Locandina della mostra “I creatori dell’Egitto Eterno” alla Basilica Palladiana di Vicenza dal 22 dicembre 2022 al 7 maggio 2023
Mostra “I creatori dell’Egitto eterno”: da sinistra, Paolo Marini, Corinna Rossi, Christian Greco, Francesco Rucco, Simona Siotto, Cédric Gobeil (foto graziano tavan)
Nell’anno, il 2022, in cui vengono celebrati gli anniversari di due avvenimenti fondamentali per la storia dell’Egittologia, i 200 anni dalla decifrazione dei geroglifici da parte di Champollion e il centenario della scoperta della tomba di Tutankhamon, il museo Egizio di Torino cura, per la prima volta in Italia, un progetto espositivo così importante “al di fuori del museo”, presentando una straordinaria selezione di reperti e sviluppando un tema centrale per gli studi egittologici. Parliamo della mostra “I creatori dell’Egitto eterno. Scribi, artigiani e operai al servizio del faraone”, in Basilica Palladiana a Vicenza fino al 7 maggio 2023 (e durante le festività, fino all’8 gennaio 2023, sempre aperta dalle 10 alle 18, eccetto Capodanno dalle 13 alle 18), fortemente voluta dalla Città di Vicenza e curata dal direttore del museo Egizio, Christian Greco, dalla docente di Egittologia al Politecnico di Milano, Corinna Rossi, dagli egittologi e curatori del museo Egizio, Cédric Gobeil e Paolo Marini. Qualche numero: 180 reperti originali, 3 installazioni multimediali, 4 curatori, 2 prestatori (museo Egizio di Torino e museo del Louvre di Parigi), 17mila prenotazioni, 550 gruppi, 1 città (Vicenza).
L’allestimento della mostra “I creatori dell’Egitto eterno” nella Basilica palladiana di Vicenza (foto graziano tavan)
Christian Greco, Francesco Rucco e Simona Siotto alla presentazione della mostra “I creatori dell’Egitto eterno” in Basilica palladiana a Vicenza (foto graziano tavan)
In occasione della presentazione ufficiale della mostra, prima della vernice, alla presenza del sindaco di Vicenza Francesco Rucco e dell’assessore alla Cultura Simona Siotto, il direttore dell’Egizio Christian Greco nella sua prolusione ha introdotto gli elementi più significativi che hanno sotteso la realizzazione della grande mostra, e il perché della scelta del villaggio di Deir el Medina e dei suoi abitanti per il senso della vita e della vita dopo la morte secondo gli antichi Egizi. Grazie a una registrazione live del regista veneziano Alberto Castellani, che l’ha gentilmente messa a disposizione di archeologiavocidalpassato.com, tutti gli appassionati possono così prepararsi meglio alla visita della mostra.
“Questa mostra, grazie al lavoro di tutti, vi permetterà di fare un viaggio ideale – lo si vede già dal video all’inizio dell’esposizione – tra Vicenza e Deir el Medina”, annuncia Christian Greco. “E quando Guido Beltramini, direttore del Cisa, mi disse Vorremmo una mostra dell’Egitto a Vicenza, pensare a Deir el Medina fu immediato. Perché era pensare a un villaggio, a un insediamento di cui conoscevamo le vite delle donne e degli uomini che vi avevano lavorato; era vedere l’altra faccia della medaglia, era collegarlo a quell’idea che era piaciuta molto al sindaco che l’ha voluto porre anche come manifesto per Vicenza candidata alla capitale della Cultura: l’idea di fabbrica, ovvero di un contesto sociale ed economico che lavora assieme per una trasformazione. Ebbene, a Deir el Medina avvenne questo.
Statua della dea Sekhmet (XVIII dinastia, regno di Amenofi III, 1390-1353 a.C.) conservata al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“E quindi voi, visitando la mostra – spiega Greco -, vi troverete catapultati prima nella sponda Est della Tebe del Nuovo Regno, dove vengono eretti i grandi templi delle divinità locali che diventano divinità nazionali: Amon, colui che è nascosto – questo significa il nome -, che diventa la divinità principale dell’Egitto, profondamente legata alla regalità. E, come ricordava l’assessore Simona Siotto, l’esistenza e la caducità dell’esistenza era un qualcosa che interrogava molto gli Egizi e quindi proprio in quel periodo nella sponda Ovest di Tebe (vedrete la magnifica statua di Sekhmet) cominciarono a erigere i templi cosiddetti di milioni di anni, dove il culto del faraone potesse essere portato avanti.
La stele dedicata ad Amenofi I e Amhose Nefertari da Amenepimet e dal figlio Amennakht, conservata al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“Servivano però delle maestranze – fa notare il direttore del museo Egizio -, servivano delle persone che sapessero progettare, operare, scavare nella roccia, trasformare le pareti, levigarle, fare la sinopia. Dopo di ché scolpirle, e poi ancora con i pigmenti trasformare completamente questo spazio. Oggi si parla molto di metaverso. Ma cosa c’è di più metaverso della per djet, della casa per l’eternità, di quello spazio cioè che, una volta varcata la soglia, diventava la casa del faraone per sempre? Uno spazio però in cui valevano delle regole diverse, delle regole spazio-temporali completamente diverse. Non erano più in questa realtà. Serviva quindi uno sviluppo del tempo diverso, dal tempo ciclico che era il tempo del dio Sole, che ogni giorno risorge e di notte combatte contro Apofis e poi può tornare sulla terra. E il faraone, una volta entrato, dopo il rituale dell’Apertura della Bocca, era completamente trasformato.
Il faraone Ramses II tra il dio Amon e la dea Mut, gruppo in granito dal tempio di Amon a Karnak (XIX dinastia, regno di Ramses II, 1279-1213 a.C.), conservato al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“Prima l’assessore Siotto ricordava come si potrebbe definire la vita. Allora – continua Greco – i biologi e i filosofi si interrogano molto. E a me ha sempre molto colpito vedere immagini su cui i biologi lavorano molto: che differenza c’è tra una persona nel momento in cui è in vita e il momento successivo in cui la vita non c’è più? Cos’è la vita? Ebbene oggi ci dicono che nel momento successivo non ci sono più quelle connessioni, non ci sono più le connessioni molecolari, non c’è più l’energia, non c’è più lo scambio. E pensate che gli Egizi questo l’avevano capito perfettamente già nel Medio Regno, e codificato nel Nuovo Regno. E l’hanno capito in una serie di cose. Hanno capito che la persona era complessa. La persona era composta dal corpo. Però se io cadessi morto in questo momento gli egiziani mi definirebbero cadavere. Il corpo doveva ridiventare immagine vivente della persona, ricomponendo una serie di cose: ricomponendo il nome, ricomponendo l’ombra, ricomponendo il ba che è l’anima che può trasmigrare da questo all’altro regno, il ka che è la forza vitale, e mettendo assieme tutto questo potevano tornare a vivere.
Statuetta in legno della dea Tauret, dedicata dal disegnatore Parahotep, venerata in ambito domestico, proveniente da Deir el Medina, e conservata al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“Ebbene quindi in mostra – sintetizza Greco – vedrete come vivevano gli abitanti di Deir el Medina, questo villaggio voluto da Amenofi I e dalla madre Ahmose Nefertari, che per 600 anni ospita 120 famiglie che hanno un unico compito: quello di costruire le tombe nella Valle dei Re e nella Valle delle Regine. Il loro nome è “servitore nel luogo della verità (Set Maat)”, e avevano forse il lavoro più importante al mondo, cioè quello di consegnare all’eternità la vita dei faraoni in modo che il loro culto potesse perpetrarsi. Però non era un mero culto regale, era un qualcosa di più vitale, di cosmico. Lo vedrete nel video curato da Corinna Rossi, e ringrazio Robin Studio per il lavoro eccellente che anche questa volta hanno fatto, che vi farà fare un viaggio all’interno di uno dei progetti più antichi al mondo, il progetto della tomba di Ramses IV. La vedrete trasformata, potrete viaggiare assieme al faraone, come questo spazio era un nuovo spazio di vita.
Dettaglio del modellino della Tomba di Nefertari, scoperta da Ernesto Schiaparelli nel 1904, conservato al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“La mostra continua Greco – vi farà riflettere sulla wehem meswt, sulla rinascita, su quello che gli egiziani chiamavano la nuova vita che non era la morte. Ci saranno gli elementi che tutti noi ricolleghiamo all’Egitto, ovvero i sarcofagi, che sono quel luogo di trasformazione che permette al corpo di tornare a nuova vita. E passando dalla prima alla seconda parte della mostra, passerete proprio dalla vita del villaggio alla vita nell’aldilà e incontrerete un personaggio importantissimo, incontrerete Nefertari, la cui tomba fu trovata nel 1904 da Ernesto Schiaparelli. E vedrete il modello che Schiaparelli ha fatto fare. Ma vedrete anche le statuette funerarie. E vedrete gli oggetti che Nefertari si era portata con lei. Pensate, c’è persino una manopola con sopra il nome di Ahy, un faraone che era vissuto più di 200 anni prima, e quindi forse lei era legata ad Ahy che era stato sovrano dell’Egitto; o era un oggetto di famiglia caro, un ricordo che lei volle portare tomba. Non dobbiamo pensare che gli egiziani fossero degli alieni. Avevano lo stesso trasporto per la cultura materiale che abbiamo noi.
Ushabti in faience del faraone Seti I (XIX dinastia, 1290-1279 a.C.) conservati al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“In mostra si possono vedere le statuette in faiance, meravigliose, di un altro grande sovrano, Seti I, proprio di fronte a Nefertari. Vedrete i sarcofagi gialli. Vedrete il sarcofago di XXV dinastia che ci fa vedere un’evoluzione dell’iconografia.
“Però volevamo chiudere facendovi vedere anche la fine di questa storia. Amenofi I e Ahmose Nefertari hanno voluto questo villaggio. Questo villaggio ha funzionato. Poi probabilmente – oggi si direbbe – l’Egitto aveva speso troppo rispetto alle proprie necessità. Già all’epoca di Ramses III cominciamo ad assistere a dei disagi sociali, e nell’epoca di Ramses XI, probabilmente durante la vita di Butehamon, venne abbandonato il villaggio. Non è sicurissimo, perché alcuni ostraka, sia figurativi sia letterari, forse ci attestano una continuazione della vita nel villaggio. Però sappiamo sicuramente che Butehamon fondò un suo ufficio, la casa, forse anche la sua tomba nel tempio di Medinet Habu, qualche chilometro più a Sud, in un posto che era protetto. E sappiamo che Butehamon aveva un compito importantissimo: lui andava in giro per la necropoli, perché abbiamo ritrovato i suoi graffiti, a mettere in sicurezza i sarcofagi che venivano depredati. A Londra c’è un documento, il Robbery Papyrus, che ci parla del fatto di come fosse finito questo periodo dell’Eldorado, di come una vedova viene interrogata da un magistrato che le chiede ma perché tuo marito notte tempo si è introdotto in una tomba e ha rubato dei bacili di bronzo? e lei risponde perché con quello io e i miei figli abbiamo mangiato per tre anni. “E allora abbiamo voluto farvi riflettere anche su questo: come questa parabola del villaggio si concluda anche con un periodo di crisi e lo facciamo vedere – a mio giudizio in modo esemplare – utilizzando le nuove tecnologie, facendovi vedere il sarcofago di Butehamon, colui che mise in sicurezza i sarcofagi delle necropoli e al contempo, mentre lo faceva, prese dei pezzi per mettere in sicurezza anche il proprio.
Sarcofago giallo femminile, in legno e stucco, del Terzo periodo intermedio (XXI dinastia, 1076-943 a.C.) conservato al museo Egizio di Torino (foto graziano tavan)
“È una mostra quindi – conclude – che ci fa riflettere sulla vita, sulla vita dopo la morte, sull’esistenza, sulle difficoltà dell’esistenza, su come il lavoro veniva organizzato, su come si svilupparono anche delle credenze locali, e su come c’è un tema etico che pare trascendere i limiti temporali della storia. Alla fine anche per gli Egizi, come molto spesso anche per noi, quello che contava era maat, era la giustizia, era la verità, ed era l’unica cosa che ci permetteva di vivere bene sulla terra e di poter ambire a una vita dopo. E allora auguriamoci anche noi, come si auguravano gli antichi Egizi, di diventare maat keru, veritieri di voce, e di poter essere dotati di vita come il dio Sole per sempre”. Buona visita.
Inaugurazione della mostra “Gioielli e amuleti”. Da sinistra: Marco Carniello, Global Exhibition Director Jewellery & Fashion di IEG; Michela Amenduni, direttore gestionale museo del Gioiello; Simona Siotto, assessore alla Cultura Comune di Vicenza; Francesco Rucco, sindaco di Vicenza; Christian Greco, direttore del museo Egizio; Paolo Marini, curatore del museo Egizio e della mostra (foto comune di vicenza)
La presenza dell’Antico Egitto a Vicenza si allarga. A 24 ore dalla vernice della mostra “I creatori dell’Egitto eterno. Scribi, artigiani e operai al servizio del faraone” in Basilica Palladiana, giovedì 22 dicembre 2022, al piano terra del monumento patrimonio dell’umanità, negli spazi del museo del Gioiello è stata inaugurata la mostra “Gioielli e Amuleti. La bellezza nell’Antico Egitto”, nata dalla collaborazione tra Italian Exhibition Group – che gestisce con il Comune di Vicenza il prestigioso spazio museale all’interno della Basilica Palladiana – e il museo Egizio di Torino. Aperta al pubblico fino al 7 maggio 2023, la mostra racconta attraverso un’ottantina di manufatti e alcuni frammenti il rapporto quotidiano degli antichi Egizi con la cura del corpo, la bellezza, la moda e l’ornamento. Curata dal direttore del museo Egizio Christian Greco con la collaborazione dei curatori Paolo Marini e Cédric Gobeil, “Gioielli e Amuleti. La bellezza nell’Antico Egitto” è collaterale alla mostra in Basilica “I creatori dell’Egitto eterno”, e offre un ulteriore livello di lettura sullo stile di vita degli abitanti di Deir el-Medina, villaggio in cui vissero gli artigiani più apprezzati dell’epoca a cui risalgono le tombe reali della Valle dei Re e delle Regine.
Locandina della mostra “Gioielli e amuleti. La bellezza nell’antico Egitto” al museo del Gioiello di Vicenza dal 23 dicembre 2022 al 7 maggio 2023
La mostra nasce tra i laboratori e i magazzini del museo torinese, dove sono stati selezionati e analizzati, con sistemi di indagini moderne, alcuni ornamenti e manufatti per la cosmesi. Oggetti in grado di aprire una finestra temporale e geografica su un mondo antico e lontano, dove ancora una volta l’accessorio prezioso, il monile, acquisisce significati e valori molteplici, si presta a simbolo di altro, che sia bellezza, fortuna, potere e magia. Monili utilizzati come ornamento per ostentare lo sfarzo, amuleti dal valore magico e apotropaico, oggetti per la cosmesi e l’igiene. L’esposizione è organizzata in quattro sezioni che offrono l’occasione di ammirare alcuni reperti mai esposti prima. Particolarmente innovativa è la sezione dedicata a KHA e MERIT, coppia illustre vissuta 3600 anni fa che ancora riposa avvolta dalle bende, i cui sarcofaghi furono rinvenuti dal celebre archeologo torinese Ernesto Schiaparelli nel 1905. È la tecnologia, con radiografie e stampe 3D, a svelare oggi, agli occhi dei visitatori del museo del Gioiello, il loro ricco corredo funebre.
Gioielli dell’antico Egitto esposti in mostra al museo del Gioiello di Vicenza (foto comune di vicenza)
“Gioielli, ornamenti e amuleti, in oro, argento, pietre preziose e altri elementi naturali nell’antico Egitto assumevano valori e funzioni molto differenti a seconda del contesto di utilizzo”, sottolinea Christian Greco, direttore museo Egizio di Torino: “nella vita quotidiana intervenivano nella percezione estetica dell’immagine dell’individuo che li indossava, nei rapporti sociali esprimevano prestigio e affermazione, mentre nella sfera religiosa fungevano spesso da amuleti dal valore apotropaico o propiziatorio. Il filo narrativo della mostra, accompagnato da una serie di scene tratte dalle pitture parietali antico egiziane, in grado di mostrarci i monili nel loro contesto d’uso, accompagna il visitatore, vetrina dopo vetrina, nel mondo della bellezza e della cosmesi prima, in quello della magia dopo, per poi giungere presso un laboratorio sperimentale dove le moderne tecnologie sono state in grado di rendere visibili e materialmente concreti alcuni gioielli che nella realtà sono ancora celati tra le bende delle mummie di Kha e Merit, due illustri personaggi vissuti a Deir el-Medina circa 3600 anni fa”. E il curatore Paolo Marini: “Gli ornamenti e gli amuleti selezionati per il museo del Gioiello nascondono, nella loro minuzia, un valore inimmaginabile oggi. Essi non sono solo la rappresentazione di uno status symbol o la manifestazione della perizia tecnica egizia, ma esprimono anche i sentimenti, i timori e le speranze di un popolo antico attraverso la scelta di forme e materiali dai forti valori simbolici e performativi. Nelle quattro sezioni proposte nel percorso espositivo, questi monili ci parlano di bellezza, cosmesi, religione e magia, ambiti dai limiti indefiniti e lontani dalle categorizzazioni moderne”.
Gli spazi espositivi che ospitano la mostra “Gioielli e amuleti” al museo del Gioiello di Vicenza (foto comune di vicenza)
“A conferma che la grande mostra in Basilica sull’antico Egitto è stata curata nei minimi dettagli”, dichiara Francesco Rucco, sindaco di Vicenza, “arriva un’esposizione collaterale in grado di aumentare il fascino e la bellezza di questa straordinaria civiltà del passato che ancora oggi sa sbalordire e incantare. Un’appendice che offrirà la possibilità di vedere da vicino le capacità artistiche degli artigiani di migliaia di anni fa, proprio qui nella terra vicentina patria di orafi e gioiellieri. È anche un’occasione per valorizzare, ancora una volta, il museo del Gioiello, prestigioso spazio museale di Italian Exhibition Group, gestito in collaborazione con il Comune di Vicenza. Un evento che consente di arricchire la già ampia offerta del circuito museale cittadino che tante soddisfazioni ci sta dando in questo 2022 in termini numerici per quanto riguarda i visitatori, superiori anche al periodo pre Covid. Ringrazio il presidente di IEG, il direttore del museo e tutti coloro che hanno lavorato per il raggiungimento di questo importante risultato”. E conclude Michela Amenduni , direttore gestionale del museo del Gioiello e responsabile marketing Jewellery & Fashion di Italian Exhibition Group: “Siamo felici di aprire le porte del museo del Gioiello ai vicentini e ai turisti in arrivo in città e presentare il risultato della bella collaborazione con il museo Egizio. Il museo del Gioiello nasce infatti per arricchire e ampliare l’offerta culturale e artistica del Comune e di Vicenza e questo progetto si colloca esattamente in questa prospettiva. Inoltre, assieme a IEG e Vicenzaoro, rappresenta un omaggio all’eccellenza orafa del territorio ed è riferimento per l’intero settore. Grazie a proposte didattiche e laboratoriali mira infatti a coinvolgere sempre di più le nuove generazioni nell’affascinante mondo dell’arte orafa”.
Locandina della mostra “I creatori dell’Egitto Eterno” alla Basilica Palladiana di Vicenza dal 22 dicembre 2022 al 7 maggio 2023
Chi erano e dove vivevano le maestranze che hanno forgiato le tombe dei faraoni? Quali erano i loro talenti? Con i curatori della mostra “I creatori dell’Egitto eterno. Scribi artigiani e operai al servizio del faraone” alla Basilica Palladiana di Vicenza dal 22 dicembre 2022 andiamo a scoprire il dietro le quinte e i dettagli della mostra coordinata da Christian Greco, direttore del museo Egizio, e curata da Corinna Rossi, professore associato di Egittologia al Politecnico di Milano, da Cédric Gobeil e Paolo Marini, egittologi e curatori dell’Egizio. Sei domande, due per ogni curatore: Corinna Rossi è invitata a spiegare come nasce questa mostra, le difficoltà di allestimento e la tecnologia applicata alla divulgazione; Cédric Gobeil ci fa conoscere il villaggio di Deir el-Medina, come era organizzato, e chi erano i suoi abitanti, gli operai/artisti per le dimore eterne dei faraoni; Paolo Marini infine si sofferma sull’attualità dell’Antica Egitto e su cosa accomuna o distingue gli antichi operai da quelli rinascimentali o moderni.
Corinna Rossi (politecnico di Milano) (foto graziano tavan)
Qualche episodio del “dietro le quinte” della mostra, dalle fasi di studio alla progettazione degli allestimenti? Corinna Rossi: “Ogni mostra, prima di essere aperta al pubblico, conosce una fase di studio, poi una fase di ragionamento su cosa portare, ma poi soprattutto sul come trasportare gli oggetti. Questa per la mostra di Vicenza è stata una fase di studio particolarmente complessa. Parliamo di Antico Egitto, e quindi a statue gigantesche in pietra. Ma abbiamo dovuto fare i conti anche con la Basilica Palladiana e con gli spazi espositivi che sono al primo piano destinati ad ospitare gli oggetti abbastanza pesanti. E quindi la scelta degli oggetti si è orientata in questa direzione, cioè a oggetti che potessero essere effettivamente trasportati e sollevati al primo piano e sostenuti dal pavimento della Basilica nel corso della mostra. Quindi c’è stato uno studio attentissimo che ha coinvolto tecnici ed esperti sia da parte degli architetti allestitori che da parte delle istituzioni a Vicenza per raggiungere questo risultato. È una mostra che celebra la perizia degli antichi operai ma non dimentichiamoci di celebrare la perizia dei tecnici e degli operai che hanno reso possibile questa mostra”.
Il villaggio di Deir el-Medina era una fucina di talenti. Quale era la sua struttura e come divenne il polo produttivo per cui è celebre ancora oggi? Cédric Gobeil: “La struttura del villaggio di Deir el-Medina è molto semplice, è un insieme di 68 case. Nel suo stato finale, nel periodo ramesside, è circondata da un muro di cinta, e ognuna di queste case aveva una struttura veramente ideale e tipica di circa quattro stanze, in modo tale che ogni lavoratore potesse beneficiare degli stessi servizi e pari accesso alle risorse. Queste persone erano sotto l’autorità di un visir, che è una specie di primo ministro, che era proprio sotto il faraone, e direttamente sotto l’autorità di uno scriba reale che viveva con gli operai a Deir el-Medina. Questi lavoratori vivevano quindi nel villaggio con le loro famiglie, mogli e figli. E la cosa importante è che la maggior parte di queste persone avevano una specialità manuale, un lavoro manuale. Quindi possiamo, ad esempio, nominare disegnatori, pittori, muratori, scultori così come carpentieri. Ciascuno di questi mestieri era necessario per l’elaborazione delle tombe reali, compreso lo scavo, ma anche la decorazione delle tombe che troviamo oggi nelle cosiddette Valli dei Re e delle Regine, proprio dietro il villaggio di Dei el-Medina”.
Paolo Marini (museo Egizio Torino) (foto graziano tavan)
Perché l’Antico Egitto suscita così tanto interesse nella contemporaneità? In cosa risiede la sua “attualità”? Paolo Marini: “I motivi sono differenti, primo tra tutti sicuramente il fatto che ancora l’Antico Egitto sia al centro di tantissime ricerche da parte di tantissimi studiosi. Gli scavi che operano sul suolo egiziano sono innumerevoli per cui le scoperte che ancora oggi vengono compiute sono davvero straordinarie. Negli ultimi tempi, a esempio, è stata scoperta una cachette con all’interno numerosissimi sarcofagi e oggetti di corredo funerario e che ci illustrano un’epoca molto problematica dal punto di vista storico come quella che noi egittologi chiamiamo Epoca Tarda, e questo ovviamente suscita nel non addetto ai lavori sempre un interesse eccezionale anche per la qualità dei reperti. E l’interesse storico archeologico che questi riescono a trasmettere”.
Corinna Rossi (politecnico di Milano) (foto graziano tavan)
Quale ruolo gioca la tecnologia in una mostra di stampo archeologico e quale posto occupa nell’allestimento all’interno della Basilica Palladiana? Corinna Rossi: “In una mostra come quella di Vicenza in cui portiamo oggetti antichissimi fragili piccoli, la componente immateriale della mostra può giocare un ruolo molto importante perché attraverso le nuove tecnologie noi riusciamo a portare all’attenzione del pubblico dettagli che sarebbero altrimenti invisibili perché troppo piccoli o invisibili, proprio perché non visibili a occhio nudo, e riusciamo anche a convogliare verso l’esterno i risultati delle ricerche che sono state effettuate nel corso degli anni da quanti hanno studiato in maniera approfondita questi reperti. Quindi la mostra sarò accompagnata da una serie di installazioni multimediali che avranno proprio questo scopo: non sostituirsi all’oggetto, ma allargare il punto di vista e ampliare il ventaglio di informazioni che possono essere convogliate al grande pubblico”.
Qual è l’identikit di “scribi, artigiani e operai al servizio del faraone”? Cédric Gobeil: “Per avere un’idea precisa di chi fosse questo operaio di Deir el-Medina, ci sono alcuni tratti che qui possono essere evidenziati. Prima di tutto sono membro di un’élite. Non siamo più in un’élite legata all’Alta Corte, ma in un’élite tra lavoratori, tra lavoratori specializzati. E questo lavoratore ha una qualità: quella di poter esercitare mestieri manuali estremamente richiesti, estremamente preziosi per l’elaborazione, lo scavo e la decorazione delle tombe reali. E in quel momento può essere uno scultore, un muratore e un pittore per esempio. Si dovrebbe anche considerare che questo individuo, questo lavoratore è in grado di scrivere. In ogni caso diciamo che nella stragrande maggioranza dei casi sono in grado di scrivere e leggere il che dà loro accesso a testi magici e anche alla letteratura per poter raccontare storie. L’importante è che queste persone abbiano potuto quindi scrivere appunti in modo tale da lasciare traccia ai posteri. Ed è così che oggi siamo in grado di ricreare chi era questo operaio di Deir el-Medina”.
Paolo Marini (museo Egizio Torino) (foto graziano tavan)
Che cosa differenzia gli artisti/artigiani dell’Antico Egitto da quelli rinascimentali e da quelli di oggi? Paolo Marini: “La domanda pone un problema di tipo metodologico perché quando si parla di antiche civiltà è molto difficile poter parlare allo stesso tempo di artisti e di arte: questi sono concetti che si sviluppano soltanto in epoche successive. Nel caso specifico dell’Antico Egitto è molto difficile, ad esempio, individuare personalità artistiche o artigianali proprio perché c’è un concetto e un’organizzazione del lavoro che è completamente differente da quello che sicuramente lo era nel Rinascimento. Gli artigiani lavoravano in squadre, in diversi su un unico soggetto e ognuno occupandosi di quelle che erano le proprie competenze. Pertanto alla fine di un lavoro era anche molto difficile riuscire a determinarne la paternità”.
“Membership You&ME: un click per regalarla, un anno per viverla”. Con questo slogan il museo Egizio di Torino ha lanciato la campagna abbonamenti 2022-2023 alla card dedicata del museo che diventa un dono di Natale. “Con la Membership”, spiegano al museo, “doni un anno di ricerca e scoperta a chi vuoi tu. Tutta digitale, si acquista in un attimo e ti arriva subito via mail. In più regali un futuro al museo Egizio”. Il programma membership You&ME è un viaggio lungo un anno al cuore del museo Egizio. Ogni mese, la newsletter dedicata ai member propone approfondimenti inediti sui progetti di ricerca e racconti sul dietro le quinte del Museo; le attività esclusive – online o in presenza – offrono l’opportunità di conoscere da vicino le persone e i progetti che animano il Museo e lo rendono un luogo vivo. In più, ai member sono riservati vantaggi dedicati: ingressi gratuiti illimitati, scontistiche riservate al Museumshop e in eventi istituzionali come le Passeggiate del Direttore”. Regalando la membership si riceve la mail di attivazione da inoltrare al destinatario del tuo dono. Si può inviare quando e come si vuole: non c’è limite di tempo per attivare la card. Ecco alcuni testimonial della card Membership You&ME, a cominciare dal direttore Christian Greco.
“Ricerca al museo Egizio ci manda subito alla memoria l’idea di andare sul campo”, spiega Greco, “di fare una scoperta archeologica, di trovare una tomba intatta come quella che trovò il 15 febbraio 1906 Schiaparelli. Ricerca è anche il momento in cui lo studioso si ferma, si interroga sulla biografia degli oggetti, e la ricerca è anche la ricerca che noi operiamo nei vostri confronti. La voglia di trovarvi, di condividere con voi, di farvi entrare nelle nostre sale e la scoperta da parte vostra di cosa sia un museo. Un museo non è costituito dagli oggetti all’interno delle proprie vetrine. Un museo è fatto da donne e uomini che ogni giorno grazie a voi e insieme a voi si interrogano sul valore del nostro passato e cercano di ricostruirlo. La passione è ciò che anima tutti noi che ci fa venire in museo al mattino e ci dà la voglia di studiare, la passione è la passione di accogliervi ogni giorno in museo, la passione è quella di condividere con noi quanto scopriamo e quanto sappiamo. La passione, in poche parole, è quella di ricostruire il passato, di ricostruire l’Antico Egitto per capire chi siamo noi oggi. E questa passione grazie alla Membership la vogliamo condividere con voi. Ricerca scoperta e passione: è ciò che tutti voi adesso potete regalare grazie alla Membership. E assieme a noi ci affiancherete ogni giorno, assieme a noi vedrete e scoprirete gli oggetti, assieme a noi potrete tuffarvi negli archivi, in biblioteca, scoprire la storia degli oggetti, scoprire il loro uso e riuso, il momento in cui sono venuti alla luce, il momento in cui un egittologo qui a Torino è riuscito a mettere insieme le fila e a riscoprire un passato che sembrava lontano e dimenticato”.
Luca, member under 26. “Sono uno studente fuori sede, e appena mi sono trasferito qui a Torino ho cercato subito delle buone opportunità per conoscere nuovi posti, nuove persone, e la Membership mi è sembrata subito un’ottima occasione per vedere nuovi posti e conoscere nuova gente. Io qui al museo Egizio ero già stato con la famiglia da bambino, anche perché mio padre è innamorato di questo museo. Le attività che mi sono piaciute di più sono state sicuramente il giro sui ponteggi del museo Egizio, tra l’altro Torino dall’alto è bellissima. L’altro evento che mi è piaciuto un sacco è stato quello fatto on line in cui un curatore e un esperto di strumenti musicali antichi hanno suonato per noi la musica dell’Antico Egitto. Poi per me che sono un appassionato di musica è stato un qualcosa di magico. Quando sono arrivato qui a Torino non conoscevo per niente la città ma, grazie anche alla membership, ho imparato a conoscerla un pochino meglio e adesso ogni volta che ospito qualcuno mi piace fare gli onori di casa, e adesso sono io a raccontare a mio padre gli aneddoti sull’Antico Egitto. Pensandoci bene la membership potrebbe essere un ottimo regalo da fare a papà, cosicché possiamo condividere nuovi momenti insieme online, e magari avere qualcos’altro di cui parlare e da condividere insieme”.
Giordana, membership supporter. “Ho visitato il museo Egizio la prima volta da bambina, alle elementari, e sono rimasta subito affascinata da questa civiltà. Ho visitato poi il museo negli anni successivi fino a quando, qualche anno fa, ho deciso che avrei voluto approfondire questa conoscenza. Quando ho visto la possibilità di aderire al programma di membership mi sono buttata quasi ad occhi chiusi e ho detto a me stessa che avrei voluto partecipare. Ho cercato di partecipare a tutti gli eventi, sia on line sia in presenza, perché sono tutti molto interessanti e mi hanno dato la possibilità di conoscere le varie professionalità. Infatti sono stata in contatto con archeologi, restauratori, ricercatori e ho potuto imparare molto del loro mestiere. Ho scoperto anche il dietro le quinte della ricerca sulle mummie e imparato nozioni e curiosità sul restauro dei papiri. È molto bello per noi non addetti ai lavori poter avere informazioni da parte degli studiosi, poter dialogare con loro e accedere a un dietro le quinte così prezioso. Ed è per questo che mi piace molto l’idea di supportare il loro lavoro perché è in po’ come essere lì mentre portano avanti la ricerca sulla collezione”.
Giacomo, member Under 14. “Da quando i miei genitori mi hanno regalato la membership del museo Egizio, mi sono iscritto a tantissimi workshop interessanti. Il mio preferito, per ora, è stato “La flora dell’Antico Egitto”, dove ho scoperto come coltivare le piante che hanno trovato nelle tombe dei faraoni egizi. Non sapevo che usassero addirittura il basilico! Però per loro sfortuna… non avevano la pasta al pesto. Io vorrei proporre al museo Egizio di fare un’attività su come scrivere il proprio nome con i geroglifici, oppure scavare nella sabbia come fanno i veri archeologi. Da quando i miei genitori mi hanno regalato la tessera dei member Under 14 ricevo sempre la newsletter con tante curiosità. Per esempio, ora non sbendano più le mummie, perché sono troppo fragili, anche se sappiamo che ci sono degli amuleti e dei gioielli d’oro. Massiccio”.
Carlotta, member friend. “Sono entrata per la prima volta al museo Egizio circa un anno e mezzo fa, quando mi sono trasferita a Torino. Da quando ho la membership ho visitato spazi del museo Egizio solitamente non visitabili, come l’Archivio fotografico e ho potuto scoprire che alcuni luoghi del museo Egizio sono veri e propri luoghi di ricerca. Per una persona come me che coltiva un forte interesse per lo studio delle lingue e delle culture, avere accesso grazie alla membership a dei libri per l’apprendimento dei geroglifici mi ha aperto un mondo che non conoscevo e che mi ha subito incuriosito. Mi hanno colpito maggiormente le lettere di Butehamon e del padre, quest’ultimo che, preoccupato per il figlio, gli chiede di scrivere più spesso. Ora, che nell’antichità si ponessero le stesse domande esistenziali che ci poniamo noi oggi è risaputo. Ma quello che mi sorprende ogni volta è leggere conversazioni avvenute millenni fa e trovarle così vicine al quotidiano, trovare in questa corrispondenza parole che potrebbero ritrovarsi in messaggi inviati oggi. Se dovessi descrivere la membership con una parola userei scoperta, scoperta dei reperti contenuti nel museo, scoperta di quello che fanno le persone che qui lavorano e scoperta del dietro le quinte del museo Egizio”.
Poco meno di un mese per il grande evento che in Basilica Palladiana a Vicenza chiude il ciclo “Grandi mostre in Basilica”: parliamo della mostra “I creatori dell’Egitto eterno. Scribi, artigiani e operai al servizio del faraone”, dal 22 dicembre 2022 al 7 maggio 2023. Curata dal direttore del museo Egizio di Torino Christian Greco, da Corinna Rossi, professore associato di Egittologia al Politecnico di Milano, da Cédric Gobeil e Paolo Marini, egittologi e curatori dell’Egizio, la mostra restituisce uno spaccato della vita quotidiana nell’antico Egitto, con un focus particolare su Tebe, l’odierna Luxor, e Deir el-Medina, il villaggio, fondato intorno al 1500 a.C., dove scribi, disegnatori e artigiani lavoravano per costruire e decorare le tombe dei faraoni nelle Valli dei Re e delle Regine, plasmando l’immaginario dell’antica civiltà nata sulle rive del Nilo.
La Basilica Palladiana nel cuore di Vicenza, capolavoro di Andrea Palladio, sede della mostra “I creatori dell’Egitto Eterno” (foto comune di vicenza)
Il progetto “Grandi Mostre in Basilica” è ideato e promosso dal Comune di Vicenza e dal museo Egizio, con il patrocinio della Regione Veneto e della Provincia di Vicenza, in collaborazione con il Centro Internazionale di Studi di Architettura “Andrea Palladio” e la Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza. La promozione e l’organizzazione sono curate da Marsilio Arte, che ne pubblica il catalogo. Tra i partner dell’esposizione Intesa Sanpaolo e Gallerie d’Italia – Vicenza, Fondazione Giuseppe Roi, AGSM AIM, Confindustria Vicenza, LD72, Beltrame Group ed Euphidra.
La presentazione della mostra “I creatori dell’Egitto Eterno” al museo Egizio di Torino: da sinistra, il sindaco Francesco Rucco, l’assessore Simona Siotto, il direttore delle Gallerie d’Italia Michele Coppola, e il direttore dell’Egizio Christian Greco (foto graziano tavan)
I protagonisti scientifici e politici della mostra “I creatori dell’Egitto eterno. Scribi, artigiani e operai al servizio del faraone” si sono ritrovati al museo Egizio di Torino a quattro settimane dal taglio del nastro per la presentazione ufficiale davanti a un nutrito gruppo della stampa specializzata e a egittologi, ricercatori e restauratori convenuti per conoscere in anteprima il grande evento culturale che ha convolto in prima linea tutto lo staff tecnico-scientifico del museo Egizio con la collaborazione del museo del Louvre di Parigi.
Stele dedicata da Smen, al fratello Mekhimontu e a sua moglie Nubemusekhet (Nuovo Regno, XVIII dinastia) da Deir el Medina, conservata al museo Egizio di Torino (foto museo egizio)
L’esposizione riunisce infatti più di 180 oggetti: oltre ai reperti dell’Egizio, ci sono una ventina di prestiti dal Louvre di Parigi. In esposizione capolavori della statuaria, sarcofagi, papiri, bassorilievi, stele scolpite e dipinte, anfore e amuleti. Molti i tesori che verranno svelati in occasione dell’esposizione, tra cui il sarcofago antropoide di Khonsuirdis e il celebre corredo della regina Nefertari, che torna in Italia, a Vicenza, dopo diversi anni di tour all’estero. Installazioni multimediali e riproduzioni in 3D arricchiscono il percorso espositivo: tra le curiosità la storia in 3D del sarcofago dello scriba Butehamon, che restituisce al visitatore quasi una biografia dell’oggetto a partire dalla sua costruzione e l’istallazione multimediale che svela i segreti del Papiro della tomba del faraone Ramesse IV.
“Chiudiamo un ciclo importante”, interviene il sindaco di Vicenza Francesco Rucco, “con una mostra sugli Egizi guidata da Christian Greco il direttore del museo Egizio, che oggi ci ospita per la presentazione. Sarà un bellissimo connubio tra Vicenza città del Palladio e Torino che ospita il museo Egizio. Quindi una collaborazione all’interno del monumento nazionale di Vicenza, una valorizzazione anche del nostro territorio che avrà sicuramente un grande riscontro nazionale”. E continua: “La Basilica palladiana, Monumento nazionale e una delle massime espressioni architettoniche di Andrea Palladio, è il luogo più visitato e ammirato di Vicenza. La mostra sugli Egizi – osserva – chiuderà il ciclo delle tre Grandi mostre, avviato nel 2019, con un evento internazionale che sta già suscitando notevole interesse. La mostra segue l’esposizione “La Fabbrica del Rinascimento” in cui i visitatori hanno potuto approfondire la conoscenza del Cinquecento a Vicenza, periodo di invenzioni che hanno reso la città veneta un territorio dinamico e vivace sotto il profilo economico e culturale. Attraverso reperti dell’antico Egitto, tra cui sarcofagi, statue monumentali e oggetti preziosi, che verranno esposti nel grande salone della Basilica, sarà possibile un confronto tra l’operosità di Vicenza nel Rinascimento e Deir el-Medina, il villaggio egiziano in cui vissero gli artigiani che costruirono e decorarono le tombe reali della Valle dei Re e delle Regine, sulla sponda occidentale del Nilo, di fronte alla capitale Tebe”.
“Questa mostra”, sottolinea Simona Siotto, assessore ala Cultura del Comune di Vicenza, “è innanzitutto un’operazione culturale. Portare 180 pezzi, di cui 170 dal museo Egizio nella Basilica Palladiana che è monumento nazionale, patrimonio mondiale dell’Unesco, non è stato affatto semplice. Il senso però è quello di valorizzare un luogo straordinario, che però è anche piuttosto complesso perché è molto grande, e di renderlo se possibile ancora più bello attraverso una mostra che vuole insegnare qualcosa. Io ci tengo sempre a dirlo: non c’è grande cultura se non c’è una scelta dietro. E queste sono le uniche mostre che mi sento di organizzare. Apriamo il 21 dicembre una mostra che resterà aperta fino al 7 maggio 2023, e che va a investigare su quello che era la quotidianità anche nell’antico Egitto, coloro che in qualche modo hanno creato la prima grande architettura, messa all’interno di una delle opere più belle del più grande architetto del Cinquecento, che ha insegnato che attraverso la bellezza si trasformano le città. Un insegnamento di cui vogliamo essere testimoni ancora oggi”.
“La mostra nasce per rendere omaggio a Vicenza con un progetto culturale che potesse legarsi e sposarsi con quanto si è fatto negli ultimi tre anni in Basilica”, ricorda Christian Greco, “e su quanto può funzionare all’interno del tessuto culturale di Vicenza. Allora, dopo la grande mostra sul Rinascimento, facciamo una mostra che ci parla di coloro che erano i creatori dell’Egitto eterno, ovvero gli operai, gli artigiani, gli artisti che hanno collaborato per creare le tombe e le tombe erano – potremmo definirlo il metaverso – lo spazio in cui il defunto entrava in una nuova dimensione, doveva essere assimilato al dio Sole e viaggiare in un periplo costante attorno alla Terra. Parlare quindi di quale era la concezione teologica della trasformazione che il defunto aveva dopo la fine della vita terrena in quello che gli Egiziani chiamano “la nuova nascita” era fondamentale, però noi lo volevamo fare raccontando la storia delle donne e degli uomini, la storia delle persone che hanno vissuto a Deir el Medina, uno dei pochi insediamenti culturali che noi abbiamo in cui troviamo dei frammenti di vita quotidiana: e a questa prima parte abbiamo dedicato uno spazio espositivo molto importante. E quindi ci racconterà delle vite di creatori dell’Egitto eterno e poi di come la tomba diventasse un elemento di trasformazione del defunto”. E continua: “Si è trattato di un lavoro sugli archivi e sulla materialità degli oggetti. Il tutto per permettere al visitatore di intraprendere un viaggio nella Tebe del Nuovo Regno, di conoscere coloro che lavorarono nelle necropoli reali e comprendere quali fossero gli elementi iconografici e testuali che rendevano la tomba una “casa per l’eternità”, una dimensione nuova dove il sovrano poteva intraprendere il suo viaggio e iniziare la wehem meswt, la sua rinascita”.
“Il tema di questa mostra”, entra nel merito la curatrice Corinna Rossi, “è la creazione dell’Egitto che noi conosciamo, nel senso che gli operai di Deir el Medina che realizzarono le tombe dei faraoni, in realtà realizzarono-materializzarono l’Aldilà degli Egizi, e quindi lo resero luogo, lo decorarono in maniera che questo luogo potesse ospitare il faraone e condurlo alla vita eterna. Ovviamente le tombe dei faraoni erano paradigmatiche, ma a seguire tutte le tombe di nobili e di chi se lo poteva permettere tendevamo a mantenere gli stessi criteri. Questa mostra è dedicata alle persone che hanno realizzato le immagini che fanno parte proprio dello stesso immaginario dell’antico Egitto per noi: tantissimi oggetti dell’Antico Egitto che conosciamo in realtà venivano creati per accompagnare appunto i defunti nell’Aldilà. Quindi è una mostra un po’ a cavallo tra la vita prima della morte e la vita dopo la morte”.
L’assassinio di Giulio Cesare – evento cardinale nella storia della repubblica romana – è stato studiato e analizzato per secoli: la storiografia moderna sembra concordare sul fatto che i tre cesaricidi abbiano agito per impedire il disegno del generale di instaurare la monarchia a Roma attraverso la dittatura a vita, uno strumento assolutamente inedito e che minacciava di sconvolgere l’ordine istituzionale e sociale costituito. Tuttavia, il recente ritrovamento di una tavola su cui è inciso l’elenco delle liste magistratuali del 45-44 a.C., gli anni in cui maturò e si realizzò la congiura, offre nuove notizie omesse dalle fonti di tradizione manoscritta e riapre la discussione: Cesare era infatti stato già nominato dictator perpetuus, ma accanto a lui vi era Lepido, magister equitum perpetuus, fatto rivelatore dell’erronea attribuzione del significato “a vita” all’aggettivo perpetuus. Se Cesare non voleva farsi re, allora cosa cercavano di impedire Gaio Cassio, Marco e Decimo Bruto? E quale fu il vero ruolo di Antonio? Lunedì 14 novembre 2022, alle 18, nella Sala Conferenze del museo Egizio di Torino, il prof. Orazio Licandro (università di Catania), in dialogo con il direttore Christian Greco, parlerà del suo nuovo saggio edito da Baldini + Castoldi “Cesare deve morire. L’enigma delle Idi di marzo”. L’evento è in lingua italiana. Ingresso libero fino ad esaurimento posti. La conferenza sarà trasmessa anche in streaming sulla pagina Facebook e sul canale YouTube del museo Egizio.
Copertina del libro “Cesare deve morire. L’enigma delle Idi di Marzo” di Orazio Licandro
Attraverso un’analisi attenta e dettagliata delle fonti antiche e della storiografia moderna, Orazio Licandro rilegge l’intera vicenda e, scandagliando i fondali oscuri della lotta politica, presta ascolto a un altro grande condottiero, sorta di alter ego di Cesare, ovvero Napoleone: anche lui, infatti, sospettava che ci fosse un’altra ragione dietro l’omicidio di un uomo che, col suo potere e la sua geniale irruenza, avrebbe potuto cambiare il corso della Storia. La sua azione militare, del resto, dopo la conquista esemplare della Gallia, era orientata verso Oriente come a voler ripercorrere le orme di un idolo del passato: Alessandro Magno; come lui, anche Cesare mirava forse a conquistare un vasto impero? Temevano i cesaricidi che tornasse in patria in trionfo, accolto dalla folla come un nuovo sovrano di stampo ellenistico? Partendo da queste domande, e alla luce delle nuove scoperte in campo epigrafico, questo saggio ci offre una rilettura approfondita e innovativa di uno dei più interessanti enigmi dell’antichità, una di quelle vicende sulle quali la Storia e la storiografia non smettono mai di interrogarsi.
Orazio Licandro dell’università di Catania
Orazio Licandro, professore ordinario, insegna Storia delle istituzioni politiche dell’antichità, Papirologia, Paleografia e Storia romana al dipartimento di Scienze umanistiche dell’università di Catania, e Metodologie dello studio del documento antico alla Scuola di Specializzazione in Beni archeologici dello stesso ateneo. Dal 2010 insegna anche Epigrafia e Papirologia giuridica presso il Corso di Alta formazione in Diritto romano della “Sapienza” università di Roma. Ha studiato a Heidelberg e a Monaco di Baviera. È visiting professor alla Zhongnan University of Economics and Law di Wuhan (Cina); e lo è stato nel 2019 all’università di Vigo (Spagna). Sempre in Cina, conduce attività di ricerca scientifica quale componente dello Scientific Commettee di due progetti di ricerca internazionale: a) “Codex Theodosianus”, finanziato dal National Social Science Fund of China; b) “Advocatus in Roman Law”, finanziato dal Ministero della Giustizia della Repubblica Popolare Cinese. Attualmente partecipa al PRIN 2017 dal titolo “La certezza del diritto dal mondo antico alla discussione moderna”, nell’unità di ricerca della “Sapienza” Università di Roma. Dal 2020 è P.I. del progetto Piaceri, finanziato dall’Ateneo catanese, dal titolo “CAR – Carteggio Arangio-Ruiz”, in collaborazione con la Biblioteca Medicea Laurenziana e la Sapienza Università di Roma. È referente del Cooperative Agreement tra la Zhongnan University of Economics and Law (Wuhan, China) e l’Università degli Studi di Catania, attraverso il Dipartimento di Scienze Umanistiche, approvato il 20 Luglio 2020. Dal dicembre 2015 partecipa in qualità di External Expert all’ERC “Scriptores iuris Romani”, Advanced Grant 2014. È membro della Società Italiana di Storia del Diritto, di cui è stato componente del direttivo nazionale con la carica di Tesoriere nel triennio 2016-2019, dell’Accademia Romanistica Costantiniana e dell’Associazione Internazionale di Studi Tardoantichi, dirige collane monografiche e fa parte di numerosi comitati scientifici di riviste internazionali di Classe A. Ha al suo attivo oltre 100 titoli, di cui 16 monografie, che spaziano dal diritto costituzionale alla storia politica romana dall’età arcaica a quella tardoantica, con particolare attenzione alla documentazione papiracea ed epigrafica.
Lunedì 7 novembre 2022, alle 18, il museo Egizio di Torino ospita la conferenza dell’artista contemporanea Sara Sallam, le cui opere sono esposte in museo nella mostra “Attraverso gli occhi di Tutankhamon: prospettive alternative sull’Egittologia” dal 4 novembre 2022 fino al 31 gennaio 2023 (vedi Torino. Al museo Egizio per il centenario della scoperta della tomba del faraone bambino apre la mostra di arte contemporanea “Attraverso gli occhi di Tutankhamon. Prospettive e alternative sull’Egittologia” di Sara Sallam | archeologiavocidalpassato). Intervengono: Paolo Del Vesco, curatore del museo Egizio; Christian Greco, direttore del museo Egizio; Sara Sallam, artista. L’evento si tiene in Sala Conferenze con ingresso libero fino a esaurimento posti. Conferenza in lingua inglese. L’evento sarà trasmesso anche in streaming sulla pagina Facebook e sul canale YouTube del Museo. Sara Sallam è un’artista egiziana, stabilitasi nei Paesi Bassi, che lavora con la fotografia, i filmati e la scrittura, a volte anche riappropriandosi di materiale d’archivio e pubblicando in proprio libri confezionati a mano. Attraverso il suo lavoro Sallam riflette sugli aspetti coloniali insiti nel turismo, nell’archeologia, nelle pratiche museali e negli archivi fotografici. In questa conferenza presenta la mostra realizzata al museo Egizio e altri suoi lavori, nei quali viene rivolta una critica anticoloniale all’archeologia, all’egittologia e alle collezioni museali. Tutti i progetti di Sara Sallam invitano, con modalità diverse, a un radicale cambio di paradigma e a una drastica trasformazione del proprio punto di vista. I suoi lavori sono stati esposti in mostre internazionali e figurano in collezioni private in Australia, Belgio e Svizzera.
È online sul sito del museo Egizio di Torino il nuovo programma di conferenze scientifiche per la stagione 2022/2023: un ricco calendario di incontri incentrati sui temi di ricerca e di indagine egittologica e museale con protagonisti il dipartimento Collezione e Ricerca del museo Egizio e studiosi provenienti da università e istituti di ricerca italiani e internazionali. Ad aprire la stagione sarà Federico Poole, curatore del museo Egizio, il 20 ottobre 2022, con la conferenza “Statuette funerarie transgender: un problema epistemologico” per analizzare le differenze fra l’arte egiziana e quella tradizionale dell’Occidente, e affrontare il nodo della complessa figura dell’ushabti. Alcuni degli argomenti proposti dal dipartimento Collezione e Ricerca del museo Egizio sono approfondimenti sulla cultura materiale, sui contesti archeologici di provenienza dei reperti e sulla società egizia, fino ai più recenti progetti espositivi realizzati come “Cortile Aperto. Flora dell’antico Egitto”. Grazie alla preziosa collaborazione con l’associazione ACME (Amici e Collaboratori del Museo Egizio), il pubblico potrà ascoltare le ultime novità nell’ambito della ricerca egittologica direttamente dalla voce di studiosi provenienti da università e istituti di ricerca italiani e internazionali. Tra i protagonisti il direttore del museo Egizio Christian Greco che parlerà della scoperta della tomba di Tutankhamon, l’egittologa Rita Lucarelli (University of California, Berkeley) che approfondirà il rapporto tra antico Egitto e l’Afrofuturismo, e Luigi Prada, assistant professor all’università di Uppsala e presidente dell’associazione ACME che terrà un intervento dal titolo “Quando l’antico torna di moda: Geroglifici per papi, re, e principi nell’Ottocento europeo”. Il programma di incontri è realizzato in collaborazione con il dipartimento di Studi storici dell’università di Torino. Tutti gli appuntamenti si terranno in presenza, in sala Conferenze, con ingresso gratuito fino ad esaurimento posti. Per gli incontri in lingua inglese, sarà disponibile il servizio di traduzione simultanea per il pubblico in sala. Tutti gli appuntamenti verranno anche trasmessi in diretta streaming sulla pagina Facebook e sul canale YouTube del Museo Egizio.
Ad aprire la stagione ’22-’23 sarà dunque Federico Poole, curatore del museo Egizio, il 20 ottobre 2022, alle 18, con la conferenza “Statuette funerarie transgender: un problema epistemologico” per analizzare le differenze fra l’arte egiziana e quella tradizionale dell’Occidente, e affrontare il nodo della complessa figura dell’ushabti. Introduce: Alessia Fassone, curatrice museo Egizio. Ingresso libero fino a esaurimento posti. La conferenza sarà trasmessa anche in streaming sulla pagina Facebook e sul canale YouTube del Museo. A partire dal periodo ramesside, i defunti di sesso femminile sono talvolta accompagnati nella tomba da statuette funerarie (“ushabti”) chiaramente caratterizzate come maschili dal loro abbigliamento. Questo fenomeno ci lancia una sfida interpretativa: le statuette sono infatti normalmente immagini del defunto, e conosciamo vari esemplari per donne che recano infatti parrucche femminili. Il tentativo di spiegare l’apparizione degli ushabti “trans” ci porterà, da un lato, al cuore del problema epistemologico della differenza fra l’arte egiziana e quella tradizionale dell’Occidente, dall’altro, ad affrontare il complesso nodo della natura dell’ushabti, al contempo immagine del defunto e suo servitore.
Il 27 settembre 2022 è una data importante per l’egittologia. Si celebra infatti il bicentenario della decifrazione dei geroglifici, ad opera di Jean-François Champollion, considerato il padre dell’Egittologia. Ecco perché il Museo Egizio sarà aperto gratuitamente al pubblico dalle 19 alle 22 con prenotazione online obbligatoria a questo link: INGRESSO – Champollion e la decifrazione dei geroglifici – Museo Egizio (museitorino.it) Card e Abbonamento Musei non sono validi. I visitatori potranno ammirare il Papiro dei Re, che ritorna in esposizione in museo in un nuovo allestimento dopo essere stato sottoposto ad un’opera di ricerca e restauro. Al manoscritto composto da centinaia di frammenti, che Champollion fu tra i primi a studiare, quando giunse a Torino nel 1824, sarà dedicata temporaneamente una nuova saletta del Museo. Strumenti multimediali e infografiche ne riveleranno la storia, gli studi e l’opera di restauro, frutto di una collaborazione tra il Museo Egizio, l’università di Copenaghen e l’Ägyptisches Museum und Papyrussammlung der Stattlichen Museen zu Berlin.
Alle 18 in Sala Conferenze i visitatori potranno incontrare coloro che hanno dato nuova vita al Papiro dei Re, uno dei manoscritti più importanti dell’antico Egitto. Si terrà infatti “History Content and Restoration of the so-called Turin King List”, una conferenza dedicata al progetto scientifico e alle fasi del restauro del Papiro dei Re. La conferenza sarà introdotta dal direttore del museo Egizio, Christian Greco, seguiranno gli interventi di Susanne Töpfer, responsabile della Collezione Papiri del museo Egizio; Myriam Krutzsch, restauratrice di papiri, Ägyptisches Museum und Papyrussammlung der Stattlichen Museen zu Berlin che ha restaurato il manoscritto; e Kim Ryholt, egittologo dell’università di Copenhagen, che ha curato il progetto scientifico del restauro. L’evento è gratuito, la conferenza si terrà in inglese con traduzione simultanea in italiano in cuffia per chi lo desidera. Ingresso su prenotazione: https://www.eventbrite.it/e/418600995847. Il posto verrà riservato fino alle 18. La conferenza sarà trasmessa anche in streaming in lingua inglese sulla pagina Facebook e sul canale YouTube del Museo.
Il Papiro dei Re è l’unico vero elenco, oltre al manoscritto di Manetone, che include i nomi di sovrani altrimenti sconosciuti. Fu acquistato dal console B. Drovetti attorno al 1820, e fu visto e descritto per la prima volta da J.F. Champollion nel 1824. Nell’arco di 200 anni, grazie agli sforzi di diversi studiosi, è stato possibile unire la maggior parte dei circa 300 frammenti. L’ultimo restauro risaliva al 1930 ed era stato condotto da H. Ibscher (Berlino) ed E. Caudana (Torino), che avevano riposizionato i frammenti fissandoli con sottili strisce di seta. In occasione del 200° anniversario della decifrazione dei geroglifici, il papiro è stato completamente restaurato nel 2022 da M. Krutzsch (Berlino). Il progetto di restauro ha seguito la nuova ricostruzione elaborata da K. Ryholt (Copenaghen), che negli ultimi anni si è dedicato allo studio del papiro. Ha aggiunto più di venti frammenti che non erano inclusi nelle precedenti edizioni e ne ha riorganizzato molti altri che erano stati collocati in posizioni risultate ora erronee. Grazie alla cooperazione fra Torino – Berlino – Copenaghen è ora possibile presentare al pubblico la cosiddetta “Lista dei Re di Torino” restaurata e riordinata, consentendo così nuovi studi del testo.
Jean François Champollion ritratto da Leon Cogniet nel 1831
Un tour esclusivo. La sera del 27 settembre 2022 i visitatori potranno sperimentare un percorso di visita dedicato alla scrittura egizia dal titolo “Sulle tracce di Champollion”. Tra stele, papiri, statue, sarcofagi e oggetti di uso comune, sotto la guida di un egittologo i visitatori scopriranno il meccanismo alla base della scrittura geroglifica e proveranno a ricercare nelle iscrizioni nomi e formule ricorrenti. Per l’occasione, saranno ricordati i momenti emblematici dell’avventura della decifrazione dei geroglifici a cura di J.F. Champollion e i visitatori avranno la possibilità di ammirare il Papiro dei Re, restaurato. Per prenotare la visita: Visita fissa Sulle tracce di Champollion – Museo Egizio (museitorino.it).
Il direttore del museo Egizio di Torino, Christian Greco (foto museo Egizio)
Quest’anno in un giorno – sabato 13 agosto – tanti visitatori quanto in tutto il weekend di metà agosto di un anno fa. Sono più che raddoppiati gli ingressi al museo Egizio di Torino nel fine settimana di Ferragosto 2022, rispetto all’analogo periodo dell’anno scorso. Da sabato 13 a lunedì 15 agosto 2022 il Museo ha registrato 12051 ingressi, mentre l’anno precedente nei tre giorni a cavallo di Ferragosto si erano registrati 4950 visitatori. Il giorno di maggiore afflusso è stato sabato 13 agosto, con 4491 visitatori. “Si tratta di dati che superano le più rosee aspettative e che ci riportano con la memoria alle affluenze degli anni pre-pandemia. A Ferragosto 2019, il Museo aveva registrato 10925 ingressi nei tre giorni di Ferragosto, con circa 5mila visitatori nel giorno di maggior affluenza. Il lavoro condotto negli anni difficili della pandemia per attrarre nuovi pubblici e divulgare l’archeologia e l’Antico Egitto al di là dei confini nazionali e presso nuovi pubblici inizia a dare i suoi frutti”, hanno commentato la presidente del Museo Egizio, Evelina Christillin, e il direttore, Christian Greco.
Buone, inoltre, le affluenze, con un notevole ritorno di visitatori stranieri, nella prima metà di agosto all’Egizio, superiori anche al periodo pre-Covid: registrati 42336 ingressi nella prima metà del mese, contro i 33mila circa del 2019 e i circa 20mila dell’anno scorso. La novità dell’estate è stata “Cortile Aperto: Flora dell’Antico Egitto”, uno spazio verde sul modello degli antichi giardini egizi, animato la sera, dal giovedì al sabato, da uno spettacolo gratuito di videomapping proiettato dalle 22 alle 24 sulle pareti del Collegio dei Nobili, il palazzo barocco, sede del Museo. Sono stati 3173 gli ingressi registrati tra luglio e la prima metà di agosto. L’iniziativa gratuita è stata recentemente prorogata fino al 17 settembre 2022. Mentre sono iniziati i lavori per la pulitura delle facciate esterne, che avranno termine entro la fine dell’anno.
Graziano Tavan, giornalista professionista, per quasi trent’anni caposervizio de Il Gazzettino di Venezia, per il quale ho curato centinaia di reportage, servizi e approfondimenti per le Pagine della Cultura su archeologia, storia e arte antica, ricerche di università e soprintendenze, mostre. Ho collaborato e/o collaboro con riviste specializzate come Archeologia Viva, Archeo, Pharaos, Veneto Archeologico. Curo l’archeoblog “archeologiavocidalpassato. News, curiosità, ricerche, luoghi, persone e personaggi” (con testi in italiano)
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