Altino. Lo Stato acquisisce con 3 milioni alcuni terreni agricoli per scavare Foro, Teatri, viabilità e contesti residenziali della città romana. Ecco tutto il piano dei Cantieri della Cultura: in totale 200 milioni per 38 interventi, e 13 per le acquisizioni. Molti riguardano l’archeologia

L’ok al Piano Strategico “Grandi Progetti Beni Culturali” varato dal ministro della Cultura, Dario Franceschini, è arrivato solo nel tardo pomeriggio di mercoledì 9 febbraio 2022. Ma la notizia è rimbalzata subito ai margini della laguna nord, nella “Venezia prima di Venezia”. A pochi giorni dall’annuncio dell’avvio del progetto per la creazione del parco archeologico di Altino, il primo in Veneto, ecco una nuova buona notizia per Altino, e Marianna Bressan direttrice del museo nazionale e area archeologica: nelle tre nuove acquisizioni al patrimonio dello Stato previste dai “Cantieri della Cultura” c’è anche Altino. Dei quasi 13 milioni di euro stanziati, 7,5 vanno all’acquisizione di Villa Massenzia, estesa proprietà tra Cecilia Metella e Circolo Massenzio lungo la via Appia Pignatelli a Roma (una volta acquisita allo Stato diverrà la base per i servizi aggiuntivi a favore dell’intero parco archeologico dell’Appia Antica); 2,3 all’acquisizione della storica Villa Buonaccorsi a Potenza Picena, aggiudicata da un fondo immobiliare privato (sarà indispensabile alle successive operazioni di valorizzazione sotto il profilo ambientale, storico, culturale ed economico per una nuova fruizione pubblica della splendida villa settecentesca); e infine con 3 milioni di euro la terza acquisizione avviene in provincia di Venezia e riguarda alcuni terreni agricoli -privi di fabbricati- che, secondo i rilevamenti scientifici, corrispondono al contesto di giacenza della massima estensione della città romana di Altino (corrispondente a Foro, Teatri, viabilità e contesti residenziali) la cui acquisizione permetterebbe di rendere unitaria e organica l’area archeologica e il percorso di visita comprendente il Museo Nazionale, AltinoLab e le aree archeologiche di Altino. “Un altro importante segnale di attenzione da parte del ministero della Cultura, che ormai con tutta evidenza considera Altino un cantiere culturale sul quale investire”. Commenta la direttrice Marianna Bressan. “Questo stanziamento ci permetterà finalmente di indagare con scavi archeologici il cuore monumentale della città antica e di ampliare il circuito di visita, sempre più verso la realizzazione del parco archeologico altinate”.
Cantieri della Cultura. È di 200 milioni di euro l’ammontare degli investimenti per i 38 nuovi progetti e le 3 nuove acquisizioni al patrimonio dello Stato contenuti nel Piano Strategico “Grandi Progetti Beni Culturali” varato dal Ministro della Cultura, Dario Franceschini, che ha ricevuto oggi il parere favorevole della Conferenza Unificata Stato-Regioni dopo il passaggio in Consiglio Superiore dei beni Culturali. “Trentotto interventi strategici, diffusi in tutta Italia, e tre nuove acquisizioni che confermano la centralità della cultura nell’azione di politica economica del governo”, commenta il ministro della Cultura Dario Franceschini, che sottolinea come “il recupero e la valorizzazione del patrimonio culturale è uno degli assi fondamentali su cui si fonda la crescita economica e sociale del Paese”. Gli interventi approvati si incardinano nella strategia portata avanti dal ministero della Cultura negli ultimi anni per favorire il rilancio della competitività territoriale del Paese e la crescita economica e sociale ponendo al centro i beni e i siti di eccezionale interesse culturale e di rilevanza nazionale che necessitano di interventi organici di tutela e riqualificazione, di valorizzazione e promozione culturale, anche nell’ottica dell’incremento dell’offerta turistico culturale. I 199.076.000 euro sono destinati a finanziare 38 interventi di recupero e valorizzazione per 186.285.510 euro in 16 regioni italiane e 3 nuove acquisizioni al Patrimonio dello Stato di beni immobili per un valore di 12.790.490 euro.

Interventi. Dei 38 finanziati, alcuni riguardano aree o musei archeologici. Villa Diana / isola Gallinara (SV): 3 milioni di euro. Restauro conservativo, consolidamento statico, risanamento igienico, riqualificazione funzionale e opere di allestimento espositivo e valorizzazione per destinare l’immobile a “Centro di documentazione per la ricerca, tutela e valorizzazione del patrimonio archeologico dell’isola e dei fondali marini”, che costituirà una base logistica per campagne di indagini archeologiche, e sarà sede del parco archeologico-naturalistico subacqueo di Albenga e dell’isola di Gallinara
Colosseo (Roma): 4,5 milioni di euro. In continuità con la ricostruzione in legno dell’arena, l’intervento prevede il restauro delle due porte di accesso: Porta Trumphalis, da cui entravano in scena i gladiatori e gli animali, e Porta Libitinensis, da cui venivano portati via i corpi senza vita dei combattenti. Sarà inoltre sistemato il podio dell’arena per la collocazione della grande iscrizione di Teodosio II e Valentiniano III, promotori dei restauri durante i due regni congiunti
Archeologia green del Pan di Milano: 3,5 milioni di euro. Il progetto PAN Parco Anphitheatrum Naturae mira a completare lo scavo archeologico e a recuperare un grande fabbricato da destinare a laboratorio di restauro e a luogo espositivo, dove mostrare le opere scoperte in situ, compreso un importante corredo in ceramica di età celtica del IV – III sec. a.C.
Anfiteatro romano di Volterra: ulteriori 3 milioni di euro. Dopo la grande scoperta del 2015, è ora previsto il completamento dello scavo archeologico dell’Anfiteatro e la realizzazione di un ambizioso progetto di restauro e valorizzazione del monumento per coinvolgere il territorio dando vita a un’area archeologica diffusa migliorando l’attrattività turistica.
Sito archeologico di Iulium Carnicum (Zuglio – UD): 1,25 milioni di euro. Oggetto dell’intervento è il completamento dello scavo archeologico, il rinnovamento della copertura e la realizzazione di un punto panoramico che permetta una migliore e completa comprensione dell’area archeologica valorizzando tutto il percorso di visita del Foro.
Sito nuraghe e villaggio Costa nella foresta di Burgos (SS): 1 milione di euro. I lavori di tutela e conservazione riguarderanno pulizia, documentazione preliminare e prosieguo degli scavi e dei restauri nel nuraghe e nel villaggio, attività indispensabili nell’ottica anche della successiva valorizzazione del sito attraverso la realizzazione di un percorso archeologico e naturalistico a cura del Comune di Sassari.
Circuito dei nuraghi (Quartu Sant’Elena, CA; Pompu, OR; Ussaramanna, SU): 890mila euro. Intervento di consolidamento e restauro delle parti già messe in luce dei tre impianti nuragici e creazione di un circuito per la fruizione pubblica delle aree archeologiche per costituire una nuova offerta turistica, lenta e sostenibile, con ricadute positive su un territorio interno attualmente soggetto a grave spopolamento.
Museo Egizio di Torino: 5 milioni di euro. In occasione del bicentenario della nascita del museo, sono previsti la copertura della corte interna dell’edificio con una cupola in vetro e acciaio e l’allestimento del Giardino Egizio, con specie vegetali tipiche dell’ambiente nilotico. La copertura consentirà di trasferire gli spazi di accoglienza e servizi al pubblico, restituendo alla città un’altra piazza.
Taranto. Al via le visite guidate al laboratorio di restauro della soprintendenza nazionale del Patrimonio subacqueo a tu per tu con i reperti recuperati dal relitto alto-arcaico del Canale di Otranto, a 780 metri di profondità


La sede della soprintendenza nazionale per il Patrimonio culturale subacqueo a Taranto (foto mic)
L’annuncio era stato fatto a metà dicembre dalla soprintendenza nazionale per il Patrimonio culturale subacqueo, in occasione dell’evento “20-20-1 Simposio Internazionale di Archeologia Subacquea” promosso dal 16 al 18 dicembre 2021 a Taranto, al Circolo Ufficiali della Marina Militare, per celebrare tre importanti avvenimenti: il ventennale della Convenzione UNESCO 2001 per la protezione del patrimonio culturale sommerso; il ventennale del progetto “Restaurare sott’acqua” -“Restoring Underwater” e il primo anno dall’ istituzione della soprintendenza nazionale per il Patrimonio culturale subacqueo in seno al ministero della Cultura. Proprio sabato 18 dicembre, il Simposio internazionale si era concluso con l’inaugurazione, al Laboratorio di restauro della Soprintendenza nazionale in via Luigi Viola, l’esposizione intitolata “Restauri in mostra: i materiali del relitto alto-arcaico del Canale di Otranto”, frutto di un accordo siglato tra TAP (Trans Adriatic Pipeline) e la soprintendenza nazionale per il Patrimonio culturale subacqueo e che prevede una donazione effettuata da TAP per il restauro dei 22 reperti ceramici pertinenti al carico del relitto alto-arcaico recuperato nel Canale di Otranto alla profondità di 780 metri. A termine del restauro sarà realizzata una mostra dedicata. E ora la conferma. Tutti i giovedì, a partire da giovedì 10 febbraio 2022, su prenotazione “Visite guidate al Laboratorio di restauro”. Il laboratorio di restauro della soprintendenza nazionale per il Patrimonio culturale subacqueo, in via L. Viola 12 a Taranto, apre al pubblico. Si potrà così assistere al restauro delle ceramiche del relitto alto-arcaico del canale di Otranto. Prenotazione obbligatoria: tel. 0994551561, cell. +39 3927510743, mail maddalena.biasi@beniculturali.it.

Sono passati tre anni, era il 2018, dalla scoperta sul fondo del mare del Canale d’Otranto, a 780 metri di profondità, di un relitto antico. Oggi, lo studio di parte del carico recuperato con speciali tecnologie industriali, ventidue reperti provenienti dalla regione di Corinto datati intorno alla prima metà del VII secolo a.C. che costituiscono un ritrovamento unico, getta nuova luce sugli albori della Magna Grecia: un risultato così importante da portare il ministro per la Cultura, Dario Franceschini, a garantire per l’archeologia subacquea un impegno consistente e ad annunciare la volontà di recuperare l’intero carico del relitto di Otranto: “L’archeologia subacquea – ha dichiarato – è uno dei settori di ricerca più importanti del nostro Paese su cui è necessario tornare a investire. Siamo un Paese circondato dal mare e abbiamo un ricco patrimonio culturale sommerso che va ancora studiato, salvaguardato e valorizzato. Le recenti indagini del canale di Otranto confermano che si tratta di un patrimonio ricchissimo in grado di restituirci non solo i tesori nascosti nei nostri mari, ma anche la nostra storia” (vedi Relitto del Canale di Otranto a 780 metri di profondità: i primi reperti studiati confermano che è un ritrovamento unico, che racconta le fasi più antiche del commercio mediterraneo agli albori della Magna Grecia. Franceschini: più fondi all’archeologia subacquea e si recuperi tutto il carico naufragato | archeologiavocidalpassato).

Il Relitto alto-arcaico del Canale di Otranto. Nel 2018, durante le regolari attività di indagine sottomarina lungo il corridoio offshore di 105 chilometri tra Albania e Italia, il team di TAP ha individuato elementi ceramici di elevato valore archeologico dispersi sui fondali a una profondità di circa 780 metri. In coordinamento con la locale soprintendenza per l’Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, e successivamente con la soprintendenza nazionale per il Patrimonio Culturale Subacqueo, TAP ha quindi effettuato una dettagliata indagine strumentale, dalla quale è emerso che le ceramiche presenti sul fondale – circa 241 oggetti in totale – erano per lo più anfore corinzie di tipo A, oltre a hydriai, pithoi e vasellame di piccole dimensioni (coppe, brocche trilobate, ecc.), risalenti ai primi decenni del VII sec. a.C.

A valle della valutazione del contesto archeologico, per evitare qualsiasi rischio di interferenza diretta del gasdotto con i reperti, una nave attrezzata con un sistema di posizionamento dinamico ha consentito di effettuare interventi di recupero delle ceramiche. La nave disponeva di un ROV (Remotely Operated Vehicle) a sua volta dotato dei più moderni sistemi di rilevamento acustico e sismico. Per garantire il prelievo in sicurezza dei beni archeologici è stato impiegato un sistema ideato ad hoc, consistente in una sorta di ventosa in neoprene e silicone installata al termine di una pompa aspirante e funzionale a sollevare i reperti in sicurezza, evitando il contatto con le parti meccaniche del ROV. In particolare, 3 anfore, 4 hydriai, 4 brocche trilobate e 1 pithos contenente un set di 22 coppe, opportunamente disposte all’interno di uno dei pithoi, sono stati recuperati e sottoposti a un processo di desalinizzazione propedeutico al restauro e alla successiva conservazione. All’interno del sedimento presente in una delle anfore, sono stati rinvenuti, inoltre, alcuni noccioli di olivo la cui datazione al radiocarbonio (C14), presso il Centro di Datazione e Diagnostica dell’università del Salento (CEDAD), ha permesso di confermare le valutazioni sull’orizzonte cronologico desunte preliminarmente dall’analisi dei reperti ceramici.
Parco archeologico di Altino: presentato il progetto finanziato dal Mic che fonde museo e area archeologica in un unico percorso più fruibile al pubblico per raccontare la storia di un luogo e del suo paesaggio speciale. Due anni per realizzarlo

All’inizio fu il museo di Altino. Poi vennero il museo nazionale e l’area archeologica di Altino. Ora (o meglio, a breve) è il parco archeologico di Altino: perché la “Venezia prima di Venezia” ha tutte le carte in regola per diventare il primo parco archeologico del Veneto, dal patrimonio culturale e paesaggistico a una grande visione per il futuro del polo museale altinate, dal progetto al finanziamento del Mic (sostanzioso, ma sicuramente fondamentale per iniziare), dalla posizione strategica ai margini della laguna veneta al coinvolgimento degli enti e le associazioni territoriali. Manca solo la firma del ministro Dario Franceschini. Ma nessuno si nasconde che, dopo anni di lungaggini (solo per arrivare al nuovo museo ci sono voluti vent’anni! Vedi Il nuovo museo Archeologico di Altino (Venezia) prende forma: venerdì 12 si inaugura il nuovo edificio, e per un giorno si visitano gli spazi che apriranno nel giugno 2015 | archeologiavocidalpassato), questa volta sembra fatta.

I partecipanti alla presentazione del progetto del parco archeologico di Altino: da sinistra, Marco Sartori, Elisabetta Baldan, Simone Venturini, Claudio Grosso, Daniele Ferrara, Marianna Bressan, e Paola Bonifacio (foto graziano tavan)
Ne è convinta Marianna Bressan, vulcanica direttrice del museo nazionale e area archeologica di Altino, che martedì 1° febbraio 2022 ha presentato la visione (perché si è pensato proprio in grande) del parco archeologico, affiancata da altrettanto entusiasti e convinti “compagni di viaggio”: Daniele Ferrara, direttore regionale Musei del Veneto; Emanuela Carpani, soprintendente Archeologia Belle arti e Paesaggio per il Comune di Venezia e laguna; Claudio Grosso, sindaco di Quarto D’Altino; Simone Venturini, assessore al Turismo del Comune di Venezia; Paola Bonifacio, manager dei Musei Civici di Treviso; Elisabetta Baldan, architetto, e Marco Sartori, ingegnere, dello Studio di architettura ddba di Treviso.
Due anni per realizzare il progetto: il termine ultimo è giugno 2024. Cosa vedremo alla fine dei lavori? Si camminerà tra i resti della città sepolta, scoprendone i reperti, ma anche le antiche costruzioni. Ci saranno i mosaici conservati, ma anche la casa in cui probabilmente erano collocati. E mentre si passeggerà accanto al basolato della strada originaria si scopriranno i dintorni, ricostruiti con pannelli iconografici e immagini. Sarà un museo all’aperto, che unirà dunque la parte attualmente contenuta nel museo Archeologico con quella degli scavi, in un unico percorso più fruibile al pubblico che racconterà la storia di un luogo e del suo paesaggio in tutti i suoi aspetti. “Il progetto mira a far comprendere ai visitatori che le aree museali e quelle archeologiche si trovano proprio qui per la presenza di un’antica città sepolta, seppur non visibile”, interviene Marianna Bressan: “racconteremo un “unico mondo” che conterrà storia, arte, paesaggio e territorio e che sarà dunque in grado di mostrare a 360 gradi la storia di questi luoghi. Nel progetto inoltre verrà studiato anche il miglioramento dell’accessibilità per tutti”. Finanziato dal ministero della Cultura con 1milione e 700mila euro, il progetto del parco archeologico potrà contare su 1,5 milioni di euro. Più di due terzi (circa 1,2 milioni di euro) andranno in lavori veri e propri a partire dal rifacimento dei percorsi, degli impianti, dei magazzini, degli allestimenti, passando per l’adeguamento degli edifici e gli ulteriori scavi archeologici. Il restante (300mila euro) servirà per i servizi a partire dagli studi di indirizzo per il modello di sviluppo culturale e turistico, passando per il restauro, gli allestimenti, le traduzioni, la grafica e la comunicazione cui si aggiungeranno i progetti (dei lavori, dell’accessibilità).

Cosa cambierà nel rapporto con il territorio e col sistema paesaggio? Il parco archeologico, rispetto a museo e area archeologica concepiti singolarmente, permetterà di mettere a sistema archeologia (dunque valore culturale) e paesaggio nella proposta di valorizzazione del territorio. Il parco archeologico sarà anche un importante fattore di rilancio per il territorio in chiave turistica: raggiungibile via acqua da Venezia e via terra attraverso un circuito di piste pedonali e ciclabili immerse nella natura, rappresenterà la meta ideale per un turismo lento e sostenibile.

Il sistema di accesso al parco archeologico di Altino nel progetto dello Studio di Architettura ddba
“La creazione di nuovi flussi turistico-culturali nella Laguna Veneta è una priorità per le pubbliche amministrazioni, poiché ciò contribuisce alla tutela del patrimonio archeologico, storico e artistico presente nei centri urbani e disseminato nel contesto”, spiega Daniele Ferrara. “Occorre lavorare in condivisione tra pubblico e privato per orientare i residenti e i visitatori, italiani e stranieri, verso proposte culturali permanenti coincidenti appunto con percorsi di conoscenza e godimento dei tanti aspetti che l’ambito lagunare offre. È necessario far riscoprire una dimensione di fruizione lenta che avvicini con interesse e piacere a quel ‘museo diffuso’ di cui l’Italia è ricca e di cui la Laguna Veneta è uno degli esempi più alti e significativi”. Il progetto del parco nazionale di Altino nasce inoltre anche da una proficua e stretta collaborazione tra Direzione Regionale Musei e Soprintendenza, a partire dal vincolo archeologico posto su tutta l’area urbana nel 2019. “Abbiamo condotto diverse indagini tra 2020 e 2021”, ricorda Emanuela Carpani, “finanziate dal Ministero e dirette dal nostro funzionario archeologo Massimo Dadà. Queste ricerche ci hanno fatto meglio comprendere la conservazione delle strutture antiche. I risultati fino ad ora raggiunti verranno resi noti a breve in collaborazione con l’Istituto Centrale per l’Archeologia”.
La pista ciclabile. Tra gli elementi maggiormente caratterizzanti della zona nell’ottica della fruibilità di un turismo lento e sostenibile vi è indubbiamente quello delle piste ciclabili nel Parco del fiume Sile, che si estende per 11 territori comunali distribuiti nelle province di Padova, Treviso e Venezia. “È nel nostro DNA puntare, potenziare e rinforzare il cicloturismo nel territorio comunale offrendo al turista la possibilità di apprezzarne il paesaggio ambientale e gli aspetti storico archeologici”, interviene Claudio Grosso. “In particolare questa possibilità verrà data attraverso il completamento di un circuito che comprende il tratto di Greenway che dal capoluogo arriva al museo di Altino attraverso la nuova ciclabile sul Siloncello e ritorna al centro di Quarto d’Altino attraverso il percorso della memoria e la via Claudia Augusta. Si tratta di un’idea di ampio respiro che è finalizzata anche a supportare i nuovi interventi previsti per il parco archeologico”.
“Oggi è un momento molto importante perché tracciamo il percorso di evoluzione di questo straordinario museo”, dichiara Venturini, assessore al Turismo del Comune di Venezia. “Un unico itinerario unirà la componente paesaggistica con la ‘città sepolta’, che in parte vedrà la luce grazie ai nuovi scavi, e con la componente museale, dove già oggi sono esposti preziosi reperti che permettono di ricostruire la storia del porto che si sviluppò prima di Venezia. Si tratta di un progetto importante che completa l’offerta culturale del nostro territorio permettendo di conoscere una storia ancora da riscoprire pienamente. Conoscere le nostre radici significa conoscere anche chi siamo e chi saremo. Questo parco archeologico costituirà una novità assoluta per il Veneziano in grado di affascinare, nei prossimi anni, famiglie, studiosi e scolaresche. Un progetto ambizioso che arricchisce ancora di più l’offerta culturale del nostro territorio, coniugandosi con la bellezza del paesaggio”.
Vediamo meglio cosa prevede il progetto realizzato dallo Studio di Architettura ddba di Treviso, e illustrato dall’architetto Elisabetta Baldan e dall’ingegnere Marco Sartori. “Il primo cambiamento fondamentale prevede non più solo l’esistenza del Museo e dell’Area archeologica intesi come elementi separati, ma la nascita di un parco archeologico perimetrato”.


Innanzitutto ci sarà una continuità tra la prima area archeologica e AltinoLab (la vecchia sede del museo Archeologico di Altino) al quale si accederà direttamente aprendo un passaggio sul giardino. Verrà migliorato anche il collegamento tra AltinoLab e la seconda area archeologica (della porta-approdo). Le due zone sono adiacenti, ma oggi separate da siepi e recinzioni, tanto che, per recarsi dall’uno all’altra, è necessario portarsi sulla strada provinciale, in quel punto peraltro stretta e priva di marciapiede. In questa seconda zona non sono presenti resti archeologici a vista e dunque verrà proposta una passeggiata prevalentemente naturalistico-ambientale, durante la quale si porteranno i visitatori a “percepire” la relazione con la città sepolta, realmente presente anche se non visibile proprio sotto i loro piedi.

Parte integrante del percorso sarà il passaggio accanto ad una parte del campo, ora in uso agrario ad un’azienda agricola che lo coltiva con grani antichi, nel rispetto dell’agricoltura naturale e dei resti archeologici. Allo stesso tempo, AltinoLab svilupperà in 2 modi diversi rispetto al passato la sua duplice natura di spazio aperto al pubblico e di lavoro e studio. La “torretta”, parte integrante del corpo edilizio di nuova costruzione del Museo sarà il luogo fisico sul quale puntare per cominciare il racconto topografico della città sepolta: il terrazzo sopraelevato permetterà infatti di cogliere il paesaggio nel modo migliore possibile.

Sotto la superficie della campagna altinate si trovano infatti i resti di una città millenaria, prima veneta e poi romana, emporio e crocevia di culture dal VIII sec. a.C. al VII sec. d.C. La città sepolta è da anni materia di ricerca archeologica. Il progetto prevede anche uno scavo estensivo nella più promettente tra le due aree archeologiche visitabili, l’area del quartiere residenziale augusteo. L’obiettivo è che gli ulteriori scavi intercettino nuove strutture da lasciare a vista per estendere la fruizione attuale degli spazi. Quelle attuali, inoltre, verranno rivoluzionate con un ripensamento degli apparati didattici.

L’accessibilità Il Museo è già privo di barriere architettoniche e ad AltinoLab sono presenti pannelli tradotti in alfabeto Braille per le persone con disabilità visive. Il nuovo progetto renderà strutture e contenuti egualmente accessibili a tutte e tutti, con un’attenzione particolare a ogni possibile disabilità o barriera di comprensione, anche linguistica (i testi per il momento sono disponibili soltanto in italiano). Il 3D e le comunicazioni ad alta tecnologia Le applicazioni per la comunicazione saranno tradizionali, come la pannellistica informativa e le didascalie statiche, ma verranno progettate anche svolte innovative, che esploreranno le possibilità che le diverse tecnologie applicate ai beni culturali offrono oggi (come ad esempio la realtà immersiva in 3D).
Velia. Sull’acropoli scoperti i resti del più antico tempio arcaico dedicato ad Atena con ceramiche dipinte, armi e armature: reliquie della battaglia navale di Alalia del 541-535 a.C. tra i greci di Focea contro Cartaginesi ed Etruschi. Osanna: “Nuova luce sulla storia della colonia greca dei Focei”

L’obiettivo che si era prefissato nel 2021 Gabriel Zuchtriegel, allora direttore del parco archeologico di Paestum e Velia, era quello di comprendere l’organizzazione iniziale dell’acropoli di Velia e risolvere problemi di cronologia delle principali strutture sacre della città, attraverso l’esecuzione di sondaggi, localizzati in diversi punti dell’acropoli (vedi Parco archeologico di Paestum: donazione con l’Artbonus destinata per la prima volta a Velia. E a marzo al via indagini archeologiche sull’acropoli | archeologiavocidalpassato).

Il grande pannello con la situazione del Mediterraneo all’inizio del VI sec. a.C. nellamostra “Alalìa, la battaglia che ha cambiato la storia” a Vetulonia (foto Graziano Tavan)
I risultati degli scavi archeologici appena conclusi sull’acropoli di Elea-Velia, in corso dallo scorso mese di luglio, hanno superato ogni più rosea aspettativa: ritrovati non solo i resti del più antico tempio arcaico dedicato ad Atena sull’acropoli di Elea-Velia che consentono di far luce sulle più antiche e lacunose fasi di vita della città, fondata intorno al 540 a.C. dai coloni Focei provenienti dall’Asia Minore, ma anche al suo interno ceramiche dipinte, elmi, armi e armature della battaglia di Alalia, lo scontro navale che vide affrontarsi i profughi greci di Focea e una coalizione di Cartaginesi ed Etruschi, tra il 541 e il 535 a.C. circa, al largo del mar Tirreno, tra la Corsica e la Sardegna. Una notizia accolta con entusiasmo dal ministro della Cultura, Dario Franceschini: “È importante continuare a investire con convinzione nella ricerca archeologica che non smette di restituire importanti tasselli della storia del Mediterraneo”. E proprio in considerazione di questi importanti risultati, saranno programmate dal Parco nuove indagini per ricostruire la storia della colonia greca.


Una fase dello scavo dell’elmo tipo Negau all’interno del tempio arcaico di Stena sull’acropoli di Elea-Velia (foto pa-paeve)
Sulla base di precedenti ricerche archeologiche avviate negli anni ’20 del secolo scorso, e proseguite con discontinuità fino agli anni ’90, si ipotizzava, anche se con forti dubbi, l’esistenza di una struttura sacra arcaica antecedente al tempio maggiore dell’Acropoli di Velia. In particolare si pensava a una sua collocazione sul terrazzo più elevato della punta occidentale dell’Acropoli. I recenti scavi non solo hanno confermato l’esistenza di un edificio sacro ma ne hanno anche precisato la collocazione, la planimetria, la cronologia e il rapporto con le strutture più recenti. Gli archeologi del Parco hanno, infatti, riportato alla luce resti di muri realizzati con mattoni crudi, intonacati e fondati su zoccolature in blocchi accostati in poligonale, una tecnica utilizzata anche per le abitazioni di età arcaica rinvenute lungo le pendici dell’acropoli. Tali testimonianze disegnano un edificio rettangolare lungo almeno 18 metri ed ampio 7. La porzione interna della struttura è pavimentata con un piano in terra battuta e tegole, sul quale, in posizione di crollo, sono stati rinvenuti elementi dell’alzato, ceramiche dipinte, vasi con iscrizioni “IRE”, ovvero “sacro”, e numerosi frammenti metallici pertinenti ad armi e armature. Tra questi, due elmi, uno calcidese e un altro di tipo Negau, in ottimo stato di conservazione.

“I rinvenimenti archeologici presso l’acropoli di Elea-Velia lasciano ipotizzare una destinazione sacra della struttura”, dichiara il direttore generale dei Musei e direttore avocante del parco archeologico di Paestum e Velia, Massimo Osanna. Con tutta probabilità in questo ambiente vennero conservate le reliquie offerte alla dea Atena dopo la battaglia di Alalia”, sulla quale nel 2019 era stata allestita un’interessante mostra internazionale al museo civico Archeologico “Isidoro Falchi” di Vetulonia (vedi Dentro il teatro dello scontro navale. A Vetulonia nella mostra-evento “Alalia, la battaglia che ha cambiato la storia” il visitatore rivive la battaglia tra Greci, Etruschi e Cartaginesi nel mare Sardonio, con reperti preziosi, molti inediti | archeologiavocidalpassato).


L’elmo tipo Negau, proveniente dallo scavo sull’acropoli di Elea-Velia, in laboratorio (foto pa-paeve)
Liberati dalla terra solo qualche giorno fa, i due elmi devono ancora essere ripuliti in laboratorio e studiati. “Al loro interno – continua Osanna – potrebbero esserci iscrizioni, cosa abbastanza frequente nelle armature antiche, e queste potrebbero aiutare a ricostruire con precisione la loro storia, chissà forse anche l’identità dei guerrieri che li hanno indossati. Certo si tratta di prime considerazioni che già così chiariscono molti particolari inediti di quella storia eleatica accaduta più di 2500 anni fa”.

Gli scavi hanno chiarito anche la cronologia del principale tempio della città dedicato alla dea Atena. La costruzione del tempio maggiore, almeno di una sua prima fase, deve collocarsi cronologicamente dopo la struttura sacra riportata alla luce in questi ultimi mesi. In seguito, in età ellenistica, l’intero complesso riceverà una completa risistemazione con la realizzazione di una stoà monumentale che cingerà il tempio maggiore e il piano di uso si eleverà a coprire tutte le fasi precedenti”.


Disegno del saggio di scavo sull’acropoli di Elea-Velia (foto pa-paeve)
“La struttura del tempio più antico risale al 540-530 a.C., ovvero proprio gli anni subito successivi alla battaglia di Alalia”, fa notare Osanna, “mentre il tempio più recente, che si credeva di età ellenistica, risale in prima battuta al 480-450 a. C., per poi subire una ristrutturazione nel IV sec. a C. È possibile quindi che i Focei in fuga da Alalia l’abbiano innalzato subito dopo il loro arrivo, com’era loro abitudine, dopo aver acquistato dagli abitanti del posto la terra necessaria per stabilirsi e riprendere i floridi commerci per i quali erano famosi. E alle reliquie da offrire alla loro dea per propiziarne la benevolenza, aggiunsero le armi strappate ai nemici in quell’epico scontro in mare che di fatto aveva cambiato gli equilibri di forza nel Mediterraneo”.

“Il lavoro ha condotto, grazie ad un’ampia squadra di professionisti e collaboratori, a dare risposta a questioni aperte da oltre settant’anni, su cui si sono espressi nel corso del tempo numerosi eminenti studiosi”, dichiara l’archeologo del Parco, Francesco Uliano Scelza. “I risultati hanno chiarito topografia, architettura, destinazione d’uso e cronologia delle varie fasi dell’acropoli, dall’età del Bronzo al periodo ellenistico. Adesso si lavora ad ulteriori progetti che la presente ricerca ha ispirato, di fruizione, studio e valorizzazione. Tra questi, la rimodulazione dell’Acropoli, da rendere visibile e visitabile in ogni sua parte e la rielaborazione dei luoghi espositivi della Cappella Palatinae e della chiesa di Santa Maria, in modo da rendere ancora più attraente il già suggestivo paesaggio di Velia”.
“100 opere tornano a casa”. Grazie al progetto del Mic il Gladiatore Giustiniani, conservato al parco archeologico di Ostia antica, è tornato nella sua “casa”: Villa Giustiniani a Bassano Romano (Vt)


L’arrivo a Villa Giustiniani di Bassano Romano (Vt) del “Gladiatore Giustiniani” dal parco archeologico di Ostia antica (foto mic)
Il “Gladiatore Giustiniani” è tornato a casa a Villa Giustiniani di Bassano Romano, in provincia di Viterbo, e dal 22 gennaio 2022 è in esposizione nella Sala di Amore e Psiche nel piano nobile di Villa Giustiniani. L’iniziativa rientra nel progetto “100 opere tornano a casa” presentato dal ministro della Cultura, Dario Franceschini, a dicembre scorso a Palazzo Barberini, per dare visibilità e valorizzare il patrimonio storico artistico e archeologico italiano conservato nei depositi dei luoghi d’arte statali e per promuovere i musei più piccoli, periferici e meno frequentati. Così Il “Gladiatore Giustiniani”, conservato nei depositi del parco archeologico di Ostia antica, è tornato nella sua “casa” di Bassano Romano a Villa Giustiniani, il luogo dal quale proveniva e dove, in passato, decorava la grande vasca del parco. Alla presentazione dell’opera erano presenti: Emanuele Maggi, sindaco di Bassano Romano; Danilo Ottaviani, vicecomandante del Nucleo Carabinieri tutela patrimonio culturale; Federica Zalabra, direttrice di Villa Giustiniani; Alessandro D’Alessio, direttore del parco archeologico di Ostia Antica.

L’opera è un pastiche tardo rinascimentale, composta da frammenti antichi e moderni riuniti e fatti integrare dal marchese Giustiniani secondo il gusto del tempo: una testa di leone e un antico torso romano. In origine, la parte romana, di cui resta il torso, raffigurava il dio Mitra che uccide il toro. Mitra teneva fermo l’animale poggiandogli sul dorso un ginocchio, con la mano sinistra tirava verso di sé la testa e con la destra era pronto a colpire con un coltello.

Con l’aspetto di un gladiatore che uccide un leone, invece, si presentava nel Seicento. In un gladiatore che uccide un leone, infatti, si era voluto trasformare nel Seicento l’antico torso di Mitra conservato nella collezione del marchese Vincenzo Giustiniani, poi riutilizzato come ornamento per la grande vasca nel parco della villa a Bassano Romano.

Nel corso del Novecento, la statua fu smembrata e i pezzi venduti separatamente sul mercato antiquario. Il torso antico è stato poi recuperato dai Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale al Getty Museum di Malibù e restituito all’Italia nel 1999, mentre la testa del leone è stata ritrovata nella Villa Capo di Bove, oggi parte del parco archeologico dell’Appia antica (vedi Alla mostra “Archaeology and Me” a Palazzo Massimo a Roma per la prima volta insieme due dei tre pezzi trafugati del “Gladiatore che uccide un leone”, gruppo scultoreo della seicentesca Collezione Giustiniani | archeologiavocidalpassato). Dopo il recupero, entrambe le sculture sono state conservate al parco archeologico di Ostia: qui si trova anche un’altra scultura, raffigurante “Mitra che uccide il toro”, attribuita allo scultore neoattico Kriton, di cui il torso Giustiniani sarebbe una replica.
Ministero della Cultura: nominati nuovi direttori di musei autonomi. Tiziana D’Angelo al parco archeologico di Paestum, Andrea Viliani al museo delle Civiltà di Roma, Enrico Rinaldi al parco archeologico di Sepino, Vincenzo Bellelli al parco archeologico di Cerveteri e Tarquinia

Tiziana D’Angelo, 38 anni, milanese, è la nuova direttrice del parco archeologico di Paestum e Velia. Archeologa di formazione internazionale (Phd Harvard), esperta di arte e archeologia della Magna Grecia, insegna all’università di Nottingham (GB), ha conseguito il dottorato di ricerca in archeologia classica all’università di Harvard nel 2013. “Dopo diciassette anni di studio ed esperienze professionali come archeologa all’estero, l’opportunità di lavorare con i Beni Culturali in Italia e di farlo in un sito come Paestum, a cui sono fortemente legata a livello scientifico, è un’occasione straordinaria”, dichiara la nuova direttrice. “Sono arrivata a Paestum da dottoranda, per studiare le splendide lastre funerarie dipinte esposte nel Museo o conservate nei depositi. Gli anni successivi ho avuto la fortuna di collaborare con il Parco di Paestum e Velia a diversi progetti, sotto la direzione di Gabriel Zuchtriegel. Sotto la sua guida il Parco è cresciuto moltissimo e ho intenzione di proseguire questo percorso virtuoso, restituendo a Paestum e Velia, e alla realtà dei Beni Culturali in generale, almeno una parte di quello che mi hanno dato in tutti questi anni”. Il Parco Archeologico di Paestum e Velia, iscritto dal 1998 nella lista del patrimonio mondiale UNESCO, ha competenza territoriale sul museo e sull’area archeologica di Paestum, sul Museo narrante di Hera Argiva alla foce del Sele, sull’area dell’ex stabilimento della Cirio, sulle mura di cinta e su altre aree archeologiche di competenza. Il Parco ha il compito di arricchire, conservare e valorizzare le collezioni e i monumenti archeologici e storico-artistici al fine di contribuire alla salvaguardia, alla ricerca e alla fruizione sostenibile del patrimonio culturale.

Tiziana D’Angelo riceve prestigiosi premi e borse di studio che le consentono di trascorrere un anno di ricerca a Roma, come Mary Isabel Sibley Fellow in Greek Studies della Phi Beta Kappa Society di Washington (2011-12), e un anno a Los Angeles come Predoctoral Fellow al Getty Research Institute (2012-13). Appena conseguito il dottorato, è prima a Berlino, come borsista di ricerca dell’Archaeological Institute of America e del Deutsches Archäologisches Institut (2013), e poi a New York, dove lavora nel Dipartimento di Arte Greca e Romana del Metropolitan Museum of Art in qualità di Jane and Morgan Whitney Postdoctoral Fellow (2013-14). Nel 2014 risulta vincitrice di una Lectureship in Classical Art and Archaeology a tempo determinato presso la University of Cambridge (2014-18) e durante questi anni è anche Fellow, Director of Studies in Classics e Tutor a St Edmund’s College, Cambridge. Da settembre 2018 è Assistant Professor in Ancient Greek and Roman Art presso la University of Nottingham, Department of Classics and Archaeology. La dottoressa D’Angelo ha partecipato a campagne di scavo in Italia e Turchia, ha collaborato a progetti di mostre allestite in musei italiani e stranieri e alla realizzazione di alcuni documentari.

Tiziana D’Angelo fa parte dei sei nuovi direttori di musei autonomi nominati al termine del concorso internazionale come annunciato dal ministro della Cultura Dario Franceschini. Con lei Ilaria Ester Bonacossa per il nuovo museo dell’Arte Digitale a Milano, Andrea Viliani al museo delle Civiltà di Roma, Enrico Rinaldi per il parco archeologico di Sepino, Vincenzo Bellelli per il parco archeologico di Cerveteri e Tarquinia, Axel Hemery alla Pinacoteca di Siena. La commissione, che ha valutato 156 candidati, era presieduta da Stefano Baia Curioni, professore associato di storia economica presso la Università Commerciale “Luigi Bocconi” di Milano e esperto di economia della cultura, e composta da Nadia Barrella, professoressa ordinaria di museologia presso l’università degli studi della Campania “Luigi Vanvitelli”; Valérie Huet, professoressa di storia antica presso l’Università della Bretagna Occidentale e Centro “Jean Bérard”; José María Luzón Nogué, Real Academia de Belòlas Artes de San Fernando, già direttore del Museo del Prado; Antonia Pasqua Recchia, già segretario generale del ministero della Cultura. “L’incrocio tra autonomia e qualità dei direttori ha permesso di compiere importanti passi avanti nella modernizzazione del sistema museale e nel rafforzamento della tutela e della produzione scientifica”, commenta Franceschini. “Ringrazio la commissione per l’accurato lavoro svolto in questi mesi che ha portato alla nomina da parte del direttore generale musei, Massimo Osanna, di sei nuovi direttori, cinque italiani e uno francese”.

Andrea Viliani, 48 anni, di Casale Monferrato, è il nuovo direttore del Museo delle civiltà di Roma. Storico dell’arte, è responsabile e curatore del Centro di Ricerca Castello di Rivoli. Ha precedentemente ricoperto l’incarico di direttore generale e artistico della Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee/MADRE di Napoli (2013-2019) presso cui ha curato e organizzato importanti mostre internazionali; dal 2009 al 2012 Viliani è stato direttore della fondazione Galleria Civica-Centro di ricerca sulla contemporaneità di Trento. Il museo delle Civiltà raccoglie le collezioni dei seguenti musei: museo preistorico etnografico “Luigi Pigorini”; museo delle arti e tradizioni popolari “Lamberto Loria”; museo dell’alto Medioevo “Alessandra Vaccaro”; museo d’arte orientale ‘Giuseppe Tucci’; museo italo africano ‘Ilaria Alpi’ (ex Museo Coloniale). La nascita del museo delle Civiltà si inserisce nella visione di grandi musei internazionali incentrati sull’uomo e le sue culture, per la valorizzazione di patrimoni e testimonianze delle diverse identità e memorie.

Enrico Rinaldi, 53 anni, è il nuovo direttore del parco archeologico di Sepino. Archeologo specializzato in restauro dei monumenti, ha diretto a lungo progetti di manutenzione programmata a Ostia e Pompei. Professore a contratto alla Scuola Superiore Meridionale dell’università di Napoli “Federico II”, lavora attualmente alla direzione generale Musei. Il parco archeologico di Sepino, istituito solo nel 2021, comprenderà l’omonima area archeologica, con i resti dell’antica città romana sorta nella valle del Tammaro, e il museo della città e del territorio, siti che complessivamente nel 2019 hanno visto oltre 27mila visitatori.

Vincenzo Bellelli, 53 anni, di Potenza, è il nuovo direttore del parco archeologico di Cerveteri e Tarquinia. Archeologo di fama internazionale, dirigente di ricerca al CNR in servizio all’Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale, è responsabile scientifico degli scavi archeologici nell’area urbana di Cerveteri. Il parco archeologico di Cerveteri e Tarquinia comprende la necropoli della Banditaccia, la più estesa dell’area mediterranea, iscritta nel 2004 dall’Unesco nella lista del patrimonio dell’umanità; il museo Archeologico nazionale di Tarquinia, che ha sede nell’antico Palazzo Vitelleschi; la necropoli di Monterozzi. Tali siti complessivamente hanno registrato oltre 153.000 visitatori nel 2019.
Cosa ci lascia il 2021? “100 opere tornano a casa”: nel progetto del Mic, due provengono dai depositi del museo nazionale Romano. Al museo Archeologico nazionale di Civitavecchia la polena in bronzo dalla darsena del porto di Traiano. Al museo delle Navi romane di Nemi la testata di baglio dalla nave di Caligola
Provengono entrambi dai depositi del museo nazionale Romano. La polena bronzea a testa femminile che decorava la prua di un’imbarcazione, rinvenuta a metà del XIX secolo nella darsena romana del porto di Traiano di Civitavecchia, è tornata finalmente visibile al pubblico al museo Archeologico nazionale di Civitavecchia. E la testata di trave bronzea, parte dei più pregiati arredi della stupefacente nave di Caligola, è ora possibile ammirarla al museo delle Navi Romane di Nemi. È questo uno dei lasciti del 2021, grazie al progetto del ministero della Cultura “100 opere tornano a casa”, voluto dal ministro Dario Franceschini per promuovere e valorizzare il patrimonio storico artistico e archeologico italiano conservato nei depositi dei luoghi d’arte statali. “Questo progetto – dichiara il ministro Franceschini – restituisce nuova vita a opere d’arte di fatto poco visibili, di artisti più o meno conosciuti, e promuove i musei più piccoli, periferici e meno frequentati. Nell’intero sistema museale dello Stato sono esposte circa 480mila opere, il resto – circa 4 milioni – è custodito nei depositi, da cui proviene la totalità dei dipinti e dei reperti coinvolti in questa iniziativa. Queste cento opere sono soltanto le prime di un progetto a lungo termine che mira a valorizzare l’immenso patrimonio culturale di proprietà dello Stato. Un obiettivo che sarà raggiunto anche attraverso un forte investimento nella digitalizzazione e nella definizione di nuove modalità di fruizione prevedendo nuove collaborazioni come la realizzazione di una serie di documentari insieme alla RAI, che ha anche il merito di rafforzare il legame tra il territorio e l’opera d’arte. Le opere verranno concesse in prestito decennale, continuamente rinnovabile, ai musei di destinazione”.
La valorizzazione del progetto “100 opere tornano a casa” prevede la collaborazione con la Rai che, attraverso Rai Doc, realizzerà un nuovo format, composto da un documentario breve e una serie di tredici episodi in presa diretta che saranno trasmessi dalle reti generaliste. Verranno raccontati la restituzione e il restauro delle opere d’arte partendo dai musei delle grandi città italiane, dai depositi dove l’opera è stata custodita e dai laboratori dove le sapienti mani dei restauratori l’hanno riportata a nuova vita. I direttori dei musei di provenienza e di quelli riceventi, i restauratori, gli storici dell’arte e gli esperti spiegheranno agli spettatori la storia dell’opera e le ragioni per cui è finita lontano dai luoghi che l’hanno vista nascere, offrendo anche spunti sulle attività dei professionisti dei beni culturali. Il format seguirà il viaggio delle opere d’arte che, una volta messe in sicurezza, saranno trasportate a bordo di pulmini speciali brandizzati con il logo “100 opere tornano a casa”, per raggiungere il museo che le accoglierà. Questo percorso, ripreso anche con i droni, diventa l’occasione per raccontare la diversità dei territori e dei luoghi d’Italia, per scoprire meglio le radici, la cornice storica, geografica, il paesaggio che ha ispirato gli artisti.

Polena in bronzo dalla darsena romana del porto di Traiano di Civitavecchia, ora al museo Archeologico nazionale di Civitavecchia (foto mic)
Polena di Civitavecchia. La polena in bronzo di Civitavecchia, opera pregevole e rara del II secolo d.C., fu rinvenuta a metà del XIX secolo nella darsena romana relativa al porto di Traiano di Civitavecchia e venne donata dall’allora ispettore onorario Giacomo D’Ardia Caracciolo al museo nazionale Romano. La polena di ridotte dimensioni raffigura un busto femminile con il velo che copre la nuca e scende sulla spalla sinistra, lasciando scoperto il panneggio sul petto. Sulla fronte sono disposte morbide ciocche ondulate. Potrebbe trattarsi di una divinità tutelare, forse la dea Cerere, e doveva decorare la prua di un’imbarcazione di modeste dimensioni, forse l’imbarcazione ausiliaria di una nave di tipo militare. Era fissata alla base minore di una scatola di forma trapezoidale nella quale è inserita la punta della prua.

La testata di baglio con protome leonina. Questa opera è stata ritrovata durante il tentativo di recupero delle navi condotto da Eliseo Borghi nel 1895, a seguito dell’autorizzazione della famiglia Orsini di Nemi, con il consenso del ministero della Pubblica istruzione. Grazie alle immersioni di un palombaro nell’ottobre del 1895 viene individuata la prima nave e recuperati i primi elementi decorativi, tra cui l’opera tornata in esposizione. I bronzi decorativi rinvenuti durante le ricerche del 1895 e dei recuperi del 1929-1931 sono stati esposti nel museo delle Navi Romane a Nemi dall’inaugurazione del 21 aprile del 1939 fino allo scoppio della seconda guerra mondiale. Durante la guerra tutti gli elementi decorativi più importanti delle navi di Caligola vengono trasferiti al museo nazionale Romano, per preservarli durante il periodo bellico, salvandosi così dalla distruzione dell’incendio del 1944. Mentre una parte dei materiali era già rientrata al Museo negli anni passati, le bellissime decorazione in bronzo erano rimaste in esposizione a Roma. La testata con protome di leone in bronzo proviene dalla prima nave e decorava l’estremità di uno dei bagli. La testa è realizzata in fusione a cera persa, con particolari resi a bulino e cesello, ed è applicata su una cassetta quadrangolare che serviva per il montaggio sulla testata del baglio. Bagli in gergo navale sono le travi che uniscono i due lati della nave, collegando perpendicolarmente le estremità superiori delle assi che costituiscono l’ossatura dell’imbarcazione. Queste travature avevano la funzione di sostenere il ponte e di mantenere equidistanti le due murate della nave. Durante il recupero delle navi alcune di queste travi sono state rinvenute ancora con le testate in bronzo nella loro posizione originaria, che oggi si può ammirare nella ricostruzione dell’aposticcio realizzata in scala 1:1 esposta nel museo di Nemi.

Il museo delle Navi Romane di Nemi. Il Museo venne costruito tra il 1933 e il 1939 per ospitare due gigantesche navi appartenute all’imperatore Caligola (37-41 d.C.) recuperate nelle acque del lago tra il 1929 e il 1931. È stato quindi il primo Museo in Italia ad essere costruito in funzione del contenuto, due scafi dalle misure rispettivamente di m. 71,30 x 20 e m. 73 x 24, purtroppo distrutti durante un incendio nel 1944. Riaperto nel 1953, il Museo venne nuovamente chiuso nel 1962 e infine definitivamente riaperto nel 1988. Nel nuovo allestimento, l’ala sinistra è dedicata alle navi, delle quali sono esposti alcuni materiali, come la ricostruzione del tetto con tegole di bronzo, due ancore, il rivestimento della ruota di prua, alcune attrezzerie di bordo originali o ricostruite (una noria, una pompa a stantuffo, un bozzello, una piattaforma su cuscinetti a sfera). Sono inoltre visibili due modelli delle navi in scala 1:5 e la ricostruzione in scala al vero dell’aposticcio di poppa della prima nave, su cui sono state posizionate le copie bronzee delle cassette con protomi ferine. L’ala destra è invece dedicata al popolamento del territorio albano in età repubblicana e imperiale, con particolare riguardo ai luoghi di culto; vi sono esposti materiali votivi provenienti da Velletri (S. Clemente), da Campoverde (Latina) da Genzano (stipe di Pantanacci) e dal Santuario di Diana a Nemi, oltre ai materiali provenienti dalla Collezione Ruspoli. All’interno di quest’ala è inoltre possibile ammirare un tratto musealizzato del basolato romano del clivus Virbii, che da Ariccia conduceva al Santuario di Diana.
Ercolano. Ritrovati sull’antica spiaggia i resti di un fuggiasco, sotto un muro pietrificato alto 26 metri: morto travolto da una tempesta di fuoco e cenere ardente. “Eccezionale scoperta. Porterà nuova luce sugli ultimi momenti di vita della cittadina sepolta dall’eruzione del Vesuvio”

Come gran parte degli ercolanesi aveva raggiunto la spiaggia, confidando che la salvezza arrivasse dal mare: dalla flotta romana di Plinio il Vecchio salpata in loro aiuto dalla base di Capo Miseno. Il Vesuvio rumoreggiava ma, rispetto alla vicina Pompei, Ercolano non aveva subito danni particolari. Così in centinaia si erano rifugiati nei piccoli magazzini dei pescatori che davano direttamente sulla spiaggia. Lì si sentivano più al sicuro: si facevano coraggio l’un l’altro, si erano portati con sé delle lanterne, qualche brocca con acqua e aceto per riuscire a respirare nonostante la caligine che impregnava l’aria. Poi succede qualcosa. L’uomo si volta a guardare la città e, lontano, il vulcano minaccioso. La tragedia piomba improvvisa e si consuma nel giro di pochi istanti. Non c’è il tempo per capire, né per mettersi in salvo. Nel buio pesto di una notte che durava dal mattino, la morte nell’antica Ercolano arriva infatti all’improvviso, con una tempesta di fuoco e cenere ardente: un vento fatto di fuoco e di gas, di travi e di marmi che volano, semina la morte istantanea di uomini e animali, le carni evaporate in un soffio. Il nostro uomo, prima di essere travolto da quella furia bollente di gas mefitici e detriti, viene colpito alla testa da una trave, scaraventato in aria. Cade di spalle, circondato da pesanti legni carbonizzati, anche la trave di un tetto che potrebbe averlo schiacciato. La testa è rivolta alla città: ha visto la morte in faccia. “Il flusso piroclastico si abbatté su Ercolano inaspettato e velocissimo”, spiega Francesco Sirano, direttore del parco archeologico di Ercolano, “un inferno che correva a 100 chilometri all’ora e una temperatura che nelle zone più alte della città arrivò anche a 700 gradi, ridotti a 3-400 sulla spiaggia”.

La posizione dello scheletro del fuggiasco ritrovato sotto la parete lavica sull’antica spiaggia a Ercolano (foto sirano / paerco)
Sono passati duemila anni. Il mare si è ritirato di mezzo chilometro e la spiaggia è sepolta da un muro pietrificato di 26 metri di altezza. È lì che il fuggiasco è stato ritrovato nei giorni scorsi: sono i resti dello scheletro parzialmente mutilato di uomo che potrebbe avere tra i 40 e i 45 anni. Le ossa appaiono di un rosso acceso, effetto di una reazione dei globuli rossi, ricchi di ossigeno, nel particolarissimo processo di combustione provocato a Ercolano dalla corrente di magma, cenere e gas arrivata dal Vesuvio. “Una scoperta sensazionale”, l’ha definita il ministro Dario Franceschini. “Un ritrovamento da cui ci aspettiamo moltissimo”, sottolinea Sirano. “Un ritrovamento che porterà ancora grandi novità e scoperte”, conferma Massimo Osanna, direttore generale dei musei di Stato, per anni direttore a Pompei. A 25 anni dagli ultimi scavi, arriva dunque da Ercolano, documentata in esclusiva dall’ANSA, una scoperta che potrà portare nuova luce sugli ultimi momenti di vita della cittadina seppellita come la vicina Pompei dall’eruzione del 79 d.C.


Francesco Sirano, direttore del parco archeologico di Ercolano, vicino ai fornici dell’antica spiaggia di Ercolano dove sono stati trovati i resti dei fuggiaschi (foto Paerco)
Il cantiere di scavo è quello dell’antica spiaggia di Ercolano, dove nell’ultima sistematica campagna di scavi, condotta negli anni ’80 e ’90 del Novecento, vennero riportati alla luce, ammassati nei piccoli magazzini affacciati sull’antico arenile, i resti di più di 300 fuggiaschi che avevano cercato riparo nell’attesa di essere portati in salvo dalla flotta di Plinio il Vecchio. Poco più di due anni fa la direzione del parco archeologico di Ercolano ha deciso di riprendere la ricerca archeologica proprio nell’antica spiaggia, il lido della Ercolano romana, per consentirne la valorizzazione e il ricongiungimento alla visita della Villa dei Papiri, allestendo un percorso che consentirà ai visitatori di raggiungere la monumentale Villa dei Papiri ripercorrendo quella che nella città antica era la passeggiata sul lungomare e che ancora oggi rimane l’unico fronte a mare completamente conservato di una città romana. I lavori sono stati affidati a una équipe multidisciplinare formata da tecnici del parco archeologico di Ercolano, del ministero dei Beni culturali e dell’Herculaneum Conservation Project, che si sono avvalsi delle più aggiornate tecniche di indagine e documentazione che la scienza mette a disposizione (vedi Ercolano. Dopo 40 anni il parco archeologico riprende lo scavo dell’antica spiaggia: l’obiettivo è aprire ai visitatori la passeggiata sul litorale di Herculaneum dai fornici dei pescatori alla villa dei Papiri. I lavori dureranno due anni e mezzo | archeologiavocidalpassato).


Travi e legni carbonizzati circondano i resti dello scheletro del fuggiasco all’antica spiaggia di Ercolano (foto sirano / paerco)
Chi era il fuggiasco dell’ultimo eccezionale ritrovamento? Per ora solo ipotesi: forse un soccorritore, o un compagno dell’ufficiale di Plinio ritrovato negli anni ’80 lì vicino, sempre sulla spiaggia. Un militare quindi che stava allestendo i soccorsi, o un cittadino che aveva lasciato i magazzini sperando di imbarcarsi su una delle lance di salvataggio. Per saperne di più dovremo attendere prima il completamento dello scavo (“La parete sarà sfogliata come un shangai”, spiega Sirano). E quando non ci saranno più “corpi estranei” attorno ai resti dello scheletro, sarò rimossa tutta la roccia che lo contiene e portato in laboratorio per il suo studio.
Pompei. Trovata la “stanza degli schiavi” nella lussuosa villa suburbana di Civita Giuliana, saccheggiata dai tombaroli. L’eccezionale nuova scoperta segue quella della stalla con tre cavalli e del carro cerimoniale. L’ambiente, che ospitava una famigliola, è perfettamente conservata e permetterà di acquisire nuovi interessanti dati sulle condizioni abitative e di vita degli schiavi a Pompei e nel mondo romano

Veduta zenitale della “Stanza degli schiavi” scoperta nella villa suburbana di Civita Giuliana a Pompei (foto m. gravili / parco archeologico pompei)
La stanza è piccola, senza affreschi alle pareti e mosaici al pavimento, ma decorosa, sufficiente a contenere due letti grani e uno più piccolo, qualche oggetto personale, qualche anfora poggiata negli angoli-ripostiglio, brocche in ceramica, il “vaso da notte”, e poi un timone di carro e una cassa con oggetti in metallo e tessuti forse finimenti di cavalli: è la stanza degli schiavi, di una famigliola chiamata a governare i cavalli, in uno straordinario stato di conservazione, l’ultima eccezionale scoperta nella grande villa suburbana di Civita Giuliana, a un tiro di schioppo da Pompei, indagata dal 2017 e dalla quale sono già emersi – nel quartiere servile – un carro cerimoniale e una stalla con i resti di 3 equini, di uno dei quali è stato possibile realizzare il calco (vedi Pompei. Eccezionale scoperta nella lussuosa villa suburbana di Civita Giuliana, saccheggiata dai tombaroli: nella stalla trovato un terzo cavallo di razza da parata con bardature militari. Osanna: “Nel 2019 fondi per esproprio terreni, completare lo scavo e aprire il sito al pubblico” | archeologiavocidalpassato). Lo scavo offre uno sguardo straordinario su una parte del mondo antico che normalmente rimane all’oscuro, dalla quale affiora uno spaccato rarissimo della realtà quotidiana degli schiavi. Grazie all’affinamento della tecnica dei calchi inventata da Giuseppe Fiorelli nell’Ottocento, sono stati portati alla luce letti e altri oggetti in materiali deperibili, che permettono di acquisire nuovi interessanti dati sulle condizioni abitative e di vita degli schiavi a Pompei e nel mondo romano.


Gabriel Zuchtriegel, direttore del parco archeologico di Pompei, e Nunzio Fragliasso, procuratore FF di Torre Annunziata, al rinnovo del protocollo di intesa per il contrasto al saccheggio e al traffico di reperti archeologici (foto parco archeologico di pompei)
Lo scavo dell’ambiente rientra in un’attività che il parco archeologico di Pompei sta portando avanti insieme alla Procura di Torre Annunziata, guidata dal procuratore capo Nunzio Fragliasso. Risale a pochi mesi fa il rinnovo di un protocollo d’intesa tra Procura e Parco archeologico per il contrasto alle attività di scavo clandestino nel territorio pompeiano, che vede impegnati anche il Nucleo Tutela Patrimonio Culturale Campania e il Nucleo investigativo Torre Annunziata dell’Arma dei Carabinieri (vedi Contrasto al saccheggio e al traffico di reperti archeologici: rinnovato per altri due anni il protocollo di intesa tra il Parco archeologico di Pompei e la Procura della Repubblica di Torre Annunziata | archeologiavocidalpassato).

I cunicoli dei tombaroli individuai dal laser scanner dei carabinieri (foto parco archeologico di Pompei)
Oggetto di un saccheggio sistematico per anni, dopo un’indagine della procura, la villa di Civita Giuliana è dal 2017 oggetto di scavi stratigrafici che hanno restituito una serie di nuovi dati e scoperte a cui si aggiunge ora la stanza degli schiavi. Purtroppo, anche in questo ambiente, una parte del patrimonio archeologico è andato perduto a causa dei cunicoli scavati dai tombaroli che, in tutta la villa, hanno creato un danno complessivo che è stato stimato in quasi 2 milioni di euro (vedi Scavi clandestini, saccheggio e traffico di reperti archeologici: da Pompei parte un modello pilota. Firmato un protocollo d’intesa con il Tribunale di Torre Annunziata. Il caso di Civita Giuliana | archeologiavocidalpassato).

Uno scorcio della Stanza degli Schiavi scoperta nella villa suburbana di Civita Giuliana a Pompei (foto parco archeologico pompei)
“Si tratta di una finestra nella realtà precaria di persone che appaiono raramente nelle fonti storiche, scritte quasi esclusivamente da uomini appartenenti all’élite, e che per questo rischiano di rimanere invisibili nei grandi racconti storici”, dichiara il direttore generale del parco archeologico di Pompei, Gabriel Zuchtriegel. “È un caso in cui l’archeologia ci aiuta a scoprire una parte del mondo antico che conosciamo poco, ma che è estremamente importante. Quello che colpisce è l’angustia e la precarietà di cui parla questo ambiente, una via di mezzo tra dormitorio e ripostiglio di appena 16 mq, che possiamo ora ricostruire grazie alle condizioni eccezionali di conservazione create dall’eruzione del 79 d.C. È sicuramente una delle scoperte più emozionanti nella mia vita da archeologo, anche senza la presenza di grandi ‘tesori’: il tesoro vero è l’esperienza umana, in questo caso dei più deboli della società antica, di cui questo ambiente fornisce una testimonianza unica”.

Uno scorcio della Stanza degli Schiavi scoperta nella villa suburbana di Civita Giuliana a Pompei (foto parco archeologico pompei)
“Pompei è la prova che quando l’Italia crede in sé stessa e lavora come una squadra raggiunge traguardi straordinari ammirati in tutto il mondo”, interviene il ministro della Cultura, Dario Franceschini. “Questa nuova incredibile scoperta a Pompei dimostra che oggi il sito archeologico è diventato non soltanto una meta tra le più ambite al mondo, ma anche un luogo dove si fa ricerca e si sperimentano nuove tecnologie. Grazie a questo nuovo importante ritrovamento si arricchisce la conoscenza sulla vita quotidiana degli antichi pompeiani, in particolare di quella fascia della società ancora oggi poco conosciuta. Pompei è un modello di studio unico al mondo”.


Il carro da parata, un unicum in Italia, scoperto nella villa suburbana di Civita Giuliana a Pompei (foto parco archeologico di Pompei)
Il rinvenimento è avvenuto non lontano dal portico dove, nel mese di gennaio 2021, fu scoperto un carro cerimoniale che attualmente è oggetto di interventi di consolidamento e restauro (vedi Nuova eccezionale scoperta nella lussuosa villa di Civita Giuliana (Pompei): scoperto un carro da parata (pilentum) integro, con decorazioni erotiche, forse per una cerimonia nuziale. Osanna: “Un unicum in Italia. Grazie all’intesa Parco archeologico di Pompei e Procura di Torre Annunziata per contrastare le attività dei tombaroli” | archeologiavocidalpassato). A pochi passi dal luogo in cui il prezioso veicolo fu parcheggiato e non lontano dalla vicina stalla scavata nel 2018, ora emerge uno degli alloggi modesti degli addetti che si occupavano del lavoro quotidiano in una villa romana, inclusa la manutenzione e la preparazione del carro.

Il calco del prezioso e ben conservato timone da carro rinvenuto della Stanza degli Schiavi nella villa suburbana di Civita Giuliana a Pompei (foto parco archeologico pompei)
Nell’ambiente, dove sono state trovate tre brandine in legno, infatti, è stata rinvenuta una cassa lignea con oggetti in metallo e in tessuto che sembrano far parte dei finimenti dei cavalli. Inoltre, appoggiato su uno dei letti, è stato trovato un timone di un carro, di cui è stato effettuato un calco.

I letti sono composti da poche assi lignee sommariamente lavorate che potevano essere assemblate a seconda dell’altezza di chi li usava. Mentre due hanno una lunghezza pari a 1,70 m circa, un letto misura appena 1,40 m per cui potrebbe essere di un ragazzo o di un bambino. La rete dei letti è formata da corde, le cui impronte sono parzialmente leggibili nella cinerite, e al di sopra delle quali furono messe coperte in tessuto, anch’esse conservate come cavità nel terreno e restituite attraverso il metodo dei calchi. Al di sotto delle brandine si trovavano pochi oggetti personali, tra cui anfore poggiate per conservare oggetti, brocche in ceramica e il “vaso da notte.”

L’ambiente era illuminato da una piccola finestra in alto e non presentava decorazioni parietali. Oltre a fungere da dormitorio per un gruppo di schiavi, forse una piccola famiglia come lascerebbe intuire la brandina a misura di bambino, l’ambiente serviva come ripostiglio, come dimostrano otto anfore stipate negli angoli lascati appositamente liberi per tal scopo.

Il direttore generale Massimo Osanna tra i resti dei cavalli riemersi a Civita Giuliana (foto di Cesare Abbate, Ansa)
“Ancora una volta uno scavo nato dall’esigenza di tutela e salvaguardia del patrimonio archeologico, in questo caso grazie ad una proficua collaborazione con la procura di Torre Annunziata”, dichiara Massimo Osanna, direttore generale dei Musei, sotto la cui direzione al parco archeologico di Pompei sono stati avviate nel 2017 le attività di scavo a Civita Giuliana, “ci permette di aggiungere un ulteriore tassello alla conoscenza del mondo antico Lo studio di questo ambiente, che sarà arricchito dai risultati delle analisi in corso, ci permetterà di acquisire nuovi interessanti dati sulle condizioni abitative e di vita dagli schiavi a Pompei e nel mondo romano”.


I carabinieri esplorano i cunicoli clandestini nel sito archeologico di Civita Giuliana (foto parco archeologico di Pompei)
“L’ulteriore significativo ritrovamento negli scavi di Civita Giuliana”, conclude il procuratore capo, Nunzio Fragliasso, “è l’ennesima conferma della sinergia tra la direzione del parco archeologico di Pompei e la Procura della Repubblica di Torre Annunziata e della efficacia del protocollo d’intesa stipulato tra le suddette Istituzioni che, con il prezioso apporto dell’Arma dei Carabinieri, ha portato, da un lato, alla condanna in primo grado degli autori degli scavi abusivi di Civita Giuliana e, dall’altro, al rinvenimento di beni archeologici di eccezionale rilevanza. In attuazione del suddetto protocollo continueranno le attività investigative e di ricerca sia presso gli scavi di Civita Giuliana che presso altri siti di scavi archeologici abusivi ricadenti nel territorio di Pompei”.
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