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Roma. Al museo delle Civiltà, “CONNESSIONI. Oggetti, saperi, parole, culture e civiltà”: convegno internazionale, in presenza e on line, nel ricordo di Filippo Maria Gambari a due anni dalla sua prematura scomparsa. Tre giorni di contributi dal Paleolitico all’Età Storica: ecco tutto il ricco programma

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Bicchiere con iscrizione in lingua celtica da Castelletto Ticino (560 a.C.) scelto come logo del convegno internazionale “Connessioni” in ricordo di Filippo Maria Ganbari (foto muciv)

A due anni dalla prematura scomparsa di Filippo Maria Gambari, direttore del museo delle Civiltà dal 2017 al 2020, gli viene dedicato il convegno internazionale “CONNESSIONI. Oggetti saperi parole culture e civiltà”, in programma dal 16 al 18 novembre 2022, al museo delle Civiltà a Roma, nella sala conferenze “F.M. Gambari” del Palazzo delle Scienze. L’evento, realizzato in collaborazione con tutti gli istituti che lo hanno visto protagonista nel corso della sua lunga carriera all’interno del ministero della Cultura, ospiterà contributi che spazieranno dal Paleolitico all’età storica, senza tralasciare le politiche dei beni culturali, la valorizzazione del patrimonio e le attività avviate al museo delle Civiltà (vedi Archeologia in lutto. È morto per Covid-19 Filippo Maria Gambari, archeologo preistorico, una lunga carriera di ricerca e dirigenziale, con centinaia di pubblicazioni. Era direttore del Museo delle Civiltà all’Eur di Roma, a un passo dalla pensione. Il cordoglio del ministro e dei colleghi | archeologiavocidalpassato). È possibile seguire il convegno in diretta su Zoom: https://zoom.us/j/93438081787.

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Filippo Maria Gambari, direttore del Museo delle Civiltà di Roma-Eur, morto il 19 novembre 2020 (foto Muciv)

L’intento è quello di omaggiare lo studioso, il collega, il dirigente sempre pronto all’ascolto e disponibile al consiglio e alla collaborazione. Instancabile nella ricerca e disponibile a trasmettere il proprio sapere e la propria competenza, amava condividere la sua passione e il suo entusiasmo. La sua profonda cultura e il suo desiderio di conoscere lo hanno portato ad affrontare tematiche diverse e apparentemente molto distanti tra loro. Sebbene i suoi interessi e i suoi studi si siano concentrati prevalentemente sulla protostoria italiana, sulla storia della paletnologia, sull’arte rupestre e sulla normativa dei beni culturali e l’organizzazione del ministero, i suoi compiti di dirigente lo hanno condotto a realizzare progetti e iniziative in tutti i campi dell’archeologia, dell’antropologia, dell’etnografia, della storia dell’arte e delle tradizioni popolari. Il suo legame con la realtà sociale e territoriale con la quale di volta in volta interagiva gli ha permesso di connettere quest’ultima con gli spazi e le tematiche proprie dell’archeologia. Il programma completo e il libro degli abstract ò disponibile a questo link https://museocivilta.cultura.gov.it/…/connessioni…/

PROGRAMMA DI MERCOLEDÌ 16 NOVEMBRE 2022. Alle 9, saluti istituzionali: Massimo Osanna, direttore generale dg musei; Andrea Viliani, direttore del museo delle Civiltà. Segue un ricordo di Filippo Maria Gambari: Andrea Cardarelli, Sapienza università di Roma – dipartimento di Scienze dell’Antichità; Monica Miari, presidente dell’istituto italiano di Preistoria e Protostoria; Paolo Boccuccia, museo delle Civiltà. Sezione POLITICA DEI BENI CULTURALI, MUSEOGRAFIA E VALORIZZAZIONE DEL PATRIMONIO. Alle 10, Luigi Malnati, su “Archeologia urbana e archeologia preventiva: un rapporto da ripensare”; 10.15, Alessandro Asta, Annalisa Capurso, Diletta Colombo, Grazia Maria Facchinetti, Pierluigi Giroldini, Stefano Giuliani, Lucia Mordeglia, Italo M. Muntoni, Paola Ventura, su “Quali prospettive per la tutela e la valorizzazione dei beni archeologici? il punto di vista di Api Mibact”; 10.30, Alessandro D’alessio, Paola Francesca Rossi, su “Tutelare, studiare, diffondere: la policy del parco archeologico di Ostia Antica sulla gestione dei resti umani antichi”; 10.45, Valentino Nizzo, su “Corna e archetipi: del buon uso dell’analogia”; 11, Franco Nicolis,su “Grammatica dell’archeologia. Un approccio all’archeologia del passato contemporaneo”. Dopo il coffee break, alle 11.30, Marco Fabbri, Paolo Boccuccia, David Chacon, Alessia Francescangeli, Giovanni Ligabue, Roberto Marcuccio, Massimo Mecella, Maura Medri, Alessandra Molinari, Massimo Morvillo, Marcella Pisani, su “Il Progetto SCIBA. Sistema cartografico informatizzato di bibliografia archeologica”; 11.45, Silvia Giorcelli, su “Filippo Maria Gambari e i colloques internationaux sur les Alpes dans l’antiquit: un’esperienza scientifica e umana; 12, discussione. Sezione PALEOLITICO. Alle 12.15 Francesca Alhaique, Alessia Argento, Francesco Bucci Casari degli Atti di Sassoferrato, Isabella Caricola, Ivana Fiore, Biagio Giaccio, Cristina Lemorini, Ilaria Mazzini, Stefano Mercurio, Lorenzo Monaco, Maria Rita Palombo, Daniela Rossi, Ernesto Santucci, Enza Spinapolice, Andrea Sposato, su “Dall’archeologia preventiva alla valorizzazione… con il contributo delle indagini scientifiche. Dati preliminari sul sito del MIS 11c (415-406 Ka) di via del Casale Lombroso (Località Massimina, Roma)”; 12.30, Fabio Negrino, Roberto Maggi, Ivano Rellini, Nadia Campana, su “Tra val Graveglia e val di Vara: il sito musteriano di monte Coppello (Ne, Genova). Sezione NEOLITICO. Alle 12.45 Annaluisa Pedrotti et alii, su “Gruppo di statuette Vinča di probabile provenienza illecita. Strategie e tecniche di diagnostica per stabilire l’autenticità”; 13, Francesca Radina, su “Ornamenti neolitici da grotta della Tartaruga di Lama Giotta nel museo Archeologico di Santa Scolastica a Bari; 13.15, discussione. Dopo la pausa pranzo, sezione ENEOLITICO. Alle 14.45, Philippe Curdy, Manuel Mottet, su “Il megalitismo nell’arco alpino: nuovi dati sulle pratiche rituali e funerarie”; 15, Daniele Albertini, Paolo Boccuccia, Francesco Di Gennaro, Nadia Marconi, su “Connessioni tra generazioni di ricercatori: preistoria nelle valli del Salto e del Velino”; 15.15, Marco Serradimigni, Marta Colombo, Neva Chiarenza, su “Un sito archeologico fra le statue stele: nuovi dati dalla Tana della Volpe (Fivizzano, Loc. Equi Terme – Ms) nel quadro dell’età del Rame in Lunigiana e nelle aree limitrofe”. Sezione ENEOLITICO / ETÀ DEL BRONZO. Alle 15.30, Andrea Arcà, Damien Daudry, Angelo Eugenio Fossati, su “Da Barocelli a Gambari, lo studio dell’arte rupestre nelle Alpi Occidentali”; 15.45 Nadia Campana, Chiara Dodero, Cristiano Nicosia, Andrea Vigo, Roberto Maggi, su “Nuovi dati sull’occupazione di età campaniforme della Pianaccia di Suvero”. Dopo il coffee break, alle 16.15, Umberto Tecchiati, Paola Salzani, Cristiano Putzolu, su “Nuove ricerche sul paesaggio archeologico dei Monti Lessini occidentali tra l’orizzonte campaniforme e il Bronzo finale”; 16.30, Andrea Dolfini, Cristiano Iaia, Isabella Caricola, Stefano Viola, su “Gli oggetti raccontano: 10 anni di analisi funzionale sui metalli preistorici italiani”; 16.45, discussione. Sezione ETÀ DEL BRONZO. Alle 17, Marco Baioni, Annalisa Gasparetto, Barbara Grassi, Fiorenza Gulino, Cristina Longhi, Nicola Macchioni, Claudia Mangani, Nicoletta Martinelli, Nicola Patucelli, Andrea Perin, Ilaria Petrucci, Benedetto Pizzo, Maurizio Reverberi, Emanuele Saletta, su “Una porta in legno dal Lucone di Polpenazze dalla scoperta alla valorizzazione”; 17.15, Costanza Paniccia, su “Nuove riflessioni sull’insediamento di Trino Vercellese (VC) nel quadro della media età del bronzo in Italia nordoccidentale”; 17.30, Giorgio Baratti, su “Aspetti del popolamento protostorico tra Sesia e Ticino alla luce delle recenti ricerche”; 17.45, Maria Bernabò Brea, Maria Maffi, su “Il sito della media età del Bronzo della Piscina di Travo (Piacenza)”; 18, discussione.

PROGRAMMA DI GIOVEDÌ 17 NOVEMBRE 2022. Alle 9.30, Andrea Cardarelli, su “Alla conquista del cielo. Deposizioni votive su sommità montane nell’Appennino centro-settentrionale durante la tarda età del Bronzo”; 9.45, Michele Cupitò, su “Il central place di Fondo Paviani dopo la crisi delle terramare. Prime riflessioni sul ruolo della (ex) polity delle Valli Grandi Veronesi nel quadro del “sistema Frattesina”; 10, Paola Aurino, su “Il Bronzo medio in Campania: nuove realtà funerarie e insediative dalle recenti indagini preventive”; 10.15, Paolo Bellintani, Mateusz Cwaliński, Ivana Angelini, su “Ambre e vetri dalla necropoli di Allumiere – loc. Poggio della Pozza (scavi Peroni 1960). Nuove indagini tipologiche e di caratterizzazione delle materie prime”; 10.30, Anna De Palmas, Marta Pais, Luca Doro, Noemi Fadda, su “Impronte dal passato: intrecci e cesteria nell’età del bronzo della Sardegna”; 10.45, Alberto Cazzella, Giulia Recchia, su “Apporti esterni e sviluppi locali nel consumo di bevande/cibi alcoliche fra IV e II millennio a.C. nell’Italia a sud del Po e nelle isole adiacenti”; 11, Massimo Cultraro, su “L’idromele di Agamennone: per un’archeologia delle bevande/cibi fermentate nella Grecia micenea”. Dopo il coffee break, alle 11.30, Franco Marzatico, “Pastori, formaggio e metallo: economia di malga e produzione metallurgica”; 11.45, Antonella Traverso, Elena Balduzzi, Paola Chella, Chiara Davite, Alberto Manfredi, Fabiola Sivori, su “Nuovi dati per una rilettura del cosiddetto cocciopesto: Chiavari (GE) e Vado (SV)”; 12, Barbara Grassi, Claudia Mangani, Diego Voltolini, su “Oltre i funerali: altre forme di ritualità nella necropoli protogolasecchiana della Malpensa (VA)”; 12.15, discussione. Sezione ETÀ DEL FERRO. Alle 12.30, Mauro Squarzanti, Fabio Gernetti, su “Lo stato dell’arte del centro proto urbano di Castelletto Ticino durante la prima età del Ferro”; 12.45, Silvia Paltineri, su “Il boccale dipinto dalla seconda tomba di guerriero di Sesto Calende: note su alcuni esperimenti di decorazione vascolare figurata da contesti della prima età del Ferro in Italia settentrionale”; 13, Francesco Rubat Borel, su “La venuta del re: una rilettura storica ed antropologica sulla leggenda di Belloveso, l’arrivo dei Galli in Italia e la fondazione di Mediolanum”. Dopo la pausa pranzo, alle 14.30, Lucia Isabella Mordeglia, su “Le sepolture golasecchiane di Motto Lagoni a Mercurago (Arona, NO). Nuovi dati dalla revisione dei contesti”; 14.45, Anna Maria Fedeli, Francesca Roncoroni, su “Le fasi preromane dell’area dell’anfiteatro di Milano”; 15, Diego Voltolini, su “Segmento di comunità: la situla di Caravaggio”; 15.15, Michela Ruffa, su “La ceramica d’impasto a Gropello Cairoli, loc. S. Spirito in Lomellina. Dati preliminari dall’abitato della prima età del Ferro”; 15.30, Marica Venturino, Marina Giaretti, su “Contributo alla definizione della tipologia vascolare della media età del Ferro nella Liguria interna”; 15.45, Maria Cristina Chiaromonte Trerè, su “Percorsi e ricerche”; 16, Piera Melli, Marta Bruschini, Elisabetta Starnini, Sara Chierici, Daniele Arobba, su “Oggetti identitari? Le borchie/bottone in bronzo: tipologia, cronologia, distribuzione, contesti, analisi di laboratorio”. Dopo il coffee break, alle 16.30, Mauro Cortelazzo, su “Armille in pietra ollare dell’età del ferro in Valle d’Aosta”; 16.45, Gwenael Bertocco, Alessandra Armirotti, su “I Salassi nella Valle d’Aosta della seconda età del Ferro: il territorio, le risorse e la cultura materiale”; 17, Patrizia Solinas, su “Sulle iscrizioni leponzie della necropoli di Oleggio”; 17.15, Carla Buoite, Daniela Locatelli, su “Tra Liguri ed Etruschi: il villaggio di via Saragat a Parma”; 17.30, Roberto Macellari, su “Archeologia del Vino attraverso alcuni corredi femminili dalle frontiere dell’Etruria padana”; 17.45, discussione.

PROGRAMMA DI VENERDÌ 18 NOVEMBRE 2022. Alle 09.30, Fabrizio Finotelli, Miari Monica, Paola Poli, su “La II età del Ferro a ovest di Bologna: recenti acquisizioni tra Reno e Samoggia”;09.45, Patrizia Von Eles, Lorenza Ghini, Laura Mazzini, Marco Pacciarelli, su “La prima occupazione rurale dell’agro felsineo orientale: il caso dell’Imolese”; 10, Federica Gonzato, Annalisa Pozzi, su “Romagna protostorica: lo studio del popolamento dell’età del Ferro”; 10.15, Giulia Patrizi, Paola Poli, Elena Rodriguez, su “I fusi e le conocchie di Verucchio. Oggetti del sapere femminile e indicatori di legami collettivi nella prima età del Ferro”; 10.30, Irene Baroni, Paolo Boccuccia, Anna De Santis, Gianfranco Mieli, su “L’organizzazione delle comunità della prima età del Ferro nell’area centrale di Roma attraverso l’analisi delle tombe infantili”; 10.45, Massimo Casagrande, Patrizia Luciana Tomassetti, Pina Corraine, Stefania Casula, Gianluca Zini, su “Pozzo Sacro di Irru a Nulvi (Sardegna), dalla tutela alla valorizzazione”; 11, discussione. Dopo il coffee break, sezione ETÀ STORICHE. Alle 11.30, Paola Di Maio, su “Oltre la morte. Una coppia di sposi a banchetto: l’influenza dell’iconografia etrusca su terrecotte fittili piemontesi e locarnesi”; 11.45, Alessandro Betori, “Il rilievo storico romano in ambito alpino tra ricezione e attardamento: Susa, Avigliana, Bormio”; 12, Francesco Muscolino, su “Un anello argenteo da Ricengo a altri ritrovamenti da indagini archeologiche nel Cremasco”; 12.15, Elisa Panero, su “Lungo l’asta del fiume Sesia: insediamenti romani dal II secolo a.C. nel Vercellese antico”; 12.30, Daniela Gandolfi, Giovanni Mennella, su “Bormanus/Diana o Bormanus e Diana in un pagus della Liguria occidentale?”; 12.45, Marco Podini, su “Ville e divinità della provincia reggiana”; 13, François Wiblé, su “Culture de la vigne et production de vin en Valais (Vallis Poennina, CH): état de la question suite à des trouvailles archéologiques et des analyses récentes ainsi qu’à la redécouverte d’une inscription de Croatie”. Dopo la pausa pranzo, alle 14.30, Cristina Anghinetti, Manuela Catarsi, Patrizia Raggio, su “Le antiche radici della vocazione viti-vinicola della valle parmense del Taro”; 14.45, Viola Cecconi, Jan Gadeyne, Cécile Brouillard, Alessandra Sperduti, su “I neonati di Artena, “Piano della Civita” (RM). Bioarcheologia di un nucleo di sepolture tardo-antiche”; 15, Grazia Facchinetti, Daniela Castagna, Omar Larentis, su “La necropoli infantile della villa romana di San Giorgio di Mantova, loc. Valdaro”; 15.15, Francesca Garanzini, Angela Guglielmetti, su “Borgosesia (VC): dal vicus romano all’insediamento altomedievale. Nuovi dati dallo “scavo” nei depositi del Museo di Archeologia e Paleontologia Carlo Conti”; 15.30, Marta Conventi, Fabrizio Geltrudini, Augusto Pampaloni, Mario Testa, Alessandra Starna, Elisabetta Neri, Elisa Del Galdo, Daniele Arobba, Costanza Cucini, Mariapia Riccardi, su “Deinde fac foueam… in qua ardeat ignis sub forma. Impianti produttivi per campane presso la chiesa di San Clemente ad Albenga”; 15.45, discussione. Dopo il coffee break, sezione ATTRAVERSO IL MONDO E IL TEMPO. Alle 16.15, Valeria Bellomia, Ivana Fiore, Donatella Saviola, su “Piume preziose fra trama e ordito. Riscoperta di un tessuto messicano coloniale nei depositi del Museo delle Civiltà”; 16.30, Davide Domenici, David Buti, Costanza Miliani, su “Nuovi studi sui mosaici mesoamericani del Museo delle Civiltà”; 16.45, Laura Giuliano, su “Cercando la luce celata nella roccia. Il progetto indo-italiano di ricognizione nelle grotte brahmaniche dell’India occidentale”; 17, Giuliana Calcani, Maria Luisa Giorgi, Loretta Paderni, su “L’antitesi originale/copia – autentico/falso nella valutazione di beni culturali extraeuropei”; 17.15, Gaia Delpino, Rosa Anna Di Lella, Claudio Mancuso, “L’ex Museo Coloniale di Roma al Museo delle Civiltà”; 17.30, discussione.

Roma-Eur. Il museo delle Civiltà ricorda Filippo Maria Gambari a un anno dalla sua scomparsa presentando il libro “Riscopriamo Angera. La collezione Pigorini Violini Ceruti”: evento esclusivamente on-line in diretta streaming

roma_muciv_libro-Riscopriamo-Angera_copertinaA un anno dalla scomparsa del direttore, Filippo Maria Gambari, Il museo delle Civiltà di Roma-Eur vuole ricordarlo presentando il volume “Riscopriamo Angera. La collezione Pigorini Violini Ceruti”: evento esclusivamente online venerdì 19 novembre 2021, alle 17, in diretta Streaming https://youtu.be/JLyPxjYVlSk. Il volume è dedicato alla collezione archeologica donata al Comune di Angera da Ugo Violini e Maria Grazia Ceruti nel 2017. Il patrimonio di famiglia, ora a disposizione della Comunità, comprende reperti archeologici, angeresi e non solo, appartenuti al celebre archeologo Luigi Pigorini, avo del donatore. A questi manufatti, che costituiscono il primo nucleo di beni archeologici di proprietà del Comune di Angera (VA), si aggiungono alcune lettere autografe di Luigi Pigorini, sconosciute ed edite per la prima volta in questo volume, pubblicate – tra i suoi ultimi contributi al campo degli studi – da Filippo Maria Gambari.

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Filippo Maria Gambari, direttore del Museo delle Civiltà di Roma-Eur, morto il 19 novembre 2020 (foto Muciv)

Filippo Maria Gambari, dalla primavera del 2017 è stato direttore del museo delle Civiltà, assicurando la complessa e ambiziosa creazione del museo autonomo dall’unione di quattro importanti musei: il Preistorico Etnografico “Luigi Pigorini”, Arti e tradizioni popolari “Lamberto Loria”, Arte orientale “Giuseppe Tucci”, Alto Medioevo “Alessandra Vaccaro” ai quali si è in seguito aggiunto l’Italo Africano, intitolato a “Ilaria Alpi”. Nella concretizzazione di questo museo si è speso fino all’ultimo sempre con sincero e quotidiano entusiasmo e con grande professionalità e fiducia nei suoi collaboratori, nella convinzione che la sua missione fosse quella di rendere possibile quello che per molti è ritenuta solo un’utopia: un museo che metta al centro l’uomo e la sua forza civilizzatrice.

Alcuni reperti della collezione Pigorini-Violini-Ceruti nel museo civico Archeologico di Angera (Va) (foto civici musei di angera)
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Filippo Maria Gambari al museo civico Archeologico di Angera (Va) (foto civici musei angera)

Programma. Saluti istituzionali di Loretta Paderni, funzionario delegato dalla direzione generale Musei alla direzione del museo delle Civiltà; e di Alessandro Paladini Molgora, sindaco di Angera. Interventi: Barbara Grassi, funzionario archeologo SABAP CO-LC, su “Filippo M. Gambari, Soprintendente in Lombardia”; Cristina Miedico, MUDEC – museo delle Culture (Milano), su “Filippo M. Gambari ad Angera, tra culti, menù, itinerari e donazioni”; Anna Bernardoni, civico museo Archeologico di Angera (VA), su “L’allestimento della Collezione Pigorini Violini Ceruti, tra ricerca, accoglienza e partecipazione”; Mario Mineo, funzionario archeologo, museo delle Civiltà, su “Quattro lettere inedite di Luigi Pigorini”; Paolo Boccuccia, funzionario archeologo, museo delle Civiltà, su “Un convegno per ricordare Filippo M. Gambari”; Gaspare Baggieri, funzionario demoetnoantropologo, museo delle Civiltà, su “Noi del MuCiv a Dakar- un video girato in presa diretta: Filippo Maria Gambari a gennaio del 2020 firma l’accordo di collaborazione col Musée des Civilisations Noires à Dakar”.

Roma. A due settimane dalla scomparsa di Filippo Maria Gambari, il Museo delle Civiltà ricorda il direttore con alcune testimonianze in un evento on line

Filippo Maria Gambari, direttore del Museo delle Civiltà di Roma-Eur, morto il 19 novembre 2020 (foto Muciv)

A due settimane dalla scomparsa di Filippo Maria Gambari il Museo delle Civiltà ha organizzato, per giovedì 3 dicembre 2020, alle 15.30, un’iniziativa on line per ricordare il direttore con alcune testimonianze di coloro che lo hanno conosciuto e apprezzato: video link  https://youtu.be/P9nn34HlUjE, oppure si può seguire la diretta sul nostro sito: https://museocivilta.beniculturali.it/dirette-video/. “Filippo Maria Gambari”, ricordano al Museo, “è stato per molti di noi non solo un semplice collega, ma anche un compagno di vita, di studio e di lavoro con il quale si sono condivisi momenti importanti del nostro percorso formativo e professionale”. Filippo Maria Gambari è morto per Covid-19, all’età di 66 anni lo scorso,  19 novembre 2020,  all’istituto nazionale di malattie infettive “Lazzaro Spallanzani” di Roma, dove era ricoverato da ottobre. Una grave perdita per il Museo delle Civiltà e il suo personale per l’estremo impegno che il Direttore ha profuso nel costruire un “nuovo” museo e nel portare avanti ambiziosi progetti di condivisione culturale e sociale”.  Ad annunciare la scomparsa di Filippo Maria Gambari, archeologo preistorico, esperto di Celti, era stato proprio il Museo delle Civiltà all’Eur di Roma, che raccoglie le collezioni del museo preistorico etnografico “Luigi Pigorini”, del museo delle arti e tradizioni popolari “Lamberto Loria”, del museo dell’alto Medioevo “Alessandra Vaccaro”, del museo d’arte orientale “Giuseppe Tucci”, del museo italo africano “Ilaria Alpi” (ex Museo Coloniale), di cui era direttore dal 2017 (Archeologia in lutto. È morto per Covid-19 Filippo Maria Gambari, archeologo preistorico, una lunga carriera di ricerca e dirigenziale, con centinaia di pubblicazioni. Era direttore del Museo delle Civiltà all’Eur di Roma, a un passo dalla pensione. Il cordoglio del ministro e dei colleghi | archeologiavocidalpassato).

Archeologia in lutto. È morto per Covid-19 Filippo Maria Gambari, archeologo preistorico, una lunga carriera di ricerca e dirigenziale, con centinaia di pubblicazioni. Era direttore del Museo delle Civiltà all’Eur di Roma, a un passo dalla pensione. Il cordoglio del ministro e dei colleghi

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È morto Filippo Maria Gambari, direttore del museo delle Civiltà, che accorpa il museo Pigorini, il museo Tucci, il museo dell’Alto Medioevo e il museo delle Arti e tradizioni popolari

Archeologia in lutto: è morto per Covid-19 Filippo Maria Gambari, 66 anni: era ricoverato da ottobre all’istituto nazionale di malattie infettive “Lazzaro Spallanzani” di Roma. “Siamo enormemente addolorati nell’annunciarvi che il nostro direttore è venuto a mancare nel pomeriggio di oggi, 19 novembre 2020. Una grave perdita per il Museo delle Civiltà e il suo personale per l’estremo impegno che il Direttore ha profuso nel costruire un “nuovo” museo e nel portare avanti ambiziosi progetti di condivisione culturale e sociale”.  Ad annunciare la scomparsa di Filippo Maria Gambari, archeologo preistorico, esperto di Celti, è stato proprio il Museo delle Civiltà all’Eur di Roma, che raccoglie le collezioni del museo preistorico etnografico “Luigi Pigorini”, del museo delle arti e tradizioni popolari “Lamberto Loria”, del museo dell’alto Medioevo “Alessandra Vaccaro”, del museo d’arte orientale “Giuseppe Tucci”, del museo italo africano “Ilaria Alpi” (ex Museo Coloniale), di cui era direttore dal 2017. Nato a Milano nel 1954, laurea in Lettere Classiche con specializzazione in Archeologia, la sua carriera comincia presto, a 25 anni, come archeologo preistorico presso la Soprintendenza Archeologica del Piemonte a Torino, con direzione di numerosi scavi e interventi sul territorio piemontese. Cura la progettazione scientifica di allestimenti e mostre in ambito preistorico. È stato soprintendente per i Beni Archeologici della Liguria, dell’Emilia Romagna, e della Lombardia; direttore ad interim del Parco archeologico di Ercolano; direttore del Segretariato Regionale per la Sardegna. Aveva al suo attivo centinaia di pubblicazioni in materia di Preistoria e Protostoria, arte rupestre ed epigrafia preromana. Dalla primavera del 2017 direttore del Museo delle Civiltà di cui ha una visione ben precisa: “In un mondo che si è ormai globalizzato, noi siamo abituati a mettere in confronto realtà molto distanti sul piano economico, sul piano politico ma poco sul piano culturale. Un Museo come il nostro nasce proprio per stimolare la possibilità di comprendere i rapporti fra le culture e di imparare a rapportarsi con culture diverse”.

Turismo: Franceschini, Expo opportunità anche per Europa

Il ministro per i Beni e le Attività culturali Dario Franceschini

Era a un passo dalla pensione. Non ha fatto in tempo. Il Covid gliela ha negata. Grande il cordoglio tra quanti nei Beni culturali hanno avuto la possibilità di conoscerlo e apprezzarlo. “Mi stringo ai familiari di Filippo Maria Gambari il direttore del Museo delle Civiltà di Roma che ci ha lasciati questo pomeriggio”, ha scritto il ministro per i Beni e le Attività culturali e per il turismo, Dario Franceschini. “Un raffinato studioso e un ottimo direttore di uno dei musei autonomi del ministero. Una lunga carriera, rigorosa e ricca di incarichi di grande responsabilità. Ci mancherà”. E l’ex direttore della Dg Musei del Mibact, Antonio Lampis: “Uno dei più bravi direttori dei musei statali, che meritava di andare in pensione in pace e invece è morto di Covid. Una persona indimenticabile, cui ho voluto bene”. Alessandro D’Alessio, direttore del Parco archeologico di Ostia Antica e il personale tutto “si uniscono al cordoglio per la prematura scomparsa di Filippo Maria Gambari, direttore del Muciv e direttore supplente del Parco archeologico di Ostia antica fino a poche settimane fa. Nei quattro mesi in cui ha diretto l’ufficio, tutti hanno potuto apprezzarne le doti scientifiche, professionali e umane, l’esperienza e la competenza unite a una rara disponibilità all’ascolto. Lascia nella comunità scientifica e negli uffici del Ministero un vuoto che sarà difficile colmare”. “Un eccelso e rigoroso studioso”, lo ricorda Alfonsina Russo, direttrice del parco archeologico del Colosseo, “figura di riferimento nell’ambito museale. Mancheranno la sua profonda Cultura, la sua grande Umanità, le sue doti di saggezza, generosità e capacità di visione”.

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Francesco Sirano, direttore del parco archeologico di Ercolano

Cordoglio anche dal direttore del Parco archeologico di Ercolano, Francesco Sirano: “Oggi ci ha lasciato Filippo Maria Gambari stimatissimo archeologo e dirigente MiBACT,  direttore del parco archeologico di Ercolano da settembre 2016 ad aprile 2017 e membro del Consiglio di Amministrazione di questo Parco. Non ho parole da esprimere, sono stato colpito troppo nel profondo per questo ulteriore accadimento. Filippo aveva avviato i primi passi amministrativi del Parco e potere contare sulla sua incredibile esperienza e sulle sue conoscenze profonde tanto nell’archeologia quanto nella gestione dei beni culturali, infondeva entusiasmo e fiducia in tutti. Il tratto umano e il rigore professionale formavano un tutt’uno che ti facevano rispettare ed amare Filippo. Ho lavorato con Filippo braccio a braccio nel Consiglio di Amministrazione ed ho condiviso con lui sempre un’unione di intenti e di progetti. Una persona rara,  di eccezionale levatura. Un collega e amico generoso. Perdiamo un punto di riferimento fondamentale. Sono sconvolto dalla notizia ma sin d’ora tutti sappiamo quanto peserà la sua dipartita. In questo momento provo un senso di smarrimento e un profondo dolore che sono certo condividono tutti quelli che hanno avuto il privilegio di conoscerlo e di lavorare con lui”. E Jane Thompson, manager dell’Herculaneum Conservation Project: “Lo abbiamo conosciuto e ammirato nella complessa fase di avvio del Parco quando si divideva tra la Sardegna ed Ercolano con puntualità e costanza. Un vero esempio di pubblico servizio”. Il cordiglio di tutti i dipendenti del Parco, dei membri del Consiglio di Amministrazione, del Comitato Scientifico e del team HCP alla famiglia e ai suoi affetti.

Roma. Il Muciv per Luna50 diventa MoonCiv e celebra l’anniversario dell’allunaggio con “La luna delle Civiltà. Selene e le altre. Il cielo degli Antichi nella tradizione occidentale”, prima delle iniziative che accompagneranno l’apertura in autunno del Planetario

La prima pagina del Corriere della Sera del 22 luglio 1969: “L’uomo è sulla Luna”

Il MuCiv per Luna50 diventa MoonCiv

“MoonCiv”: con un simpatico gioco di parole il MuCiv, il museo delle Civiltà di Roma-Eur, ricorda il 50° anniversario dell’allunaggio con una serata speciale: “La luna delle Civiltà. Selene e le altre. Il cielo degli Antichi nella tradizione occidentale”. Appuntamento per venerdì 19 luglio 2019, alle 19, nella sala conferenze del museo Preistorico etnografico nazionale “L. Pigorini”. Apertura straordinaria serale, ingresso con biglietto amico dalle 16 alle 22, a 5 euro. Ingresso gratuito per i possessori di abbonamento annuale al Museo. “Il 20 luglio 1969 l’uomo ha realizzato un’impresa estrema”, interviene il direttore del Muciv, Filippo Maria Gambari, “che sembra coronare la sfida delle grandi esplorazioni, non a caso vagheggiata in molti racconti (dall’Orlando Furioso a Verne, a Méliès, per citare solo alcuni esempi), e diventata negli anni ’60 (dopo il primo volo nello spazio di Yuri Gagarin a bordo della Vostok 1 il 12 aprile 1961) una vera ossessione, sia nella competizione delle Grandi Potenze sia nell’immaginario collettivo di un’intera generazione (qualcuno ricorda ancora Selene di Domenico Modugno, tormentone del 1962?)”.

La traiettria seguita dalla missione Apollo 11 da Cape Canaveral all’allunaggio e ritorno

#Riapriamo il planetario sul colonnato del museo delle Civiltà di Roma

Per celebrare il 50° anniversario dell’allunaggio anche il MuCiv vuole rivolgere lo sguardo verso il cielo, avviando una serie di iniziative che da ottobre 2019 accompagneranno la prossima (si spera già in autunno) e tanto desiderata riapertura del Planetario presso il museo della Civiltà Romana all’EUR (https://www.facebook.com/riapriamoilplanetario). Il Planetario è infatti chiuso dal 28 gennaio 2014 a tempo indeterminato per lavori di riqualificazione dell’edificio in adeguamento alle normative. Ripensare a quello straordinario risultato può servire a ridare carica a una nuova ed aggiornata idea di progresso e ad affrontare con coraggio grandi sfide epocali, prima di tutto già su questo nostro pianeta, che è e resta comunque finora l’unica casa del genere umano. Se “siamo riusciti ad andare sulla luna”, nessun obiettivo può essere considerato impossibile!

Il famoso disco di Nebra (museo di Halle, in Sassonia) dell’età del Bronzo, una delle più antiche rappresentazioni del cielo

Venerdì 19 luglio 2019, alle 19, la prima tappa sarà un’immersione nelle Origini, con una conversazione con il direttore Filippo M. Gambari sul tema “Selene e le altre. Il cielo degli Antichi nella tradizione occidentale”, in cui si cercherà di comprendere come nasce la visione del cosmo, le origini dell’astrologia ed i riflessi in leggende, tradizioni, fatti di costume ben presenti anche oggi. Se la meteorologia ci assiste, si potrà anche ammirare dal terrazzo del Museo, aperto fino alle 22, una meravigliosa luna quasi piena (“gibbosa”), appena calante, dopo l’eclissi parziale di martedì ed il plenilunio di mercoledì.

Bologna. Dopo quasi vent’anni riapre al pubblico il teatro romano, scoperto nel 1977 in via Carbonesi: visite guidate con gli archeologi della soprintendenza. È uno degli edifici più importanti della Bononia romana, e forse il più antico esempio di teatro romano in muratura noto in Italia

Via Carbonesi, nel cuore di Bologna, dove è stato individuato il teatro romano di Bononia

Il percorso musealizzato del teatro romano all’interno della galleria commerciale nel 1994 (foto Paolo Utimperger)

Pochi metri sotto il piano di calpestio di via Carbonesi 5, nel cuore di Bologna, a un passo da piazza Maggiore, si può leggere una pagina di storia importante della Bononia romana. È qui, infatti, che nel 1977, in occasione di lavori di ristrutturazione in un edificio di via Carbonesi, fu scoperto il teatro romano di Bologna, un manufatto straordinario per la storia della città e dell’architettura antica, essendo uno dei più rilevanti edifici pubblici identificati a Bononia e forse il più antico esempio di teatro romano in muratura attualmente noto in Italia. Il monumento è stato il fulcro di un importante progetto di valorizzazione e collaborazione fra due soggetti pubblici (Comune e Soprintendenza) e due privati (proprietà dell’immobile e Gruppo Coin) che ha consentito nel 1994 di trasformare in patrimonio pubblico un bene altrimenti fruibile solo dagli specialisti grazie all’apertura di un punto vendita Coin. Per l’ex soprintendente Filippo Maria Gambari, “il teatro, la cui costruzione inizia intorno all’88 a.C., come la Basilica (oggi sotto Salaborsa) si inserisce in un programma edilizio pubblico di munificenza civile legato alla celebrazione monumentale del passaggio del rango della città di Bononia da colonia di diritto latino a municipium romano, con piena cittadinanza romana, esattamente 2100 anni fa. Il fatto che il Teatro romano di Bologna sia il primo teatro in muratura dell’architettura romana rappresenta un primato notevole, considerando che nella stessa Roma le rappresentazioni teatrali avvenivano su strutture in legno e che il primo teatro in muratura (theatrum marmoreum) viene realizzato solo per impulso di Gneo Pompeo Magno nel Campo Marzio tra il 61 ed il 55 a.C., anno del suo secondo consolato (con Crasso), mentre teatri in muratura secondo i principi dell’architettura ellenistica (scavati in un pendio collinare) erano presenti nelle città greche ed etrusche dell’Italia antica”.

La musealizzazione del teatro romano di via Carbonesi a Bologna (foto Sabap-Bo)

Purtroppo con la chiusura dell’esercizio commerciale, avvenuta nel 2000, non è più stato riaperto al pubblico, se non in rare occasioni. Ma dopo quasi vent’anni, c’è una svolta: c’è un progetto per la valorizzazione del teatro romano di Bologna. E giovedì 4 luglio 2019, alle 18, 19, 20 e 21, la soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara propone visite guidate gratuite condotte dai suoi archeologi Tiziano Trocchi, Renata Curina, Valentina Di Stefano e Valentina Manzelli, inaugurando così un piano di valorizzazione dell’importante struttura che si protrarrà per tutta l’estate in previsione della futura, definitiva riapertura al pubblico. Sono previste massimo 30 persone per visita, l’accesso è gratuito ma è obbligatoria la prenotazione a sabap-bo.stampa@beniculturali.it (inviare mail con orario prescelto, nome, telefono e numero partecipanti e attendere mail di conferma).

Il rilievo planimetrico del teatro romano di Bologna ricostruito dagli archeologi (foto Sabap-Bo)

Storia delle ricerche. Nel 1977 iniziarono i lavori di restauro e ristrutturazione in un edificio situato in pieno centro storico, in via Carbonesi, destinato a diventare sede commerciale e complesso residenziale. “Durante l’esecuzione dei primi lavori emersero, scavando, ciò di cui solo si supponeva l’esistenza sulla base di deboli tracce storiche e scarsi indizi: i resti del Teatro Romano di Bologna”, ricordano gli archeologi della soprintendenza. “I primi rinvenimenti risalgono al 1978 quando le opere di scavo per la bonifica e l’abbassamento dei vecchi scantinati portarono a individuare un tratto di strada romana acciottolata e una pavimentazione laterizia non direttamente riferibili all’edificio teatrale. L’avanzamento dei lavori nel piano interrato, con la rimozione dei pavimenti e degli intonaci, evidenziò antiche strutture murarie di tale estensione da indurre gli archeologi a intervenire con una serie di indagini metodiche che si protrassero dal 1982 al 1984, con ulteriori verifiche nel 1989 (Archivio di Stato). L’esplorazione risultò molto difficoltosa per le condizioni ambientali in cui si dovette operare, peraltro abituali nel caso dell’archeologia urbana: un cantiere sotterraneo di circa 1500 mq., interrotto dai muri di stretti scantinati e attraversato da vecchie fogne e condutture. I ruderi, generalmente distrutti fino al livello delle fondazioni, erano in pessimo stato di conservazione; ciononostante il rilievo planimetrico dei tracciati murari permise di riconoscere i resti di un sistema di murature di sostegno a raggiera (sistema sostruttivo radiale-concentrico), chiaramente riferibile ad un settore di un emiciclo destinato ad accogliere gli spettatori (cavea) di un complesso teatrale romano. La successiva proiezione geometrica dei muri curvilinei consentì di ricostruirne l’estensione originaria entro i limiti dell’isolato attualmente compreso tra le vie Carbonesi, D’Azeglio, Val d’Aposa, Spirito Santo e piazza dei Celestini. Accertata la natura teatrale dell’edificio – continuano – e approfittando di una fortunata coincidenza (l’apertura nella zona di altri due cantieri per la ristrutturazione edilizia di palazzo Rodriguez, in via D’Azeglio e di palazzo Zambeccari, fra le vie Val d’Aposa e Carbonesi) si è proceduto su due strade parallele. Da un lato si è effettuato il rilievo sistematico di tutte le strutture ancora rintracciabili nel sottosuolo in modo da ottenere una documentazione cartografica quanto più completa possibile; contemporaneamente si sono svolte ricerche specifiche per studiare la conformazione volumetrica e la tecnica costruttiva dell’edificio e la determinazione cronologica della sua fondazione e delle successive vicende”.

Le sezioni del teatro romano di Bologna indagate dagli archeologi (foto Sabap-Bo)

Archeologia urbana: ricerche difficili. “È evidente che non possiamo considerare esaustive le indagini svolte finora”, spiegano gli archeologi della soprintendenza, “ma non è stato possibile procedere oltre. I ruderi romani si trovano sotto gli edifici di un intero isolato abitativo che li occulta quasi totalmente. Le radicali distruzioni operate nel corso degli ultimi cinque secoli – ben più dannose delle spoliazioni subite dal teatro nell’antichità – ci privano della possibilità di apprezzare la conformazione architettonica dell’intero monumento di cui restituiscono parti sparse (membrature), generalmente riconoscibili solo in fondazione a parte alcuni tratti della fronte esterna della cavea, in elevato, che si sono preservati in quanto ricadenti in un’area cortilizia mai scavata in precedenza. Si segnala comunque come tutte le strutture più significative, ad iniziare da quelle del settore appena ricordato, siano state conservate in vista e, ove necessario, restaurate così da creare un articolato percorso di visita. I settori esplorati hanno evidenziato alcune importanti caratteristiche strutturali dell’imponente architettura che consentono di riconoscervi due distinte fasi costruttive”.

Il complesso archeologico del teatro romano di Bologna integrato nella galleria commerciale (foto Paolo Utimperger)

La creazione – nel 1994 – di una Galleria commerciale in via de’ Carbonesi, a Bologna, è nata dall’intensa collaborazione fra due soggetti pubblici (il Comune di Bologna e l’allora soprintendenza Archeologia dell’Emilia-Romagna) e due privati (la proprietà dell’immobile e il Gruppo Coin), all’insegna del rispetto dei reciproci doveri e rispettive competenze, nel quadro di una unità di intenti volta a salvaguardare l’interesse pubblico e sociale. Le superfici della galleria, su tre livelli, sono state articolate intorno al nucleo dei ritrovamenti archeologici, rendendo possibile la visione del teatro romano da ogni posizione e comprendendo un percorso museale di grande suggestione e interesse. “Si può dire che allora fu raggiunto l’obiettivo di integrare il complesso archeologico nel respiro della città, trasformando in patrimonio pubblico un bene altrimenti accessibile solo agli specialisti”.

Resti della facciata esterna (I° fase) e dei posteriori muri radiali (II° fase) della cavea del teatro romano di Bologna (foto Sabap-Bo)

La prima fase costruttiva (entro l’80 a.C.). “Nella sua prima fase edilizia, corrispondente all’impianto di fondazione”, spiegano gli esperti, “l’emiciclo del teatro bolognese aveva probabilmente la forma di un semicerchio pieno di circa 75 metri di diametro, aperto verso Nord secondo quelle che sarebbero state anche le prescrizioni dei trattati di Vitruvio. La struttura era del tutto autoportante e fondata su una fitta serie di murature radiali e concentriche costruite a vista entro un vasto cavo di fondazione, progressivamente reinterrato in corso d’opera. Le gradinate (gradationes) si sviluppavano lungo la parete semicircolare ed erano costituite da bassi sedili a gradino in laterizio che si sviluppavano con lieve pendenza lungo l’invaso della cavea. Tra i settori delle gradinate dovevano poi aprirsi gli sbocchi dei corridoi rettilinei che, risalendo a rampa piana, fungevano da ingressi secondari -almeno quattro- per gli spettatori. Per quanto riguarda gli ingressi principali dell’edificio non è stato ancora possibile stabilire se il collegamento diretto con l’orchestra e la parte inferiore delle gradinate (ima cavea) fosse garantito da passaggi laterali coperti. A caratterizzare maggiormente l’impianto architettonico del teatro bolognese di prima fase fu indubbiamente la conformazione della fronte curvilinea della cavea di contenimento della struttura interna a terrapieno. Di aspetto solido e massiccio, il muro perimetrale dell’emiciclo -alto intorno ai 6 metri- era scandito da un ordine di contrafforti articolati che si sviluppavano in serie continua: si trattava di arcate cieche su semi-pilastri rettangolari, di forma alta e stretta, verosimilmente chiuse a tutto sesto e sovrastate da un attico”.

I resti del teatro romano come si vedevano nella galleria commerciale aperta nel 1994 (foto Paolo Utimperger)

“Numerose e particolarmente interessanti – continuano – sono le indicazioni relative alle tecniche edilizie impiegate nella costruzione che comportò il sistematico uso di arenaria, una pietra tenera abbondante nelle cave dell’Appennino locale. Grandi lastre ben squadrate pavimentavano il piano dell’orchestra mentre piccole scaglie componevano l’opus caementicium dei muri di fondazione. Blocchetti parallelepipedi di rinforzo angolare e scapoli tronco-piramidali di buona rifinitura erano impiegati per comporre il rivestimento in opus incertum, dall’accurata tessitura, usato in tutte le parti di muratura destinate a rimanere a vista. Uno dei principali elementi di interesse che il teatro presenta nella sua fase originaria è indubbiamente la cronologia decisamente alta. La forma architettonica e la tecnica costruttiva impiegate riconducono a quel filone dell’architettura romana tardo repubblicana compresa nell’arco che va dal 120 all’80 a.C. Se la notevole antichità inserisce a pieno titolo il monumento bolognese nella fase formativa dell’architettura teatrale romana, alcune delle soluzioni tecniche e formali utilizzate per la sua costruzione risultano per l’epoca decisamente innovative. In particolare l’autoportanza, certamente la principale innovazione del teatro romano rispetto al teatro di tradizione greca”.

Tratto di muro di opus quadratum in selenite per il sostegno della cavea del teatro romano di Bologna in età imperiale (foto Sabap-Bo)

La seconda fase costruttiva (tra il 53 e il 60 d.C.). Al momento della fondazione il teatro bolognese, con i suoi 75 metri di diametro, fu indiscutibilmente un’opera edilizia di grande portata. Col passare del tempo però la crescita demografica e il progressivo rinnovamento della veste architettonica di Bologna dovettero porre nuove esigenze – sia di ordine dimensionale che formale – che in qualche modo ne provocarono l’obsolescenza. Ci sono tracce di una prima ristrutturazione già in età proto-imperiale, come testimonia il rinvenimento di un frammento di grande trabeazione marmorea di età augustea probabilmente proveniente dall’edificio scenico. Ma è alcuni decenni più tardi – verso la metà del I sec. d.C.- che avrà luogo la radicale e completa trasformazione dell’edificio. Con questi lavori si mirò evidentemente ad ottenere un duplice scopo: ampliare la capienza dell’emiciclo e abbellirne la veste esteriore per adeguarlo a tipologie architettoniche più aggiornate e nettamente più evolute rispetto alla vecchia tradizione costruttiva di età repubblicana. “In questa seconda fase”, sintetizzano gli archeologi, “si trasformò, come prima cosa, il muro di contenimento della cavea, demolendo e rasando le arcate cieche di contrafforte e chiudendo la rientranza centrale posteriore. Subito dopo, al vecchio anello in opus incertum fu addossata una serie di nuovi muri radiali, lunghi circa 9 metri con potenti fondazioni, destinati a sostenere alzati in opera quadrata di selenite. Ciò consentì l’ampliamento dell’emiciclo -che raggiunse i 93 metri di diametro- e il suo innalzamento, che si ipotizza abbia raggiunto gli 11 metri sufficienti ad accogliere sulla facciata esterna un doppio ordine di arcate. Anche l’orchestra dovette subire qualche modifica, con l’allargamento del diametro a 21 metri e una nuova pavimentazione probabilmente in lastre di marmo. Le gradinate, per quanto con sedili rinnovati, conservarono una pendenza assai modesta, appena più accentuata rispetto alla precedente”.

Teatro romano di Bologna: frammento di lastra di rivestimento decorata a rilievo (foto Sabap-Bo)

“Alle opere strutturali si accompagnarono altri interventi accessori, tra i quali segnaliamo le decorazioni ambientali e architettoniche la cui ricchezza ed elaborazione ancora traspaiono dai pochi resti che si sono conservati. Pavimenti a mosaico e opus sectile di marmi pregiati e rivestimenti parietali musivi, a stucco o con affreschi a decorazioni vegetali ornavano le grandi camere con copertura a volta dell’ordine inferiore della cavea. Lastre calcaree con delicati rilievi architettonici, floreali e figurativi rivestivano i vestiboli dei corridoi d’accesso. Fini membrature e colonne – anche in marmo cipollino e giallo antico – dovevano decorare il prospetto esterno dell’emiciclo”.

Torso di statua imperiale loricata attribuita a Nerone conservata al museo civico Archeologico di Bologna (foto Sabap-Bo)

“Ancora a proposito degli ornamenti accessori, ricordiamo il pregevole torso marmoreo con corazza (loricato) rinvenuto ai primi del Cinquecento nell’area di via Carbonesi e oggi conservato al museo civico Archeologico di Bologna. Questo torso – attribuito all’imperatore Nerone – apparteneva a una statua iconica che originariamente doveva ergersi sul retro della cavea, alla sommità di un attico o in un ambiente di rappresentanza alla base del perimetro esterno. Se questo dato è coerente con la frequenza con cui personaggi della cerchia imperiale comparivano nei cicli statuari posti all’interno degli edifici teatrali”, sottolineano gli archeologi della soprintendenza, “l’interesse è accentuato dal fatto che allo stesso Nerone è stato attribuito un frammento di iscrizione dedicatoria monumentale, in lettere in bronzo, rinvenuto nelle immediate vicinanze e datato al 60 d.C. L’esistenza presso il teatro bolognese di due importanti elementi onorari dedicati a Nerone non pare casuale ed anzi si collega all’amore dell’imperatore per questa città testimoniata dalla perorazione tenuta in Senato dal giovane Nerone – che fruttò a Bologna una consistente elargizione in denaro per finanziare interventi edilizi – e dai materiali rinvenuti nei livelli della fase di ampliamento del teatro che suggeriscono una datazione alla metà del I sec. d.C.. In definitiva si ritiene assai probabile che l’ampliamento e la ristrutturazione del teatro bolognese siano dovuti proprio al personale e diretto intervento di Nerone in favore della città. Dopo la radicale trasformazione in età neroniana la cavea non dovette più subire interventi strutturali di grande rilievo. Dall’età medio e tardoimperiale le sole modifiche da registrare sono di tipo disgregativo: alla fine del III secolo viene parzialmente spogliato degli arredi di maggior pregio e a partire dalla seconda metà del IV progressivamente demolito per recuperare e reimpiegare le murature esterne in selenite. Alla distruzione dei principali corpi costruttivi e al completo abbandono dell’edificio – concludono – seguì il crollo degli alzati residui e il progressivo interramento dell’invaso della cavea, con spessi depositi di terre nere che in età altomedievale occultarono definitivamente i ruderi del complesso e furono saltuariamente occupati da precarie e deboli strutture insediative in legno”.

Dall’Uomo di Neanderthal a Guido d’Arezzo: a Roma per i “Venerdì del Muciv” incontro sull’origine della musica “La prima scienza delle note, tra gli Etruschi, Pitagora e i Celti”

Il flauto paleolitico scoperto a Divje Babe in Slovenia

Come nasce la musica? È davvero una scoperta casuale che si origina da percussioni e strumenti idiofoni o fin dai primordi esperisce dei tentativi di misurazione delle distanze tonali? È possibile che un flauto in osso realizzato dall’Uomo di Neanderthal in Slovenia ricostruisse già empiricamente nelle scelte delle distanze tra i fori un tentativo pur molto approssimativo di apprezzare degli intervalli tonali fissi per modulare una qualche melodia, derivata inizialmente dall’imitazione degli effetti canori? E quando nascono gli accordi e la ricerca armonica? Domande cui tenterà di dare una risposta Filippo Maria Gambari, direttore del museo delle Civiltà a Roma, venerdì 21 giugno 2019, nell’incontro “La prima scienza delle note, tra gli Etruschi, Pitagora e i Celti”, alle 16.30, nella sala delle conferenze del museo delle Civiltà, nell’ambito del ciclo “I Venerdì del MuCiv”.

Le tombe dipinte di Tarquinia testimoniano l’importanza della musica per gli etruschi

Partendo da questi interrogativi si potrà arrivare ad approfondire l’utilizzo delle prime arpe preistoriche diffuse fin dall’età del Rame nel Mediterraneo per analizzare il rapporto matematico tra la lunghezza delle corde e la misura degli intervalli tonali, alla definizione pitagorica del tono come unità di misura corrispondente alla distanza tra l’intervallo di quarta e l’intervallo di quinta (cioè tra fa e sol, se si parte dal do), sulla base di calcoli geometrici e matematici. Si potrà continuare verificando la diffusione dalle corti dei principi dell’Etruria Padana presso le popolazioni celtiche cisalpine e transalpine dell’arpa “celtica”. Insomma si cercherà di indagare un mondo insospettato ma molto precoce, che precede lungamente l’invenzione della notazione musicale sul tetragramma da parte di Guido d’Arezzo a Pomposa intorno all’anno 1000. Si potrà seguire così la nascita ed il primo sviluppo primordiale della musica lungo due binari paralleli, quello dell’armonia costruita su proporzioni e rapporti matematici e quello della costruzione istintiva ed artistica del “rapimento” musicale, ben accostati da Dante nel canto XIV del Paradiso: E come giga e arpa, in tempra tesa / di molte corde, fa dolce tintinno / a tal da cui la nota non è intesa, / così da’ lumi che lì m’apparinno / s’accogliea per la croce una melode /che mi rapiva, sanza intender l’inno.

“Roma e Cartagine: due civiltà a confronto”: al Muciv-Pigorini di Roma-Eur presentazione del libro che descrive due mondi mediterranei distanti e tuttavia vicini. Ricordo di Sebastiano Tusa, uno degli autori

L’immagine sulla copertina del libro “Roma e Cartagine: due civiltà a confronto”

Filippo Maria Gambari, direttore del museo delle Civiltà, che accorpa il museo Pigorini, il museo Tucci, il museo dell’Alto Medioevo e il museo delle Arti e tradizioni popolari

Roma e Cartagine: due mondi mediterranei distanti e tuttavia vicini. Due realtà che emergono dal fondo della storia perché destinate entrambe a diventare grandi potenze del Mediterraneo. Su questa linea muove il libro “Roma e Cartagine: due civiltà a confronto” (Edizioni di storia e studi sociali) con testi di Maurizio Massimo Bianco, Pino Blasone, Alfredo Casemento, Massimo Cultraro, Rossana De Simone, Massimo Frasca, Francesca Oliveri, Carlo Ruta, Francesco Tiboni, Sebastiano Tusa, libro che verrà presentato al Muciv di Roma-Eur martedì 7 maggio 2019, alle 17:30, nella sala conferenze del museo nazionale Preistorico etnografico “Luigi Pigorini”. Presenta l’opera Filippo Maria Gambari, direttore del Museo delle Civiltà. Intervengono: Pino Blasone, scrittore e studioso del mondo orientale; Massimo Cultraro, primo ricercatore IBAM CNR e docente universitario; Massimo Frasca, docente di Archeologia classica, università di Catania; Maria Costanza Lentini, archeologa, già direttore Polo siti culturali Catania; Francesca Oliveri, archeologa, soprintendenza del Mare, Sicilia; Carlo Ruta, saggista e storico del mondo mediterraneo. Coordina: Elisabetta Mangani, archeologa, già funzionaria del museo “L. Pigorini”. Mario Mineo, archeologo del museo “L. Pigorini”, ricorderà la figura di Sebastiano Tusa, già funzionario del museo.

Area della battaglia delle isole Egadi tra romani e cartaginesi

L’archeologo Sebastiano Tusa

Presentazione del libro. Nella prima fase Roma e Cartagine trattano, si accordano sui commerci, cercano di stabilire una convivenza con reciprochi vantaggi. Questo fino al quarto secolo, quando Roma ancora non si sente pronta per sostenere uno scontro con la potenza “frontaliera”. Poi si dipana una lunga vicenda di conflitti che alla fine vede Roma vincitrice e Cartagine umiliata fino alla estrema distruzione. Essa risorgerà dalle proprie rovine a partire dal periodo di Augusto, che apre a Roma l’età del principato. Essa conserva ancora tradizioni fenicio-puniche, ma diventa una Cartagine romana, Sarà quindi un’altra storia. Due civiltà allora che s’incontrano e si scontrano, che non mancano comunque di similitudini, a partire dal sacro e dalle arti, che vedono ambedue fare i conti con la grecità. Entrambe si lasciano contaminare da miti e stili artistici ellenici, senza comunque rinunciare a tradizioni proprie. Entrambe coltivano un ethos patriottico, fatto di eroismi civili e militari, di impulsi predatori e ragione. E danno una propria impronta alla storia antica. Cartagine proietta i propri commerci oltre i confini delle Colonne d’Ercole. Tenta il periplo dell’Africa e punta, dall’Atlantico, verso le coste della Bretagna. Roma conquista i popoli italici ma non li umilia, tesse la propria tela del diritto, cerca di fare un uso razionale della forza che si esprime anzitutto attraverso le sue legioni. Alla fine conquista l’intero Mediterraneo.

“Teodorico. Il re barbaro che immaginò l’Italia”: al museo dell’Alto Medioevo di Roma-Eur presentazione del libro di Carlo Ruta che approfondisce la figura di Teodorico il Grande, che fu re dei Goti e dei Romani dal 493 al 526

La locandina dell’incontro al museo dell’Alto Medioevo di Roma-Eur con Carlo Ruta su Teodorico

A tu per tu con “Teodorico, il re barbaro che immaginò l’Italia”. Ad approfondire la figura di Teodorico il Grande, che fu re dei Goti e dei Romani dal 493 al 526, in un’epoca di transito politicamente e storicamente molto complessa, ambigua, disordinata e travagliata da radicalismi, ma anche caratterizzata da esperienze di convivenza etnica, compostezza civile, decoro urbano e di contagio religioso e culturale, sarà il giornalista Carlo Ruta che da vari decenni opera negli ambiti della ricerca storiografica e dell’informazione italiana, autore di reportage e inchieste giornalistiche. Appuntamento giovedì 28 febbraio 2019, alle 17, nell’Aula dell’Opus sectile del museo dell’Alto Medioevo “Alessandra Vaccaro” – Muciv a Roma-Eur, per la presentazione del libro di Carlo Ruta “Teodorico. Il re barbaro che immaginò l’Italia” (Edizioni di storia e studi sociali, Ragusa-Roma, pp. 144, gennaio 2019). Con l’autore interverranno Filippo Maria Gambari, direttore del Museo delle Civiltà; Gaspare Baggieri, coordinatore del museo dell’alto Medioevo “Alessandra Vaccaro”; Elisabetta Mangani, archeologa, già funzionaria del museo Preistorico-etnografico nazionale “Luigi Pigorini”. Dopo la presentazione, visita alle due mostre “L’ideale guerriero” e “L’intelligenza nelle mani. Produzione artigianale e tecniche di lavorazione e tecniche di lavorazione in età longobarda” nell’ambito del progetto nazionale “Longobardi in vetrina”.

Il giornalista scrittore Carlo Ruta

“In quest’opera di Carlo Ruta la figura del sovrano goto viene passata al vaglio in maniera del tutto innovativa, da prospettive poco esplorate, con esiti significativi, che mettono in rilievo l’esemplarità di un uomo di Stato che operò per il benessere del suo paese, per oltre trenta anni, e che spinse la storia d’Europa in avanti, attraverso il rilancio della civilitas romana ma anche attraverso la prefigurazione, appunto, del cambiamento”, si legge nella recensione su http://www.nuovosoldo.it. “Si era nel punto di lacerazione tra il mondo antico e il Medioevo. Teoderico, re goto in Italia dal 493 al 526, si presenta come una delle figure più forti ed emblematiche dell’Europa tardo-antica. Il re barbaro finì con il generare un modello di Stato che ambiva a spendere con lucida determinazione le eredità del passato mentre inaugurava un tipo di convivenza etnica originale: chiuso e tuttavia plurale, segnato da rigidi protocolli identitari ma in grado di generare, nel concreto delle cose, costumi condivisi. Egli volle essere rappresentante e arbitro di mondi distanti che, senza nulla cedere delle tradizioni cui più tenevano, riuscirono per decenni a eliminare dall’orizzonte civile lo scontro etnico e di religione. Tra i Goti, comunemente di fede ariana, e gli Italici, cattolici, furono tutto sommato tempi di normalità, retti da una misurata concordia. E questo modo di convivenza, freddo ma per tanti versi fecondo, contribuiva a ricomporre nel paese la vita delle città”.

Il libro di Carlo Ruta “Teodorico. Il re barbaro che immaginò l’Italia” (Edizioni di storia e studi sociali)

“Lo Stato teodericiano – continua la recensione – faceva i conti in maniera esemplare con il passato di Roma, assimilandone gli elementi più produttivi, giuridici, economici e tecnico-costruttivi. Si faceva inoltre garante di grandi tradizioni di pensiero, greche ed ellenistiche in particolare, attraverso l’apporto di filosofi e letterati tra i più significativi della tarda antichità. Boezio e Cassiodoro, ministri e consiglieri del re goto, lasciarono eredità decisive sul piano dell’organizzazione dei saperi e, in particolare, della custodia delle classicità, mentre si formava, in disparte, una delle figure più eminenti del mondo cristiano, Benedetto da Norcia, che con la sua Regola avrebbe interagito in maniera feconda con i progetti della tarda maturità di Cassiodoro, fondatore del Vivarium. Solo negli ultimi anni gli equilibri garantiti da quell’esperimento di governo cominciarono a incrinarsi, per cause legate soprattutto ai rapporti travagliati con l’Impero d’Oriente. Ma anche in quei contesti, i dissidi interni, pur significativi, non produssero nel paese grandi devastazioni. Goti e Romani, ariani e cattolici nel concreto delle città riuscirono a fermarsi, a placare le tensioni e spegnere lo scontro civile che minacciava di erompere, mentre si apriva una fase di intrighi da «basso impero» interpretati da un Senato sempre più travagliato da partigianerie. Era per certi versi l’ultima chiamata alle armi di un’aristocrazia che in larghissima parte aveva smarrito il senso dello Stato. Poi, morto Teoderico nel 526, il regno goto precipitava in una profonda instabilità ed infine, per iniziativa di Costantinopoli, in uno stato di guerra che in un paio di decenni ne avrebbe determinato la fine”.

A Tourisma 2019 protagonisti i Longobardi con il progetto “Longobardi in vetrina” dell’associazione Italia Langobardorum, 15 mostre a creare la prima grande mostra diffusa per valorizzare i siti Unesco e le realtà museali con tesori longobardi

Fibula aurea a disco, tipica della produzione artistica dei longobardi

Il logo del progetto “Longobardi in vetrina”

I Longobardi protagonisti della seconda giornata di Tourisma 2019, il salone di archeologia e turismo culturale in programma al Centro congressi di Firenze dal 22 al 24 febbraio 2019. Sabato 23 febbraio, in sala Verde, dalle 9 alle 13.30, l’associazione Italia Langobardorum presenta il progetto “Longobardi in vetrina. 15 Mostre per conoscere un popolo”, un progetto ambizioso ideato e coordinato da Francesca Morandini (Brescia), Maria Stovali (Spoleto), Arianna Petricone (associazione Italia Langobardorum), che gode del patrocinio del ministero dei Beni e delle Attività culturali e ha ottenuto il contributo del Mibac. “Longobardi in vetrina” propone la diffusione della conoscenza della cultura longobarda attraverso la valorizzazione delle realtà museali presenti nei sette singoli complessi monumentali, parte integrante del sito UNESCO, ma anche di quelli espressione dei territori coinvolti dal passaggio dei Longobardi. La collaborazione e la sinergia tra i musei sono favorite da scambi temporanei di reperti, articolati in esposizioni tematiche, tra musei della rete e luoghi del sito Unesco (museo Archeologico nazionale di Cividale del Friuli, l’antiquarium di Castelseprio, il museo di Santa Giulia di Brescia, il museo nazionale del Ducato di Spoleto, il tempietto di Campello sul Clitunno, il museo Diocesano di Benevento, i musei Tecum di Monte Sant’Angelo) ed altri sette musei presenti sul territorio nazionale.

L’auditorium del Palacongressi di Firenze stracolmo per Tourisma, il salone di Archeologia e Turismo culturale (foto Graziano Tavan)

Il logo dell’associazione Italia Langobardorum

Tourisma 2019. I lavori, moderati da Cinzia Dal Maso, direttore di Archeostorie, aprono alle 9 con i saluti di Laura Castelletti, presidente di Italia Langobardorum; alle 9.10, introduzione di Angela Maria Ferroni, funzionario archeologo Ufficio Unesco MiBAC; alle 9.25, Filippo Maria Gambari, direttore del museo delle Civiltà di Roma, parla de “Il valore della rete”. Chiudono, alle 9.40, questo primo blocco di contributi, Francesca Morandini, Maria Stovali, Arianna Petricone, responsabili progetti Associazione Italia Langobardorum, con “Longobardi in vetrina: genesi e realizzazione di un progetto nazionale”. Alla narrazione di Maria Angela Galatea Vaglio è affidata la suggestione dei temi emersi dalle singole mostre, accompagnate ciascuna da una tavola illustrata di Tommaso Levente Tani. Gli scambi tra i musei, le mostre temporanee e le attività culturali di supporto sono potenziate anche da una mostra virtuale online realizzata con MOVIO (www.longobardinvetrina.it) e da un catalogo unico, caratterizzando questo progetto come la prima mostra diffusa a livello nazionale, intesa come insieme di mostre sulla cultura Longobarda; la più grande per estensione territoriale e coinvolgimento di istituzioni e di patrimonio storico-archeologico.

Il castrum nell’area archeologica di Castelseprio

La tomba 43 con il cavallo dalla necropoli di San Mauro, conservata al museo Archeologico nazionale di Cividale

Il presbiterio della basilica di San Salvatore a Spoleto

Quindici mostre per conoscere i Longobardi. Ben 15 sono le mostre realizzate contemporaneamente e 7 i temi trattati con il progetto “Longobardi in vetrina”: a Tourisma vengono presentate a blocchi seguendo questi sette approfondimenti. Alle 10, Angela Borzacconi del museo Archeologico nazionale di Cividale del Friuli presenta “Animali totemici dell’immaginario longobardo”, sviluppato in tre sedi: Cividale del Friuli (Ud) con la sepoltura di cavallo e cavaliere (necropoli di San Mauro, T43), Povegliano Veronese (Vr) con la sepoltura di cavallo acefalo e cani (necropoli dell’Ortaia, T s.n.), Spilamberto (Mo) con le sepolture di cavalli acefali (necropoli di Ponte del Rio, T 63, 66, 67). Alle 10.15, Sara Masseroli, direttore del parco archeologico di Castelseprio, e Anna Provenzali, conservatore del civico museo Archeologico di Milano, presentano “Flavia Sebrio. Castelseprio longobarda, presidio militare e città regia” a Castelseprio (Va) col castrum, e a Milano con le monete della zecca sepriese. Alle 10.30, Paola Mercurelli Salari, direttore Rocca Albornoz, museo nazionale del Ducato di Spoleto e Tempietto di Campello sul Clitunno, presenta “Reimpiego e recupero dell’antico in area spoletina in età longobarda” col recupero tardoantico del Tempietto a Campello sul Clitunno (Pg) e della basilica di San Salvatore a Spoleto (Pg). Alle 10.45, ancora Paola Mercurelli Salari e Francesca Manuela Anzelmo, storica dell’arte museo delle Civiltà di Roma, illustrano “L’intelligenza nelle mani: produzione artigianale e tecniche di lavorazione in età longobarda” allestita a Spoleto (Pg) e a Roma con oggetti in metallo provenienti dalle necropoli di Nocera Umbra (Pg) e Castel Trosino (Ap), realizzati utilizzando tecniche diverse: fusione a stampo, cloisonné, punzonatura, filigrana, agemina, e niello.

Ricostruzione dell’equipaggiamento di un guerriero longobardo (ass. Italia Langobardorum)

Armi longobarde esposte al museo di Santa Giulia di Brescia

Prezioso corredo da una tomba femminile dalla necropoli gota-longobarda di Collegno, esposta al museo delle Antichità di Torino (foto soprintendenza Archeologia del Piemonte e delle Antichità Egizie)

Dopo la pausa, “Longobardi in vetrina” riprende sempre in sala Verde. Alle 11.50, mons. Mario Iadanza, direttore biblioteca Capitolare e museo Diocesano di Benevento, e Pasquale Palmieri, architetto del Comune di Benevento, illustrano “Scritture in-colte: testimonianze di mezzi e strumenti per la comunicazione” a Benevento tra museo e biblioteca. Alle 12.05, Immacolata Aulisa dell’università di Bari “Aldo Moro”, Marilina Azzarone per i musei TECUM Santuario di San Michele Arcangelo, e Gabriella Pantò direttore museo di Antichità dei Musei Reali di Torino, presentano “Le armi e il potere”, a Monte Sant’Angelo (Fg) con la riproduzione delle iscrizioni nel santuario di Monte Sant’Angelo, e a Torino con un corredo della necropoli di Collegno. Alle 12.20, Francesca Morandini archeologo della Fondazione Brescia Musei, e Ilenia Bove storica dell’arte Museo delle Civiltà di Roma, presentano “L’ideale guerriero” a Brescia con le molte necropoli scoperte in più di un secolo, e a Roma con i sepolcreti di Nocera Umbra (Pg) e Castel Trosino (Ap). Alle 12.35, Caterina Giostra dell’università Cattolica del Sacro Cuore (Mi) si sofferma su “Le origini dei Longobardi: migrazioni, clan, culture attraverso il Dna”. Chiude l’intensa mattinata, alle 12.50, la scrittrice Galatea Vaglio con “Raccontare i Longobardi”: “Quella dei Longobardi – scrive – è più che una storia, è una parabola. Scesi dall’oscuro Nord in cerca di terre migliori e di bottino, sono i più barbari dei barbari: un marasma indefinito di tribù e di uomini, tenuti insieme solo dal bisogno o dall’ambizione. Entrano nel giardino dell’impero come chi vuole prendere, ma alla fine ne sono presi. I Goti in Italia erano rimasti Goti, i Franchi un giorno scenderanno, ma restando sempre Franchi. I Longobardi no. Loro si trasformano, si adattano, si mimetizzano, si definiscono come popolo, e come comunità, tanto che al crollo del loro regno non sarà più possibile distinguerli se non per i nomi”.