Iri-en-Akhti è il più antico medico veterinario finora conosciuto: 4500 anni fa lavorava alla corte del faraone. Lo ha scovato Maurizio Zulian che lo presenta a Roma all’assemblea del 60.mo dell’ente nazionale previdenza e assistenza veterinari

La grande necropoli di Saqqara vista da Nord (foto Maurizio Zulian)

Maurizio Zulian, conservatore onorario per l’Egitto del museo civico di Rovereto (foto Giorgio Ceriani)

Lui è Iri-en-Akhti di professione medico veterinario alla corte del faraone. Quando, 4500 anni fa, è stato ricordato per la sua alta professionalità nella cappella della mastaba di Ptah-hotep e Ankh-hotep a Saqqara, a un passo dalla piana di Giza, famosa per le grandi piramidi, di certo non avrà pensato sarebbe diventato particolarmente famoso molti millenni dopo la sua morte per una peculiarità che lo rende speciale: è il più antico medico veterinario finora conosciuto. A scovarlo nella necropoli di Saqqara, tra l’altro in una cappella chiusa ai turisti, è stato Maurizio Zulian, esperto dell’Antico Egitto, conservatore onorario per l’Egitto del museo civico di Rovereto che custodisce – e mette a disposizione di tutti gli interessati – l’imponente Archivio fotografico Zulian con i siti del Medio Egitto, frutto della sua trentennale attività di ricerca e sopralluoghi nella terra dei faraoni. Domenica 25 novembre 2018, all’hotel Radisson Blu di Roma, sarà proprio Maurizio Zulian, intervistato dal giornalista Graziano Tavan dell’archeoblog archeologiavocidalpassato, ad aprire i lavori dell’assemblea dell’Enpav, l’ente nazionale di previdenza e assistenza veterinari, presieduta da Gianni Mancuso, nel 60.mo della fondazione, con la relazione “La figura del medico veterinario nell’Antico Egitto. Una rara scena di macellazione e ispezione nell’Antico Regno (2700 – 2195 a.C.)”.

L’ingresso della mastaba di Ptah-hotep e Ankh-hotep a Saqqara (foto Maurizio Zulian)

Il geroglifico per il sostantivo “medico”: si legge “swnw”

“La cappella della mastaba di Ptah-hotep e Ankh-hotep a Saqqara”, esordisce Zulian, “conserva uno dei gioielli dell’arte dell’Antico Regno: superbi bassorilievi dipinti di una rara e squisita raffinatezza. È qui che si può ammirare la raffigurazione della macellazione di un toro. Non dimentichiamo che grande era la fama dei medici egizi anche al di fuori dei confini del loro Paese. Già Omero così declamava l’Egitto: “Terra fertile che produce droghe in abbondanza; alcune sono medicine, altre veleni; è il Paese dei medici più sapienti della terra”. E negli archivi reali di Amarna, in epoca ramesside e nell’Epoca Tarda, sono documentate molte richieste di prestazioni da parte di sovrani stranieri. Nell’Antico Egitto, come ricordava Erodoto nel V sec. a.C., i medici erano distinti in generici e specialisti: “In Egitto – scrive lo storico greco – hanno diviso la medicina come segue: ciascun medico è medico di una sola malattia, non di più. Dappertutto dunque è pieno di medici: ci sono i medici degli occhi, della testa, dei denti, delle malattie del ventre, delle malattie di identificazione incerta”. Vi era poi una distinzione fra medico vero e proprio e chirurgo – continua Zulian – e tra medico dell’uomo e dell’animale: i documenti di alcuni swnw (così si legge il geroglifico che indica il medico) appaiono infatti più esattamente riferiti a medici veterinari. La figura del medico veterinario compare sia in alcune rare scene di ispezione e macellazione del bestiame, sia in un contesto non specialistico”.

Gli affreschi della parete di ingresso della cappella della mastaba di Ptah-hotep e Ankh-hotep a Saqqara (foto Maurizio Zulian)

Nella parete di ingresso della cappella della mastaba di Ptah-hotep e Ankh-hotep a Saqqara possiamo dunque ammirare la rappresentazione del sacrificio di un toro. “Gli Egizi – ci viene in soccorso Zulian – solevano rappresentarla fin dall’inizio in tutte le sue fasi: come si afferrava il toro per le corna per piegargli la testa all’indietro e farlo così cadere, come veniva legato, iugulato, sezionato con una pietra affilata da macellai esperti sino a raffigurare come venivano trasportati i pezzi dai portatori nel corteo funebre per l’alimentazione del defunto”. In questa cappella la scena raffigura il toro già abbattuto e immolato a terra e i macellai al lavoro a sezionare le parti destinate al banchetto funebre. “Abbiamo qui una scena di sacrificio rituale unica nell’iconografia dell’Antico Egitto e il personaggio che dà l’assenso è un swnw di nome Iri-en-Akhti”. Secondo il professore Pierre Montet, egittologo francese della prima metà del Novecento, Iri-en-Akhti va considerato un veterinario. Di certo Iri-en-Akhti è certamente un medico particolare in quanto il suo titolo di swnw è preceduto da “per-aa” (cioè “Grande casa”). E Zulian precisa: “Per-aa significa che è legato amministrativamente alla corte reale dove esercita la funzione di “imy-r wcb swnw”, letteralmente “capo medico purificatore”. Siccome il termine “wcb” designa anche il sacerdote è possibile che “wcb swnw” indichi un medico con funzione rituale”.

Il dettaglio con il medico veterinario Iri-en-Akhti che annusa il sangue (foto Maurizio Zulian)

Il grafico della scena di Iri-en-Akhti nella cappella di Ptah-hotep e Ankh-hotep a Saqqara

Nell’ultima scena del registro superiore della cappella della mastaba di Ptah-hotep e Ankh-hotep un macellaio, senza allentare la presa dell’animale abbattuto, mette la sua mano sinistra, bagnata dal sangue dell’animale sacrificato, sotto il naso di un alto funzionario che assiste, accompagnando questo gesto con le parole: “Guarda questo sangue”. “L’esame che Iri-en-Akhti fa del sangue del toro – riprende Zulian – ha lo scopo di stabilire se questo sangue è puro e non presenta tracce di malattie, che presso gli Egizi potevano essere riconosciute attraverso l’odore, il colore, l’aspetto in genere e anche il sapore. Si tratta di un esame post-mortem condotto sulle parti interne dell’animale ma molto probabilmente anche un’ispezione sulle modalità di macellazione. Gli antichi Egizi controllavano con attenzione nei minimi dettagli tutte le operazioni di macellazione e non solo consideravano alcuni indicatori esterni per riconoscere lo stato di purezza degli animali, ma essi li esaminavano nuovamente e scrupolosamente dopo la morte, per assicurarsi che non presentassero traccia di alcuna malattia organica, di alcuna lesione insospettabile in vita, di una di quelle infermità descritte nei Libri Sacri che rendevano la carne impura. Lo scopo finale era comunque stabilire se l’animale era commestibile da un punto di vista igienico. Si può quindi concludere che nella cappella di Ptah-hotep viene descritto un comportamento puramente igienico (usanza questa che comunque non sembra essere stata molto diffusa, perché non si registra che poche volte) e che Iri-en Akhti sia stato uno dei primi medici veterinari nella storia dell’Uomo, sicuramente il primo del quale ci sia pervenuta l’identità e la raffigurazione”.

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Una risposta a “Iri-en-Akhti è il più antico medico veterinario finora conosciuto: 4500 anni fa lavorava alla corte del faraone. Lo ha scovato Maurizio Zulian che lo presenta a Roma all’assemblea del 60.mo dell’ente nazionale previdenza e assistenza veterinari”

  1. Italina Bacciga dice :

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