Torino. Al museo Egizio due giorni di simposio internazionale per il restauro della Mensa Isiaca, con egittologi, archeologi ed esperti provenienti da tutto il mondo
Si terrà il 17 e il 18 luglio 2023 al museo Egizio di Torino il simposio internazionale “The Mensa Isiaca under review. Technical study and new interpretations”, organizzato dal Museo, in collaborazione col J. Paul Getty Museum e col Getty Conservation Institute. Si tratta di due giornate di studi dedicate alla Mensa Isiaca, che riuniranno a Torino egittologi, archeologi ed esperti provenienti da tutto il mondo. Appuntamento in Sala conferenze, dalle 9 di lunedì 17 alle 18 di martedì 18 luglio, ingresso libero con prenotazione su Eventbrite al link: https://www.eventbrite.it/…/the-mensa-isiaca-under…. Le relazioni saranno in lingua inglese. In occasione del simposio, la Mensa Isiaca torna in esposizione all’Egizio in ipogeo fino al 24 luglio 2023, dopo un’opera di restauro e ricerca internazionale, frutto di una collaborazione tra Torino e Los Angeles. Al simposio internazionale si farà il punto sulle ultime evidenze scientifiche, emerse dall’analisi del reperto: ci saranno studiosi provenienti da prestigiosi atenei, come quelli di Oxford e Cambridge, da musei internazionali come il Louvre. Ad aprire i lavori il 17 luglio 2023 sarà il direttore del museo Egizio, Christian Greco. Interverranno nel corso della due giorni torinese: Susanne Gänsicke (J. Paul Getty Museum), Monica Ganio (Getty Conservation Institute), Arlen Heginbotham (J. Paul Getty Museum, Federico Poole (Museo Egizio), Friedhelm Hoffmann, Benoît Mille (Centre de Recherche et de Restauration des Musées de France), Ford Hallam (Metal Artist, Torquay), John Baines (Oxford University), Zsolt Mráv (Hungarian National Museum), Sophie Descamps-Lequime (Musée du Louvre), Agnese Benzonelli (University of Cambridge), Alessandra Giumlia-Mair (AGM-Archeoanalisi), Marc Pollard, (Oxford University) e Thilo Rehren (The Cyprus Institute). “Il Museo Egizio si conferma crocevia di studi internazionali e di ricerca, un’istituzione in continua evoluzione”, hanno dichiarato la presidente del Museo Egizio, Evelina Christillin e il direttore, Christian Greco. “La collezione del Museo unisce luoghi tra loro lontani, parla diverse lingue, e richiama curatori e studiosi internazionali. Locale e globale si intrecciano in una rete che collega Torino non solo alle sponde del Nilo, ma anche alle principali città internazionali, nel segno della ricerca e dello scambio culturale”.

La Mensa Isiaca nella prima sala del museo Egizio di Torino (foto museo egizio)
La Mensa Isiaca fu realizzata attorno al I secolo d.C. molto probabilmente a Roma, come pala d’altare di un tempio dedicato alla dea Iside, nei pressi del Campo Marzio. La sua scoperta suscitò scalpore e in passato diede il via a diversi studi, volti all’interpretazione dei suoi segni, che più tardi si comprese non essere geroglifici, ma solo motivi ornamentali e privi di significato. Tra i primi ad aver studiato la Mensa compare il gesuita Athanasius Kircher, studioso, collezionista e inventore, interessato ai geroglifici egiziani e alla loro decifrazione. La Mensa Isiaca è una tavola d’altare in bronzo decorata con intarsi di fili e foglie in oro, argento, rame, zinco, stagno e niello, con il piano e i bordi interamente ricoperti da figurazioni e segni incisi ispirati a temi egizi, con al centro la figura della dea Iside in trono. Di questa straordinaria opera si hanno le prime notizie nel 1527, quando entrò in possesso del cardinale Pietro Bembo, da qui il nome di “Tavola Bembina” con cui è anche nota. Nel 1592 la tavola fu venduta dal figlio di Bembo al duca Vincenzo Gonzaga. Entrata nella collezione del Duca di Savoia, la Mensa fu trasferita in Francia, dopo l’occupazione italiana da parte di Napoleone nel 1797 e fu esposta alla Bibliothèque National nel 1809. Nel 1832 entrò a far parte della collezione del Museo Egizio.

Una fase dei restauri della Mensa isiaca al rientro da Losa Angeles (foto museo egizio)
Nel 2018, la Mensa è stata esposta al J. Paul Getty Museum nell’ambito della mostra “Oltre il Nilo: l’Egitto e il mondo classico”, che approfondiva le interazioni e le influenze interculturali tra Egitto e altre parti del Mediterraneo antico. Recentemente, proprio grazie alla collaborazione tra il Museo Egizio, il J. Paul Getty Museum e il Getty Conservation Institute, un gruppo di conservatori e di scienziati, alla luce delle nuove tecnologie, hanno sottoposto il reperto a nuove analisi. Il programma di ricerca è stato progettato in modo non invasivo e non lesivo dell’oggetto. Per studiare tutti i dettagli, di cui la Mensa è ricchissima, è stato fatto un approfondito esame con microscopia ottica assistita. L’analisi di dettaglio dei materiali è stata effettuata mediante spettroscopia di fluorescenza a raggi X (XRF), e ha fornito informazioni dettagliate sulla composizione dei diversi metalli e leghe metalliche, mentre la radiografia X ha fornito informazioni sulla struttura generale. Il mese scorso il reperto è stato sottoposto a un restauro prima in Museo e poi al Centro di Conservazione e Restauro della Venaria Reale. È stata svolta un’operazione di conservazione preventiva, con pulitura del reperto.
Roma-Eur. Il museo delle Civiltà cambia pelle e volto: in quattro anni da museo composto da molti musei diventerà un meta-museo che si propone di riflettere criticamente sulle stratificazioni delle collezioni e delle culture rappresentate. Prime aperture in autunno 2022

Piazza Guglielmo Marconi a Roma-Eur dove si affacciano i musei che costituiscono il museo delle Civiltà (foto andrea ricci)
Quattro anni per cambiare il volto e la pelle del museo delle Civiltà a Roma-Eur. Progressivamente spariranno alcuni termini come “orientale” (museo d’Arte orientale o abbinamenti tipo “preistoria” ed “etnografia”. E ci sono già le date per i primi step di questo imponente programma di rinnovamento. Mercoledì 26 ottobre 2022 si inaugura: Preistoria? Storie dall’Antropocene; I due nuovi ingressi metodologici del Museo delle Civiltà; Le sei Research Fellowship del Museo delle Civiltà; Georges Senga. Comment un petit chasseur païen devient prêtre catholique; Istituzione e avvio del gruppo di ricerca connesso allo studio delle collezioni di provenienza coloniale. Mercoledì 30 novembre 2022 si inaugura: Le collezioni di geo-paleontologia e lito-mineralogia dell’ISPRA. Animali, Piante, Rocce, Minerali > Verso un museo multi-specie.

Andrea Viliani, direttore del museo delle Civiltà di Roma Eur (foto Andrea Guermani)
È lo stesso direttore Andrea Viliani a spiegare in una lettera questo articolato progetto-processo di cambiamento. “A partire dall’autunno 2022, e per il prossimo quadriennio, il Museo delle Civiltà avvierà una programmazione basata su un processo di progressiva e radicale revisione che riscriverà, provando a metterle in discussione, la sua storia e la sua ideologia istituzionale, a partire dalle sue metodologie di ricerca e pedagogiche”, spiega il direttore Andrea Viliani. “La straordinaria articolazione e stratificazione delle opere e dei documenti che il museo conserva – dalla preistoria alla paleontologia, dalle arti e culture extraeuropee alle testimonianze della storia coloniale italiana, fino alle arti e tradizioni popolari italiane – è basata sulla coesistenza fra differenti origini, che hanno però un ricorrente fondamento ideologico nella cultura positivista, classificatoria, eurocentrica e coloniale del XIX e XX secolo. L’urgenza posta dalla tipologia delle sue collezioni, e la necessità di affrontare un rinnovamento dei suoi statuti – continua -, sono le ragioni principali che richiedono al museo delle Civiltà di assumersi e attuare, oggi, una riflessione sistemica sulle sue identità e sulle sue funzioni, interrogandosi se e come possa operare un museo antropologico contemporaneo. Il programma 2022 e del prossimo quadriennio sarà dedicato all’avvio di questa riflessione, volta a ripensare e riattivare il museo come spazio-tempo discorsivo, critico e autocritico: basandosi su progetti di ricerca di lungo periodo, il programma riguarderà principalmente il ripensamento e riallestimento delle collezioni e degli archivi museali e la ridefinizione dei criteri di studio, catalogazione, esposizione e condivisione del sapere che il museo esprime”.

Allestimento delle collezioni etnografiche del Museo “Luigi Pigorini” negli anni ‘70 a Roma Eur (foto muciv)
Conosciuto da molti ancora come “Il Pigorini” – dal nome del suo primo direttore, l’archeologo Luigi Pigorini che, nel 1876, inaugurò il regio museo nazionale Preistorico-Etnografico presso il Collegio Romano – il museo delle Civiltà di Roma è dal 2016 un museo dotato di autonomia speciale. Le collezioni sono composte da circa 2 milioni fra opere e documenti, distribuiti su circa 80mila mq di sale espositive e depositi. Il museo delle Civiltà (termine non a caso declinato al plurale) è quindi innanzitutto un museo “di musei” e “sui musei” in cui sono confluite, dalla seconda metà del XIX secolo ad oggi, le collezioni di diverse istituzioni, riunite nella seconda metà del XX secolo presso l’attuale sede del museo, il Palazzo delle Scienze e il Palazzo delle Tradizioni Popolari, entrambi edificati per l’Esposizione Universale di Roma (EUR) del 1942.

Presentazione del programma 2022 del museo delle Civiltà 2022 con il direttore Andrea Viliani e il direttore generale musei Massimo Osanna (foto muciv)
Nel contesto più generale del “Grande Progetto Museo delle Civiltà” sostenuto dal ministero della Cultura, il museo delle Civiltà darà avvio a numerosi cantieri, non solo allestitivi ma anche metodologici, che porteranno gradualmente alla riapertura di tutte le sezioni del museo – molte delle quali non ancora pienamente operative o chiuse da decenni – ma anche alla contestuale e compartecipata discussione sull’opportunità di una loro riapertura, almeno secondo gli usuali formati museali. Al termine di questo processo il museo delle Civiltà non sarà più suddiviso e frammentato in singole istituzioni museali indipendenti, ma unito e congiunto in nuclei collezionistici e archivistici fra loro interdipendenti. In questa fase di cambiamento sarà inoltre analizzato, per essere anche dismesso, l’utilizzo di alcuni termini, come quello di “orientale”, o di alcuni abbinamenti, come quello fra “preistoria” ed “etnografia”, così come saranno messe in relazione le collezioni e le istanze più urgenti e radicali espresse dalla contemporaneità. Ciò al fine di connettere le fonti storico-critiche conservate nel museo, spesso non accessibili al pubblico più vasto, ed elementi a cui è imprescindibile riportarle, quali, fra altri, i fenomeni connessi alla crisi climatica e la possibile fine del cosiddetto Antropocene, la disuguaglianza di accesso alle risorse, sia materiali che immateriali, o, ancora, gli articolati processi di de-colonizzazione delle infrastrutture istituzionali. In base a queste premesse, il programma 2022 del museo delle Civiltà di Roma, così come le linee programmatiche per il prossimo quadriennio, intendono incarnare e condividere la consapevolezza di non poter più dare per scontata l’esistenza stessa di un museo come questo, se non attraverso una sua progressiva e radicale revisione.

Fibula prenestina in oro (VII sec. a.C.) con iscrizione in latino arcaico scritta da destra a sinistra, proveniente da Palestrina (Roma) e conservata al museo Pigorini (foto muciv)
“Come sta emergendo da una molteplicità di ricerche teoriche e di pratiche artistiche e intellettuali, sia a livello nazionale che internazionale”, spiega ancora Viliani, “i musei antropologici stanno diventando un caso di studio nella museologia contemporanea, in quanto hanno separato e classificato in modo disuguale intere culture attraverso l’invenzione di categorie come quelle del “primitivo” e dell’“alterità”, funzionali alle narrazioni eurocentriche, divenendo produttori di conoscenze escludenti e fuorvianti. Per non essere un museo “tossico” – in cui la violenza che alcuni membri del pubblico non percepiscono è, invece, chiaramente percepibile e quindi percepita, da parte di alcuni membri di quello stesso pubblico – il museo antropologico contemporaneo può provare a: porre al centro della sua azione un accesso libero, esteso e gratuito ai suoi archivi e un sostegno plurale a quelle ricerche e pratiche che riscrivano la biografia di ogni singola opera e di ogni singolo documento, a partire dalla ricostruzione rigorosa delle provenienze; rinunciare a una politica delle “buone intenzioni”, ovvero a progetti che non affrontano e decostruiscono le storie e le dinamiche su cui le collezioni del museo sono fondate, e che esprimono per questo un atteggiamento unilaterale, e quindi ancora coloniale, che non fa altro che perpetuare una storia e una dinamica di rimozione; distinguere fra le opzioni a cui si richiamano i differenti termini e ambiti di azione “post-coloniale”, “de-coloniale” e “anti-coloniale”; connettere ricerca e pedagogia per accogliere e declinare su questa base una posizionalità, intersezionalità e pluriversalità consapevoli, in cui prendere posizione senza temere i rischi che ciò potrebbe comportare nella trasformazione del museo”.

Plastico storico del Monte Vesuvio dopo l’eruzione del 1906 di Amedeo Aureli in scala: 1: 25.000 (Collezione ISPRA / foto muciv)
“Anche se il museo delle Civiltà già esiste da un secolo e mezzo, quindi, seppur con nomi diversi, è necessario concepirlo come ancora in formazione – sottolinea il direttore -, smettendo di considerarlo quale custode di risposte per iniziare a immaginarlo come un catalizzatore di nuove domande, magari sostituendo il concetto di “patrimonio culturale” (che insiste sul principio esclusivo della proprietà) con la pratica di quello che potremmo definire “matrimonio culturale”: ovvero una serie di azioni interconnesse e inclusive che prevedono pratiche di cura, assunzione di responsabilità, condivisione e restituzione. Per questo il programma proposto interpreta il museo delle Civiltà non come l’istituzione autorevole con cui in genere identifichiamo il “museo”, ma come: centro di ricerca in corso affidato a soggetti, sia interni che esterni al museo, in grado di svolgervi una sperimentazione inter-disciplinare (fra ricercatori universitari, artisti, scrittori, musicisti, chef, attivisti e altre figure di riflessione e produzione del sapere); cantiere epistemico e sociale in contatto permanente con le comunità locali e internazionali; osservatorio/laboratorio istituzionale e procedurale davvero plurale, più di ogni altro museo “specializzato”. Infine, se da un lato possiamo reagire alle collezioni riunite nel museo delle Civiltà interpretandole come espressione della modernità europea costruita sulla creazione sistematica di alterità – intesa come polarità contrapposta alle nuove identità nazionali europee, da cui anche il parallelismo fra culture extraeuropee e preistoria, entrambe intese come qualcosa di “primitivo” –, dall’altro il museo delle Civiltà può ripensarsi anche come l’erede di un’idea pre-moderna di museo, ovvero precedente alla suddivisione da cui originarono i musei moderni con la loro distinzione fra ambiti scientifici e umanistici o fra arte e antropologia. Un suo nucleo fondativo origina infatti dall’eterogenea raccolta del gesuita Athanasius Kircher al Collegio Romano: proprio il museo Kircheriano – ancor più del regio museo nazionale Preistorico-Etnografico con cui si identifica la genesi storica dell’attuale istituzione – può rappresentare una matrice istituzionale su cui, seppur anch’essa problematica, tornare a riflettere per ricomporre quelle fratture disciplinari e normative che le violenze innescate dalla modernità hanno rivelato come limitanti e rischiose, a fronte dello sviluppo di un sapere contemporaneo che tende a formularsi nuovamente all’incontro fra differenti discipline e dalla ridiscussione delle categorie dominanti, per far convivere e collaborare differenti forme di pensiero e sensibilità”.

Ingresso del salone d’onore del Palazzo delle Arti e Tradizioni Popolari a Roma Eur (foto Francesca Montuori)
Il museo delle Civiltà di Roma – da museo composto da molti musei, ognuno riflesso di una stratificazione di metodologie museali che rispecchiano le epoche che le hanno generate – diviene quindi anche un meta-museo, ovvero un museo che si propone di riflettere criticamente su queste stratificazioni per contribuire al formarsi di una nuova opinione pubblica sul museo stesso e sulle necessità e modalità della sua trasformazione. “In sintesi la visione espressa dal programma proposto – per cui desidero ringraziare le sue co-autrici e co-autori, che vi hanno messo in comune le loro ricerche e progettualità – articola la necessità di indagare le potenzialità e i limiti, la porosità e trasformatività del concetto stesso di civiltà, e quindi di un museo ad esse dedicato. Le “Civiltà” a cui il museo delle Civiltà è dedicato sono, per essere realmente tali, plurali, policentriche e intersezionali, non solo storiche ma anche potenziali, in divenire o ancora da realizzare. Attraverso la riapertura delle narrazioni sul passato – conclude -, le azioni da intraprendere nel presente e il tentativo di invertire certe previsioni di futuro, che rischia di essere tutt’altro che civile, può forse affermarsi un museo che sia non solo un rassicurante custode istituzionale ma anche un attuatore critico di civiltà, disponibile a diventare un cantiere comunitario in grado di lavorare ritarando ogni giorno i propri strumenti e analizzando giorno per giorno la sua programmazione”.
Egittomania dal Rinascimento al XX secolo: alla biblioteca Braidense di Milano la mostra “Da Brera alle piramidi”. Documenti e curiosità
L’Egitto ancora protagonista a Milano. Dopo la mostra all’università Statale di Milano, ecco una nuova esposizione alla Biblioteca Nazionale Braidense: dal 21 febbraio all’11 aprile, è aperta la mostra “Da Brera alle piramidi”: promossa dalla Biblioteca Nazionale Braidense e dall’università di Milano (Cattedra di Egittologia), con la partecipazione della Pinacoteca di Brera e dell’Archivio Storico Ricordi, ideata e curata rispettivamente per la Biblioteca da Anna Torterolo, esperta d’arte, e da Patrizia Piacentini, professore ordinario di Egittologia, la mostra vuole documentare l’attrazione e l’influenza, esercitata dalla civiltà egiziana sulla cultura italiana dal Rinascimento al XX secolo, sottolineando in particolar modo il gusto per l’Egitto nella storia dei diversi istituti del Palazzo di Brera e a Milano.
Sono esposte, dalle collezioni della Braidense, le tavole del Polifilo, realizzate alla fine del Quattrocento, con raffigurazioni di ispirazione egiziana riprese dai primi studi archeologici nella Roma rinascimentale, le interpretazioni dei geroglifici pubblicate nell’Horapollus, stampate come il Polifilo da Manuzio all’inizio del XVI secolo, gli Emblemi del milanese Alciato, ideati nei primi decenni del Cinquecento ad imitazione dei geroglifici, cercando di ricreare un linguaggio figurato universale. La mostra presenta anche raffigurazioni di obelischi e piramidi utilizzati nelle architetture effimere commissionate dalla città di Milano al professore di retorica del Collegio gesuita di Brera, Emanuele Tesauro, nei primi decenni del Seicento, e le famose illustrazioni dagli studi sui misteri egiziani di Athanasius Kircher, autore di un nuovo tentativo di interpretazione della scrittura geroglifica, conosciuti attraverso le missioni orientali gesuite.
Accanto alle rarità bibliografiche, la mostra propone i bozzetti per la prima scaligera dell’Aida dell’Archivio Storico Ricordi ed alcune rare curiosità: un papiro, già parte delle raccolte di Brera, ora conservato nelle collezioni civiche di Milano e una statua cubo che appartenne al pittore e direttore dell’accademia Giuseppe Bossi, una coppia di sfingi del XVIII secolo oggi di proprietà privata, provenienti da un antico giardino siciliano e divertenti, immaginifici oggetti di gusto egizio, creati all’inizio del Novecento, quando l’egittomania si coniuga con il Deco. Gustose copertine ed illustrazioni di riviste testimoniano della diffusione della “passione-Egitto” nell’universo del romanzo e della letteratura popolare.
Attraverso numerosi materiali d’archivio molti dei quali inediti, conservati all’università di Milano, è dedicato largo spazio alle grandi scoperte archeologiche in Egitto, da quelle effettuate da Mariette sino alla scoperta dalla tomba di Tutankhamon e a quella dei tesori della necropoli regale di Tanis, mettendo in risalto l’impatto che queste ebbero sull’immaginario collettivo dai livelli più alti sino alla sua penetrazione nella letteratura popolare. Arricchiscono il percorso alcune schede nella Pinacoteca di Brera affiancate ad opere di iconografia “egizia” (una per tutte la famosa Predica di S. Marco di Gentile e Giovanni Bellini) o provenienti dall’Egitto (i ritratti del Fayyum della collezione Vitali).
In occasione della mostra sono previste alcune conferenze in Biblioteca Nazionale Braidense, Milano, via Brera 28. Sabato 21 febbraio, alle 10.30, Umberto Eco interviene su “Athanasius Kircher e l’Egitto”. L’incontro è organizzato in collaborazione con l’Aldus Club. Lunedì 23 febbraio, alle 18, alla Mediateca di Santa Teresa in via della Moscova 28 a Milano, Jean-Marcel Humbert parla di “Egittomania: un fenomeno in continua evoluzione.






Commenti recenti