’antica civiltà nata sulle rive del Nilo.

La Basilica Palladiana nel cuore di Vicenza, capolavoro di Andrea Palladio, sede della mostra “I creatori dell’Egitto Eterno” (foto comune di vicenza)
Il progetto “Grandi Mostre in Basilica” è ideato e promosso dal Comune di Vicenza e dal museo Egizio, con il patrocinio della Regione Veneto e della Provincia di Vicenza, in collaborazione con il Centro Internazionale di Studi di Architettura “Andrea Palladio” e la Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza. La promozione e l’organizzazione sono curate da Marsilio Arte, che ne pubblica il catalogo. Tra i partner dell’esposizione Intesa Sanpaolo e Gallerie d’Italia – Vicenza, Fondazione Giuseppe Roi, AGSM AIM, Confindustria Vicenza, LD72, Beltrame Group ed Euphidra.

La presentazione della mostra “I creatori dell’Egitto Eterno” al museo Egizio di Torino: da sinistra, il sindaco Francesco Rucco, l’assessore Simona Siotto, il direttore delle Gallerie d’Italia Michele Coppola, e il direttore dell’Egizio Christian Greco (foto graziano tavan)
I protagonisti scientifici e politici della mostra “I creatori dell’Egitto eterno. Scribi, artigiani e operai al servizio del faraone” si sono ritrovati al museo Egizio di Torino a quattro settimane dal taglio del nastro per la presentazione ufficiale davanti a un nutrito gruppo della stampa specializzata e a egittologi, ricercatori e restauratori convenuti per conoscere in anteprima il grande evento culturale che ha convolto in prima linea tutto lo staff tecnico-scientifico del museo Egizio con la collaborazione del museo del Louvre di Parigi.

Stele dedicata da Smen, al fratello Mekhimontu e a sua moglie Nubemusekhet (Nuovo Regno, XVIII dinastia) da Deir el Medina, conservata al museo Egizio di Torino (foto museo egizio)
L’esposizione riunisce infatti più di 180 oggetti: oltre ai reperti dell’Egizio, ci sono una ventina di prestiti dal Louvre di Parigi. In esposizione capolavori della statuaria, sarcofagi, papiri, bassorilievi, stele scolpite e dipinte, anfore e amuleti. Molti i tesori che verranno svelati in occasione dell’esposizione, tra cui il sarcofago antropoide di Khonsuirdis e il celebre corredo della regina Nefertari, che torna in Italia, a Vicenza, dopo diversi anni di tour all’estero. Installazioni multimediali e riproduzioni in 3D arricchiscono il percorso espositivo: tra le curiosità la storia in 3D del sarcofago dello scriba Butehamon, che restituisce al visitatore quasi una biografia dell’oggetto a partire dalla sua costruzione e l’istallazione multimediale che svela i segreti del Papiro della tomba del faraone Ramesse IV.
“Chiudiamo un ciclo importante”, interviene il sindaco di Vicenza Francesco Rucco, “con una mostra sugli Egizi guidata da Christian Greco il direttore del museo Egizio, che oggi ci ospita per la presentazione. Sarà un bellissimo connubio tra Vicenza città del Palladio e Torino che ospita il museo Egizio. Quindi una collaborazione all’interno del monumento nazionale di Vicenza, una valorizzazione anche del nostro territorio che avrà sicuramente un grande riscontro nazionale”. E continua: “La Basilica palladiana, Monumento nazionale e una delle massime espressioni architettoniche di Andrea Palladio, è il luogo più visitato e ammirato di Vicenza. La mostra sugli Egizi – osserva – chiuderà il ciclo delle tre Grandi mostre, avviato nel 2019, con un evento internazionale che sta già suscitando notevole interesse. La mostra segue l’esposizione “La Fabbrica del Rinascimento” in cui i visitatori hanno potuto approfondire la conoscenza del Cinquecento a Vicenza, periodo di invenzioni che hanno reso la città veneta un territorio dinamico e vivace sotto il profilo economico e culturale. Attraverso reperti dell’antico Egitto, tra cui sarcofagi, statue monumentali e oggetti preziosi, che verranno esposti nel grande salone della Basilica, sarà possibile un confronto tra l’operosità di Vicenza nel Rinascimento e Deir el-Medina, il villaggio egiziano in cui vissero gli artigiani che costruirono e decorarono le tombe reali della Valle dei Re e delle Regine, sulla sponda occidentale del Nilo, di fronte alla capitale Tebe”.
“Questa mostra”, sottolinea Simona Siotto, assessore ala Cultura del Comune di Vicenza, “è innanzitutto un’operazione culturale. Portare 180 pezzi, di cui 170 dal museo Egizio nella Basilica Palladiana che è monumento nazionale, patrimonio mondiale dell’Unesco, non è stato affatto semplice. Il senso però è quello di valorizzare un luogo straordinario, che però è anche piuttosto complesso perché è molto grande, e di renderlo se possibile ancora più bello attraverso una mostra che vuole insegnare qualcosa. Io ci tengo sempre a dirlo: non c’è grande cultura se non c’è una scelta dietro. E queste sono le uniche mostre che mi sento di organizzare. Apriamo il 21 dicembre una mostra che resterà aperta fino al 7 maggio 2023, e che va a investigare su quello che era la quotidianità anche nell’antico Egitto, coloro che in qualche modo hanno creato la prima grande architettura, messa all’interno di una delle opere più belle del più grande architetto del Cinquecento, che ha insegnato che attraverso la bellezza si trasformano le città. Un insegnamento di cui vogliamo essere testimoni ancora oggi”.
“La mostra nasce per rendere omaggio a Vicenza con un progetto culturale che potesse legarsi e sposarsi con quanto si è fatto negli ultimi tre anni in Basilica”, ricorda Christian Greco, “e su quanto può funzionare all’interno del tessuto culturale di Vicenza. Allora, dopo la grande mostra sul Rinascimento, facciamo una mostra che ci parla di coloro che erano i creatori dell’Egitto eterno, ovvero gli operai, gli artigiani, gli artisti che hanno collaborato per creare le tombe e le tombe erano – potremmo definirlo il metaverso – lo spazio in cui il defunto entrava in una nuova dimensione, doveva essere assimilato al dio Sole e viaggiare in un periplo costante attorno alla Terra. Parlare quindi di quale era la concezione teologica della trasformazione che il defunto aveva dopo la fine della vita terrena in quello che gli Egiziani chiamano “la nuova nascita” era fondamentale, però noi lo volevamo fare raccontando la storia delle donne e degli uomini, la storia delle persone che hanno vissuto a Deir el Medina, uno dei pochi insediamenti culturali che noi abbiamo in cui troviamo dei frammenti di vita quotidiana: e a questa prima parte abbiamo dedicato uno spazio espositivo molto importante. E quindi ci racconterà delle vite di creatori dell’Egitto eterno e poi di come la tomba diventasse un elemento di trasformazione del defunto”. E continua: “Si è trattato di un lavoro sugli archivi e sulla materialità degli oggetti. Il tutto per permettere al visitatore di intraprendere un viaggio nella Tebe del Nuovo Regno, di conoscere coloro che lavorarono nelle necropoli reali e comprendere quali fossero gli elementi iconografici e testuali che rendevano la tomba una “casa per l’eternità”, una dimensione nuova dove il sovrano poteva intraprendere il suo viaggio e iniziare la wehem meswt, la sua rinascita”.
“Il tema di questa mostra”, entra nel merito la curatrice Corinna Rossi, “è la creazione dell’Egitto che noi conosciamo, nel senso che gli operai di Deir el Medina che realizzarono le tombe dei faraoni, in realtà realizzarono-materializzarono l’Aldilà degli Egizi, e quindi lo resero luogo, lo decorarono in maniera che questo luogo potesse ospitare il faraone e condurlo alla vita eterna. Ovviamente le tombe dei faraoni erano paradigmatiche, ma a seguire tutte le tombe di nobili e di chi se lo poteva permettere tendevamo a mantenere gli stessi criteri. Questa mostra è dedicata alle persone che hanno realizzato le immagini che fanno parte proprio dello stesso immaginario dell’antico Egitto per noi: tantissimi oggetti dell’Antico Egitto che conosciamo in realtà venivano creati per accompagnare appunto i defunti nell’Aldilà. Quindi è una mostra un po’ a cavallo tra la vita prima della morte e la vita dopo la morte”.
Napoli. Al museo Archeologico nazionale è giunto il Pugilatore, uno dei Giganti di Mont’e Prama, simbolo della mostra “Sardegna isola megalitica. Dai menhir ai nuraghi: storia di pietra nel cuore del Mediterraneo” che apre al Mann (arricchita) dopo il successo delle tappe di Berlino, San Pietroburgo e Salonicco. L’assessore regionale Chessa: “Il turismo archeologico volano per creare nuovi posti di lavoro in Sardegna”


La squadra del Mann impegnata nella mostra “Sardegna isola megalitica” davanti alla cassa con il Pugilatore di Mont’e Prama (foto valentina cosentino)
Il Pugilatore, uno dei Giganti di Mont’e Prama, è giunto a Napoli, simbolo della mostra “Sardegna isola megalitica. Dai menhir ai nuraghi: storia di pietra nel cuore del Mediterraneo” che si apre al museo Archeologico nazionale venerdì 10 giugno 2022, alle 17. Autentico ambasciatore di un messaggio di continuità tra le antichissime culture mediterranee, il Pugilatore chiude nel golfo partenopeo un lungo viaggio che lo ha portato a uscire per la prima volta dal museo Archeologico nazionale di Cagliari seguendo le tappe della grande mostra archeologica promossa dalla Regione Autonoma della Sardegna-Assessorato del Turismo, Artigianato e Commercio, con il museo Archeologico nazionale di Cagliari e la Direzione Regionale Musei della Sardegna. Prima al museo nazionale per la Preistoria e Protostoria di Berlino (dal 1° luglio 2021 all’11 settembre 2022), quindi al museo statale Ermitage di San Pietroburgo (dal 26 ottobre 2021 al 16 gennaio 2022), poi al Museo Archeologico di Salonicco (dall’11 febbraio al 15 maggio 2022) contribuendo ad accendere i riflettori sulle ricchezze archeologiche della Sardegna.
La Sardegna ha attirato l’attenzione e l’interesse del grande pubblico in tutte e tre le tappe europee. Un successo decretato dai grandi numeri di visitatori registrati: 96mila al Neues Museum di Berlino, 117.400 al museo statale Ermitage di San Pietroburgo. E al museo Archeologico nazionale di Salonicco, per il quale non ci sono ancora i dati finali, hanno addirittura allungato la mostra di una settimana, dal 15 al 22 maggio 2022. E ora siamo all’unica tappa italiana, a Napoli, per la quale la mostra ha ottenuto il Patrocinio del MAECI e del MIC e si avvale della collaborazione della Fondazione di Sardegna e del coordinamento generale di Villaggio Globale International. La tappa napoletana di “Sardegna Isola Megalitica” è organizzata in collaborazione con Regione Campania e Comune di Napoli. Intesa Sanpaolo è partner della mostra promossa al Mann.
Questo successo conferma quanto sostenuto da Giovanni Chessa, assessore per il Turismo, Artigianato e Commercio della Regione Sardegna, che in un’intervista rilasciata ad archeologiavocidalpassato.com a Firenze, in occasione di Tourisma 2021, dove la Regione Sardegna aveva uno spazio prestigioso per promuovere la Sardegna archeologica, spiega le azioni della sua politica che punta a far tornare sull’isola i giovani che sono andati lontano a studiare e a prepararsi: “Il turismo culturale in generale e archeologico in particolare deve diventare volano per creare nuovi posti di lavoro. La Sardegna non è solo mare. E la mostra Sardegna isola megalitica è lì a dimostrarlo. E con la cultura l’isola può essere attrattiva tutti i mesi dell’anno”.

In calendario nel Salone della Meridiana del museo Archeologico nazionale di Napoli dal 10 giugno all’11 settembre 2022, la mostra “Sardegna isola megalitica. Dai menhir ai nuraghi: storia di pietra nel cuore del Mediterraneo” rivela al pubblico storie suggestive, testimonianze materiali, civiltà affascinanti, per molti versi ancora tutte da scoprire. L’allestimento partenopeo si arricchisce, su iniziativa del Mann, di approfondimenti ed eventi collaterali, che aprono, come nella linea del Museo, all’incrocio dei linguaggi: previsto non solo un parallelismo con la Sezione Preistoria e Protostoria dell’Archeologico, ma anche un ambiente immersivo, “NURAGICA”, che consente di viaggiare alla scoperta delle antiche culture isolane.
Vicenza. Alle Gallerie d’Italia si parla di archeologia: ciclo di tre incontri in occasione dell’itinerario espositivo “Argilla. Storie di vasi”. Apre Monica Baggio con “Storie di vasi: dalla funzione all’immagine”

Locandina degli Incontri di archeologia alle Gallerie d’Italia di Vicenza in occasione del percorso espositivo “Argilla. Storie di vasi”
Alle Gallerie d’Italia a Vicenza, museo di Intesa Sanpaolo, si parla di archeologia: in occasione dell’itinerario espositivo “Argilla. Storie di vasi”, viene proposto un ciclo di incontri organizzato in collaborazione con il dipartimento dei Beni culturali dell’università di Padova, per approfondire le capacità produttive, artigianali e artistiche del mondo antico, ancora oggi di vivo interesse per la società contemporanea. Gli appuntamenti, che si terranno il venerdì alle 17 il 22 aprile, il 13 maggio e il 27 maggio 2022, sono ad ingresso libero con prenotazione consigliata al numero verde 800.578875 e alla mail info@palazzomontanari.com. Il primo incontro a cura di Monica Baggio, il 22 aprile, tratterà il tema “Storie di vasi: dalla funzione all’immagine”; il 13 maggio saranno protagoniste, a cura di Monica Salvadori, le “Scene artigianali fra ceramica attica e pittura romana”; chiuderà il ciclo Luca Zamparo il 27 maggio sul tema di grande attualità “Furti saccheggi e falsi d’arte”.

Vasi delle collezioni di Intesa Sanpaolo nella mostra “Argilla. Storie di vasi” alle Gallerie d’Italia di Vicenza (foto intesa sanpaolo)
L’appuntamento inaugurale del 22 aprile 2022, “Storie di vasi: dalla funzione all’immagine”, spiegherà come attraverso le forme dei vasi e le immagini dipinte sulle loro superfici, frutto del sapiente lavoro di abili artigiani greci tra il VI e il IV secolo a.C., sia possibile rendere più vicini, e dunque più accessibili a noi persone del XXI secolo, alcuni aspetti dell’immaginario antico in cui la comunità greca proietta sé stessa e rivela il proprio modo di pensare. La forma plastica del vaso definisce delle zone, dove il pittore colloca liberamente giovani, donne, guerrieri, animali e divinità, protagonisti assoluti di un mondo dove si intrecciano vita, morte, bellezza e dolore. A presentare il tema Monica Baggio, professore a contratto di Storia dell’arte classica nel dipartimento dei Beni culturali dell’università di Padova, dove svolge la sua attività di ricerca. L’impegno della studiosa è rivolto principalmente a comprendere i meccanismi che regolano la cultura artistica greca e romana, con particolare riguardo alla ceramica greca, magnogreca e al mosaico romano.

L’ingresso al percorso espositivo “Argilla. Storie di vasi” alle Gallerie d’Italia di Vicenza (foto intesa sanpaolo)
Il progetto espositivo scientifico e didattico “Argilla. Storie di vasi”, a cura di Monica Salvadori, Monica Baggio e Luca Zamparo, con il contributo di Federica Giacobello, nasce nell’ambito della collaborazione fra la direzione Arte, Cultura e Beni Storici di Intesa Sanpaolo e il dipartimento dei Beni culturali dell’università di Padova, in seno alle ricerche sviluppate dal progetto “MemO. La memoria degli oggetti”. Un approccio multidisciplinare per lo studio, la digitalizzazione e la valorizzazione della ceramica greca e magnogreca in Veneto, sostenuto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo. L’iniziativa rientra nelle celebrazioni per gli 800 anni dell’ateneo patavino, uno dei più antichi al mondo, in corso nell’anno accademico 2021-22. Il programma espositivo, con articolazione triennale, si inserisce nell’ambito delle attività dedicate alla valorizzazione della preziosa collezione di ceramiche greche e magnogreche di Intesa Sanpaolo, costituita da oltre cinquecento reperti, prodotti tra il VI e il III sec. a.C., provenienti da Ruvo di Puglia.

Il percorso narrativo di “Argilla. Storie di vasi” alle Gallerie d’Italia di Vicenza è caratterizzato da una decisa finalità didattica (foto intesa sanpaolo)
Il percorso narrativo, caratterizzato da una decisa finalità didattica e una particolare attenzione ai diversi pubblici, si contraddistingue per un linguaggio semplice – comprensibile a tutti – ma allo stesso tempo specifico, che intende fornire le basi di un lessico per la conoscenza della produzione ceramica greca e magnogreca, attraverso un’esperienza educativa che dal mondo antico giunge sino al contemporaneo. L’esposizione è dotata di supporti audio, video e tattili per essere ampiamente inclusiva e accessibile, con l’obiettivo di ridurre, se non abbattere, le barriere culturali, motorie e sensoriali al fine di creare uno spazio condiviso e confortevole. Nelle sale espositive è presente una riproduzione tattile di un vaso esposto, così come il libro tattile Storia di una terra cotta, realizzato da Elisa Lodolo in collaborazione con l’Unione Italiana Ciechi. Il racconto del progetto nella Lingua Italiana dei Segni è fruibile lungo il percorso e nel sito www.gallerieditalia.com, mentre la narrazione audio è accessibile tramite QRCode presenti nelle sale.
Commenti recenti