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Oderzo. “La necropoli di Opitergium”, giornata di studi on line intorno alla mostra “L’anima delle cose” con la partecipazione di autorevoli studiosi italiani ed esteri

L’allestimento della mostra “L’anima delle cose” a Oderzo (foto Oderzo Cultura)

La mostra “L’Anima delle cose. Riti e corredi dalla necropoli romana di Opitergium”, promossa e organizzata da Oderzo Cultura in collaborazione con il Polo Museale del Veneto e con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, per l’area metropolitana di Venezia e le province di Belluno, Padova e Treviso, da poco prorogata fino al 31 maggio 2021, diventa anche l’occasione per un ulteriore arricchimento dal punto di vista scientifico e culturale. Martedì 25 maggio 2021, “La necropoli di Opitergium”, giornata di studi on line intorno alla mostra “L’anima delle cose” sulla tematica dell’esposizione: appuntamento di grande interesse per la partecipazione di autorevoli studiosi italiani ed esteri. Vediamo il programma.

Programma. Alle 10, apertura dei lavori e saluti istituzionali: Maria Teresa De Gregorio, presidente di Oderzo Cultura; Maria Scardellato, sindaco del Comune di Oderzo; Fabrizio Magani, soprintendente Archeologia, Belle arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Venezia e le Province di Belluno, Padova e Treviso. Dalle 10.30 alle 12.30, Prima Sessione. Modera: Marta Mascardi, Oderzo Cultura. Interventi: Marta Mascardi (Oderzo Cultura – museo Archeologico “Eno Bellis”) su “Il progetto espositivo”, Margherita Tirelli (già soprintendenza per i Beni archeologici del Veneto) su “Spolia dalla necropoli opitergina: monumenta”, Giovannella Cresci Marrone (università Ca’ Foscari di Venezia) su “Spolia dalla necropoli opitergina: scripta”, Maria Cristina Vallicelli (soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Venezia e le Province di Belluno, Padova e Treviso) su “I recinti funerari della necropoli opitergina: dallo scavo alla valorizzazione”, Luca Zaghetto (archeologo) su “Lo strano secchio da via Spiné”,  Elisa Possenti (università di Trento) su “Sepolture altomedievali di Oderzo: status quaestionis e problemi aperti”. Dopo la pausa pranzo, dalle 14 alle 16, Seconda Sessione. Modera: Maria Cristina Vallicelli (soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Venezia e le Province di Belluno, Padova e Treviso). Interventi: Bruno Callegher (università di Trieste) su “Davvero “Obolo per Caronte”? Tombe con più monete nella Venetia et Histria”, Véronique Dasen (Université de Fribourg/ERC Locus Ludi) su “Play and toys in funerary contexts”, Margherita Bolla (Musei Civici di Verona) su “Strumenti scrittori in contesti funerari dell’Italia del Nord. Riflessioni a partire dal caso di Oderzo”, Cecilia Rossi (soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Venezia e Laguna) su “L’ombra dei gesti. Dal dato materiale alla ricostruzione del rito”. Alle 16, Tavolo di discussione e chiusura dei lavori. Modera: Margherita Tirelli già soprintendenza per i Beni archeologici del Veneto.

Al museo civico di Montebelluna “Archeologia del territorio a Montebelluna”: giornata di studi archeologici dalla mostra “Sapiens. Da cacciatore a cyborg” dopo un’impegnativa campagna di studi sulle nuove scoperte archeologiche del territorio e la revisione delle collezioni nei depositi. Webinar gratuito su Zoom

Archeologia del territorio a Montebelluna: giornata di studi archeologici dalla mostra “Sapiens. Da cacciatore a cyborg”, a cura di Emanuela Gilli e Benedetta Prosdocimi. Evento on line organizzata dal museo civico di Montebelluna (Tv) insieme alla competente soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per parlare di archeologia, ricerca, tutela e valorizzazione. Partner scientifici: università di Padova – Dipartimento di Beni Culturali; università di Ferrara – Dipartimento di Studi Umanistici; università Ca’ Foscari Venezia – Dipartimento di Studi Umanistici; università di Verona – Dipartimento di Culture e Civiltà. Tutto questo grazie alla mostra “Sapiens. Da cacciatore a cyborg” allestita al Museo Civico di Montebelluna dopo un’impegnativa campagna di studi sulle nuove scoperte archeologiche del territorio e la revisione delle collezioni nei depositi. Appuntamento mercoledì 31 marzo 2021, mattino: 10.15-12.30 / pomeriggio: 16.30-18.30. Webinar gratuito su piattaforma Zoom. È possibile iscriversi ad entrambe le sessioni oppure ad una soltanto. Iscrizione obbligatoria a info@museomontebelluna.it oppure chiamando lo 0423300465. PROGRAMMA. Ore 10.15: Apertura dei lavori e saluti istituzionali, interviene Fabrizio Magani soprintendente ABAP-Ve-Met; ore 10.30-12.30 | SESSIONE 1 – Pre-Protostoria: “Valorizzare il patrimonio tra tutela, ricerca e comunicazione. Il caso della mostra Sapiens. Da cacciatore a cyborg” con Emanuela Gilli (museo di Storia naturale e Archeologia di Montebelluna), Benedetta Prosdocimi (soprintendenza ABAP-Ve-Met) e Giorgio Vaccari (museo di Storia naturale e Archeologia di Montebelluna). “Art Bonus per lo studio delle collezioni litiche preistoriche del museo civico di Montebelluna” con Nicolò Scialpi (università di Ferrara), Marco Peresani (università di Ferrara). “L’indagine di strutture con indicatori di attività artigianale dell’Età del ferro a Montebelluna-Via Mercato Vecchio” con Veronica Groppo archeologa, Gaspare De Angeli archeologo, Paolo Reggiani (Paleostudy). “Lo studio della tomba 410 dell’Età del Ferro dalla necropoli di Montebelluna-Posmon. Dati archeologici e antropologici a confronto” con Benedetta Prosdocimi funzionario archeologo SABAP-Ve-Met, Nicoletta Onisto antropologa. Ore 16:30-18:30 | SESSIONE 2 – Età Romana: “Montebelluna, una società multiculturale: il caso delle spade celtiche da tombe romane dalla necropoli di Posmon” con Pier Giorgio Sovernigo archeologo. “Microstorie di romanizzazione. Lo studio della tomba 304 dalla necropoli di Montebelluna-Posmon” con Claudia Casagrande archeologa, Giovannella Cresci Marrone (università Ca’ Foscari Venezia), Anna Marinetti (università Ca’ Foscari Venezia), Nicoletta Onisto archeologo (antropologo) professionista, e Michele Asolati (università di Padova). “La fucina romana di Montebelluna. Dallo scavo alla ricostruzione virtuale” con Maria Stella Busana (università di Padova), Denis Francisci (università di Padova), Emanuel Demetrescu (istituto di Scienze del Patrimonio Culturale-CNR). “Nuovi dati sul centro romano di Montebelluna. Il fondo Amistani a Mercato Vecchio” con Attilio Mastrocinque (università di Verona), Luca Arioli archeologo, e Alfredo Buonopane (università di Verona).

Accordo tra l’università Ca’ Foscari di Venezia e il Comune di Feltre (Bl) per lo studio storico-epigrafico del territorio feltrino in età romana; una mostra nel costituendo museo civico Archeologico di Feltre; un assegno di ricerca post-dottorato sul rapporto tra Feltre e Altino e Concordia

L’area archeologica sotto la piazza della cattedrale di Feltre (foto Sabap)

Feltre, in provincia di Belluno, è un territorio ricco di documentazione di epoca romana, un territorio che sta riscoprendo via via la propria storia e che vuole valorizzarla al meglio: parte da questo presupposto l’accordo siglato tra l’università Ca’ Foscari Venezia e il Comune di Feltre (che ha già promosso il percorso archeologico Feltria e prosegue nel restauro del museo civico Archeologico, adibito a lapidario romano) per l’attivazione di iniziative su studi storici, epigrafici e archeologici e per l’istituzione di un assegno di ricerca post-dottorato. L’accordo è stato presentato dall’assessore alla Cultura del Comune di Feltre, Alessandro Del Bianco, e dai referenti scientifici del progetto per l’università Ca’ Foscari Venezia Giovannella Cresci Marrone, professoressa ordinaria di Storia romana ed Epigrafia latina, già direttore del dipartimento di Studi umanistici, e Lorenzo Calvelli, professore associato di Storia romana ed Epigrafia latina dello stesso Dipartimento.

Iscrizioni su pietra di carattere politico al museo civico Archeologico di Feltre (foto Scilla Nascimbene e Matteo Marinelli R.T. Earth per la rivista Meridiani n.257)

In particolare, la convenzione prevede tre punti specifici: ideare, programmare e realizzare iniziative didattiche e attività sostitutive di stage e tirocinio nell’ambito del corso di laurea magistrale in “Scienze dell’Antichità: letterature, storia e archeologia” su temi inerenti alle specificità storico-epigrafiche del territorio feltrino in età romana, con particolare riferimento al rapporto pianura-montagna. Gli allievi cafoscarini dell’insegnamento di Epigrafia latina potranno dunque applicarsi e apprendere le basi della disciplina su iscrizioni provenienti dal territorio feltrino; realizzare in collaborazione con il Comune di Feltre un progetto scientifico, che si concretizzerà in un evento espositivo, da ospitare nel costituendo museo civico Archeologico di Feltre, al cui allestimento si intende collaborare per quanto attiene alla storia antica; attivare e cofinanziare un assegno di ricerca post-dottorato, che abbia come oggetto di indagine e ricerca Feltre e il territorio feltrino in età romana, in particolare il rapporto montagna-pianura, il rapporto con i centri costieri di Altino e Concordia, il trasporto del legname e il fenomeno della transumanza.

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La prof.ssa Giovannella Cresci Marrone dell’università Ca’ Foscari di Venezia (foto unive)

“La convenzione appena siglata”, spiega Giovannella Cresci Marrone, “che si propone obiettivi assai ambiziosi, ma concreti e realizzabili, rientra nel quadro della cosiddetta terza missione, cioè del contributo che l’università può e deve svolgere a favore del contesto territoriale in cui opera. In questo caso, il dipartimento di Studi umanistici, prestando le sue competenze nell’ambito della storia antica, intende assecondare i progetti di valorizzazione e divulgazione del proprio patrimonio culturale promossi meritoriamente dal Comune di Feltre a vantaggio di un’ampia platea di fruitori; esso si propone nel contempo di arricchire la formazione dei proprio studenti attraverso forme di didattica applicata. Le due istituzioni contraenti intendono, dunque, trarre reciproci benefici dal rapporto sinergico e iniziare una collaborazione che si auspica fruttuosa e di lungo periodo”.

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Il prof. Lorenzo Calvelli dell’università Ca’ Foscari di Venezia (foto unive)

“La città di Feltre”, aggiunge Lorenzo Calvelli, “un gioiello incastonato alle pendici delle Dolomiti, ha una storia plurimillenaria, che presenta ancora molti aspetti da chiarire mediante la ricerca scientifica e l’indagine della documentazione antica. La convenzione fra il Comune di Feltre e l’università Ca’ Foscari getta le basi per una proficua collaborazione, che intende coinvolgere tanto gli studenti di discipline umanistiche specialisti dell’antichità classica, quanto i ricercatori che dello studio del mondo romano hanno fatto la loro professione. La possibilità di approfondire la conoscenza del rapporto fra l’area montana veneta e gli insediamenti costieri ai tempi dell’antica Roma porterà sicuramente importanti scoperte: il legame di Feltre con Altino prima e con Venezia poi è oggi ulteriormente consolidato da questo importante accordo di collaborazione scientifica”.

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Alessandro del Bianco, assessore alla Cultura del Comune di Feltre (foto comune di feltre)

Anche l’assessore alla Cultura del Comune di Feltre, Alessandro Del Bianco, si è detto soddisfatto dell’avvio di questa collaborazione: “Per il Comune di Feltre quest’accordo con l’Università Ca’ Foscari rappresenta una tappa importante del progetto Feltria che, da un lato, punta a valorizzare il patrimonio archeologico cittadino, dall’altro, mira a rilanciare il ruolo della città ben oltre il territorio comunale. L’analisi del rapporto fra pianura e montagna può fare di Feltre un caso di studio significativo, in grado di esercitare particolare richiamo scientifico oltre che culturale e turistico. Ringrazio di cuore dunque il dipartimento di Studi umanistici e in particolare i referenti del progetto, la professoressa Cresci Marrone e il professor Calvelli, per questa collaborazione che auspico sia soltanto l’inizio di un rapporto che potrà consolidarsi negli anni”.

In questo video, realizzato dall’ufficio Comunicazione e Promozione di ateneo durante il XIX Stage epigrafico ad Altino, patrocinato dall’Association Internationale d’Epigraphie Greque et Latine (Aiegl) e da Terra Italia onlus (Associazione per lo sviluppo e la diffusione degli studi sull’Italia romana), gli interventi della professoressa Giovannella Cresci Marrone e di Lorenzo Calvelli ci raccontano come può svolgersi l’attività di stage e tirocinio all’interno del corso in “Scienze dell’Antichità: letterature, storia e archeologia”. Un esempio di come e cosa andranno a fare gli studenti che parteciperanno alle attività previste da questa convenzione con il Comune di Feltre che vedrà coinvolto il museo civico Archeologico della città.

“I romani ad Altino”, terzo appuntamento al museo Archeologico nazionale di Altino alla scoperta dei popoli passati da queste parti, con la proposta di assaggi tipici della cucina romana antica: e così si scopre che la tisana era una cremosa zuppa

Tra settembre e ottobre quattro week-end al museo Archeologico di Altino con visite guidate, archeoaperitivo, laboratori e percorsi tematici

Il nuovo museo archeologico nazionale di Altino

La prof.ssa Giovannella Cresci Marrone

A volte le parole possono trarre in inganno: se vi foste trovati a passeggiare duemila anni fa per un municipium o una colonia romana e aveste chiesto una tisana, di certo l’oste di turno non vi avrebbe somministrato un decotto salutista, ma vi avrebbe offerto una zuppa cremosa e saporita. Chi vorrà saperne di più sulla cucina all’epoca dei romani partecipi ad Altino al terzo week-end del ciclo “Passaggi e permanenze ad Altino dall’Antichità alla Grande Guerra”, in programma al museo Archeologico nazionale di Altino, rassegna ideata e curata dall’archeologa Francesca Ballestrin nell’ambito del progetto “Tutti al museo” in collaborazione con l’associazione Companatiche. Il terzo week-end è dunque con i romani. Sabato 7 ottobre 2017, “I romani ad Altino”: 19.30, archeoaperitivo romano a cura dell’associazione Companatiche; 21, dialogo e visita tematica con Giovannella Cresci Marrone dell’università Ca’ Foscari di Venezia. Domenica 8 ottobre 2017, dalle 16, “Tutti al museo”, laboratorio di archeologia sperimentale “Archeonauti costruiscono una casa romana” a cura di Street Archaeology e percorso tematico-interattivo “Altino: oggetti Stra-Vaganti” a cura di Studio D. L’ingresso al museo costa 3 euro (salvo riduzioni). Per i laboratori 6 euro a persona; mentre il biglietto dei percorsi tematici è di 3 euro a  persona o 6 euro a famiglia. Infine l’archeoaperitivo è su prenotazione con contributo liberale a scopi associativi di 10 euro (info e prenotazioni: companatiche@gmail.com – cell.: 389 818 6533).

La rappresentazione di un banchetto su un affresco parietale di una domus romana

Marta Sperandio e Francesca Lamon

Innanzitutto tutto sgombriamo subito il campo dall’idea che vuole il mondo antico statico e immutabile. “Nell’antica Roma non si mangiò sempre nello stesso modo”, assicurano Francesca Lamon e Marta Sperandio di Companatiche: “la sua alimentazione variò attraverso i secoli. Nel periodo repubblicano si mangiano in prevalenza vegetali integrati da legumi, cereali, verdure, uova, animali da cortile, suini, selvaggina, latte, latticini, ovini”. È in questo tempo che Catone consigliava di consumare crude le verdure perché così potevano essere inzuppate nell’aceto: l’olio per molti costava caro. Con l’inizio dell’Impero la condizione alimentare dei romani cambiò radicalmente grazie ai prodotti provenienti dalle province. Così, come ricorda Plinio, Roma conobbe “tutto quanto la  terra produce di bello e di buono”. La cucina si impreziosisce: vengono introdotte le spezie, trasportate dalle navi mercantili dall’Egitto e dal Vicino Oriente. La dispensa di un romano troveremmo, accanto al pepe e al garum, olio, miele, vino, cumino, coriandolo, ruta, levistico (una delle spezie più importanti usate dai romani e sostituiva e prezzemolo). È il pepe soprattutto la spezia che viene maggiormente utilizzata, anche nei dolci e nei vini. “A partire da questo periodo”, riprendono Lamon e Sperandio, “si introduce il garum che diventa indispensabile nella cucina romana. Così Apicio suggerisce che se una pietanza è insipida, si aggiungerà un po’ di garum; se è salata, un po’ di miele”.

Pagnotte di libum, la caratteristica focaccia al formaggio dell’antica Roma

Il logo dell’associazione Companatiche

Ma come sarà l’archeoaperitivo romano proposto dall’associazione Companatiche? Si comincia con il libum (da libare, fare una libagione), focaccia al formaggio che gli sposi dedicavano a Giove durante la celebrazione del loro matrimonio e che la gente si scambiava come augurio il primo giorno dell’anno dedicato a Giove. “La ricetta del libum”, fanno sapere le archeologhe di Companatiche, “è illustrata da Catone nel De agricoltura. Bisogna sciogliere bene in un mortaio due libbre di formaggio. Una volta che il formaggio sarà del tutto liscio va impastato con una libbra di farina o, se lo si vuole più leggero, mezza libra. Quindi va aggiunto un uovo e di nuovo impastato tutto attentamente. Si forma una pagnotta, la si pone sopra un letto di foglie e la si cuoce lentamente in un forno caldo. Con la focaccia si sposa bene la cipolla in agrodolce (ad Altino sarà usata la Cipolla di Cavasso e della Cal Cosa PN, presidio Slow Food). La cipolla Allium cepa per i romani non era solo un condimento ma un companatico vero e proprio. Semplicemente condita con aceto era la pietanza quotidiana di soldati, rematori e operai. Per mantenersi sani e vigorosi aglio, porri e cipolle non mancavano mai.

Il garum, salsa di pesce macerato in salamoia, indispensabile nella cucina romana

Dettaglio di un pavimento musivo con un cesto di pesci per il garum

Nel menù romano non poteva mancare uno stuzzichino che si rifaccia al garum, termine generico per indicare le salse di pesce macerato in salamoia, fondamentali nella cucina mediterranea antica. “Il garum era un esaltatore di sapidità altamente proteico molto apprezzato”, continuano a spiegare Francesca e Marta nella brochure per gli ospiti di Altino, “e poteva essere realizzato a partire da diverse specie di pesce (alici, sgombri, tonni, murene e altri) che ne determinavano la qualità e il prezzo. Ad Altino si potrà assaggiare la zucca al forno condita con Allec, cioè la pasta che si raccoglieva dal filtraggio del garum. L’allec (con le variante hallec, hallex o allex) rappresentava il prodotto più scadente, spesso dato come companatico agli schiavi. L’allec tuttavia poteva anche derivare dalle produzioni delle migliori qualità di garum; in tal caso era considerato pregiato e servito allo scopo di stuzzicare l’appetito prima del pasto.

Il savillum, dolce al cucchiaio dell’antica Roma, simile al nostro budino

Si potrà poi gustare una Tisana barricata (o barbarica), che – come si diceva – non è un decotto di fiori e foglie ma una crema intermedia tra una minestra e una salsa vera e propria ottenuta con l’aggiunta di alica (semola) per condensarla, nell’antica Roma le antenate delle zuppe. Ne esistono moltissime versioni. “In questa occasione”, anticipano le Companatiche, “proponiamo una minestra di ceci (biologici di Libera Terra, le terre libere dalle mafie), ceci neri (biologico toscano) e le lenticchie corallo, aromatizzata con cipolla, pezzi di zucca, rosmarino e pepe”. Con la zuppa di ceci ci sarà il Pane di Augusto, uno squisito pane al farro. Per molti secoli fu proprio il farro a costituire il nutrimento base dei romani. “Non è un caso che la radice di farina sia proprio quella del farro”. L’archeoaperitivo chiude in… dolcezza con il Savillum, nome invitante, che sembra derivare dal latino suavis “dolce, gradevole, delicato, piacevole”. Dalla descrizione di Catone nel De Agricoltura si capisce che è un dolce al cucchiaio, paragonabile ai nostri budini: la ricetta raccomanda infatti di servirlo cum catillo e lingulam, con una scodella e un piccolo cucchiaio. “La cosa curiosa”, concludono Francesca Lamon e Marta Sperandio, “è che questo dolce viene ancora realizzato in Molise con la medesima ricetta riportata da Catone”.

“Passaggi e permanenze ad Altino dall’Antichità alla Grande Guerra”: quattro week-end per conoscere Altino e i popoli che qui hanno interagito: greci, celti, romani, soldati della Grande Guerra. Il sabato incontri e visite guidate a tema con archeologi, preceduti dall’archeoaperitivo a cura di Companatiche. Si inizia con “I greci ad Altino” e le ricette di 2500 anni fa

Tra settembre e ottobre quattro week-end al museo Archeologico di Altino con visite guidate, archeoaperitivo, laboratori e percorsi tematici

Conoscere Altino per piccoli assaggi. Nel vero senso della parola. Ecco “Passaggi e permanenze ad Altino dall’Antichità alla Grande Guerra”, il nuovo ciclo di incontri in programma tra settembre e ottobre al museo Archeologico nazionale di Altino promosso nell’ambito del progetto “Tutti al museo” in collaborazione con l’associazione Companatiche. In calendario quattro week-end: al sabato, un archeologo affronta un popolo sempre diverso, greci, celti, romani, soldati della Grande Guerra, ma che nei secoli ha avuto un rapporto con Altino e il suo territorio, introdotto da un “archeoaperitivo” ispirato al tema del giorno e realizzato da Companatiche. Alla domenica, invece, sono previsti laboratori didattici sempre ispirati al popolo protagonista del week-end. L’ingresso al museo costa 3 euro (salvo riduzioni). Per i laboratori 6 euro a persona; mentre il biglietto dei percorsi tematici è di 3 euro a  persona o 6 euro a famiglia (gratuito domenica 24 settembre). Infine l’archeoaperitivo è su prenotazione con contributo liberale a scopi associativi di 10 euro (info e prenotazioni: companatiche@gmail.com – cell.: 389 818 6533)

Il nuovo museo archeologico nazionale di Altino

Il logo dell’associazione Companatiche

Il programma. Si inizia sabato 2 settembre 2017 con “I greci ad Altino”: alle 19.30,  archeoaperitivo greco a cura dell’associazione Companatiche; alle 21, dialogo e visita tematica con Margherita Tirelli, già direttrice del museo Archeologico nazionale di Altino. Domenica 3 settembre 2017, dalle 16, “Tutti al museo”, laboratorio di archeologia sperimentale “Archeonauti scambiano le merci con i greci” a cura di Street Archaeology e percorso tematico-interattivo “Altino: oggetti Stra-Vaganti” a cura di Studio D. Secondo week-end in occasione delle “Giornate europee del patrimonio 2017”. Sabato 23 settembre 2017, “I celti ad Altino”: 19.30, archeoaperitivo celtico a cura dell’associazione Companatiche; 21, dialogo e visita tematica con Mariolina Gamba, già direttrice del museo Archeologico nazionale di Altino. Domenica 24 settembre 2017, dalle 16, “Tutti al museo”, laboratorio di archeologia sperimentale “Scopriamo che cos’è la natura per gli archeonauti” a cura di Street Archaeology e percorso tematico-interattivo “Altino: oggetti Stra-Vaganti” a cura di Studio D. Terzo week-end con i romani. Sabato 7 ottobre 2017, “I romani ad Altino”: 19.30, archeoaperitivo romano a cura dell’associazione Companatiche; 21, dialogo e visita tematica con Giovannella Cresci Marrone dell’università Ca’ Foscari di Venezia. Domenica 8 ottobre 2017, dalle 16, “Tutti al museo”, laboratorio di archeologia sperimentale “Archeonauti costruiscono una casa romana” a cura di Street Archaeology e percorso tematico-interattivo “Altino: oggetti Stra-Vaganti” a cura di Studio D. L’ultimo week-end fa i conti con la Grande Guerra. Sabato 14 ottobre 2017, “I soldati della Grande Guerra ad Altino”: 19.30, archeoaperitivo militare a cura dell’associazione Companatiche; 21, dialogo e visita tematica con lo storico Sergio Sbalchiero e Francesca Ballestrin del museo di Altino. Domenica 15 ottobre 2017, dalle 16, “Tutti al museo”, laboratorio di archeologia sperimentale “Le trincee della Grande Guerra piene di mosaici, sistemiamole!” a cura di Street Archaeology e percorso tematico-interattivo “Altino: oggetti Stra-Vaganti”  di Studio D.

Scena di symposium, il banchetto greco, da una pittura vascolare

Marta Sperandio e Francesca Lamon

Un piatto dei caratteristici “dolmades”

Una fetta di melopita, dolce a base di miele e ricotta

Si inizia dunque con “I greci ad Altino” sabato 2 settembre 2017. E, come spiegano le esperte di Companatiche, Francesca Lamon e Marta Sperandio, “l’Antichità va gustata”. Con una brochure che sarà data ai partecipanti si farà un viaggio enogastronomico tra gli antichi greci. E subito alcune “perle” di due padri della medicina greca: per Ippocrate, “È preferibile un cibo un po’ nocivo ma gradevole, a un cibo indiscutibilmente sano ma sgradevole” e “Lasciate che il cibo sia la vostra medicina e la vostra medicina sia il cibo”;  mentre per Galeno “La dieta è l’arma più potente della medicina”. Proprio Ippocrate, ricorda Francesca Lamon, “quindi ben 2500 anni fa, si occupa in modo scientifico di alimentazione e salute, studia gli effetti del cibo sull’organismo nella convinzione che ciò che si introduce nel corpo attraverso il cibo possa portare salute o malattia”. Sulle tavole greche, continua Marta Sperandio, “troviamo quindi zuppe di cereali e di pane, accompagnate da olio di oliva, ortaggi, pesci o crostacei, vino e formaggio di pecora e di capra. Selvaggina o carne durante le cene più sontuose e le festività, anche per i sacrifici animali dedicati agli dei. Poi ancora fave, piselli, ceci, lenticchie o vecce, semi di lino, sesamo, cartamo e papavero”. Ippocrate, concludono, “consiglia di bere vino rosso, a suo avviso il migliore tra le bevande. Vengono poi gli ortaggi: al primo posto troviamo l’aglio, la cipolla e le erbe aromatiche”. Per la serata di Altino l’associazione Companatiche propone alcune ricette “greche” che prevedono mezedes, cioè antipasti misti, che possono essere semplici sottaceti, sottoli e olivi, oppure piatti più ricchi e complessi che si distinguono dalle portate più importanti solo per le loro dimensioni. “Seguono la tradizione dell’antipasto”, precisano  Lamon e Sperandio, “e non si presentano molto diversamente da ciò che oggi è definito finger food, ovvero cibo da mangiare con le mani”. Nel “menù” di Companatiche troviamo l’Apanthrakis, tipo di pane greco simile ai pidè turchi, leggero e sottile, menzionato da Aristofane nella commedia “Le donne in parlamento”, e ad Alessandria era consacrato al dio Crono. Seguono i Dolmades, fagottini di pesce e carne avvolti da foglie di fico (oggi sostituite da quelle di vite), antenati di quelli giunti fino a noi, ben descritti da Ateneo nel libro “Deipnosophisti”. Dal menù non poteva mancare il Tiropita, probabilmente la feta, il più famoso formaggio greco, discendente del formaggio preparato da Polifemo nell’Odissea. Tipici dei mezedes sono i Tzakiki e lo Skordalia, cioè i cetrioli e l’aglio. Il cetriolo, in greco sikyòs, ricordato dal proverbio “quando mangi un cetriolo, donna tessi il mantello”: probabilmente significa che quando si consumano i cetrioli, cioè d’estate, è tempo di preparare gli abiti pesanti per l’inverno. L’aglio, invece, molto usato nella cucina antica, era una pianta considerata molto utile contro il malocchio. In alcune feste religiose, come le Tesmoforie e le Sciroforie, durante le quali le donne erano tenute a rispettare l’assoluta castità, era usanza che esse grandi quantità di aglio. Un menù non può non chiudere con il dessert. Ecco quindi i melopita, dolci a base di miele e ricotta. I primi dolci di cui si ha notizia nella storia greca sono quelli offerti ai ghiottissimi dei. I cosiddetti popana polyomphala, il più antico dolce greco, erano in stretto rapporto con la dea Madre primigenia. La ricotta fa la sua comparsa nei dolci in epoca classica.

I catasti di Verona testimoni di due momenti topici della romanizzazione della città: l’estensione del diritto latino e la concessione della cittadinanza romana. Così i due pezzi unici trovati nel criptoportico rivivono con le parole degli esperti

La ricostruzione del Capitolium di Verona e del triportico, dove erano collocate le tavole catastali

La ricostruzione del Capitolium di Verona e del triportico, dove erano collocate le tavole catastali

Il frammento di bronzo (catasto A)  di una tavola catastale trovato nel 1996 nel criptoportico

Il frammento di bronzo (catasto A) di una tavola catastale trovato nel 1996 nel criptoportico

Unici sono unici. Ma certo chi ha visitato la mostra “Le istituzioni di Gaio e gli antichi catasti di Verona. Rari documenti del diritto privato e della proprietà fondiaria nel mondo romano” aperta fino a sabato 30 gennaio nella sala Maffeiana della Biblioteca Capitolare di Verona, senza un’adeguata spiegazione diventa difficile la lettura dei due preziosi frammenti bronzei di oltre duemila anni. Non dimentichiamo che prima della scoperta dei catasti di Verona si era a conoscenza solo del catasto di Orange (su pietra) e di Lacimurga (di cui non si conosce il contesto di scavo). Per questo sono state molto apprezzate le visite guidate proposte in questi giorni dagli esperti dell’associazione Archeonaute, capitanate da Marzia Bersani, che gestisce l’apertura dell’area archeologica di Corte Sgarzerie, cioè dell’antico criptoportico romano sotto il Capitolium di Verona, cioè proprio dove quei frammenti di tavole catastali furono trovati nella seconda metà degli anni Novanta del secolo scorso. Cerchiamo allora di saperne di più su questi due speciali reperti con l’aiuto degli archeologi che li hanno studiati.

Ricostruzione dell'interno del triportico di Verona con i frammenti ritrovati e la loro collocazione nella tavola catastale originale

Ricostruzione dell’interno del triportico di Verona con i frammenti ritrovati e la loro collocazione nella tavola catastale originale

L'archeologa Giuliana Cavalieri Manasse della soprintendenza

L’archeologa Giuliana Cavalieri Manasse della soprintendenza

LA SCOPERTA. Entrambi i frammenti – come si diceva – sono stati rinvenuti nello scavo del criptoportico del complesso capitolino in corte Sgarzerie. “Il primo frammento bronzeo ritrovato, che oggi chiamiamo catasto A”, ricorda Giuliana Cavalieri Manasse, già responsabile a Verona della soprintendenza ai Beni archeologici del Veneto, e maggior studioso dei catasti veronesi, “è stato scavato nell’agosto 1996 da Simon Thompson, che aveva subito riconosciuto si trattasse di una lastra con la registrazione di celle di centuriazione. L’entusiasmo fu contagioso. E si cercò subito sperando di trovare altri frammenti della stessa tavola catastale, ma solo tre anni dopo si recuperò il secondo frammento che, comunque, apparteneva a un altro catasto”. Il criptoportico di Verona, dove da un anno è attiva l’associazione Archeonaute con visite guidate, è un’imponente struttura sotterranea, a doppia galleria e pianta a , che sosteneva la terrazza su cui era posto il più importante tempio cittadino, dedicato alla triade capitolina (Giove, Giunone e Minerva). Tale edificio, il più grande di Verona e tra i più vasti dell’Italia romana (35 metri di larghezza,  42 m di lunghezza e circa 26 di altezza) era inquadrato da un triportico a due navate, il cui impianto ricalcava quello del sottostante criptoportico. “Costruito nel corso della seconda metà del I secolo a.C.”, continua Cavalieri Manasse, “il grandioso complesso capitolino (esteso su un’area di circa 6000 mq) ripeteva uno schema architettonico (criptoportico, terrazza, triportico, tempio) assai comune nelle città romane a partire da quest’epoca”. Nel criptoportico, oltre ai due frammenti di tavole catastali, sono stati rinvenuti numerosi minuti pezzi di lastre inscritte, di vario genere e di diverse epoche, lavorate con grande accuratezza e spesso in marmi di pregio. “Leggendo i testi, si deduce che si trattava di atti ufficiali: decreti, liste di magistrati e di imperatori. Questi, insieme alle “formae” (tavole catastali), dovevano essere in origine esposti nel triportico soprastante il criptoportico, che svolgeva quindi funzione di archivio cittadino (tabularium)”.  Dopo l’abbandono e il successivo spoglio del complesso, tra la seconda metà del IV e il V secolo d.C., di tali documenti pubblici, demoliti e asportati per riusi e rifusioni, rimasero solo piccoli residui, finiti nel criptoportico quando le sue volte collassarono. “Negli sconvolgimenti che accompagnarono la fine dell’impero romano”, sottolinea l’archeologa della soprintendenza, “gli atti fondiari vennero accuratamente distrutti per cancellare ogni traccia dell’antico regime proprietario. Da qui dipende l’eccezionale rarità dei reperti veronesi”.

La ricostruzione della tavola originale cui apparteneva il catasto A di Verona con la sua posizione nell'angolo alto sinistro

La ricostruzione della tavola originale cui apparteneva il catasto A di Verona con la sua posizione nell’angolo alto sinistro

CATASTO A. Il Catasto A è un frammento di bronzo delle dimensioni di 24.1 x 16 cm e dello spessore di 0.4 cm, databile tra il 40 e il 30 a.C. “Osservando la lastra di bronzo”, spiega Cavalieri Manasse, “si capisce che costituiva l’angolo superiore sinistro di una tavola di bronzo, con terminazione superiore a doppio spiovente, che reca incisa una serie di righe orizzontali e verticali formanti un reticolo: sono le celle della centuriazione”. Nei riquadri sono segnate le coordinate relative al posizionamento dei fondi sul terreno centuriato (DD sta per “dextra decumanum”: a destra del decumano massimo; VK per “ultra kardinem”: al di là del cardine massimo), le loro misure in iugeri e sottomultipli dello iugero (l’unità di misura dei terreni agricoli in età romana pari a 2518 mq), i nomi dei proprietari. “Si tratta di un rarissimo esempio di catasto rurale inciso su bronzo (“forma”, in latino)”, continua l’archeologa. “Fu realizzato subito dopo un intervento di centuriazione dell’agro di pertinenza della città, ovvero dopo le operazioni di bonifica, generale riassetto e suddivisione dei terreni, in vista di assegnazioni anche ai veterani delle guerre augustee. In tali documenti che svolgevano al tempo stesso  funzione amministrativo-fiscale, venivano registrate anche le proprietà già esistenti come è il caso per i personaggi menzionati nelle iscrizioni di tre delle sei caselle interamente conservate che non sono nuovi assegnatari, ma da tempo proprietari dei terreni”.

La grafica del catasto A con la posizione dei terreni e dei proprietari all'interno delle celle della centuriazione

La grafica del catasto A di Verona con la posizione dei terreni e dei proprietari all’interno delle celle della centuriazione

Partendo da sinistra, nella prima cella è indicato Caio Cornelio Agatone padrone di un podere di poco più di 43 ettari; nella seconda invece compaiono due proprietari: Caio Minucio, figlio di Tito, e Marco Clodio Pulcro, rispettivamente con circa 35 e 9 ettari. Infine nella terza compaiono Marco Magio e Publio Valerio, che possiedono l’uno intorno a 28 ettari, l’altro poco più di 13. “I nomi di costoro, con l’eccezione del solo Minucius”, ricordano gli studiosi, “sono frequenti nelle iscrizioni veronesi e appartengono a famiglie attestate nella zona già dalla prima metà o dai decenni centrali del I sec. a.C.”. Nella parte superiore della tavola invece le caselle non recano iscrizioni: si potrebbe trattare di “subseciva”, cioè di terreni che per varie ragioni, tra cui la cattiva qualità dei suoli, non potevano essere assegnati o non lo erano ancora stati.

Le tracce di centuriazione romana a cavallo della via Postumia in Val d'Illasi

Le tracce di centuriazione romana a cavallo della via Postumia in Val d’Illasi

Il riquadro giallo indica la citazione di Marco Magio, famiglia presente in Val d'Illasi

Il riquadro giallo indica la citazione di Marco Magio, famiglia presente in Val d’Illasi

Sul catasto A sono dunque registrate grosse porzioni di terreno appartenenti a personaggi del notabilariato veronese che, secondo Giuliana Cavalieri Manasse, si riferiscono alla centuriazione della Val d’Illasi. Come si è giunti a questa ipotesi? Il territorio veronese in età romana era molto più vasto dell’attuale provincia perché occupava aree oggi sotto Brescia e Mantova. Eppure sono giunti fino a noi solo poche zone che conservano indizi di antiche suddivisioni agrarie. Tracce di centuriazione sono state individuate in val d’Illasi, a nord e a sud della via Postumia (oggi SR 11), che forse ne costituisce il decumano massimo, e nelle Valli Grandi Veronesi, tra il Bastione di San Michele e il Naviglio Bussè e tra il Naviglio Bussè e il Tartaro. L’ipotesi che il frammento di catasto A sia riferibile alla centuriazione della val d’Illasi si basa sulla coincidenza cronologica tra l’epoca di realizzazione di tale intervento agrario e quella di redazione del documento e sul fatto che nel ricco patrimonio epigrafico del territorio tra Tregnago e Colognola ai Colli, in più casi, ricorrono gli stessi gentilizi (nomi di famiglia) presenti nel frammento bronzeo. In particolare a Colognola, presso Pontesello, era conservata almeno fino agli inizi del ‘900 un’epigrafe funeraria, incisa su roccia, menzionante Lucio Magio figlio di Marco. Costui doveva essere il fratello di Marco Magio, figlio di Marco, che figura nel catasto A. È probabile che i due fratelli possedessero terreni nella stessa area centuriata, che andrebbe quindi identificata con la zona della val d’Illasi.

Il frammento bronzeo del catasto B di Verona che certifica la presenza di proprietari terrieri celti

Il frammento bronzeo del catasto B di Verona che certifica la presenza di proprietari terrieri celti

CATASTO B. Una situazione completamente diversa è quella rappresentata dal secondo frammento di bronzo, il catasto B, che misura 12 x 17.5 cm ed è spesso 0.2 cm.  “È un inedito”, interviene Giovannella Cresci Marrone, docente di Storia romana all’università Ca’ Foscari di Venezia, che ha approfondito lo studio del frammento. “I due frammenti non appartengono alla stessa lastra. Quella del catasto B è meno spessa, quindi è un catasto diverso che censiva sempre delle proprietà terriere ma in questo caso i proprietari erano celti, e non cittadini romani. Rispetto al catasto A qui sono registrate proprietà terriere più piccole che non sono comprese all’interno di una centuriazione. E poi c’è un elemento anomalo: una linea discontinua che potrebbe rappresentare una strada o un confine”.  Vediamo meglio il frammento. Fa parte di una lastra di bronzo, probabilmente una piccola porzione interna, suddivisa come il catasto A in caselle quadrangolari. Si conservano tracce di sette celle, quattro delle quali iscritte. Tra queste è ben leggibile la sola casella centrale, quasi integra. Vi figurano incolonnati a sinistra i nomi dei proprietari (sette in tutto, singoli o famiglie) e a destra le misure delle terre possedute. Lo stesso schema presentavano altre tre celle, a giudicare dai resti di testo superstiti. Anche questo frammento appartiene a una lastra identificabile come una “forma” del territorio veronese, ma diversa da quella di cui fa parte il catasto A. Differenti sono infatti le caratteristiche tecniche della tavola, di spessore molto più sottile, e quelle dell’incisione (reticolo tracciato con segno leggerissimo, grafia con caratteri molto più accurati). Le celle inoltre sono più ampie e non vi figura alcuna coordinata di localizzazione di centuriazione.

Giovannella Cresci Marrone docente di Storia romana a Ca' Foscari

Giovannella Cresci Marrone docente di Storia romana a Ca’ Foscari

“Lo schema a campi quadrangolari”, continua l’esperta, “qui è solo un espediente grafico per posizionare topograficamente le proprietà terriere che, a giudicare dai nomi, sembrano appartenere a vecchi proprietari indigeni. Si tratta senza dubbio di personaggi appartenenti al sostrato celtico della popolazione; tipicamente celtica è infatti l’onomastica (Bitunci, Vindilli, Segomari, ecc). Costoro, diversamente dai personaggi del catasto A, sono proprietari di appezzamenti di terreno di dimensioni piuttosto ridotte (da tre quarti di ettaro a circa 12 ettari)”. Infine, mentre nell’altro documento sono assenti indicazioni connesse alle caratteristiche fisiche del territorio, questo è caratterizzato da una notazione topografica: un solco fortemente inciso, dapprima rettilineo e poi piegato verso destra con andamento spezzato, in cui è forse da riconoscere –come si diceva- una strada”. Il pezzo, parte di una mappa censitaria, è rispetto al precedente di qualche decennio più antico o contemporaneo. “Per ora non abbiamo dati per chiarirlo”, ammette Giovannella Cresci. “Se fosse coevo al catasto A dimostrerebbe l’esistenza a Verona di una enclave di famiglie galliche prive della cittadinanza romana. Se fosse precedente, allora si potrebbe collocare dopo l’89 a.C. quando fu concesso il diritto latino ai transpadani. Comunque i due catasti fissano due momenti importanti della fase di romanizzazione del territorio veronese nel I sec. a.C.: l’estensione del diritto latino e la cittadinanza romana a Verona”.

Scoperte due tavole catastali romane negli scavi del criptoportico di Verona: finora noto solo un altro esemplare in Spagna. Ora in mostra alla Biblioteca Capitolare

Il manifesto della mostra “Le istituzioni di Gaio e gli antichi catasti di Verona” aperta in Biblioteca Capitolare di Verona

Il manifesto della mostra “Le istituzioni di Gaio e gli antichi catasti di Verona” aperta in Biblioteca Capitolare di Verona

La scoperta è di quelle destinate a essere ricordate: dagli scavi della soprintendenza ai Beni archeologici del Veneto a Corte Sgarzerie, nel cuore della Verona romana, lì dove c’è l’antico criptoportico (aperto al pubblico l’anno scorso: vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/?s=sgarzerie) che correva sotto il Capitolium, a un passo dal foro (oggi piazza delle Erbe), sono stati trovati due frammenti bronzei, testimonianza dell’antico catasto romano. Una vera rarità se si pensa che di queste tavole catastali, ben ricordate dalle fonti, si conosceva un solo esemplare in Spagna. E da sabato 17 gennaio a sabato 30 gennaio saranno esposti per la prima volta nella sala Maffeiana della Biblioteca Capitolare di Verona nella mostra “Le istituzioni di Gaio e gli antichi catasti di Verona. Rari documenti del diritto privato e della proprietà fondiaria nel mondo romano”.  Che si tratti di mappe catastali romane è evidente dalle informazioni su di esse incise: i confini dei fondi rurali con le coordinate relative alla posizione, alle misure e ai nomi dei proprietari. Per capire queste “mappe” bisogna fare riferimento alla cosiddetta “centuriazione”, cioè al sistema di partizione dell’agro romano in parcelle di territorio, le “centurie”, individuate all’interno di un reticolo regolare con assi ortogonali tra loro. Le due tavole catastali veronesi sono in ottimo stato di conservazione, assicurano in soprintendenza: “Grazie ai nomi dei proprietari sicuramente romani riportati su una delle due tavole è possibile ipotizzare anche una datazione: tra il 40 e il 30 a.C., periodo significativo per Verona, essendo proprio quello che vide insediarsi in città i romani”.  L’altra mappa è più problematica ma altrettanto interessante poiché registra nomi che non sono propriamente romani: dovrebbero appartenere a ceppi indigeni preesistenti, e quindi potrebbe essere più antica.

Il criptoportico di Verona romana nell'area archeologica di Corte Sgarzerie

Il criptoportico di Verona romana nell’area archeologica di Corte Sgarzerie

L’inaugurazione della mostra è prevista venerdì 16 gennaio alle 16.30, alla presenza del soprintendente ai Beni archeologici del Veneto, Vincenzo Tiné, e del prefetto della Biblioteca Capitolare mons. Bruno Fasani. La mostra sarà illustrata da Filippo Briguglio, Giuliana Cavalieri Manasse, Giovannella Cresci Marrone. Nei due sabati di apertura della mostra “Le istituzioni di Gaio e gli antichi catasti di Verona”, cioè sabato 17 e sabato 24 gennaio, c’è un’interessante iniziativa proposta dall’associazione Archeonaute Onlus: alle 10.30 e alle 15, organizza visite guidate speciali all’area archeologica di Corte Sgarzerie (luogo di rinvenimento delle tavole catastali) e visita guidata all’esposizione. È richiesto un contributo di partecipazione di 4 euro (comprensivo di visita al sito più ingresso e visita alla mostra). Per info e prenotazioni: archeonaute@gmail.com, oppure tel. 324.0885861 e 347.7696088. Ricordiamo che con l’area archeologica di Corte Sgarzerie si intende il criptoportico: un lungo corridoio coperto che correva sotto la grande piattaforma del Capitolium che reggeva il tempio vero e proprio. Qui erano conservate lapidi e tavole bronzee che riportavano documenti catastali, testi di leggi, decreti. Nel sito sotterraneo di Corte Sgarzerie è ben visibile una porzione dei pilastri ed archi che sostenevano la volta del criptoportico crollata e poggiata su un fianco, oltre a una delle alte finestre che davano un poco di luce e circolo d’aria al lungo corridoio. Il sito è caratterizzato da una grande complessità, con strati di epoca repubblicana, tardo-imperiale e altomedievale che si sovrappongono e si intersecano. Oltre ai resti del criptoportico si può ammirare una strada pedonale romana con il lastricato eccezionalmente preservato e una torre e altro edificio, forse una ghiacciaia, altomedievali.