Altino (Ve). A due anni dall’inaugurazione di “Antenati altinati” la mostra si arricchisce di una installazione sonora e visiva “Stratigrafie sonore” che dà voce a quella folla muta che dava il benvenuto a chi giungeva nella città romana immedesimando il visitatore moderno in un passato ormai remotissimo. Piccola guida alla mostra

Urna cineraria a cassetta da Altino con l’iscrizione di Melete nella mostra “Antenati altinati” al museo Archeologico nazionale di Altino (foto graziano tavan)

altino_archelogico_mostra-antenati-altinati_stratigrafie-sonore_poster-2altino_archelogico_mostra-antenati-altinati_stratigrafie-sonore_poster-3altino_archelogico_mostra-antenati-altinati_stratigrafie-sonore_poster“Mi chiamo Melete, sono nata in Oriente e sono giunta ad Altino da schiava, circa due anni fa…”. Comincia così, con questo richiamo ai viandanti, il percorso della mostra “Antenati, Altinati” al museo Archeologico nazionale di Altino (Ve), curata da Marianna Bressan, direttrice del museo e area archeologica di Altino. E continua: “Calaecinia mi ha comprato e, dopo anni di duro lavoro, mi ha liberata. Da liberta ho fatto fortuna e così ho comprato un terreno, lungo la via Annia appena fuori città verso Aquileia, per ospitare la mia sepoltura. Era un grande terreno: più di sei metri lungo la strada, quasi 9 metro verso l’interno”. L’iscrizione funeraria di Melete si legge su un’urna cineraria a cassetta in calcare di Aurisina, databile al I sec. d.C. Duemila anni fa, ad Altino, a dare il benvenuto a chi giungeva in città via terra erano proprio gli antenati. “L’approssimarsi alla città è annunciato dall’infittirsi, a perdita d’occhio lungo le strade che vengono da altre città lontane, di una folla muta”, spiega Bressan, “i cui occhi di pietra fissano il viandante e le cui bocche sigillate gli ricordano la necessità, assoluta e improcrastinabile, di vivere finché è possibile, godendo fino in fondo ogni attimo, che pur sfugge”.

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Marianna Bressan, direttrice del museo e area archeologica di Altino, nella mostra “Antenati altinati” (foto graziano tavan)

“Sono loro, gli antenati altinati. I loro monumenti funerari, semplici stele o mausolei colossali, isolati o raggruppati in recinti di famiglia, affollano le necropoli, ovvero le città dei morti, che per secoli si espandono lungo la via Annia sia verso Padova sia verso Aquileia, la strada per Oderzo, la via Claudia Augusta, diretta oltre le Alpi verso il Danubio. Per ricordarli, i loro cari ancora vivi incidono i nomi, i titoli, i mestieri. Li fanno parlare per loro: frammenti di vite vissute, di progetti realizzati o spezzati, di storie in cui ancora oggi, dopo duemila anni, possiamo immedesimarci, come fossero nostre”.

Il percorso espositivo della mostra “Antenati altinati” al museo Archeologico nazionale di Altino (foto graziano tavan)

altino_archeologico_stratigrafie-sonore_antenati-altinati_invitoA due anni dall’inaugurazione la mostra “Antenati altinati” si arricchisce di una installazione sonora e visiva, “Stratigrafie sonore”, opera di Samir Sayed Abdellattef e Giacomo Vidoni, artisti dell’Accademia di Belle Arti di Venezia. Questa installazione introduce nel percorso della mostra la stratigrafia sonora, per spingere a una maggiore immedesimazione in un passato ormai remotissimo. In tal senso, il lavoro artistico si pone in armonia con quanto le scelte allestitive provano a ricreare: la percezione degli spazi della necropoli romana, attraverso la distribuzione delle sculture, e il contatto con le persone cui erano dedicati i monumenti funerari, attraverso la prospettiva soggettiva di presentazione degli stessi. Appuntamento al museo Archeologico nazionale di Altino domenica 12 dicembre 2021, alle 15.30.

Stele a pseudoedicola con i ritratti di Clemens, Clarus, Prisca e Fuscus, da Altino nella mostra “Antenati altinati” (foto graziano tavan)
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Coronamento del monumento funerario di Arisba, schiava di Paconia, da Altino nella mostra “Antenati altinati” (foto graziano tavan)

Ecco che prende forma la voce di Iucundus, che visse ad Altino ai tempi degli imperatori Tiberio e Claudio, con la compagna Iucunda. “Da vivo ho preparato la tomba per Helvia Iucunda”, racconta. “Giunta la mia ora, ho riposato per secoli accanto a lei”. O ancora quella del navarca, il comandante della flotta militare, che al termine dell’ultima impresa, mostra la corazza appoggiata alla gamba destra, con al centro la Gorgone che terrorizza il nemico ed esalta il suo valore militare. Ma ci sono anche Clemens, Clarus, Prisca e Fuscus, il più anziano dei quattro fratelli che vivevano ad Altino al tempo degli imperatori Augusto e Tiberio, come Chresimus sepolto accanto a loro. “I nostri genitori”, fanno sapere al viandante, “ci hanno unito a loro nel sepolcro, ma non puoi vedere i loro volti né conoscerne il cognome, perché il tempo ha rovinato il nostro ritratto di famiglia. Hanno obbedito all’imperatore Augusto, che vuole famiglie numerose e premia le donne con quattro figli, concedendo loro il diritto di amministrare i loro beni”. Voci che vengono da lontano, come quella di Arisba che viene dall’isola di Lesbo, nell’Egeo settentrionale. “Vissi ad Altino”, ricorda, “quando era imperatore Marco Aurelio. Ero schiava di Paconia, che un giorno mi ha concesso la libertà. Sono vestita a festa e ben pettinata, con i capelli ondulati, raccolti e con la riga in mezzo: all’epoca imitavamo tutte l’acconciatura dell’imperatrice Faustina. I due Tritoni, che ti mostrano la mia immagine”, indica al viandante, “mi assicurano nell’Aldilà gioia spensierata e beatitudine eterna”.

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