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Vulci. Nella sala François del parco archeologico e naturalistico “Vulci. Work in progress”, II Incontro Internazionale, due giorni dedicati alla ricerca sul campo nella grande metropoli etrusca: in presenza e on line. Al museo Archeologico nazionale apre la mostra “La prima Vulci”

vulci_parco_ricerca-sul-campo_incontro-internazionale_locandinaIl 18 e 19 maggio 2023, nella sala François del parco archeologico e naturalistico di Vulci, appuntamento con “Vulci. Work in progress”, il II Incontro Internazionale dedicato alla ricerca sul campo nella grande metropoli etrusca.  L’accesso è consentito fino ad esaurimento posti. Il più ampio pubblico potrà seguire la diretta streaming sulla pagina Facebook. Negli ultimi anni la soprintendenza ha aperto, con concessioni annuali e triennali in accordo con la direzione generale Archeologia Belle arti e Paesaggio del MIC, un intenso programma di scavi e ricerche affidate a Istituti nazionali e internazionali, in modo da arricchire la conoscenza di Vulci sotto ogni aspetto, sottraendola alle urgenze legate alla tutela, come è avvenuto per molti decenni. Torna quindi, dopo il I Incontro avvenuto nel dicembre del 2021, il convegno internazionale “Vulci work in progress”, il 18 e 19 maggio 2023. Un’occasione per presentare gli atti del convegno precedente, svoltosi sempre nella suggestiva location del parco archeologico e naturalistico di Vulci. Si approfitterà per fare il punto su tutte le scoperte, rinvenute anche di recente, in questo luogo che non smette mai di stupire. Inoltre, il 18 maggio 2023, alle 12, si avrà anche l’opportunità di poter apprezzare la mostra “La Prima Vulci”, che sarà inaugurata al museo Archeologico nazionale di Vulci, grazie alla collaborazione con la direzione regionale Musei del Lazio.

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L’interno della Tomba 3 recentemente scoperta nella necropoli dell’Osteria a Vulci (foto sabap-vt-etr-mer

“Vulci. Work in progress” è un momento di dialogo e di confronto sui nuovi dati acquisiti dalle ricerche svolte sul campo da vari istituti universitari, coinvolti per riflettere sulla storia, sull’evoluzione, sul passato, sul presente e sul futuro di questa terra con tutte le sue stratificazioni, i suoi usi e le sue frequentazioni. Atenei italiani e stranieri si inter‐scambieranno le reciproche esperienze, in nome del comune interesse per il patrimonio culturale vulcente. E gli attori‐soggetto di queste attività li ritroveremo nel II incontro internazionale di maggio. Saranno loro ad illustrare lo scenario venuto alla luce tra il 2022 e i primi mesi del 2023. Dopo i saluti istituzionali iniziali, alle 10, in primis del presidente della Fondazione Vulci, Gianni Bonazzi, l’introduzione spetterà ai sindaci dei comuni di Canino, Ischia di Castro e Montalto di Castro; a seguire sarà il turno delle autorità: il direttore della direzione generale Abap, Luigi La Rocca; il direttore della direzione regionale Musei Lazio, Stefano Petrocchi; del soprintendente, Margherita Eichberg. Per la soprintendenza, inoltre, interverrà in più contributi la funzionaria archeologa responsabile di zona, Simona Carosi e la funzionaria responsabile del servizio di archeologia subacquea, Barbara Barbaro.

vulci_parco_ricerca-sul-campo_incontro-internazionale_programma_locandinaMolti i progetti che hanno coinvolto direttamente Fondazione Vulci e la soprintendenza, in particolare quelli riguardanti le indagini nell’Area C della necropoli dell’Osteria. Inoltre saranno presenti: l’università “Gabriele D’Annunzio” di Chieti‐Pescara con contributi riguardanti il sito di Poggio delle Urne (progetto: Usi funerari preromani) della prima età del Ferro e della fase orientalizzante; si parlerà delle ricognizioni territoriali nella bassa Valle del Fiora e degli scavi nella necropoli villanoviana ed etrusca di Ponte Rotto da parte dell’università di Napoli “Federico II” (All’origine di Vulci). E poi ancora tanti altri progetti: Understanding Urban Identities, a cura del dipartimento di Studi storici dell’università di Göteborg (Svezia); Vulci 3000, della Duke University (USA); Vulci Cityscape 2022 dell’università di Friburgo e Magonza; Sustainable Vulci della University College London (Londra). Di “Vulci: vecchi scavi, nuove prospettive. Un progetto condiviso” parleranno Alessandro Conti, della Sapienza università di Roma, e Cristian Mazet, dell’istituto nazionale di Studi etruschi e italici; quest’ultimo altro ente che va ad aggiungersi a tutte le fondazioni, istituzioni e atenei coinvolti nel II convegno internazionale Vulci work in progress 2023. Ancora, molti i contributi relativi ad indagini archeometriche su materiali vulcenti, che consentiranno riflessioni e nuove prospettive anche su materiali e contesti già noti. Non meno importante, la ricognizione sulle scoperte archeologiche avvenute sul territorio, grazie all’archeologia preventiva. Un bilancio dei risultati per tracciare le linee di progetti futuri.

Pompei. Emergono due nuove vittime dallo scavo dei Casti Amanti: due scheletri schiacciati sotto un crollo di muro. Zuchtriegel: “Non fu solo l’eruzione a causare la morte degli abitanti dell’area ma anche un terremoto concomitante”. La cronaca dell’eruzione che in due giorni distrusse la città

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Uno dei due scheletri scoperti nell’insula dei Casti Amanti a Pompei (foto parco archeologico pompei)


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Uno dei due scheletri scoperti nell’insula dei Casti Amanti a Pompei (foto parco archeologico pompei)

Morti schiacciati dal crollo del muro della casa, mentre al di fuori si stava scatenando l’inferno. Gli scheletri di due vittime di Pompei sono emersi dallo scavo nell’insula dei Casti Amanti. È questa l’ultima importante scoperta nell’antica città romana alle falde del Vesuvio che corregge un po’ la prospettiva sulla fine dei suoi abitanti: non fu solo l’eruzione a causare la morte di quanto vivevano nell’area, ma anche un terremoto concomitante. Gli scheletri sono stati ritrovati nel corso del cantiere di messa in sicurezza, rifacimento delle coperture e riprofilatura dei fronti di scavo dell’Insula dei Casti Amanti, che sta prevedendo anche degli interventi di scavo in alcuni ambienti. Giacevano riversi su un lato, in un ambiente di servizio, al tempo in dismissione per probabili interventi di riparazioni o ristrutturazione in corso nella casa, nel quale si erano rifugiati in cerca di protezione.  

“Il ritrovamento dei resti di due pompeiani avvenuto nel contesto del cantiere in opera nell’Insula dei Casti Amanti”, dichiara il Ministro della cultura Gennaro Sangiuliano, “dimostra quanto ancora vi sia da scoprire riguardo la terribile eruzione del 79 d.C. e conferma l’opportunità di proseguire nelle attività scientifiche di indagine e di scavo. Pompei è un immenso laboratorio archeologico che negli ultimi anni ha ripreso vigore, stupendo il mondo con le continue scoperte portate alla luce e manifestando l’eccellenza italiana in questo settore”. I dettagli scientifici dello scavo possono essere approfonditi attraverso gli articoli pubblicati sull’E-Journal di Pompei – scaricabile dal sito ufficiale del Parco www.pompeiisites.org – nuova piattaforma digitale rivolta alla comunità scientifica e al pubblico e finalizzata a fornire notizie e relazioni preliminari riguardanti progetti di scavo, di ricerca e di restauro nelle sedi del Parco.

“Le tecniche dello scavo moderno ci aiutano a comprendere sempre meglio l’inferno che in due giorni distrusse interamente la città di Pompei, uccidendone molti abitanti: bambini, donne e uomini. Con le analisi e le metodologie riusciamo ad avvicinarci agli ultimi istanti di chi ha perso la vita”, evidenzia il direttore del Parco, Gabriel Zuchtriegel. “In una delle discussioni di cantiere, durante il recupero dei due scheletri, uno degli archeologi indicando le vittime che stavamo scavando, ha detto una frase che mi è rimasta impressa e che sintetizza forse la storia di Pompei, quando, ha dichiarato: ‘questo siamo noi’. A Pompei, infatti, l’avanzamento delle tecniche non ci fa mai dimenticare la dimensione umana della tragedia, piuttosto ce la fa vedere con più chiarezza”.

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L’ambiente nell’insula dei Casti Amanti a Pompei dove sono stati scoperti due scheletri schiacciati da crollo del muro (foto parco archeologico pompei)

Subbuglio, confusione, tentativi di fuga e nel mentre terremoto, lapilli, correnti turbolente di cenere vulcanica e gas caldi. Fu l’inferno dell’eruzione del 79 d.C. Quello in cui si trovarono gli abitanti dell’antica città di Pompei, tra cui le ultime due vittime, di cui sono stati rinvenuti gli scheletri durante uno scavo nell’Insula dei Casti Amanti. Vittime di un terremoto che ha accompagnato l’eruzione, ritrovate sotto il crollo di un muro avvenuto tra la fase finale di sedimentazione dei lapilli e prima dell’arrivo delle correnti piroclastiche che hanno definitivamente sepolto Pompei costituiscono la testimonianza sempre più chiara che, durante l’eruzione, non furono solo i crolli associati all’accumulo dei lapilli o l’impatto delle correnti piroclastiche gli unici pericoli per la vita degli abitanti dell’antica Pompei, come gli scavi degli ultimi decenni stanno sempre più investigando. L’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., inizia nella mattinata di un giorno autunnale, ma solo intorno alle 13 comincia la cosiddetta fase “Pliniana” durante la quale si forma una colonna eruttiva, alte decine di chilometri, dalla quale cadono pomici. Questa fase è seguita da una serie di correnti piroclastiche che sedimentano depositi di cenere e lapilli. I fenomeni vulcanici uccisero chiunque si fosse ancora rifugiato nell’antica città di Pompei, a sud dell’odierna Napoli, togliendo la vita ad almeno il 15-20% della popolazione, secondo le stime degli archeologi. Tra le cause di morte anche il crollo degli edifici, in alcuni casi dovuto a terremoti che accompagnarono l’eruzione, si rivelò una minaccia letale.

“L’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. dura più di 20 ore. Ci sono più pericoli per le persone nella città. Negli ultimi due secoli e mezzo”, ricorda Zuchtriehgel, “più di 1300 vittime sono state trovate, ma solo oggi abbiamo la possibilità di indagare con una micro-stratigrafia veramente la dinamica esatta in cui è avvenuta la morte. Come in questo caso, non è l’ultima fase dell’eruzione, l’arrivo dei flussi piroclastici dunque la cenere estremamente calda, ma sono dei crolli. Vediamo qui pezzi del muro sulle vittime con diverse fratture che sono il risultato sia del peso dei lapilli sui tetti e sui solai, sia anche dei terremoti che accompagnano l’eruzione. Negli ultimi anni abbiamo visto la forza di questi eventi sismici contestuali all’eruzione del Vesuvio. Qui siamo in un isolato già scavato alcuni decenni fa che adesso è nuovamente oggetto di grandi lavori di restauro e di accessibilità, ma anche di indagini stratigrafiche nelle zone ancora non completamente scavate che abbiamo visto causare una serie di criticità per lo stato degli edifici e dei reperti. Dunque lo scavo va completato e questa è un’occasione anche importante per ricavare nuovi dati. In questo caso sull’ultima fase dell’eruzione con questo fatto del crollo di cui vediamo diverse tracce, possibilmente causato da un sisma. Però vediamo anche ovviamente un ambiente non particolarmente lussuoso, più un ambiente di lavoro con tanti oggetti – anfore, vasi da fuoco, da cucina, dove erano dei lavori in corso con la calce e anfore per l’acqua per ri-intonacare le pareti. Dunque – conclude Zuchtriegel – viviamo una città, a Pompei in generale qui in particolare, in questo momento in trasformazione, che stava cercando di riprendersi. Ma poi interviene l’eruzione e viene tutto stroncato in solo due giorni di inferno”.

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Dettaglio di uno dei due scheletri ritrovati nell’insula del Casti Amanti a Pompei (foto parco archeologico pompei)

I dati delle prime analisi antropologiche sul campo – pubblicati nell’E-journal degli scavi di Pompei – indicano che entrambi gli individui sono morti verosimilmente a causa di traumi multipli causati dal crollo di parti dell’edificio. Si trattava probabilmente di due individui di sesso maschile di almeno 55 anni. Durante la rimozione delle vertebre cervicali e del cranio di uno dei due scheletri, sono emerse tracce di materiale organico, verosimilmente un involto di stoffa. All’interno sono state trovate, oltre a cinque elementi in pasta vitrea identificabili come vaghi di collana, sei monete. Due denari in argento: un denario repubblicano, databile alla metà del II sec. a.C., e un altro denario, più recente, da riferire alle produzioni di Vespasiano. Le restanti monete in bronzo (due sesterzi, un asse e un quadrante), erano anch’esse coniate durante il principato di Vespasiano e pertanto di recente conio.

Nella stanza in cui giacevano i corpi sono emersi anche alcuni oggetti, quali un’anfora verticale appoggiata alla parete nell’angolo vicino a uno dei corpi e una collezione di vasi, ciotole e brocche accatastata contro la parete di fondo. La cosa più impressionante è l’evidenza dei danni subiti da due pareti, probabilmente, a causa dei terremoti che hanno accompagnato l’eruzione. Parte della parete Sud della stanza è crollata colpendo uno degli uomini, il cui braccio alzato rimanda forse alla tragica immagine di un vano tentativo di proteggersi dalla caduta della muratura. Le condizioni della parete Ovest, invece, dimostrano la forza drammatica dei terremoti contestuali all’eruzione: l’intera sezione superiore si è staccata ed è caduta nella stanza, travolgendo e seppellendo l’altro individuo.

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Alcuni oggetti ritrovati vicino ai due scheletri nell’insula dei Casti Amanti a Pompei (foto parco archeologico pompei)

L’ambiente adiacente ospita un bancone da cucina in muratura, temporaneamente fuori uso nel 79 d.C.: sulla sua superficie si trova infatti un mucchio di calce in polvere in attesa di essere impiegata in attività edilizie, il che suggerisce che al momento dell’eruzione si stavano effettuando delle riparazioni nelle vicinanze. Lungo la parete della cucina si trova una serie di anfore cretesi, originariamente utilizzate per il trasporto del vino. Sopra il bancone della cucina, le tracce di un santuario domestico sotto forma di un affresco che sembra raffigurare i lares della casa e un vaso di ceramica parzialmente incassato nel muro che potrebbe essere stato utilizzato come ricettacolo di offerte religiose. Accanto alla cucina, inoltre, una stanza lunga e stretta con una latrina, il cui contenuto sarebbe defluito in un canale di scolo sotto la strada.

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“L’eruzione del Vesuvio” di Pierre Jacques Volaire conservato al museo e real bosco di Capodimonte (foto museo capodimonte)

Cronologia dell’eruzione. La cronologia degli eventi succedutisi a Pompei durante l’eruzione del 79 d.C. è stata ricostruita coniugando la stratigrafia dei depositi e il resoconto dell’evento fatto da Plinio il Giovane in due lettere inviate a Tacito. Precursori dell’eruzione. Fenomeni sismici precursori si verificano negli anni e nei giorni che precedono l’eruzione. In particolare, Plinio il Giovane riporta l’accadimento di terremoti per diversi giorni prima dell’inizio dell’eruzione. L’eruzione. L’eruzione può essere divisa in tre fasi principali: una fase di apertura di breve durata, una seconda fase caratterizzata dalla formazione di una alta colonna eruttiva, dalla quale cadono lapilli e una fase finale caratterizzata dal succedersi di diverse correnti piroclastiche. Queste ultime sono misture di gas e particelle solide ad alta temperatura che scorrono al suolo per effetto della gravità e sono tra i fenomeni vulcanici più distruttivi.

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“L’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C.” dipinto di Pierre-Henri de Valenciennes (1813) conservato al musée des Augustins di Tolosa

Giorno 1. Durante la mattinata del primo giorno, un’esplosione nel cratere genera una nube di cenere che si espande a est del vulcano ma non raggiunge Pompei. Questa fase rappresenta l’apertura dell’eruzione. Ore 13: una colonna eruttiva comincia ad innalzarsi sul cratere raggiungendo decine di chilometri di altezza. Questa fase dura in totale circa 18-19 ore. Le eruzioni caratterizzate da questo tipo di fenomeni sono definite “Pliniane” a seguito della perfetta descrizione della forma della colonna eruttiva fatta da Plinio il Giovane. Egli la descrive come un albero di pino il cui tronco si espande nella parte alta in più rami. Ed in effetti le colonne eruttive sono formate da un “tronco”, che si innalza verticalmente in atmosfera, la cui parte sommitale si espande lateralmente in direzione del vento. Poco dopo l’inizio di questa fase e fino alle 20:00, pomici bianche cadono a Pompei accumulandosi sui tetti delle case e nelle strade. In questa fase la colonna eruttiva raggiunge un’altezza massima di 26 km. A partire dalle 20 e fino alle prime ore del mattino del secondo giorno, a causa di una variazione della composizione chimica del magma eruttato, il colore delle pomici varia dal bianco al grigio. In questa fase la colonna eruttiva si innalza ulteriormente raggiungendo un’altezza massima di 32 km. In totale, alla fine della fase Pliniana, lo spessore del deposito di pomici è 2,8 m anche se spessori maggiori (fino a 5 m) posso verificarsi nei vicoli, a causa dello scivolamento dei lapilli lungo le tettoie spioventi, o per il drenaggio delle pomici attraverso i compluvia e successivo accumulo negli impluvia all’interno delle case. L’accumulo di lapilli provoca il seppellimento del piano terra degli edifici e il crollo dei tetti uccidendo i Pompeiani che non avevano tentato la fuga e avevano cercato riparo nelle case. Collassi parziali della colonna eruttiva generano delle correnti piroclastiche, nella notte tra il primo e il secondo giorno dell’eruzione, che però non raggiungono Pompei.

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I calchi delle vittime trovate nella Casa de Bracciale d’Oro a Pompei (foto parco archeologico pompei)

Giorno 2. Ore 7.30: Una prima corrente piroclastica penetra dentro Pompei sedimentando pochi centimetri di cenere immediatamente sopra le pomici grigie. Questa corrente non crea grandi danni. Tra le 7.30 e le 8 una nuova breve fase da caduta sedimenta un sottile deposito formato principalmente da frammenti di lava e pomici. Ore 8: Una seconda corrente piroclastica arriva in città. A differenza della precedente, questa corrente è estremamente energetica e violenta, interagisce con la struttura urbana, e segna la definitiva distruzione di Pompei. La parte bassa di questa corrente, ad alta concentrazione, viene incanalata e deflessa dai vicoli mentre la parte alta, più diluita e turbolenta, non risente degli ostacoli e scavalca gli edifici. La violenza dell’impatto di tale corrente piroclastica è testimoniata dagli ingenti danni che provoca. Essa è capace di abbattere pareti perpendicolari alla direzione di scorrimento, lasciando profonde e ampie brecce nei muri, talvolta danneggiando più pareti in sequenza. Questa corrente, inoltre, lascia dietro di sé una scia di morte uccidendo gli abitanti sopravvissuti alla fase di caduta dei lapilli. In alcuni casi, l’ultimo istante di vita delle vittime di questa corrente piroclastica, congelato dalla cenere, è arrivato fino a noi grazie alla tecnica dei calchi ideata da Giuseppe Fiorelli. Altre correnti piroclastiche si succedono nel corso del secondo giorno dell’eruzione. Esse contribuiscono a seppellire definitivamente una Pompei ormai già completamente distrutta.

 

Venezia. Scontri in Sudan, stranieri evacuati, università chiuse: intervista di CfNews al prof. Ciampini, direttore della missione archeologica italiana a Jebel Barkal, sulla situazione in Sudan, l’attività di ricerca, i risultati raggiunti e le ripercussioni sulla missione: “Difficile prevedere una campagna per il 2023”

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Foto di gruppo della missione archeologica italiana in Sudan a Jebel Barkal: al centro, accosciate, Federica Pancin e Francesca Iannarilli; in piedi, Emanuele Ciampini (foto mai-sudan)

Per giorni la notizia degli scontri in Sudan ha occupato le prime pagine di giornali e notiziari tv, fino all’evacuazione massiccia di tutti gli italiani, e gli altri stranieri presenti, da Khartoum. Poi la notizia è scivolata nelle pagine interne, ma non cero la drammaticità della situazione. Da metà aprile in Sudan sono in corso violenti scontri tra esercito governativo e milizie paramilitari che hanno sospeso il processo di transizione verso la nascita di un governo civile. La popolazione si nasconde o fugge nei paesi vicini e i cittadini stranieri sono stati messi in salvo. Sulla stampa internazionale le Nazioni Unite hanno sottolineato il rischio di un “disastro umanitario colossale”. Gli scontri si concentrano soprattutto tra la capitale Khartoum e il sud del paese, le ambasciate e le università sono chiuse. sudan_jebel-barkal_missione-italiana_logoNel Nord del Sudan, è attiva la missione archeologica italiana a Jebel Barkal diretta dal 2011 dal prof. di Emanuele Marcello Ciampini, egittologo di Ca’ Foscari. La missione archeologica a Jebel Barkal opera sul sito tutti gli anni. L’area data in concessione alla Missione italiana ha una notevole estensione ed è stata finora investigata in modo sistematico solo per una percentuale non molto alta, forse poco più del 15%. È una missione che lavora da più di 50 anni, ma ci sono stati dei periodi con interventi un po’ a spot; solo negli ultimi anni si è cercato di sfruttare al massimo un tempo che si aggira intorno alle 4/5 settimane per ogni missione. In occasione della prima edizione della Giornata dell’Archeologia Italiana all’Estero, la newsletter dell’ateneo veneziano CfNews ha approfondito col professor Ciampini la situazione in Sudan e l’attività di ricerca guidata da Ca’ Foscari, incerta per il 2023. Ecco alcuni passaggi dell’intervista curata da Sara Moscatelli.

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Il prof- Emanuele Ciampini. direttore della Missione archeologica italiana in Sudan (foto mai-in-sudan)

Professore, dalle sue fonti com’è la situazione in Sudan adesso? “Siamo in una fase di stallo, c’è una guerra in atto, un grande stato di insicurezza soprattutto nella capitale Khartoum, e nelle zone più a Sud e nel Darfur, già instabili in passato. L’area in cui scava la nostra missione risulta al momento relativamente tranquilla, anche se di certo non si può programmare alcun intervento in tempi brevi. La situazione a Jebel Barkal riflette la lontananza del sito dai principali scenari del conflitto; scaviamo a nord, a 400 km da Khartoum. Mi auguro che appena la situazione sarà un po’ più stabile, potremo riprendere i contatti con le autorità locali e con la nostra rappresentanza diplomatica, non appena l’Ambasciata d’Italia a Khartoum, ora chiusa, tornerà a essere operativa; temo però che sia difficile ipotizzare una nuova missione regolare nel corso dell’autunno”.

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Copertina del libro “Jebel Barkal. Half a century of the Italian Archaeological Mission in Sudan / Jebel Barkal. Mezzo secolo della Missione Archeologica Italiana in Sudan” a cura di Emanuele Ciampini e Francesca Iannarilli

Quando è stato l’ultima volta in Sudan? “La nostra ultima missione si è svolta nel novembre 2022 dopo due anni di fermo: prima il Covid e, nel 2021, il colpo di stato. Lo scorso novembre si è dato inizio ad un intervento di restauro nell’area del sito che promette sviluppi interessanti: da una parte la salvaguardia delle antichità e dall’altra la loro valorizzazione per renderle fruibili ai visitatori. Si è trattato di un intervento richiesto dall’Unesco, dopo una ricognizione dell’area, che rientra tra quelli di interesse mondiale. Questa attività ha dato nuova linfa al lavoro della missione: l’intervento di fruizione è stato indirizzato non solo ai visitatori, per i quali era stata già realizzata una guida cartacea, ma anche alle comunità locali con attività di formazione. Lo scavo è stato più volte in passato opportunità di formazione teorica e pratica per giovani studentesse e studenti universitari sudanesi sia di archeologia che di antropologia fisica”.

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Il Palazzo Regale di Natakamani a Jebel Barkal (Sudan), visto da Nord (foto mai in sudan)

A che punto sono gli scavi di Jebel Barkal? “A novembre abbiamo lavorato sul restauro del grande palazzo reale che necessitava di interventi mirati; a questo lavoro si è agganciata una serie di sondaggi allo scopo di mettere in evidenza da una parte le caratteristiche del terreno, operazione mai fatta fino ad ora, e dall’altra per aprire una nuova area di indagine in un settore dove si vedevano affiorare sul terreno elementi architettonici in pietra. I sondaggi qui condotti hanno restituito le prime evidenze di un edificio monumentale che ha un fronte almeno di 30 mt sul lato sud, e la cui estensione interna non è al momento definibile. Siamo abbastanza incuriositi dal vedere cos’è, perché alcuni frammenti superstiti riportano delle decorazioni pittoriche vivaci con tecniche che richiamano molto dei modelli di ambiente mediterraneo-ellenistico. Sappiamo che il regno di Meroe è stato un’area ricettiva di apporti dal Nord (di ambito faraonico ed ellenistico) e che l’Africa era permeabile al modello del Mediterraneo. Potremmo allora dire che l’Hic sunt Leones iniziava più a Sud, e che quello di Meroe era un regno di leoni che parlavano anche un po’ di greco”.

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Il laboratorio di Karima della missione archeologica italiana a Jebel Barkal in Sudan (foto mai in sudan)

Quando conta di tornare? “Al momento non stiamo pianificando una nuova missione, per poter tornare bisogna che ci siano le condizioni di sicurezza e incolumità. La situazione attuale in Sudan non è un fatto improvviso, ma è la conseguenza di uno stato di tensione che era già nell’aria. Quando sarà possibile, cercheremo di fare il punto dello stato del sito archeologico, del museo di Karima e del magazzino, dove conserviamo i reperti e le attrezzature. Siamo in contatto con una professoressa di archeologia dell’università di Khartoum, con cui vorremmo formalizzare un accordo di scambio docenti e studenti, e le notizie che ci ha dato all’inizio del conflitto ci hanno tranquillizzato. L’Università è però chiusa, muoversi per Khartoum non è una cosa facile di questi tempi”.

Capena (Rm). All’Antiquarium di Lucus Feroniae l’incontro “Archeologia preventiva: i recenti ritrovamenti nei territori di Capena, Fiano Romano e Riano”

capena_antiquarium_incontri-archeologia-preventiva_locandinaSabato 13 maggio 2023, alle 16, a Capena (Rm), all’Antiquarium di Lucus Feroniae, l’incontro “Archeologia preventiva: i recenti ritrovamenti nei territori di Capena, Fiano Romano e Riano”. Ingresso libero fino ad esaurimento dei posti disponibili. Dopo i saluti istituzionali del soprintendente, Margherita Eichberg, l’introduzione sarà affidata alla funzionaria archeologa Biancalisa Corradini. Seguiranno gli interventi degli archeologi liberi professionisti Davide Mancini, Mauro Lo Castro, Ilario Di Nardo e Francesco Borsari. All’incontro del 13 maggio ne seguirà un secondo sabato 27 maggio 2023. Gli incontri hanno carattere divulgativo e sono dedicati alla presentazione al pubblico di ritrovamenti archeologici oggetto di scavi recenti e per questo ad oggi inediti. L’obiettivo principale è di promuovere la conoscenza di un patrimonio archeologico ancora per nulla noto sul piano scientifico ed emerso nell’ambito di indagini archeologiche preventive. Sarà infatti oggetto di riflessione anche la funzione dell’archeologia preventiva nel consentire una migliore e più efficace conciliazione tra le esigenze di tutela e conservazione del patrimonio archeologico con le trasformazioni urbanistiche ed edilizie nei territori in esame.

Altino. Al museo nazionale e area archeologica “Modus vivendi”: giornata speciale per la Notte europea dei Musei. Visita allo scavo della cloaca, inaugurazione mostra sulla vita quotidiana nella città antica attraverso i reperti da poco scoperti, apertura serale straordinaria

altino_archeologico_eventi-13-maggio_locandinaLa Notte Europea dei Musei al museo nazionale e area archeologica di Altino si festeggia alla grande. Sabato 13 maggio 2023 è in programma una giornata ricca di eventi. Si inizia alle 17.30, con “Modus Vivendi – Lo scavo”: visita allo scavo della cloaca, scoperta durante le indagini archeologiche del 2022, a cura della direttrice Marianna Bressan. La visita, su prenotazione, è gratuita per gli abbonati e ha il costo di 1 euro per gli altri. Quindi alle 19, “Modus vivendi”: inaugurazione della mostra “Modus vivendi”, evocativo allestimento di una selezione di reperti provenienti dalla cloaca scoperta con gli scavi del 2022. La mostra è stata curata dal museo nazionale e area archeologica di Altino, in collaborazione con il museo della Bonifica di San Donà di Piave, Petra soc. coop. e co-finanziato dalla Regione Veneto (L.R. 17/2019 “Legge per la cultura” annualità 2022) e dal ministero della Cultura – Piano Strategico Grandi Progetti Beni Culturali. Coordinamento scientifico e testi: Marianna Bressan. Collaborazione scientifica: Francesca Ballestrin, Leonardo Bernardi, Sara Campaner, Paolo Marcassa, con il contributo di Francesca Mombelli. L’evento è gratuito per gli abbonati e incluso nel biglietto d’ingresso per gli altri. Infine, dalle 19 alle 22, “Notte Europea dei Musei”: il museo di Altino festeggia la Notte Europea dei Musei con un’apertura serale straordinaria, con ingresso a 1 euro.

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Marianna Bressan, direttrice del museo nazionale e area archeologica di Altino (foto graziano tavan)

Mostra “Modus vivendi”. Una tavola imbandita, una luce fioca e diverse persone vestite in modo elegante in attesa della cena. Tra i reperti emersi dalla cloaca scoperta nel 2022 nell’area archeologica di Altino non manca davvero nulla per immaginare quei momenti. La vita quotidiana si svela attraverso gli oggetti e racconta un mondo. Ci sono i profumi e gli unguenti per la cura del corpo, le perle in pasta di quarzo che ornavano collane e pendenti, le forcine per capelli dalle quali scendevano fili colorati ma anche le lucerne (piccole lampade portatili) decorate che servivano ad illuminare gli ambienti chiusi, diverso vasellame in ceramica o vetro, pettini di legno di bosso e perfino pedine, gocce di vetro blu e nero, per «giocare» nel tempo libero e un calamaio (probabilmente prodotto nel sud della Gallia). “Questa mostra è per noi il primo passo per condividere con i nostri visitatori quello che è emerso dagli scavi in corso”, spiega Marianna Bressan, direttrice del museo nazionale e area archeologica di Altino, “si tratta di una selezione di reperti che ci permettono di raccontare la vita quotidiana altinate ma allo stesso tempo la rivoluzione che sta avvenendo al Museo. Grazie alle collaborazioni con gli enti istituzionali e privati l’accesso agli scavi sarà sempre più agile e la conoscenza delle scoperte sarà sempre più accessibile e approfondita in vista della nascita del Parco Archeologico”.

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Frammento di oggetto in vetro colorato dalla cloaca scoperta nell’area archeologica di Altino (foto drm-veneto)

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Lucerna dalla cloaca scoperta nell’area archeologica di Altino (foto drm-veneto)

I reperti. La mostra partirà proprio dagli oggetti di uso quotidiano, che in una sorta di istantanea del I secolo d.C. saranno in grado di raccontare la vita delle persone che frequentavano il quartiere. I reperti saranno esposti in un allestimento evocativo, pensato per mostrare al pubblico gli oggetti rinvenuti sul fondo della cloaca scoperta con gli scavi del 2022. Ci sono recipienti di vetro di colori vivaci, suppellettili di ceramica decorate che facevano parte dell’arredo della casa ma anche un raro balsamario blu con inserti in foglia d’oro che serviva a contenere profumi o unguenti per la cura del corpo. In tutto l’Impero romano se ne conoscono soltanto nove di simili, ma questo è l’unico che proviene con sicurezza da un contesto archeologico urbano datato con precisione. La mostra esporrà inoltre tre coppette decorate che vivacizzavano la tavola imbandita e le lucerne, piccole lampade portatili, qui in due esemplari decorati a rilievo. Non mancano gli oggetti “preziosi”. Le perle in pasta di quarzo, a forma di melone, che facevano parte di collane. L’ago, anch’esso di osso era una forcina per capelli: i fori potevano accogliere piccole spille di metallo o fili colorati, per impreziosire le acconciature femminili.

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Una perla dalla cloaca scoperta nell’area archeologica di Altino (foto drm-veneto)

La dieta e l’ambiente. I resti vegetali e animali che, insieme agli oggetti, si sono conservati sul fondo della cloaca grazie alle condizioni di forte umidità, sono, oggi, eloquenti testimoni del modo di vivere dei nostri antenati altinati. Ci sono ad esempio resti di suini in giovane età con tracce di macellazione su alcune mandibole che fanno intuire l’apprezzamento di tagli di carne particolari, come il “guanciale” ma la dieta includeva parecchi molluschi di mare: ostriche, murici, canestrelli. Questo possibilità di lettura del passato ha ispirato l’idea della collaborazione tra il museo nazionale e area archeologica di Altino e il MUB – Museo della Bonifica di San Donà di Piave: il primo custodisce la memoria degli abitanti dell’area altinate nel millennio a cavallo della nostra era, il secondo conserva le attestazioni delle tradizioni culturali e materiali di età moderna dei territori restituiti con le bonifiche ottocentesche; i due sono dunque legati da un filo sottile e resistente, che cuce tra loro manifestazioni lontane della vita umana, nelle somiglianze e nelle differenze.

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Lucerna dalla cloaca scoperta nell’area archeologica di Altino (foto drm-veneto)

La cloaca. La cloaca scoperta nel 2022 è un’infrastruttura sotterranea del quartiere urbano conservato nell’area archeologica del decumano. Questo quartiere fu uno dei primi a essere scoperto dell’Altino romana, negli anni Sessanta; successivamente fu interessato da scavi a più riprese, fino ai primi anni Novanta, senza che ne venissero esaurite le potenzialità archeologiche. Nel 2022, nell’ambito del progetto tutt’ora in corso, che mira a qualificare Altino come parco archeologico, si è presentata l’occasione di riprendere a scavare. Ad occuparsi degli scavi è stata la società P.ET.R.A. soc. coop (direzione lavori Massimo Dadà della soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per il Comune di Venezia e Laguna). Da lì le sorprese inaspettate. Quello che all’inizio sembrava un residuo di muretti mal conservati si è rivelato il corpo di un imponente manufatto funzionale allo smaltimento idrico che ha permesso e oggi di raccontare i dettagli della vita quotidiana degli abitanti della zona.

Altino. Nona puntata della rubrica #archeoaltino: focus su un reperto di eccezionale importanza: la stele sepolcrale “di Ostiala”, proveniente dalla necropoli settentrionale di Altino

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Mappa del sito archeologico di Altino: nel cerchietto rosso l’area da cui proviene la stele sepolcrale di Ostiala (foto drm-veneto)

Nona puntata della rubrica #archeoaltino che, il martedì, fa scoprire da dove provengono i reperti visibili al museo Archeologico nazionale di Altino e cosa li lega alle aree archeologiche e al territorio circostante. Oggi focus su un reperto di eccezionale importanza: la stele sepolcrale “di Ostiala”, proveniente dalle sepolture della necropoli settentrionale di Altino.

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La stele sepolcrale di Ostiala proveniente dalla necropoli settentrionale e conservata al museo Archeologico nazionale di Altino (foto drm-veneto)

La zona a Nord dell’antico abitato di Altino, il “sepolcreto settentrionale”, ha restituito molte interessanti testimonianze della fase veneta della città. Tra queste la stele sepolcrale di Ostiala. Si tratta di un monumento funerario in trachite, databile tra la fine del V sec. a.C. e il III sec. a.C.: la stele reca un’iscrizione a spirale che in origine doveva correre lungo tutta la cornice, ma che ci è giunta danneggiata e frammentaria. L’iscrizione era dedicata a due donne: una si chiamava Ostiala, dell’altra non ci è giunto il nome; entrambe, però, avevano come nome anche Fremaist[ : forse un patronimico? Se questa ipotesi fosse vera, le due donne sarebbero sorelle. Un’altra parola molto importante che compare nel testo è “ekvopetars”: in questo caso il termine venetico può significare “oggetto pertinente alla classe dei cavalieri” (pet- = “signore”, ekvo- = “cavallo”; quindi ekvopetars = “cavaliere”). L’epitaffio può essere ricostruito così: “monumento funebre per Ostiala A… e per … …-na, (figlia/e di) Fremaist[ “.

Crotone. I carabinieri del TPC, dopo lunghe indagini, restituiscono all’Italia (e al Perù e all’Equador) decine di reperti archeologici di 2500 anni fa, frutto di saccheggio. La cerimonia al museo di Pitagora

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Il comandante del Nucleo Carabinieri Tpc di Cosenza, tenente Giacomo Geloso, e il direttore regionale Musei della Calabria, Filippo Demma, davanti ai reperti archeologici restituiti all’Italia (foto drm-calabria)

In antico erano chiamati i “Nostoi”, i ritorni, ovvero il racconto del ritorno in patria di singoli eroi della guerra di Troia. Un qualcosa del genere è avvenuto giovedì 4 maggio 2023, a Crotone. Ma non si tratta del ritorno in patria di eroi del terzo millennio, ma di testimoni dei popoli e della cultura della Magna Grecia di 2500 anni fa. Al museo di Pitagora, centro di riferimento delle attività culturali della città di Crotone, si è svolta infatti la cerimonia di restituzione di reperti archeologici all’Italia (ma anche al Perù e all’Ecuador). Preziose testimonianze recuperate in Italia e nel Regno Unito nel corso delle attività dell’indagine convenzionalmente denominata “Achei”. Ne dà notizia direttamente la Direzione regionale Musei della Calabria. Presenti alla cerimonia di restituzione il direttore regionale Musei della Calabria, Filippo Demma; il comandante del Nucleo Carabinieri Tpc di Cosenza, tenente Giacomo Geloso; l’ambasciatore peruviano Eduardo Martinetti e il ministro dell’Ambasciata dell’Ecuador, Patricio Troya Suarez.

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La grande lekythos attica a figure nere su fondo bianco, attribuibile al Pittore di Edimburgo del 500 a.C., recuperata sul mercato clandestino dai Carabinieri del TPC (foto drm-calabria)

Le indagini condotte dal 2017 al 2018 hanno consentito di accertare sistematici saccheggi che garantivano al mercato clandestino un flusso continuo di beni archeologici di ingente valore ed erano inseriti in articolati e complessi canali di ricettazione in Italia e all’estero. Tra i numerosi reperti uno specchio in bronzo con impugnatura a forma di fanciulla panneggiata (kore) del V sec. a.C., una grande lekythos attica a figure nere su fondo bianco, attribuibile al Pittore di Edimburgo del 500 a.C., 52 esemplari di monete in oro, rame, bronzo argento che vanno dal V al III sec. a.C.

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Alcuni reperti archeologici recuperati dai Carabinieri del TPC di Cosenza tra cui, al centro, uno specchio in bronzo con impugnatura a forma di fanciulla panneggiata (kore) del V sec. a.C. (foto drm-calabria)

“Significativo il lavoro svolto dagli Istituti del ministero della Cultura per contribuire alla conoscenza e allo studio dei reperti rubati e poi restituiti alla comunità e spesso le sale espositive sono occasione per scoprire opere recuperate grazie complesse attività di indagine”, è stato detto alla conferenza di presentazione. “Tappe queste che costruiscono la storia della tutela del patrimonio italiano. Ed è sempre più forte anche nella coscienza collettiva l’importanza della lotta al traffico illecito di reperti archeologici che ha il duplice scopo di recuperare materialmente i beni ed essere un deterrente per lo scavo clandestino, soprattutto per le disastrose conseguenze della distruzione dei depositi stratigrafici superstiti. Il recupero di questi reperti è quindi una riaffermazione della legalità e del diritto di ciascun popolo alla propria eredità culturale. E le diverse istituzioni che lavorano insieme per interporre efficaci barriere contro le aggressioni del crimine organizzato, consentono questi significativi ritorni”.

Ascoli Piceno. Al via la tre giorni di convegno “Sulle orme dei Longobardi fra Marche e Umbria. Ascoli, Castel Trosino, Spoleto” in ricordo di Lidia Paroli a 30 anni dalle manifestazioni del Centenario del rinvenimento della celebre necropoli di Castel Trosino (1993-‘95). Ecco il programma. Valorizzazione del parco archeologico della necropoli longobarda e del museo dell’Alto Medioevo

ascoli-piceno_convegno-nazionale_sulle-orme-dei-longobardi-fra-marche-e-umbria_ascoli-castel-trosino-spoleto_locandinaDal 4 al 6 maggio 2023 Ascoli Piceno ospiterà il convegno “Sulle orme dei Longobardi fra Marche e Umbria. Ascoli, Castel Trosino, Spoleto”. Sarà l’occasione a 30 anni dalle manifestazioni del Centenario del rinvenimento della celebre necropoli di Castel Trosino (1993-‘95) e dal precedente convegno su “L’Italia centro-settentrionale in età longobarda”, curato dalla compianta Lidia Paroli, per fare un aggiornato punto sulla presenza dei Longobardi nell’area del ducato di Spoleto fra Marche ed Umbria, alla luce delle più recenti ricerche archeologiche ed indagini territoriali, oltre che di ampi confronti con il mondo longobardo nell’intera Italia centro-settentrionale, in parallelo con la mostra tenutasi a Grosseto fra 2021 e 2021 su “I Longobardi e la nascita della Toscana”, e in stretto collegamento con l’altro convegno “Longobardi: cultura, società, potere, economia”, che si terrà sempre a Grosseto nei giorni 26-27 maggio 2023, nell’ambito di un più ampio programma 2023 di iniziative sui Longobardi nell’intera Italia centrale. Coordinamento scientifico: Paolo Delogu, Andrea R. Staffa. Comitato Scientifico: Francesca M. Anzelmo, Paul Arthur, Angela Borzacconi, Gian Pietro Brogiolo, Carlo Citter, Paolo Delogu, Caterina Giostra, Marco Ricci, Andrea R. Staffa, Chiara Valdambrini.

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Fibule a forma di cavallo dalla necropoli di Castel Trosino conservate al museo dell’Alto Medioevo “Alessandra Vaccaro” (museo delle Civiltà) (foto muciv)

Punto centrale della manifestazione è la presentazione alla comunità ascolana e al mondo scientifico nazionale dei risultati delle ricerche che, partendo dagli studi di Lidia Paroli, restituiscono oggi un panorama in cui i Longobardi stanziati a Castel Trosino ed in altri siti dell’area giungono nel Piceno verso il 590 non per devastare l’antica Asculum e sottometterne il territorio, ma quali mercenari al servizio del potere imperiale bizantino, del quale assicureranno il controllo della città sin verso il 620-630, stanziandosi infine in città e rivestendo un ruolo importante nel governo del territorio ormai entrato definitivamente a far parte del ducato longobardo di Spoleto.

Giovedì 4 maggio 2023, Palazzo de’ Capitani. Alle 10.30, apertura ufficiale. Dopo i saluti delle autorità, Paul Arthur introduce i lavori. Paolo Delogu e Andrea R. Staffa presentano il convegno, mentre Marco Ricci e Andrea R. Staffa faranno un ricordo di Lidia Paroli. Alle 12, PRIMA SESSIONE “I Longobardi nell’Italia centrale” presieduta da Paolo Delogu. Intervengono: Marco Ricci su “Aggiornamenti sulla necropoli di Castel Trosino e riflessioni sulla cultura materiale nell’Italia centrale in età longobarda”; e Francesca M. Anzelmo, Paola Romi, Andrea R. Staffa su “Insediamento e necropoli di Nocera Umbra fra età imperiale e VI-VII secolo: il punto sulla situazione”. Alle 15.30, SECONDA SESSIONE “Le Marche in età longobarda” presieduta da Gian Pietro Brogiolo. Intervengono: Andrea R. Staffa su “Da Castel Trosino ad Ascoli: continuità e trasformazioni nell’assetto dell’insediamento fra VI ed VIII secolo”; Enrico Giorgi, Paola Mazzieri, Luca Speranza, Michele Massoni su “Ascoli altomedievale: recenti scoperte e nuove indagini archeologiche (S. Pietro in Castello, Corso Trento e Trieste, Cattedrale)”; Umberto Moscatelli su “Le Marche centrali in età longobarda: popolamento e istituzioni”; e Daniele Sacco su “Genti longobarde nel ducato della Pentapoli, da Rimini ad Ancona. Dove, quando e perché”. Chiude la discussione.

Venerdì 5 maggio 2023, Palazzo de’ Capitani. Alle 9, continua la SECONDA SESSIONE “Le Marche in età longobarda”, ma presieduta da Marco Valenti e Andrea R. Staffa. Interviene Andrea R. Staffa su “Bizantini e Longobardi nel Piceno: una prima ricostruzione complessiva”. Comunicazioni: Luca Speranza, Eleonora Ferranti su “Ascoli Piceno: la necropoli altomedievale presso SS. Vincenzo ed Anastasio; Stefano Finocchi, Matteo Tadolti su “Osimo: edificio ecclesiastico di età tardoantica-altomedievale dal sito dell’Ex-Consorzio Agrario di Osimo e considerazioni generali sul territorio di Osimo fra tardoantico ed alto Medioevo”; Maria Raffaella Ciuccarelli, Michele Silani su “Sena Gallica: nuovi scavi a Villa Tarsi e prime considerazioni sulle fasi tardo antiche – altomedievali dell’antico centro”; Federica Grilli, Matteo Tadolti, Andrea Marziali, Andrea Bruni, Giacomo Piazzini, Elena Ciccarelli, Sofia Cingolani, Linda Damiani, Sofia Iacopini, Francesco Pieragostini, Roberto Tomassoni su “Fermo: Le fasi altomedievali dagli scavi del nuovo ospedale a Campiglione-San Claudio e considerazioni generali sulla vallata del Tenna fra tardoantico ed alto Medioevo”; Stefano Finocchi, Viviana Antongirolami su “Necropoli tardo antica in località Scalo Montecosaro e considerazioni sull’assetto della bassa valle del Chienti fra VI ed VIII secolo”; e Nicoletta Frapiccini su “Trasformazioni dei centri urbani fra VI ed VIII secolo: i centri produttivi”. Segue la discussione. Alle 15.30, TERZA SESSIONE “Le Marche e l’Umbria nel ducato longobardo di Spoleto: istituzioni, economia e società” presieduta da Marco Valenti. Intervengono: Vito Loré su “Conductores e coloni. La gestione dei patrimoni fondiari nel ducato di Spoleto”; Yuri Marano su “Una chiesa di frontiera? Gli episcopati dell’italia centrale in età longobarda”; Francesca Diosono su “Produzione e distribuzione della ceramica in territorio umbro tra VI e VIII secolo”; Enrico Cirelli su “Tra Bizantini e Longobardi: economia e circolazione di prodotti mediterranei nelle Marche altomedievali (secoli VI-VIII)”; e Alessia Rovelli su “La monetazione nei ducati longobardi di Spoleto e Benevento”. Segue la discussione.

Sabato 6 maggio 2023, Palazzo de’ Capitani. Alle 09.30, QUARTA SESSIONE “Cultura artistica nel ducato longobardo di Spoleto” presieduta da Caterina Giostra. Intervengono: Federico Marazzi su “Spoleto e Benevento: due ducati periferici a confronto”; Furio Cappelli su “Spoleto e la sua “irradiazione” nei territori del ducato. Elementi di cultura artistica tra Umbria, Sabina e Piceno”; e Giulia Bordi su “Nuove considerazioni sul tempietto del Clitunno”. Segue la discussione. Quindi tavola rotonda conclusiva con Paul Arthur, Angela Borzacconi, Gian Pietro Brogiolo, Furio Cappelli, Carlo Citter, Paolo Delogu, Caterina Giostra, Federico Marazzi, Marco Ricci, Andrea R. Staffa, Chiara Valdambrini, Marco Valenti.

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Il museo dell’Alto Medioevo di Ascoli Piceno

Sabato 6 maggio 2023, Museo dell’Alto Medioevo – Forte Malatesta. Alle 17, Programmi futuri di valorizzazione dell’eredità longobarda. Indirizzi di saluto: Marco Fioravanti, sindaco di Ascoli Piceno; Chiara Biondi, assessore alla Cultura ed Istruzione della Regione Marche; on. Giorgia Latini, vicepresidente Commissione Cultura, Scienza, e Istruzione della Camera dei Deputati; Gerardo Villanacci, presidente del Consiglio Superiore per i Beni Culturali e Paesaggistici; Guido Castelli, senatore, commissario straordinario ricostruzione Sisma 2016; Andrea Maria Antonini, assessore all’Agricoltura della Regione Marche, già assessore alla Cultura del Comune di Ascoli Piceno; Stefano Papetti, responsabile delle Collezioni Civiche di Ascoli Piceno. Intervengono: F.M. Anzelmo, A.R. Staffa, S. Papetti su “Museo dell’Alto Medioevo di Ascoli Piceno: un programma di rilancio”; Angela Borzacconi su “Nuove potenzialità di collaborazione fra Museo Archeologico Nazionale di Cividale del Friuli e Museo dell’Alto Medioevo di Ascoli Piceno”; soprintendenza ABAP Province di Ascoli Piceno-Fermo-Macerata su “Parco Archeologico di Castel Trosino: il punto sulla situazione”. Momento di ricordo ed apposizione presso il Museo di targa in memoria di Lidia Paroli. Messa in opera della targa relativa alla vittoria da parte del museo dell’Alto Medioevo di Ascoli Piceno del Premio nazionale musei Riccardo Francovich per il 2020.

Pompei. Ricostruito nelle sue parti mancanti il carro da parata di Civita Giuliana, a due anni dall’eccezionale scoperta. Sarà un pezzo forte della mostra “L’istante e l’eternità. Tra noi e gli Antichi” alle Terme di Diocleziano a Roma. Zuchtriegel: “Dalla scoperta al restauro, alla fruizione: un percorso di recupero, legalità e valorizzazione di un reperto unico”

“Elegante, raffinato, prezioso: è lo straordinario carro da parata, con elementi in legno e ferro, dipinto di rosso, e decorazioni a tema erotico in stagno e bronzo, l’ultima eccezionale scoperta dagli scavi della villa suburbana di Civita Giuliana a un passo da Pompei. Sotto il portico della villa, a ridosso della stalla dove meno di tre anni fa erano stati trovati tre cavalli, uno ancora con le ricche bardature in bronzo, il carro era pronto forse per un rito legato a culti propiziatori come potevano essere quelli di Cerere o di Venere, forse – più probabilmente – per una cerimonia nuziale promossa dal ricco proprietario della villa. Nozze ed eros: riportano a scene di vita quotidiana e di festa delle élite”. Così due anni fa, era il febbraio 2021, il parco archeologico di Pompei annunciava la nuova eccezionale scoperta nella villa di Civita Giuliana (vedi Nuova eccezionale scoperta nella lussuosa villa di Civita Giuliana (Pompei): scoperto un carro da parata (pilentum) integro, con decorazioni erotiche, forse per una cerimonia nuziale. Osanna: “Un unicum in Italia. Grazie all’intesa Parco archeologico di Pompei e Procura di Torre Annunziata per contrastare le attività dei tombaroli” | archeologiavocidalpassato).

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Locandina della mostra “L’istante e l’eternità. Tra noi e gli antichi” alle Terme di Diocleziano dal 4 maggio al 30 luglio 2023

 

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Il carro da parata scoperto nella villa suburbana di Civita Giuliana dopo la ricostruzione (foto parco archeologico pompei)

Oggi il carro ricostruito nelle sue parti mancanti – che lasciarono impronte nella cenere e furono recuperate grazie alla tecnica del calco – è finalmente percepibile nelle sue reali forme e dimensioni e sarà uno dei pezzi forti della mostra “L’istante e l’eternità. Tra noi e gli Antichi”, in programma dal 4 maggio al 30 luglio 2023 alle Terme di Diocleziano, una delle sedi del museo nazionale Romano. “Questa è un’autentica perla che dimostra ancor più, ove ve ne fosse bisogno, l’unicità del nostro patrimonio”, dichiara il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano. “Il restauro e l’esposizione non rappresentano solo la restituzione di un reperto eccezionale ai cittadini e agli studiosi, ma anche il coronamento di uno sforzo che, in questo caso, ha visto operare insieme parco archeologico di Pompei, Procura della Repubblica di Torre Annunziata e Carabinieri del TPC. Tutto ciò ci spinge a lavorare con sempre maggior impegno, consapevoli del valore del nostro patrimonio, eredità di un grande passato ma anche opportunità di crescita civile e socioeconomica per il futuro”. La mostra che espone il carro è promossa dal ministero della Cultura italiano e dal ministero della Cultura e dello Sport della Grecia (Eforato per le Antichità delle Cicladi) e testimonia la centralità e l’importanza della collaborazione tra i due Stati. L’evento espositivo, organizzato dalla Direzione generale Musei e dal museo nazionale Romano in collaborazione con Electa, è ideato e curato da Massimo Osanna, Stéphane Verger, Maria Luisa Catoni e Demetrios Athanasoulis, con il sostegno del parco archeologico di Pompei e la partecipazione della Scuola IMT Alti Studi Lucca e della Scuola Superiore Meridionale (vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2023/04/30/roma-alle-terme-di-diocleziano-con-lapertura-delle-grandi-aule-chiude-da-decenni-al-via-la-grande-mostra-listante-e-leternita-tra-noi-e-gli-antichi-30/).

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La Stanza degli Schiavi nella villa suburbana di Civita Giuliana a Pompei (foto parco archeologico pompei)

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La seconda vittima nel criptoportico della villa suburbana di Civita Giuliana: ben delineati il mento, le labbra e il naso (foto Luigi Spina)

L’operazione nasce nel 2017 dalla collaborazione tra la Procura della Repubblica di Torre Annunziata, i Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale e il parco archeologico di Pompei per arrestare l’attività illecita dei clandestini e il depredamento del patrimonio archeologico di quell’area. Da questa sinergia che ha dato vita nel 2019 a un Protocollo d’intesa per la legalità tra le istituzioni teso al contrasto delle operazioni illecite nel territorio vesuviano, e dall’attività di scavo avviata ne è derivata la scoperta e dunque la restituzione al pubblico di ambienti e reperti di grande valore dal punto di vista storico e scientifico: dal rinvenimento di una stalla con i resti di alcuni esemplari equini, tra cui un cavallo bardato di cui è stato possibile realizzare il primo calco in assoluto, alla stanza degli schiavi e al carro cerimoniale nel quartiere servile della villa; ai calchi di due vittime dell’eruzione nel settore residenziale (vedi Straordinaria scoperta tra i cunicoli di scavi clandestini a Civita Giuliana, appena fuori le mura nord di Pompei: trovata una villa suburbana in ottimo stato di conservazione. Per evitare fake news e notizie sensazionalistiche prive di fondamento il direttore generale Osanna svelerà giovedì 10 maggio tutti i dettagli della scoperta | archeologiavocidalpassato).

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Il carro da parata scoperto nella villa suburbana di Civita Giuliana dopo la sua ricostruzione (foto parco archeologico pompei)

Il grande carro cerimoniale a quattro ruote, con i suoi elementi in ferro, le bellissime decorazioni in bronzo e argento, con raffigurazioni erotiche, i resti lignei mineralizzati, le impronte degli elementi organici (dalle corde a resti di decorazioni vegetali), venne rinvenuto quasi integro nel porticato antistante alla stalla con i resti dei 3 equidi. Si tratta di un vero e proprio unicum in Italia non solo per il livello di conservazione, in quanto sono emerse le singole decorazioni e l’intera struttura del veicolo, ma anche perché non si configurava come carro da trasporto per i prodotti agricoli o per le attività della vita quotidiana, già attestati sia a Pompei che a Stabia. Il carro è identificabile come un pilentum, un veicolo usato nel mondo romano dalle élite, per cerimonie e in particolare per accompagnare la sposa nella nuova casa. Un reperto unico e fragile per le sue delicate condizioni di conservazione e rinvenimento, che nel suo percorso di recupero, restauro, ricostruzione e restituzione alla fruizione del pubblico, incarna appieno il senso di caducità e eternità che la storia ci consegna attraverso la testimonianza del nostro straordinario patrimonio culturale.

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Dettaglio della decorazione del carro di parata scoperto nella villa suburbana di Civita Giuliana dopo la ricostruzione (foto parco archeologico pompei)

“La scoperta all’epoca dello scavo fu eccezionale per le informazioni che rivelava per la tipologia di veicoli di trasporto, di tipo cerimoniale, che non trovava confronti in Italia con simili reperti. Un carro simile era stato ritrovato anni fa in Grecia, nei luoghi dell’antica Tracia, in una tomba appartenuta a una famiglia di alto rango, ma lasciato in situ.  Questa è invece la prima volta al mondo che un pilentum viene ricostruito e studiato”, dichiara il direttore generale dei Musei, Massimo Osanna, sotto la cui direzione del parco di Pompei nel 2018 si sono avviate tutte le attività e la firma del protocollo d’Intesa con la Procura – Inoltre, le indagini a Civita Giuliana hanno sancito l’ attuazione di una metodologia di scavo di tutto il contesto, ormai ordinaria a Pompei, che ha visto coinvolto un team interdisciplinare di archeologi, architetti, ingegneri, restauratori, vulcanologi, antropologi e archeobotanici. L’attuale restituzione del carro al pubblico racchiude una storia ben più ampia di cura del patrimonio culturale italiano”.

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Una fase della ricostruzione del carro da parata scoperto nella villa suburbana di Civita Giuliana (foto parco archeologico pompei)

“Il carro oltre al suo valore scientifico, costituisce il simbolo di un processo virtuoso di legalità, tutela e valorizzazione non solo dei singoli reperti, ma di tutto il territorio vesuviano”, aggiunge Gabriel Zuchtriegel, attuale direttore del Parco. “Quell’attività ha dato avvio a operazioni di esproprio di strutture illecite, per consentire di proseguire l’indagine e ha visto più enti collaborare per un intento univoco. Oltre alla Procura e ai Carabinieri, anche il Comune di Pompei, ha dato la sua disponibilità nella gestione della viabilità urbana inevitabilmente compromessa dal prosieguo dello scavo. L’esposizione dei preziosi reperti è un punto di partenza verso l’obiettivo più ambizioso di rendere presto fruibile l’intera villa al pubblico”.

Egitto. Nell’antico tempio di Berenice sul mar Rosso la missione polacco-americana ha scoperto una statua del Budda del II sec. a.C. dedicata da uno o più ricchi mercanti dall’India. Waziri, segretario dello Sca: “In epoca romana erano stretti i legami commerciali tra l’Egitto e l’India”

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La statua del Budda (II sec. a.C.) scoperta dalla missione polacco-americana nell’antico tempio di Berenice sul mar Rosso (Egitto) (foto ministry of tourism and antiquities)

Un Budda nell’Antico Egitto. In epoca romana erano stretti i legami commerciali tra l’Egitto e l’India, quando l’Egitto occupava una posizione strategica sulla rotta commerciale che collegava l’Impero Romano a molte parti del mondo antico, inclusa l’India. Lo prova la presenza di un tempio dedicato al Budda nella città di Berenice, sulla costa del mar Rosso. È lì che, durante lo scavo dell’antico tempio di Berenice, la missione archeologica congiunta polacco-americana operante nella città di Berenice, sulla costa del Mar Rosso, è riuscita a portare alla luce una statua di Buddha del II secolo a.C. Lo ha affermato Mostafa Waziri, segretario generale del Consiglio Supremo delle Antichità, sottolineando che la missione archeologica lavora nella città – fondata nel 275 a.C. da Tolomeo II Filadelfo in memoria della madre Berenice I – dal 1994 sotto la supervisione del Consiglio Supremo delle Antichità, e che l’attuale stagione di scavo ha recuperato molte importanti prove dell’esistenza di legami commerciali tra Egitto e India. “C’erano molti porti durante l’epoca romana sulla costa egiziana del mar Rosso coinvolti in questo commercio”, ha spiegato Waziri, “il più importante dei quali era Berenice, dove arrivavano navi dall’India cariche di prodotti come pepe, pietre semipreziose, tessuti e avorio, che venivano scaricati e da qui le carovane di cammelli trasportavano le merci attraverso il deserto fino al Nilo. Altre navi poi portavano le merci ad Alessandria e da lì nel resto dell’Impero Romano”.

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La valle del Nilo con i collegamenti dal porto di Berenice sul mar Rosso ad Alessandria sul mar Mediterraneo (da Stephen Sidbotham e Martin Hense)

Mariusz Goyazda, capo della missione dalla parte polacca, ha detto che la statua scoperta era di una pietra che potrebbe essere stata estratta dalla zona a Sud di Istanbul, potrebbe essere stata scolpita localmente a Berenice e dedicata al tempio da uno o più ricchi mercanti dall’India. “L’altezza della statua è di cm 71. Raffigura il Buddha in piedi che trattiene un lembo delle sue vesti nella mano sinistra, inoltre intorno al suo capo è presente un’aureola con sopra raffigurati i raggi del sole, che indica la sua mente irradiante, e accanto a essa c’è un fiore di loto”. E Stephen Sidbotham, capo della missione da parte americana, ha affermato che la missione è riuscita anche, durante i lavori nel tempio, a scoprire un’iscrizione in lingua hindi (sanscrito) risalente all’imperatore romano Filippo l’Arabo (Marco Giulio Filippo) (244-249 d.C.), e sembra che tale iscrizione non sia della stessa data della statua, che è probabilmente molto più antica, in quanto altre iscrizioni nello stesso tempio erano in greco, risalenti agli inizi del I secolo d.C.”. Sono state trovate anche due monete del II secolo d.C. provenienti dal regno indiano di Satavahana.