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Napoli. Tre nuovi video per la rubrica “I Gladiatori ti aspettano al Mann” sui social del museo Archeologico nazionale: Paolo Patriota sulla scenografia di Gladiatorimania, Antonio Ernesto Denunzio sulla partnership tra Mann e Intesa Sanpaolo, Caterina Serena Martucci sulle pitture perdute dell’anfiteatro di Pompei

La locandina della mostra “Gladiatori” fino al 6 gennaio 2022 al museo Archeologico nazionale di Napoli

Tre nuovi video della rubrica “I Gladiatori ti aspettano al Mann” proposta sui canali social del museo Archeologico nazionale di Napoli per illustrare la mostra “Gladiatori” aperta nel Salone della Meridiana e “Gladiatorimania” nel Braccio nuovo fino al 6 gennaio 2022.

Nel nono appuntamento lo scenografo Paolo Pariota spiega come si costruisce e progetta la scenografia della sezione “Gladiatorimania”. “Tutto l’allestimento scenografico”, ricorda Pariota, “nasce da un attento ragionamento sviluppato a seguito di uno studio dei materiali dei set cinematografici sul tema del mondo romano. La scenografia inizia con due grandi portali posti all’ingresso fino a proseguire all’interno del cavedio dove sono ricreati oggetti utilizzati dai gladiatori durante i loro allenamenti. La scenografia all’entrata è realizzata totalmente in legno, e rappresenta una sorta di entrata in un anfiteatro, con mattoni e travertino: una sorta di arco a tutto sesto e una grata che rende la scenografia ancora più reale. Per la scenografia nel cavedio, è importante ricordare che tutti i gladiatori venivano sottoposti a un intenso e duro allenamento quotidiano utilizzando delle sagome di altezza naturale oppure delle armi fittizie. E venivano introdotti gradualmente all’arte della lotta fino poi a raggiungere un livello professionale che doveva adattarsi allo spettacolo. Pertanto la scenografia del cavedio è quella di andare a ricreare questo momento attraverso la riproduzione di questi oggetti: c’è la sabbia sul pavimento che serviva ad attutire la caduta e soprattutto ad assorbire il sangue dei gladiatori durante il combattimento. Ci sono due pali di allenamento e la botola che serviva come fuoriuscita degli animali durante la lotta. E infine dei contenitori con dei “gladio” fittizi, dei “gladio” in legno, usati durante l’allenamento per evitare un’eventuale ribellione da parte dei gladiatori. Spero che tutto l’allestimento riesca a catturare il pubblico e soprattutto a far rivivere i momenti di pathos e di antagonismo che avvenivano tra i gladiatori durante i loro combattimenti”.

Nel decimo appuntamento Antonio Ernesto Denunzio, vicedirettore Gallerie d’Italia – Palazzo Zevallos Stigliano di Napoli, illustra le caratteristiche della partnership con Intesa Sanpaolo: insieme per promuovere il nostro patrimonio culturale. “La partecipazione di Intesa Sanpaolo a questa preziosa importante iniziativa”, sottolinea Denunzio, “rientra in un rapporto di collaborazione più ampio che abbiamo già da diversi anni con il museo Archeologico nazionale di Napoli. E che ruota all’intorno a due argomenti fondamentali: innanzitutto la presenza nelle collezioni di Intesa Sanpaolo di una raccolta di oltre 500 reperti di vasi attici e magnogreci provenienti per la gran parte da Ruvo di Puglia. Questa circostanza ha consentito una serie di iniziative realizzate in collaborazione con il Mann, non solo iniziative di carattere espositivo ma anche momenti di approfondimento di grande rilievo. In particolare ricordo la recente pubblicazione del catalogo dei vasi a figure rosse apuli del Mann sostenuta da Intesa Sanpaolo. C’è poi un altro progetto intorno a cui ruota la collaborazione tra il Mann e Intesa Sanpaolo ed è il progetto Restituzioni, il programma di restauri che la banca dedica al patrimonio nazionale, al patrimonio pubblico. E mi piace ricordare che in occasione della XVI edizione di Restituzioni, nel 2013, a Palazzo Zevallos Stigliano, la sede di Intesa Sanpaolo a Napoli, delle Gallerie d’Italia di Napoli di Intesa Sanpaolo, vennero esposti proprio due porzioni di affresco che rappresentano dei trofei e armi gladiatorie provenienti dal quadriportico del Teatro Grande di Pompei, un luogo dove sappiamo da una serie di graffiti ritrovati proprio su questi affreschi e che nel 2013 vennero restaurati per l’occasione, il luogo dove i gladiatori erano soliti allenarsi e ritrovarsi. Ed è un compendio veramente di tutte le armi gladiatorie che troviamo impilate su queste aste verticali – scudi, spiedi, tridenti, elmi – veramente tutti gli accessori che erano soliti utilizzare i gladiatori nei loro combattimenti”.

Nell’undicesimo appuntamento Caterina Serena Martucci, dell’Ufficio Comunicazione del Museo, presenta un focus sulle pitture ormai perdute dell’Anfiteatro di Pompei: in mostra, è possibile ammirare le tempere di Francesco Morelli, uniche testimonianze della bellezza del ciclo pittorico andato distrutto nel 1816. E nell’allestimento, grazie al video di Altair4Multimedia, la tecnologia ci permette di fare un viaggio nel tempo, ammirando gli affreschi dell’Anfiteatro proprio come dovevano essere. “Nei mesi scorsi sui nostri canali social abbiamo atteso l’arrivo dei gladiatori con foto e anticipazioni di curiosità. Oggi”, annuncia Caterina serena Martucci, “vi portiamo in mostra per mostrarvi come dalla documentazione di archivio si possa ricostruire quello che il tempo e l’incuria hanno lasciato perdere. In mostra c’è il modello dell’anfiteatro di Pompei scavato tra il 1813 e il 1815. Tra le altre cose vennero fuori delle meravigliose pitture che decoravano il parapetto che separava le gradinate degli spettatori dall’arena dove combattevano i gladiatori. Quelle pitture oggi sono perdute. Nel 1816 a causa di atti vandalici e delle gelate le pitture andarono distrutte, ma ci resta la documentazione a tempera eseguita dal pittore Francesco Morelli. E quei disegni sono conservati nell’archivio del Mann. Proprio partendo da questi disegni la curatrice della mostra Valeria Sanpaolo e Altair4Multimedia hanno ricostruito l’ordine esatto delle scene riprodotto in mostra in un’ellisse che ripropone la forma dell’anfiteatro e nel filmato che ricostruisce tridimensionalmente il sito. Ai lati della stretta porta di accesso si riconoscono due reziari con il tridente poi una serie di pannelli con squame bipartite alternate a finti marmi, statue di vittorie, candelabri, sei pannelli di cacce o combattimenti tra animali, e finalmente il grande pannello centrale che riproduce in maniera sintetica, come in presa diretta, come in un fumetto, anche con qualche incongruenza, quella che è la scena di apertura di un munus, cioè dei giochi gladiatori. Riconosciamo al centro l’editor dei giochi, o forse piuttosto l’arbitro, il summa rudis, che ha la bacchetta, il grande corno con cui si dava inizio ai giochi, e un gladiatore con alti schinieri, un altro con lo schiniere basso, la manica di protezione, due attendenti che riparano un elmo, insomma tutto insieme come in un piccolo riassunto la scena che sarebbe di lì a poco cominciata”.

Il ministero per gli Affari esteri con Unesco Italia lancia nel mondo “Archeo3D’Italia”, nuova video-piattaforma on line dedicata ai siti archeologici italiani iscritti dall’UNESCO nella Lista del Patrimonio mondiale dell’Umanità, realizzata con Altair4 Multimedia: mappa interattiva, video e ricostruzioni 3D

altair-multimedia_logoQuattordici siti Unesco, custodi di altrettante eccellenze archeologiche italiane, sono raccontati da Archeo3D’Italia, la nuova video-piattaforma dedicata ai siti archeologici italiani iscritti dall’UNESCO nella Lista del Patrimonio mondiale dell’Umanità, in rapporto con il loro contesto naturale, storico e culturale, promossa dal ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale – Direzione Generale per la Promozione del Sistema Paese, in collaborazione con la Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO attraverso le ambasciate e gli istituti di cultura. La piattaforma è stata realizzata in collaborazione con Altair4 multimedia, realtà realizzata nella ricostruzione 3D di siti dell’antichità: regia, Alessandro Furlan; curatore, prof. Vincent Jolivet; virtual 3D, Pietro Galifi, Stefano Moretti; post produzione, Luigi Giannattasio; raccolta dati scientifici, Maria Grazia Nini.

Una carta storica dell’Italia con i 14 siti archeologici inseriti nella lista Unesco del Patrimonio mondiale dell’Umanità (foto archeo3ditalia)

Attraverso una mappa interattiva e un video documentario, la piattaforma offre al pubblico internazionale la possibilità di scoprire più da vicino: Roma Antica (Fori e Colosseo); Area Vaticana (Circo di Caligola e Antica Basilica di San Pietro); Pompei (Foro e Teatri); Ercolano; Agrigento (Acropoli e Tempio di Zeus); Aquileia (complesso della Basilica patriarcale); Barumini (su Nuraxi); Brescia (Capitolium Romano); Città di Verona (Arena); Necropoli Etrusche di Cerveteri; Villa Adriana di Tivoli; Paestum; Siracusa; Piazza Armerina (Villa Romana del Casale). A ogni luogo sono dedicati videoclip in computer grafica 3D, che mostrano alzati e restituzioni virtuali degli scavi visitati, fruibili in italiano e in inglese. Un modo innovativo e divertente per conoscere l’assetto originario di questi affascinanti luoghi, le diverse fasi della loro evoluzione e le relazioni con il contesto naturale, storico e culturale in cui sono inseriti. Buona visione su  archeo3ditalia.it

italia_siti-unesco_logoUn portale per scoprire i Siti archeologici italiani Patrimonio mondiale Unesco. Le relazioni e gli scambi culturali internazionali sono profondamente radicati nella storia e rappresentano uno degli strumenti principali per favorire il dialogo, la comprensione e la pace tra i popoli. Le testimonianze archeologiche, storiche, artistiche e naturali rappresentano un palinsesto esteso e variegato su scala mondiale, come ben riflesso nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO. L’Italia riconosce grande importanza a questo patrimonio impegnandosi nella sua tutela, conservazione e valorizzazione sia a livello nazionale che globale. Il nostro paese è uno dei principali sostenitori della cooperazione culturale multilaterale e un attivo organizzatore di missioni archeologiche, etnoantropologiche e di conservazione in tutto il mondo contribuendo a un sostanziale miglioramento delle relazioni tra gli Stati.

Il Colosseo nella ricostruzione 3D realizzata da Altair Multimedia (foto altair4)

1980 – Roma Antica (Fori e Colosseo). Il centro storico di Roma è stato riconosciuto, sin dal 1980, Patrimonio Mondiale dell’Unesco. Delimitato dal perimetro delle Mura Aureliane, sovrapposizione di testimonianze di quasi tre millenni, è espressione del patrimonio storico, artistico e culturale del mondo occidentale europeo. Fondata da Romolo nel 753 a.C., secondo la tradizione, e definitivamente caduta come capitale dell’Impero romano nel 476, Roma è nata all’incrocio della strada che collegava le saline costiere con l’interno della penisola, con quella che metteva in relazione l’Etruria con la Campania. Molto presto, sulla riva sinistra del Tevere, si svilupparono luoghi di scambio cosmopoliti. Nel VI sec. a.C., con la dinastia etrusca dei Tarquini, il centro civico della città si struttura intorno al Foro grazie a un’audace opera di bonifica di terreni finora paludosi. La fine delle guerre puniche, nel 146 a.C., porta ad uno sviluppo veloce della città. La potenza della Repubblica viene celebrata dalla costruzione templi, basiliche, archi di trionfo, monumenti commemorativi, in gran parte concentrati nella zona del Foro. Molto presto, la crescita della città rese necessaria la costruzione di nuovi spazi pubblici. Si svilupparono così, durante poco più di due secoli, cinque nuovi fori, quello di Cesare, di Augusto, di Vespasiano, di Domiziano/Nerva e di Traiano, volti ad esaltare la dinastia allora al potere. Fino alla caduta dell’Impero, numerosi imperatori cercarono di attrarsi il favore del popolo romano facendo costruire edifici di spettacolo – circo, stadio, teatro, anfiteatro, odeon… -, monumenti commemorativi – archi, colonne, ninfei… -, nonché grandi complessi termali.

L’antica area del colle Vaticano con l’inserimento del complesso della Basilica di san Pietro nella ricostruzione 3D realizzata dal Altair Multimedia (foto altair4)

1980 – Roma – Area Vaticana (Circo di Caligola e Antica Basilica di San Pietro). Cuore della cristianità cattolica, l’enclave della Città del Vaticano, nel 1980 insieme al centro storico di Roma, è stata inserita nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’Unesco. Sulla riva destra del Tevere, la XIV regione di Roma, Transtiberim, non fece mai veramente parte del centro della città. Nella seconda metà del III sec., il quartiere più vicino all’isola Tiberina fu incluso nel perimetro delle mura di Aureliano, fino alla sommità del Gianicolo, sia per scopi strategici che per proteggere i mulini alimentati dall’acqua dello speco dell’acqua Traiana. Dall’età tardo-repubblicana, questa parte del Trastevere si popolò sempre più densamente di artigiani e di lavoratori del vicino porto, con un’importante componente di stranieri, in particolare ebrei e siriani, che vi celebravano i propri culti. Più a Nord, al di là della porta Settimiana, si estendevano parchi con ricche ville, come quella della Farnesina, forse appartenuta ad Agrippa. La zona del Vaticano, attraversata da strade costeggiate di tombe – tra le quali, alla sua estremità orientale, il mausoleo di Adriano -, era occupata da grandi giardini, tra cui quelli di proprietà di Agrippina e di Domizia, rispettivamente nonna e zia di Nerone. La costruzione della basilica di San Pietro cambiò drasticamente l’uso e la fisionomia di questa regione di Roma.

Il Foro romano e il Campidoglio di Pompei nella ricostruzione 3D realizzata da Altair Multimedia (foto altair4)

1997 – Pompei (Foro e Teatri). Pompei ha origine dal IX secolo a.C. per terminare nel 79 d.C., quando, a seguito dell’eruzione del Vesuvio, viene ricoperta da una coltre di ceneri e lapilli alta circa sei metri. La sua riscoperta e i relativi scavi, iniziati nel 1748, hanno riportato alla luce il sito, che nel 1997 è entrato a far parte della Lista del Patrimonio Mondiale dell’Unesco. Pompei era in origine un sito osco di cui Etruschi e Greci si contesero il controllo, prima di essere conquistato dai Sanniti nell’ultimo quarto del V sec., poi dai Romani all’inizio del III sec., prima di diventare Colonia Cornelia Veneria Pompeianorum nell’80 a.C. Quando fu scossa da un potente terremoto, nel 62 d.C., la città contava circa 25mila abitanti; gli effetti del sisma furono così devastanti che gli edifici e le case non erano ancora completamente ricostruiti quando avvenne l’eruzione del 79 d.C. Per quattro giorni, il vulcano seppellì il sito sotto uno strato di circa tre metri di lapilli e di pietra pomice, il cui peso provocò il crollo delle costruzioni, complicando così considerevolmente il lavoro di quelli che iniziarono subito a saccheggiarne le rovine, e ben più tardi quello degli archeologi stessi. Sono noti, in seguito, due grandi risvegli del vulcano nell’Antichità, nel 203 e nel 472. Il sito costituisce oggi il più completo esempio conservato di una città romana, con i suoi monumenti pubblici, le sue case e le sue ville spesso sfarzosamente decorate, nelle quali sono stati rinvenuti in situ innumerevoli oggetti della vita quotidiana, eccezionalmente conservati.

La terrazza col monumento a Marco Nonio Balbo a Ercolano (foto mae-mic)

1997 – Ercolano. Ercolano (Herculaneum) ha origine dal XII secolo a.C. per terminare nel 79 d.C., quando, a seguito dell’eruzione del Vesuvio, viene ricoperta da una coltre di materiali vulcanici. Gli scavi della città, iniziati nel 1710, hanno riportato alla luce il sito, che è entrato a far parte della Lista del Patrimonio Mondiale dell’Unesco nel 1997. Fondata dagli Oschi o dagli Etruschi, Herculaneum fu successivamente conquistata dai Greci, dai Sanniti, e infine dai Romani, nel 89 a.C., diventando lo stesso anno un municipio, e rapidamente un soggiorno residenziale privilegiato dell’aristocrazia romana. Niente permette oggi di comprendere, in una zona la cui la topografia è stata completamente modificata dalle eruzioni vulcaniche, la fisionomia originaria di questo sito che occupava un promontorio situato sulla strada litoranea, ai piedi del Vesuvio. Già colpita dal terremoto del 62 d.C., la città fu sommersa nel 79 d.C. da una valanga di fango la cui solidificazione ha assicurato la conservazione eccezionale dei materiali deperibili che vi si trovavano: legno, papiro, fibre vegetali ecc. Si pensava, fino ad una data recente, che i suoi abitanti, avvisati meglio rispetto ai loro vicini Pompeiani, avessero lasciato la città prima dell’eruzione del vulcano. Invece, gli scavi realizzati alla fine del XX secolo hanno rivelato la presenza di centinaia di corpi lungo la riva: quegli abitanti che, troppo tardi, avevano cercato di fuggire dalla città, si trovarono di fronte ad un mare in tempesta e perirono asfissiati nei grandi depositi che fiancheggiavano la spiaggia.

Il tempio di Giove nella vale dei Templi ad Agrigento nella ricostruzione 3D realizzata da Altair Multimedia (foto altair4)

1997 – Agrigento (Acropoli e Tempio di Zeus). La Valle dei Templi corrisponde all’antica Akragas, monumentale nucleo originario della città di Agrigento. Dal 1997 l’intera zona è stata inserita nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’Unesco. Il parco archeologico e paesaggistico della Valle dei Templi è uno dei siti archeologici più estesi del Mediterraneo. Fondata nel 582 a.C. da coloni rodi e cretesi della vicina Gela, su un sito già occupato da Greci nel VII sec. a.C., Agrigento (Akragas) fu prevalentemente governata da una successione di tiranni: dopo Falaride, vissuto nella prima metà del VI sec., la cui crudeltà rimase proverbiale, Terone, sotto il quale, alleati ai Siracusani, gli Agrigentini vinsero la battaglia contro i Cartaginesi ad Imera, nel 480, e suo figlio Trasideo il quale, rompendo l’alleanza con Siracusa, portò alla fine della sua dinastia, nel 471 a.C. Nel 406 a.C., un nuovo conflitto con Cartagine si concluse, dopo un lungo assedio, con la presa e la distruzione parziale della città, che ritrovò la sua libertà solo grazie al generale corinzio Timoleonte, nel 340 a.C. Contesa tra Cartaginesi e Romani, Agrigento fu definitivamente conquistata dai Romani nel 210 a.C. Fiorente da questa data, e fino alla caduta dell’Impero romano, la città si spopolò gradualmente fino al VII secolo: si riduceva allora ad un villaggio raggruppato sulla collina di Girgenti (sede della città attuale), che fu conquistato dagli Arabi, nel 829, e successivamente dai Normanni, nel 1086.

Dettaglio dei pavimenti musivi della Villa del Casale a Piazza Armerina (foto mae-mic)

1997 – Piazza Armerina (Villa Romana del Casale). La Villa Romana del Casale a Piazza Armerina, in Sicilia, è l’esempio supremo di villa di lusso romana tardo-imperiale, famosa per la ricchezza e la qualità dei suoi mosaici (IV secolo d.C.), che vengono riconosciuti come i mosaici romani più belli ancora in situ. Dal 1997 fa parte del Patrimonio Mondiale dell’Unesco. Dopo la fine della prima guerra punica, nel 241 a.C., e la conquista di Siracusa, nel 211 a.C. l’insieme della Sicilia, a lungo contesa tra popolazioni autoctone, Greci e Cartaginesi, diventò provincia romana, uno statuto ulteriormente confermato da Diocleziano, nel 284, nel quadro della sua riforma amministrativa delle province. Straordinariamente ricca di fertili terreni agricoli, l’isola, sfruttata dai Romani tramite una rete di immensi latifondi, funse da importante granaio di Roma dalla fine della Repubblica in poi. A lungo depressa da questo sistema di sfruttamento, l’isola conobbe un nuovo periodo di prosperità all’inizio del IV sec., grazie alla sua posizione strategica sulle rotte commerciali mediterranee. Essa fu soggetta, da allora, ad una successione di conquiste da parte dei Vandali nel 440, dei Bizantini nel 535, degli Arabi nell’827, fino a quella dei Normanni, avvenuta nel 1086.

Il nuraghe Su Nuraxi a Barumini (foto mae-mic)

1997 – Barumini – Su Nuraxi. Il sito di Su Nuraxi a Barumini, in Sardegna, rappresenta il più famoso esempio di complessi difensivi dell’Età del Bronzo, caratteristici dell’isola, conosciuti come nuraghi. Costruito nel secondo millennio a.C. fu occupato fino al terzo secolo d.C. Dal 1997 è stato inserito nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’Unesco. Sito a Ovest di Barumini, nella parte meridionale interna della Sardegna, il villaggio protostorico di Su Nuraxi è uno dei più rappresentativi della cultura nuragica tipica dell’isola tirrenica. I nuraghi, i cui primi esemplari compaiono nella prima età del Bronzo, nel XVII sec. sono torri che avevano la funzione di sorveglianza delle coltivazioni e dei greggi, di difesa della popolazione contro assalti nemici, e forse di osservazione astronomica. I siti nuragici, la cui datazione viene ancora largamente dibattuta, erano collegati tra di loro all’interno di un sistema che interessava l’intera isola: si stima che vi si trovava un nuraghe circa ogni 3 kmq. La civiltà nuragica è stata divisa in cinque fasi cronologiche che vedono, a partire da una struttura di clan, l’affermazione progressiva delle aristocrazie locali, compiuta nei IX-VI sec. a.C. Ben lungi dall’essere isolata, la civiltà nuragica intratteneva rapporti politici, economici e culturali con le principali civiltà mediterranee coeve.

Il complesso e gli annessi della basilica patriarcale di Aquileia nella ricostruzione 3D realizzata da Altair Multimedia (foto altair4)

1998 – Aquileia (complesso della Basilica patriarcale). Aquileia, fondata nel 181 a.C. dai Romani, è stata una delle città più grandi e più ricche dell’Impero Romano. La città antica, ancora in gran parte sepolta, è il più completo esempio di una città dell’antica Roma nell’area del Mediterraneo, ed è stata inserita nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’Unesco nel 1998. A Sud della provincia di Udine, Aquileia, connessa con il mare Adriatico da una fitta rete di canali, fu fondata come colonia latina nel 181 a.C. Grazie alla sua posizione strategica e al commercio dell’ambra e del vetro, la città conobbe uno sviluppo rapido e diventò, in età augustea, capitale della X Regione, Venetia et Histria. Nei primi secoli dell’Impero, Aquileia giocò un ruolo fondamentale nelle operazioni militari condotte verso il Danubio. Dopo la promulgazione dell’editto di Milano da parte di Costantino, nel 313, la città fu sede di un vescovado che promosse la diffusione del cristianesimo verso il centro dell’Europa. Dopo la sua distruzione da parte di Attila, nel 452, Aquileia, ricostruita, fu assunta alla dignità di patriarcato nel 554, e visitata da Carlo Magno dopo la sua incoronazione a Roma, nel 800. Il patriarcato, che controllava un immenso territorio, fu abolito solo nel 1751.

L’area templare di Paestum con la cd Basilica e il cd Tempio di Nettuno nella ricostruzione 3D realizzata da Marco Mellace (foto marco mellace)

1998 – Paestum. Paestum è un’antica città della Magna Grecia chiamata dai fondatori Poseidonia in onore di Poseidone, e poi Paestum dai Romani che la conquistarono. L’estensione del suo abitato è ancora oggi ben riconoscibile, racchiuso dalle sue mura. Nel 1998 è stato inserito nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’Unesco con il Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano, ed i siti archeologici di Velia, e la Certosa di Padula. Sulla riva del Tirreno dove Giasone, con i suoi Argonauti, avrebbe edificato il santuario di Hera, alla foce del Sele, i Sibariti fondarono, verso il 600 a.C., una colonia dedicata a Poseidone, in mezzo ai terreni agricoli estremamente fertili della pianura del Sele. Poseidonia raggiunse il suo massimo splendore tra il 560 e il 440 a.C. All’inizio del V sec. a.C., i Lucani presero il controllo della città, fondendosi progressivamente con i Greci, contribuendo così alla creazione di una cultura profondamente originale. La città conservò la sua indipendenza fino alla conquista romana, nel 273 a.C., quando vi fu insediata una colonia di diritto latino; la sua prosperità nel corso della fine della Repubblica romana è testimoniata dall’edilizia pubblica e privata rivelata dagli scavi. La città era rimasta sufficientemente importante nel V sec. per diventare sede vescovile. Tuttavia, l’impaludamento progressivo dell’insediamento, che vi rendeva l’aria cattiva, e le incursioni dei pirati Saraceni, spinsero i suoi abitanti ad abbandonare definitivamente il sito nel corso del X sec.

Il teatro Marittimo di Villa Adriana a Tivoli nella ricostruzione 3D realizzata da Altair Multimedia (foto altair4)

1999 – Villa Adriana di Tivoli. Villa Adriana è la sontuosa residenza fatta costruire dall’imperatore Adriano (117-138) con un ricco complesso di edifici, estesi su una vasta area. Nel 1999, Villa Adriana è stata dichiarata Patrimonio Mondiale dell’Unesco. Già in età repubblicana, i membri dell’aristocrazia romana avevano preso l’abitudine di lasciare la città per soggiornare in giardini suburbani, oppure in ampie residenze situate a poca distanza di Roma, in particolare nella zona dei Colli Albani. Adriano, imperatore di Roma dal 117 fino alla sua morte nel 138, scelse di creare una villa d’ozio sui primi pendii dei Monti Tiburtini, sotto l’antica Tibur (Tivoli), una trentina di chilometri a Est di Roma. Questa straordinaria residenza, che riunisce nello stesso luogo luoghi e monumenti visitati da Adriano nel corso dei suoi viaggi – il Nilo e la città d’ozio di Canopo in Egitto, il Liceo, l’Accademia e la stoa poikilè di Atene, la vallata di Tempe in Tessaglia… – gli consentì anche di dedicarsi pienamente al suo gusto per l’architettura, a lungo contrastato dall’architetto di Traiano, Apollodoro di Damasco, che egli fece prima esiliare, e poi assassinare nel 130. Circa 130 ettari di superficie totale, più di due chilometri di lunghezza, una trentina di edifici principali, chilometri di gallerie di servizio sotterranee…Villa Adriana costituisce un complesso eccezionale, paragonabile ai grandi palazzi reali di cui quello di Versailles costituisce l’archetipo moderno.

L’Arena di Verona nella ricostruzione 3D realizzata da Altair Multimedia (foto altair4)

2000 – Città di Verona (Arena). Ottenuta da Giulio Cesare la cittadinanza romana nel 49 a.C., Verona diventa ben presto municipium romano, potendosi fregiare del titolo di Res Publica Veronesium. Nel 2000 Verona è stata inserita nella Lista dei Patrimonio Mondiale dell’Unesco. Controllando un guado sull’Adige, punto di passaggio obbligato, da sempre, tra Oriente e Occidente, Verona, già occupata in età preromana, fu una delle principali città dell’area veneta. Colonia di diritto latino nel 89 a.C., poi municipio romano nel 49 a.C., la città fu occupata da Vespasiano nel corso della guerra civile contro Vitellio, nel 69, e più tardi da Massenzio durante quella contro Costantino, nel 312. Successivamente, per la sua posizione strategica, Verona mantenne a lungo la sua importanza, Il monumento antico più famoso di Verona è il suo anfiteatro, dove si tenevano sia giochi gladiatori che spettacoli di caccia. Nonostante il nome, l’anfiteatro non è il semplice collage di due teatri, né il prodotto di una ricerca empirica: uno studio geometrico rigoroso aveva dimostrato la superiorità della pianta ellittica, sia in termini di circolazione che di visione dello spettacolo dato nell’arena, nome che deriva dalla sabbia o rena, che assorbiva il sangue degli uomini e delle bestie.

La necropoli etrusca di Cerveteri nella ricostruzione 3D realizzata da Marco Mellace (foto marco mellace)

2004 – Necropoli Etrusche di Cerveteri. La necropoli di Cerveteri è una delle più monumentali del Mediterraneo e costituisce una rara e preziosa testimonianza del popolo etrusco, che instaurò la prima civilizzazione urbanizzata nel Mediterraneo occidentale, sopravvissuta per circa 700 anni dall’VIII al I secolo a.C. Nel 2004 è stata inserita nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’Unesco, assieme a quella di Tarquinia. Nella parte meridionale dell’Etruria, la città etrusca di Caere, attuale Cerveteri, si trova 40 km a Nord di Roma. Si tratta di una delle principali città-stato della lega delle dodici città etrusche confederate, che controllava una larga fascia del litorale tirreno. Ancora poco affermata in età villanoviana, tra il IX e il VIII sec. a.C., la città conobbe un’espansione veloce nel VII sec., nel corso del periodo detto “orientalizzante”, grazie ai suoi contatti con i mercanti greci e fenici, che contribuirono a cambiare radicalmente la cultura e l’economia delle popolazioni locali. Queste relazioni si svolgevano in particolare nel porto della città, Pyrgi, dove diversi templi, in particolare quello di Uni/Astarte, presidiavano ai rapporti commerciali tra etruschi e mercanti stranieri. Nel corso di questo periodo, si assiste all’emergere di una classe dirigente di principi, il cui potere declinò progressivamente, dall’inizio del VI sec. a.C. in poi, per portare ad una società più egalitaria. Il legame con la vicina Roma si rafforzò progressivamente dopo il saccheggio dei Galli, nel 390 a.C., nel corso del quale le Vestali avevano trovato rifugio a Caere, ma nuovi scontri tra le due città portarono alla sconfitta della metropoli etrusca, nel 273 a.C., e alla confisca della parte costiera del suo territorio, dove Roma fondò diverse colonie marittime. In età augustea, Caere viene menzionata da Strabone solo come una “piccola città”.

Il teatro greco di Siracusa (foto mae-mic)

2005 – Siracusa. Siracusa possiede una storia millenaria: fu annoverata tra le più vaste metropoli dell’età classica, tanto da primeggiare per potenza e ricchezza con Atene. È stata dichiarata Patrimonio Mondiale dell’Unesco nel 2005, congiuntamente alle Necropoli Rupestri di Pantalica. Secondo Tucidide, la colonia greca di Siracusa, a sud-ovest della Sicilia, fu fondata sull’isola di Ortigia nel 734 a.C. dal corinzio Archias. Nella prima metà del V sec. a.C., la città, dotata di un ampio porto, sia commerciale che militare, dovette la sua espansione a due tiranni della famiglia dei Dinomenidi, Gelone, che sconfisse i Cartaginesi ad Imera nel 480 a.C., ed il suo fratello Ierone, vittorioso degli Etruschi a Cuma nel 474 a.C. Nonostante il ritorno della democrazia dopo la morte di quest’ultimo, la città fu assediata invano da Atene tra il 415 e il 413 a.C. durante la guerra del Peloponneso, e conobbe una nuova fase di tirannia inaugurata nel 405 a.C. da Dionisio I. All’inizio del III sec. a.C., Ierone II scelse di allearsi con i Romani, ma dopo la sua morte, nel 213 a.C., Roma assediò la città che dovette arrendersi dopo due anni, nonostante le ingegnose macchine da guerra concepite da Archimede che perse la vita, come gran parte della popolazione della città, nel corso del saccheggio. In età romana, Siracusa conobbe un’esistenza tranquilla e prospera come capitale del granaio di Roma che era ormai divenuta la Sicilia. Dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente, la storia successiva della città è segnata da ondate successive di invasioni ad opera dei Bizantini, degli Arabi, dei Normanni, degli Svevi, degli Aragonesi, prima della sua incorporazione nel regno delle Due Sicilie, nel 1816, e finalmente nel Regno d’Italia nel 1861.

Il Capitolium di Brescia nella ricostruzione 3D realizzata da Altair Multimedia (foto altair4)

2011 – Brescia (Capitolium Romano). Il Foro romano di Brescia era la piazza principale del centro cittadino di Brixia a partire dal I secolo a.C. Questo complesso archeologico monumentale conserva i maggiori edifici pubblici di età romana del nord Italia, e per questo motivo è stato inserito nel 2011 nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’Unesco, facente parte del sito seriale “Longobardi in Italia: i luoghi del potere”. Su di un sito già occupato nell’età del Bronzo e del Ferro, Brescia fu fondata all’inizio del IV sec. a.C. come capitale dei Galli Cenomani, al quale deve il suo nome antico, Brixia, che significa «l’altura», in riferimento al colle Cidneo che la domina. Sconfitti nel 197 a.C., i Cenomani diventarono alleati dei Romani, conservando tuttavia parte della loro autonomia e delle loro tradizioni. Municipio di diritto latino nel 89 a.C., la città fu integrata al territorio romano nel 49 a.C. Nel 27 a.C., la Colonia civica Augusta Brixia fu inserita nelle Regio X augustea, Venetia et Histria, diventando così un importante centro religioso e commerciale. Saccheggiata da Attila nel 452, la città fu conquistata dai Bizantini nel 561, e qualche anno dopo dai Longobardi, un popolo di origine germanica che invase l’Italia bizantina nel 568. Sotto il loro dominio, e fino al 774, Brescia conobbe un lungo periodo di prosperità.

Cosa porta il 2021. Fissata per l’8 marzo (11 mesi dopo le previsioni) la vernice della mostra-evento “I Gladiatori” al museo Archeologico nazionale di Napoli: anteprima sui social del Mann dei principali reperti esposti nelle sei sezioni

Un elmo di gladiatore delle collezioni del museo Archeologico nazionale di Napoli (foto Mann)

L’8 marzo 2021, salvo imprevisti (e qui incrociare le dita scaramanticamente è d’obbligo), al museo Archeologico nazionale di Napoli aprirà la mostra “I Gladiatori”: e da mercoledì 13 gennaio 2021, saranno postate, in anteprima digitale sulle pagine Facebook e Instagram del Mann, le immagini di alcuni preziosi reperti che caratterizzeranno l’allestimento. Nata in collaborazione con l’Antikenmuseum di Basilea e realizzata grazie alla sinergia con il Parco Archeologico del Colosseo, sarà un’occasione per valorizzare, in primis, le armi gladiatorie appartenenti al patrimonio del Mann, da anni “in tour” in occasione di importanti mostre internazionali, che alla fine dell’esposizione saranno esposte nell’allestimento permanente delle collezioni pompeiane del museo. Il progetto scientifico della mostra “I Gladiatori” è a cura di Valeria Sampaolo; l’esposizione, il cui coordinamento è di Laura Forte, e realizzata con il contributo di Intesa Sanpaolo, raccoglierà circa centosessanta opere nel Salone della Meridiana; sei le sezioni in cui sarà articolato il percorso: dal funerale degli eroi al duello per i defunti; i gladiatori e le loro armi; dalla caccia mitica alle venationes; vita da Gladiatore; gli anfiteatri della Campania; i Gladiatori in casa e sui muri. Presentata alla grande in occasione di Tourisma 2020, la mostra “I Gladiatori” doveva essere l’evento del 2020 (la vernice era prevista l’8 aprile 2020: vedi “Preistorici, Etruschi e Romani…il Mann si fa in tre”: a TourismA il direttore del museo Archeologico nazionale di Napoli presenta le novità del 2020: l’apertura della sezione Preistoria e Protostoria, e l’inaugurazione delle mostre su Etruschi e Gladiatori | archeologiavocidalpassato). La pandemia ha stravolto tutto. Se ne riparla quest’anno.

Grande cratere da Canosa (340-320 a.C.) con le esequie di Patroclo, conservato al museo Archeologico nazionale di Napoli (foto mann)

Seppur in un iniziale “assaggio virtuale” a misura di social, si seguirà il progetto scientifico dell’exhibit: i primi post saranno dedicati, così, al funerale degli eroi ed allo splendido cratere con le esequie di Patroclo (il vaso in terracotta, alto circa un metro e mezzo, proviene da Canosa e risale al 340-320 a.C.). Fulcro della mostra sarà, naturalmente, la sezione sulle armi dei Gladiatori: quasi cinquanta esemplari che, appartenenti alla collezioni del Mann, saranno visibili insieme per la prima volta e saranno messi in dialogo con rilievi e stele funerarie da Roma, Avenches, Augusta Raurica, Basilea.

Spada con fodero (I sec. d.C.) da Pompei e conservato al museo Archeologico nazionale di Napoli (foto Mann)

Tra le opere esposte, per ora in “mostra sul web”, vi sarà la spada con fodero del I sec. d.C., realizzata in ferro, osso, legno e bronzo e ritrovata nel Portico dei Teatri di Pompei nel gennaio del 1768; da non perdere gli scatti dedicati all’elmo di mirmillone con personificazione di Roma, Barbari, prigionieri, trofei e vittorie (seconda metà del I sec. d.C.).

Rilievo in marmo (II sec. d.C.) dall’anfiteatro di S. Maria Capua Vetere conservato al Mann, con Pluteo e la caccia di Meleagro e Atalanta (foto Mann)

Per quanto riguarda la sezione sulla caccia con animali, momento molto ricercato durante gli spettacoli gladiatorii, i fan e follower di Facebook ed Instagram potranno ammirare il rilievo in marmo (II sec. d.C.) dall’Anfiteatro Campano di Santa Maria Capua Vetere: nella raffigurazione, Pluteo e la caccia di Meleagro ed Atalanta.  Una delle peculiarità dell’allestimento sarà l’attenzione rivolta alla dimensione quotidiana nella vita dei Gladiatori: tra i reperti presentati online vi sarà il coperchio della cassetta medicale in bronzo e argento ageminato (I sec. d.C.), proveniente da Ercolano e custodito nelle collezioni del Mann.

La ricostruzione digitale dell’anfiteatro di Pompei (Altair 4 Multimedia)

Tra archeologia e linguaggi della comunicazione: in occasione della grande esposizione, sarà ricostruita e riprodotta digitalmente, da Altair 4 Multimedia, la sequenza delle pitture ormai perdute dell’Anfiteatro di Pompei; grazie alle nuove tecnologie, alcuni percorsi video riproporranno le tipologie di armature che contraddistinguevano le diverse “classi” di gladiatori. Per questa anteprima online, saranno presentati alcuni frame della ricostruzione dell’Anfiteatro presente in mostra.

Dettaglio con il riquadro dei gladiatori del grande pavimento musivo di Augusta Raurica (foto Mann)

Ultimi post per un capolavoro in esposizione: si tratta del mosaico pavimentale di Augusta Raurica; il reperto, inserito nella sezione “I Gladiatori in casa e sui muri”, è esposto per la prima volta al di fuori del territorio elvetico dopo il restauro integrale: l’opera, che risale alla fine del II sec. d.C. e proviene dall’insula 30 del sito romano di Augusta Raurica (vicina all’odierna Basilea), rappresenta scene di combattimento su una superficie di eccezionale estensione.

Pompei. La vita della ricca famiglia pompeiana di Giulio Polibio raccontata nella mostra “Gli Arredi della Casa di Giulio Polibio”: oltre 70 oggetti rinvenuti nella domus di via dell’Abbondanza. Ricostruiti i volti di tre delle vittime rinvenute, tra cui quello di una giovane donna incinta

Una cassetta contenente bottiglie di vetro rinvenuta nello scavo della Casa di Giulio Polibio a Pompei (foto parco archeologico Pompei)

All’Antiquario di Pompei la mostra “Gli Arredi della Casa di Giulio Polibio” (foto parco archeologico Pompei)

Il racconto di una famiglia, di un personaggio pubblico, di individui strappati alla vita. Le loro abitudini, il vezzo e il desiderio di mostrare la propria ricchezza, attraverso il lusso negli arredi e negli oggetti di vita quotidiana. È la vita della ricca famiglia pompeiana di Giulio Polibio quella raccontata, con i numerosi reperti rivenuti nella dimora, nella mostra “Gli Arredi della Casa di Giulio Polibio”, allestita dal 23 dicembre 2019 (inaugurazione alle 11) al piano superiore dell’Antiquarium di Pompei. Oltre 70 oggetti, tra lucerne, porta lucerne, bruciaprofumi, vasellame per la cottura degli alimenti (pentole per bollire, tegami per friggere, olle per la bollitura di focacce e verdure), coppe per banchetti e bottiglie in vetro, scaldavivande, candelabri, un anello con sigillo in bronzo con il nome di C.IVLI PHILIPPI, forse il vero proprietario della casa, il calco perfetto di un cesto in vimini, un salvadanaio in terracotta, dadi da gioco e altro ancora.

La ricostruzione dei volti di tre vittime rinvenute nella Casa di Giulio Polibio: una donna di meno di 20 anni incinta, un uomo tra i 25 e 35 anni, e uno intorno ai 60 di età (foto parco archeologico Pompei)

Ma la mostra è stata anche l’occasione per tentare di dare un aspetto agli abitanti della casa, raccontato attraverso i volti ricostruiti di 3 delle vittime rinvenute. Il viso di una ragazza di meno di 20 anni, agli ultimi mesi di gravidanza al momento dell’eruzione, quello di un uomo adulto tra i 25 e i 35 anni e quello di un uomo anziano, intorno ai 60 anni di età. Una ricostruzione facciale, effettuata partendo dai crani dei tre sfortunati, pioneristica per l’epoca in cui fu realizzata (anni ’70 del secolo scorso). La ricostruzione consistette nell’applicare sul modello in scala 1.1 del cranio, strati di plastilina dello spessore corrispondente a quello della muscolatura standard. Vennero in seguito effettuate ulteriori indagini sul DNA degli individui, portando a stabilire alcuni legami di parentela. Gli antropologi fisici Maciej e Renata Henneberg identificarono 13 individui: 3 maschi adulti, 3 femmine adulte, 6 subadulti e un feto negli ultimi mesi di vita intrauterina.

La grande casa di Giulio Polibio, con la sua severa facciata su Via dell’Abbondanza, fu costruita tra il III e il II sec. a.C., con una planimetria unica rispetto a quella della maggior parte delle case presenti a Pompei (qui vediamo la Casa di Giulio nella bellissima ricostruzione 3D di Altair4 Multimedia). La casa è legata al nome di Giulio Polibio, un discendente di un liberto della Gens Iulia, la famiglia dell’imperatore Augusto, che appare nelle iscrizioni elettorali dipinte sulla facciata della casa, che lo raccomandano come duoviro della città. Le bellissime pitture in I stile, il pavimento in ciottoli di fiume, l’impluvio in cocciopesto dell’atrio e la “collezione” di bronzi antichi rinvenuti nel triclinio, erano volutamente ostentate, quasi a far parte di un programma politico con cui Polibio mirava ad entrare nella vecchia classe dirigente pompeiana. L’atrio è seguito da un ambiente chiuso con una porta dipinta che maschera una porta preesistente, relativa ad una fase precedente della casa. Vicino alla porta si trova un cumulo di calce che testimonia i lavori di restauro in corso al momento dell’eruzione nel 79 d.C. Un peristilio, con alberi da frutto e arbusti, costituiva l’elemento di raccordo tra questa parte della casa e i principali ambienti di rappresentanza come il grande triclinio con affreschi del supplizio di Dirce. Il desiderio del proprietario della casa di mostrare all’ospite la propria ricchezza e raffinatezza si può notare in alcuni oggetti rinvenuti, che dovevano suscitare stupore nel visitatore: una statua bronzea di Apollo, un cratere con raffigurazioni mitologiche e una grande brocca bronzea greca databile al V secolo a.C., oggetto d’antiquariato. La facciata della casa fu scavata da Vittorio Spinazzola tra il 1912 e il 1913; l’intera abitazione fu indagata tra il 1964 e il 1970 con un approccio multidisciplinare.

“Mutina Splendidissima. La città romana e la sua eredità”: apre a Modena la mostra clou per i 2200 anni della fondazione della colonia romana sulla via Emilia, che racconta le origini, lo sviluppo e il lascito che la città romana ha trasmesso alla città moderna. Scoperte inedite svelano nuovi aspetti della città romana tuttora sepolta nel sottosuolo di Modena

Il manifesto della mostra “Mutina Splendidissima. La città romana e la sua eredità” al Foro Boario di Modena dal 25 novembre 2017 all’8 aprile 2018

Il logo del progetto “2200 anni lungo la via Emilia”

Splendidissima” la definì Cicerone. Sono esattamente 2200 da quando il console Marco Emilio Lepido fondò, nel 183 a.C., la colonia di Mutina lungo quell’asse viario, la via Emilia, aperta dallo stesso Lepido pochi anni prima, nel 187 a.C., strada che ancora oggi rappresenta la spina dorsale di un’intera regione. Ma di quella Modena “splendidissima” oggi si vede ben poco: la città romana “vive” cinque metri al di sotto delle strade del centro storico, custodita dai depositi delle alluvioni che si verificarono in epoca tardoantica. Ma il rapporto con questa realtà sepolta è stato pressoché continuo nel corso dei secoli e si è rivelato di fondamentale importanza nella costruzione dell’identità culturale cittadina. Con le celebrazioni del 2017 per i 2200 anni dalla fondazione della città di Modena, si è voluto rendere percepibile la realtà sepolta di Mutina attraverso una serie di eventi e una mostra, riuniti dal titolo “Mutina Splendidissima”, che favoriscano il dialogo fra passato e presente valorizzando tutti gli aspetti che lo straordinario patrimonio della romanità ha lasciato alla città moderna. Sabato 25 novembre 2017, alle 18, al Foro Boario di Modena, si inaugura la mostra “Mutina Splendidissima. La città romana e la sua eredità”, punto di arrivo delle celebrazioni per i 2200 anni dalla fondazione, che racconta le origini, lo sviluppo e il lascito che la città romana ha trasmesso alla città moderna. Un racconto accessibile a tutti, fondato su dati archeologici e storici esaminato con uno sguardo pluridisciplinare, che parte dalla fondazione della colonia romana avvenuta nel 183 a.C.

I promotori culturali, amministrativi ed economici alla presentazione della mostra “Mutina Splendidissima” (foto Graziano Tavan)

La mostra, promossa dai Musei civici di Modena e dalla soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara, e curata da Luigi Malnati, Silvia Pellegrini e Francesca Piccinini, con ponderoso catalogo (De Luca Editori d’Arte) e una più agile guida per il visitatore meno specialista, si inserisce nel più ampio progetto “2200 anni lungo la Via Emilia”, promosso dai Comuni di Modena, Reggio Emilia e Parma, dalle Soprintendenze Archeologia Belle Arti e Paesaggio delle sedi di Bologna e Parma, dal Segretariato Regionale del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo per l’Emilia-Romagna e dalla Regione Emilia-Romagna. Non solo archeologia, dunque. “La mostra”, ha sottolineato alla presentazione il vicesindaco di Modena, Giampietro Cavazza, “racconta le origini della città che sono alla base della cultura e del benessere economico di oggi. I romani ci hanno lasciato monumenti materiali e immateriali, noi dobbiamo fare altrettanto per le future generazioni che non avremo il piacere di conoscere”. E il soprintendente Malnati: “Questa mostra, nata un anno fa quando c’era ancora la soprintendenza Archeologia regionale, e quindi si poteva ragionare per un territorio omogeneo, presenta i risultati eccezionali raggiunti a Modena dove la presenza della soprintendenza ha potuto seguire con attenzione tutti gli scavi urbani”. Prezioso il ruolo della Regione Emilia-Romagna attraverso l’istituto Beni culturali presieduto da Roberto Balzani: “Il progetto mette insieme più territori legati da un comune denominatore: la Via Emilia. E la mostra parla di urbs e di civitas, esamina la città nei suoi aspetti strutturali e li fa dialogare con la cittadinanza e la cultura che essa esprime”.

La ricostruzione in 3D della colonia di Mutina realizzato da Altair4

In mostra – come hanno sottolineato i tre curatori – i reperti e le opere d’arte, accostati a preziose testimonianze provenienti da numerosi musei italiani, affiancano le ricostruzioni virtuali dei principali monumenti di Mutina (le mura, il foro, l’anfiteatro, le terme, una domus) realizzate a cura di Altair4 Multimedia e coinvolgenti videoracconti che fanno da contrappunto alla descrizione delle città dal periodo precedente la sua fondazione, avvenuta nel 183 a.C., alla decadenza verificatasi nella tarda età imperiale. Molte le novità che si presentano per la prima volta al pubblico, tra cui le decorazioni parietali con scene figurate tracciate con pigmenti pregiati e stucchi a rilievo, equiparabili per qualità a quelli provenienti da Pompei, esposte a fianco di elementi di arredo di elevato pregio artistico. Uno spazio significativo è dedicato alle testimonianze delle produzioni di eccellenza che le fonti attribuiscono a Modena: lucerne e laterizi, vino e quelle lane che erano tra le più pregiate e ricercate dell’impero, tanto da essere ricordate ancora nell’Editto dei prezzi, nel III secolo d.C.

Antefisse in terracotta dal santuario di Cittanova (Mo) della fine del III secolo a.C.

Uno spazio significativo è dedicato alle testimonianze delle produzioni d’eccellenza che le fonti attribuiscono a Modena: lucerne, laterizi, vino e quelle lane così pregiate e ricercate nell’impero da essere ancora citate nel III secolo d.C. nell’Editto dei prezzi. Un’intera sezione è riservata ai profili dei Mutinenses, dai primi coloni ai cittadini emigrati in altre regioni dell’impero, svelati coniugando dati epigrafici e storici che ricostruiscono il multiforme e variegato profilo sociale della città. Dati geologici, archeobotanici e archeozoologici permettono di ricostruire l’assetto ambientale di 2200 anni fa. Alluvioni e terremoti che hanno profondamente mutato il paesaggio antico, soprattutto in coincidenza con la fine dell’impero romano e le invasioni barbariche, sono ora interpretati anche alla luce dei recenti fenomeni naturali che hanno profondamente colpito il territorio modenese e la pianura padana. La sezione dedicata al periodo tardo-antico e all’alto medioevo affronta in modo problematico il tema della continuità della città antica e fa da cerniera tra le due parti di una mostra che affronta con coraggio e spirito innovativo la sfida della continuità tra dimensione archeologica e dimensione storico-artistica.

Particolare delle formelle dell’architrave con immagini di San Geminiano dalla Porta dei Principi, del Duomo di Modena

“Governo della Repubblica” dipinto da Bartolomeo Schedoni nella sala del Vecchio consiglio del Palazzo Comunale di Modena

Il tema dell’eredità viene sviluppato nella seconda parte dell’esposizione evidenziando alcuni momenti particolarmente significativi, attraverso opere d’arte e documenti provenienti da diversi musei  e biblioteche italiane, numerosi video e due ricostruzioni virtuali dedicate alle antichità esposte intorno al Duomo nel Rinascimento e alla perduta Galleria delle antichità di Francesco II in Palazzo ducale, anch’esse curate da Altair. La costruzione del duomo romanico a opera dell’architetto Lanfranco e dello scultore Wiligelmo, nel quale il rapporto con l’antichità appare strettissimo, costituisce la giuntura tra la città antica e quella moderna. Il periodo rinascimentale è quello in cui più consapevole diventa il richiamo al glorioso passato romano della città, le cui vestigia sono pubblicamente esibite nei luoghi più significativi. Tra Sei e Settecento il tema si declina variamente tra passioni collezionistiche, richiamo a un’antichità esemplare e nascita della grande tradizione erudita legata al nome di Muratori, che culmina nel primo Ottocento con la creazione del Museo Lapidario Estense. La precoce nascita di una cultura scientifico sperimentale a metà Ottocento e la fondazione del Museo Civico in epoca post-unitaria determinano approcci diversi al recupero della città sepolta fino al progressivo affermarsi nel corso del Novecento di una coerente politica di tutela e valorizzazione.

Curatori e promotori davanti alla “capsula del tempo” nella mostra “Mutina splendidissima”

In questo percorso che collega passato e presente viene affrontata anche la dimensione del futuro attraverso il progetto “Capsule del tempo. Da Mutina al futuro”, che favorisce, attraverso la partecipazione diretta del pubblico, una riflessione sul ruolo imprescindibile della memoria nella costruzione della storia collettiva e delle storie individuali.  Alla time capsule modenese, costituita da un grande contenitore in materiale trasparente collocato nella sede espositiva, visitatori e scolaresche potranno affidare oggetti, testi scritti, fotografie, articoli di giornale rappresentativi della contemporaneità e destinati a essere svelati in un momento del futuro che a sua volta rappresenterà una ricorrenza importante per la città: il 2099, 1000 anni dopo la posa della prima pietra del Duomo. Collaborano all’iniziativa le biblioteche e i punti di lettura del Comune di Modena, che tra novembre e aprile organizzeranno sul tema delle capsule una serie di laboratori, proiezioni, letture e incontri con l’autore. Si comincia il 26 novembre con una conferenza del divulgatore scientifico Paolo Attivissimo, che affronterà il complesso tema della conservazione dei dati digitali (foto, audio, video, documenti) offrendo esempi e consigli per evitare che chi verrà dopo di noi riceva in eredità solo un’illeggibile catasta di bit.

La Biblioteca estense di Modena ospita la mostra “Da Umanisti a Bibliotecari. Il Fascino dell’Antico nelle Collezioni Ducali”

Alla mostra “Mutina Splendidissima” allestita negli spazi del Foro Boario si collegano le iniziative curate dalle Gallerie Estensi. Alla Biblioteca Estense apre il 26 novembre 2017 in Sala Campori la mostra “Da Umanisti a Bibliotecari. Il Fascino dell’Antico nelle Collezioni Ducali” che esplora il contributo che generazioni di umanisti, antiquari e bibliotecari hanno portato allo studio della cultura classica. Il percorso espositivo si snoda nei secoli seguendo le acquisizioni dei bibliotecari di casa d’Este che per secoli hanno accresciuto il patrimonio librario della Biblioteca Ducale dimostrando un interesse mai estinto per la cultura del mondo antico. Contestualmente sarà disponibile la nuova APP di guida al Museo Lapidario Estense che attraverso un percorso narrato conduce i visitatori a scoprire la storia di questa importante collezione, presentando i personaggi di maggior spicco e i monumenti più importanti per la storia di antica di Modena.

Rassegna internazionale del cinema archeologico di Rovereto: prende forma il programma della 28.ma edizione, dal 3 all’8 ottobre 2017. Sarà l’ultima curata da Dario Di Blasi: 56 film da venti Paesi, conversazioni con i protagonisti. Il simbolo della rassegna da una coppa egittizzante da Stabia oggi al Mann

Il manifesto della 28.ma rassegna internazionale del cinema archeologico di Rovereto dal 3 all’8 ottobre 2017

La 28.ma edizione della rassegna internazionale del Cinema archeologico di Rovereto prende forma. L’appuntamento, promosso dalla Fondazione Museo Civico di Rovereto presieduta da Giovanni Laezza, è dal 3 all’8 ottobre 2017 all’auditorium “F. Melotti” di corso Bettini, dove saranno proiettati i 56 film in programma provenienti da una ventina di Paesi in rappresentanza di tutti i cinque continenti, e in sala convegni “F. Zeni” della fondazione Museo Civico in borgo Santa Caterina, dove la domenica 8 saranno presentati i film più graditi al pubblico e alla giuria internazionale. Quest’anno infatti ci sarà la 13.ma edizione del concorso biennale “Premio Paolo Orsi”, assegnato da una giuria qualificata composta da Maura Medri, archeologa e docente di Metodologia di ricerca archeologica e Archeologia dell’architettura all’università Roma Tre; Lulli Bertini, archeologa e regista cinematografica; Umberto Pappalardo, archeologo e docente di Archeologia classica all’università Suor Orsola Benincasa di Napoli; Fari Djatali-Lorenz, regista e produttrice cinematografica Germania-Iran; Philippe Dorthe, presidente fondatore di Icronos, festival International du film d’Archéologie de Bordeaux.

Il prof. Frederick Mario Faled, assiriologo dell’università di Udine, apre le conversazioni alla Rassegna di Rovereto

Anche quest’anno alle 17.45, all’auditorium Melotti, sono previste conversazioni con alcuni protagonisti della ricerca archeologica moderate da Dario Di Blasi, curatore della rassegna internazionale del Cinema archeologico, e Barbara Maurina, conservatore per l’Archeologia del museo Civico di Rovereto. Il 4 ottobre 2017, interviene Frederick Mario Fales, docente di Storia del Vicino Oriente antico e di Filologia Semitica all’università di Udine, su “Gli antichi assiri nell’odierno Kurdistan: monumenti e iscrizioni da scoprire”; il 5 ottobre 2017, Giovanni Brizzi, docente di Storia romana all’università di Bologna, su “Le battaglie annibaliche attraverso le evidenze archeologiche, toponomastiche, letterarie: il Trasimeno e altri episodi”; il 6 ottobre 2017, Ken Dark, archeologo in Galilea, docente all’università di Reading, su “Gesù aveva una casa a Nazaret?”; il 7 ottobre 2017, Corinna Rossi, architetto ed egittologa, su “Raccontare il passato: l’archeologia tra fonti e interpretazioni personali”, e Giulio Paolucci, direttore del museo civico Archeologico delle Acque di Chianciano e futuro direttore del museo Etrusco di Milano, su “Nuovi musei e diffusione del Sapere”. Sempre al 7 ottobre, ma al mattino, alle 11.15, conversazione moderata da Antonia Falcone, archeologa, blogger e digital strategist, con Jacopo Bonetto, responsabile del progetto Nora dell’università di Padova; Davide Borra, NoReal; Alessandro Furlan, Altair4; Daniele Bursich, gruppo Facebook “Archeologia, Beni Culturali e Nuove tecnologie”; Graziano Tavan, giornalista del blog archeologiavocidalpassato.it, su “Il Mondo Antico tra di noi ? Realtà tridimensionale, immersiva, aumentata, social e archeologia ai confini della realtà”.

S.E. Mai Alkaima, ambasciatrice della Palestina in Italia

Ospiti internazionali sono confermati anche per la 28.ma edizione della rassegna internazionale del cinema archeologico. A Rovereto sono attesi S.E. Mai Alkaila, ambasciatrice di Palestina, che presenzierà nella serata conclusiva della rassegna, sabato 7 ottobre, alla cerimonia di premiazione dei film in concorso per il “Paolo Orsi” e per il “Città di Rovereto-Archeologia Viva”; dall’Egitto, Mostafa Amin Mostafa, segretario del Supreme Council of Antiquities of Egypt; Azza ElKholy, Head of Academic Research Sector della Biblioteca di Alessandria d’Egitto; Ahmed Mansour, Deputy Director of Calligraphy and Writing studies Center della Biblioteca di Alessandria d’Egitto; Mohamed Soliman, Head of Cultural Outreach Sector della Biblioteca di Alessandria d’Egitto.

Dario Diblasi direttore della Rassegna internazionale del Cinema archeologico di Rovereto

“In un tempo di archeologia in frantumi  per guerre, terrorismo, incuria, aggressioni speculative”, scrive nella prefazione al programma Dario Di Blasi, curatore storico della rassegna, “si fa urgente per ogni comunità locale, in ogni parte del pianeta, il bisogno di occuparsi del proprio territorio, della propria storia a prescindere da quel che fanno o non fanno gli Stati nazionali, le organizzazioni internazionali, e le cosiddette istituzioni preposte alla tutela, alla conservazione e alla valorizzazione. Nessuna comunità è in grado di occuparsi di ciò a prescindere dalla conoscenza e dalla cultura e tutti gli strumenti che aiutano a diffondere conoscenza, sapere e cultura  come il cinema sono utili a  questo scopo. La rassegna è nata 28 anni fa per questo e questo rimane il suo intento”. Per Di Blasi questa sarà l’ultima rassegna: “Mi accingo a lasciare, dopo quasi trent’anni, questa attività legata alla rassegna  e non mi vergogno a citare ancora una volta queste frasi di Giovanni Semerano: …Solo i popoli che acquistano chiara coscienza del proprio passato sono in grado di costruire un avvenire commisurato alle proprie istanze, perché liberi da errori che gravano sull’antico cammino. Gli altri impigliati nei congegni di un mondo senz’anima, mimano ogni giorno una vita non alimentata da segrete salutari radici… È un linguaggio antico sempre più attuale!”.

Skyphos di ossidiana da Stabiae con scene di culto egiziano in mostra al museo Archeologico di Napoli

Simbolo della 28.ma edizione della rassegna roveretana è un particolare da una coppa in ossidiana conservata al museo Archeologico nazionale di Napoli, per gentile concessione di Paolo Giulierini, direttore del Mann. “Il 21 e il 22 maggio del 1954, durante i lavori di scavo dell’ambiente n. 37 della Villa San Marco a Stabiae, l’attuale Castellammare di Stabia”, scrive O. Elia sul Bollettino d’Arte nel 1957, “si rinvennero numerosissimi frammenti di ossidiana finemente lavorata e una notevole quantità di fili d’oro e minuscole tarsie di malachite, diaspro giallo, lapislazzulo, corallo bianco e rosa, alcune ancora inserite in tralicci di lamine d’oro, che costituivano una ricca decorazione ad intarsio con motivi egittizzanti. Insieme con i frammenti furono anche rinvenute otto zampe leonine in argento forse appartenenti a un piccolo armadio in cui i preziosi vasi venivano custoditi. Gli scopritori, intuita l’eccezionalità del rinvenimento, trasferirono i frammenti presso l’Officina dei Restauri del museo nazionale di Napoli ove l’accurato e paziente lavoro di restauro permise di ricomporre due skyphoi quasi gemelli con decorazione egittizzante (Coppa A e Coppa B), uno skyphos più piccolo con elementi vegetali conservato quasi per intero (Coppa C) e parte di una phiale, una coppa poco profonda utilizzata per le libagioni, con scena nilotica”. “A questo primo restauro, conclusosi nel 1956”, ricorda Luigia Melillo della soprintendenza speciale per il Beni archeologici di Napoli e Pompei, “seguirono altri due interventi, uno effettuato nel 1964 e uno nel 1974, nel corso dei quali furono ricollocate ulteriori parti dell’intarsio e furono riassemblati frammenti delle anse. Ulteriori restauri nel 2011-2012 hanno consentito la corretta collocazione di alcuni frammenti e la riesposizione al pubblico delle tre coppe nel novembre 2012”.

Al museo Archeologico di Napoli presentato il video di Altair4, voluto da Mibact e Mann, che fa “rivivere” in 3D il grande plastico di Pompei in sughero ideato da Fiorelli nel 1861

Il grande plastico in sughero degli scavi di Pompei esposto al museo Archeologico nazionale di Napoli

Quando il visitatore arriva alla grande sala XCVI del museo Archeologico nazionale di Napoli e si trova davanti l’immenso plastico, un po’ polveroso, degli scavi di Pompei alla metà dell’Ottocento quasi passa in secondo piano, dopo aver ammirato la collezione Farnese, i mosaici e le pitture pompeiane, e i bronzi della Villa dei Papiri di Ercolano. Eppure quel plastico in sughero ideato da Giuseppe Fiorelli nel 1861 è diventato esso stesso un “reperto” importante del museo. Così importante da meritare una valorizzazione speciale: un video. Presentato ufficialmente venerdì 19 maggio 2017, “Pompei: il plastico e la città. Orientarsi tra spazio e tempo” è un video di sette minuti prodotti da Altair4 Multimedia, ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo e museo Archeologico nazionale di Napoli. La regia è di Pietro Galifi della Bagliva; le ricostruzioni di Pietro Galifi della Bagliva e Stefano Moretti; la direzione di produzione di Alessandro Furlan; 3d Artist sono Pietro Galifi della Bagliva, Stefano Moretti, Luigi Giannattasio, Paolo Saracini; 2d Artist è Alessia Moretti; camera traking Luigi Giannattasio; editig Luigi Giannattasio; fotogrammetria Pietro Galifi della Bagliva; assistente alla fotografia Paolo Saracini; riprese video con fotografia di Luca de Marinis, e operatore Crane Bracceri.

Un dettaglio del plastico di Pompei ideato da Giuseppe Fiorelli nel 1861

Ci vollero 18 anni per realizzare materialmente il grande plastico, anche se questi furono distribuiti su più di mezzo secolo. I lavori di costruzione iniziarono nel 1861 per essere poi interrotti nel 1879. Furono eseguiti da Felice Padiglione, figlio di Domenico Paglione, famoso per aver già realizzato i modelli dei templi di Paestum e il macellum di Pozzuoli.  Per il completamento del plastico bisognerà però attendere il 1908 quando intervenne Nicola Roncicchi. Causa i due conflitti mondiali il plastico fu spostato più volte tra Napoli e Pompei, per essere collocato definitivamente al Mann nel 1950. Il modello in sala 1:100 raffigura lo stato degli scavi fino al 1879. Poi aggiornato fino al secondo dopoguerra: mancano quindi alcune insulae della Regio VIII, l’anfiteatro e tutte le scoperte più recenti. Tutte le costruzioni sono realizzate in sughero, con gli elementi in marmo e calcare resi con stucco o gesso, con inserti in osso. Gli affreschi sono riprodotti in ogni minimo dettaglio con colori a tempera su stucco e stagno o ad acquerello su carta.

Il foro di Pompei nella ricostruzione 3D di Altair4 sul plastico di Fiorelli

“Il video prodotto da Altair4 Multimedia”, spiega il regista Pietro Galifi della Bagliva, “è nato dall’esigenza di valorizzare il grande plastico degli scavi di Pompei. Il filmato è stato concepito in modo da aiutare il visitatore a comprendere l’importanza del plastico e dell’area archeologica che esso documenta nella fase ottocentesca degli scavi: da qui il sottotitolo orientarsi fra spazio e tempo”. E continua: “A distanza di centocinquanta anni dalla sua realizzazione il plastico ha acquisito una preziosità museale che rischia in parte di compromettere lo scopo per il quale era stato concepito. Il continuo dialogo che si stabilisce fra video e plastico ha perciò l’obbiettivo di restituire alla maquette la sua funzione primaria, senza sminuirne il significato e valore storico. Il visitatore potrà osservare e capire con semplicità dove si trova l’area degli scavi riprodotta nel plastico (che è solo una parte dell’antica città) e quali sono le aree di principale interesse, come il Foro o il Quartiere dei Teatri”. I filmati e le ricostruzioni 3D, montate in asse con il plastico grazie alla fotogrammetria e ai tracciamenti della camera (camera tracking), ci restituiscono inoltre una visione della città prima dell’eruzione e, in particolare,  permettono allo spettatore di capire quale fosse la reale posizione di Pompei in rapporto alla vicina linea costiera e al Vesuvio, o come il Vesuvio stesso, nel 79 d. C. alla vigilia dell’eruzione, si presentasse agli antichi abitanti della città più simile a una dolce collina che a un minaccioso vulcano. Il visitatore del museo potrà così immergersi in un affascinante viaggio tra spazio e tempo attraverso le ricostruzioni della città romana, le immagini degli scavi e la lettura dei dati incrociati tra la realtà e il plastico di Giuseppe Fiorelli.

La ricostruzione computerizzata di Pompei vista dal mare proposta da Altair4

Ma per arrivare alla realizzazione del video sono stati superati molti problemi tecnici, come spiegano gli esperti di Altair4: “L’esigenza di avere la migliore corrispondenza possibile tra il plastico e il modello virtuale della città da noi elaborato ha reso necessario l’ausilio di soluzioni tecniche e tecnologiche appositamente studiate. Il primo problema affrontato è stato quello derivato della mancata corrispondenza tra la planimetria reale di Pompei e il plastico stesso. Il plastico infatti presenta nella macro scala evidenti discrepanze metriche, probabilmente dovute sia al metodo costruttivo utilizzato, per assemblaggio di blocchi costruiti separatamente, sia alle deformazioni che l’opera ha subito durante la sua lunga vita. Per questo, durante una prima fase, è stato indispensabile realizzare il rilievo della grande maquette, eseguita dall’equipe di Altair4 tramite tecnica fotogrammetrica. Il conseguente modello virtuale del plastico, elaborato con la fotomodellazione, è servito come strumento imprescindibile per la referenziazione dei modelli ricostruttivi della città antica”. La scelta registica di usare immagini reali e non virtuali dell’opera ha reso necessaria poi una seconda campagna di riprese, questa volta non fotografica ma cinematografica, eseguita con l’ausilio di un braccio meccanico lungo 7 m montato su binari, con testa remotata per il controllo dei movimenti della macchina da presa. “Le sequenze acquisite sono state in seguito sottoposte ad un processo di camera traking per catturane il movimento, il quale è stato poi referenziato attraverso il modello fotogrammetrico e in seguito sovrapposto a quello ricostruttivo della città antica. Dai filmati, con l’ausilio di maschere animate e chromakey, è stata nascosta la sala reale del museo e sostituita con un modello virtuale, allo scopo di aumentare l’attenzione del visitatore sul plastico. Tutte le parti infine sono state assemblate in compositing e sottoposte a color correction”.

Varchi nel tempo: per tre giorni Modena “svela” attraverso le opere di cinque grandi artisti internazionali di street art 3D cinque monumenti della città romana a 2200 anni dalla sua fondazione lungo la via Emilia: le terme, le mura, l’anfiteatro, le domus, il capitolium in altrettanti luoghi importanti della città

Un’opera di street art 3D realizzata a Nancy in Francia da Eduardo relero, uno degli artisti presenti a “Varchi nel tempo” di Modena

Uno scavo virtuale, così Modena, la Mutina splendidissima – come la definì Cicerone – svela le vestigia della sua storia millenaria, gelosamente custodite sotto terra: ecco il senso di “Varchi nel tempo”, street art 3D e archeologia a Modena, evento inserito nel programma dedicato alle celebrazioni dei 2200 anni dalla sua fondazione (2200 anni lungo la via Emilia), che si terrà nel week end dal 12 al 14 maggio 2017. Esiste infatti una città romana sepolta sotto una coltre di argilla, collocata fra due fiumi che esondarono a più riprese nella tarda antichità: è Modena, della quale, proprio grazie all’archeologia, si conoscono numerosi luoghi e monumenti sepolti. Così in cinque diversi luoghi di Modena, altrettanti street artist internazionali, Kurt Wenner, Leon Keer, Julian Beever, Eduardo Relero e Vito Mercurio, sfonderanno illusoriamente la pavimentazione della città attraverso la tecnica artistica dell’anamorfismo, per “svelare” i siti più significativi della città romana di Mutina, celata nel sottosuolo del centro storico. Esiste un’arte sorprendente, definita street art 3D, che ha scelto la strada dell’anamorfismo per “ingannare” chi guarda le opere da una determinata posizione creando sprofondamenti illusionistici nel terreno. La tecnica risale al Rinascimento ed è stato Kurt Wenner, uno degli artisti in mostra, ad applicare per primo tecniche del ‘500, note ad artisti quali Leonardo da Vinci, a un’arte che utilizza la strada come una tela.

Una realizzazione 3D in Florida dell’artista olandese Leon Keer, che animerà “Varchi nel tempo” a Modena

I Musei Civici di Modena hanno scelto di coniugare queste due realtà e dare vita a Varchi nel tempo, un evento unico nel suo genere, in cui la street art 3D fa rivivere il luoghi sepolti della città romana mettendo in comunicazione la città contemporanea con quella antica: le terme, le mura, l’anfiteatro, le domus, il capitolium di Mutina saranno visibili attraverso squarci aperti illusionisticamente nelle strade di Modena, che corrispondono anche ai luoghi più importanti della città moderna, come ad esempio piazza Grande, Palazzo Ducale, Palazzo della Prefettura, chiesa di Santa Maria delle Asse. La straordinarietà dell’evento è legata non solo all’inedito abbinamento fra street art 3D e archeologia ma anche all’occasione unica di vedere riuniti nella performance 5 artisti di fama internazionale, che per la prima volta operano tutti insieme. Kurt Wenner è l’artista statunitense più noto per l’invenzione di questa forma d’arte pavimentale illusionistica e interattiva tridimensionale. Il suo lavoro include opere a grande scala pittoriche, scultoree, decorative, installazioni 3D e di design architettonico per clienti pubblici e privati di oltre 30 paesi del mondo. Leon Keer è un artista olandese che ha appreso le tecniche pittoriche lavorando sul design e la produzione di prodotti commerciali per multinazionali come la Coca-Cola. Ha eseguito opere su commissione in diverse parti del mondo: oltre all’Europa, negli Stati Uniti, Emirati Arabi e Australia. L’abitudine a lavorare su diversi tipi di supporto lo ha portato ad un interesse particolare per la sperimentazione di materiali e tecniche innovative. Julian Beever è un artista britannico noto in tutto il mondo per le sue opere pavimentali, soprattutto illusioni anamorfiche, create con una particolare distorsione che conferisce l’impressione di tridimensionalità alle immagini guardate da un particolare punto di vista. Le opere di Eduardo Relero sono concepite per interagire col pubblico e negli ultimi anni hanno fatto il giro del mondo, da New York a Roma, dal Messico al Giappone. È in Spagna che inizia la sua relazione con l’anamorfismo. I primi esperimenti sono ben presto confluiti in un’arte illustrativa che parla della condizione dell’esistenza o di una situazione sociale, conferendo al suo lavoro una sensibilità narrativa che supera l’effetto visuale. Vito Mercurio, nato nel 1985 a Battipaglia (Sa), è uno dei pochi street artist anamorfici italiani. Inizia la sua carriera come “madonnaro” di strada per specializzarsi poi in street art anamorfica. Le sue opere sono state esposte in diverse città italiane e del mondo.

Un’opera di Leon Keer realizzata in Germania: notevole l’effetto “varco” nel pavimento stradale

Arte, per sua natura effimera, la street art 3D applicata alle pavimentazioni di strade e piazze della città, è passata negli ultimi anni dall’utilizzo dei classici gessetti colorati all’elaborazione digitale del disegno, poi stampato su materiale resistente e fissato al terreno. Durante “Varchi nel tempo”, parte dell’esecuzione del disegno sarà realizzata dal vivo, durante un work in progress che durerà tre giorni, appunto dal 12 al 14 maggio. L’itinerario della street art sarà segnalato attraverso una pianta della città con l’indicazione dei “varchi nel tempo” presenti sulle strade e sulle piazze del centro storico. Il percorso in città alla scoperta delle opere di street art sarà accompagnato dalla visita virtuale dell’antica colonia, realizzata da Altair4 Multimedia e  scaricabile da smarthphone e tablet.