Nella campagna tra Novi di Modena e Concordia del Secchia in 25 anni di ricerche scoperto e salvato dal passaggio di un’autostrada un castrum: villaggio rurale e castello altomedievale. Ora a Novi la mostra “In loco ubi dicitur Vicolongo” presenta i risultati delle ricerche e i preziosi reperti ritrovati
Il titolo in latino della mostra che apre sabato 24 febbraio 2018 alle 16.30 nella sala EXPO Polo Artistico Culturale di Novi di Modena forse è un po’ troppo accademico, “In loco ubi dicitur Vicolongo”. Subito chiarito dal sottotitolo “L’insediamento medievale di Santo Stefano a Novi di Modena”. Ma quella frase (“Nel luogo chiamato Vicolongo”) non è un vezzo culturale. Riprende una formula molto diffusa negli atti notarili medievali o negli atti ecclesiastici antichi: “in loco ubi dicitur”. Ma il toponimo rimane quasi sempre un luogo sulla carta. Non è il caso di Novi di Modena dove, grazie alla caparbietà del Gruppo Archeologico Carpigiano, del Gruppo Studi Bassa Modenese e del Gruppo Storico Novese, coordinato dalla Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio di Bologna, è stato non solo ritrovato Vicolongo, ma si è anche riusciti a ricostruirne la storia: da villaggio rurale a castello. La mostra “In loco ubi dicitur Vicolongo. L’insediamento medievale di Santo Stefano a Novi di Modena” racconta con reperti e immagini la storia di questo sito, posto in un territorio ininterrottamente occupato dall’età augustea alla tarda Antichità, poi trasformato nel castello altomedievale più volte menzionato dai documenti d’archivio. Venticinque anni di ricerche storiche e archeologiche e un importante intervento di tutela spalancano le porte del castrum di Santo Stefano: proprio lì, infatti, doveva passare l’autostrada Cispadana cancellando per sempre questo tesoro. Ma stavolta hanno vinto le motivazioni degli archeologi, e il tracciato dell’autostrada è stato spostato.

Via Santo Stefano di Novi dove è stato individuato il villaggio rurale tardo antico e il castello altomedievale
“L’individuazione del sito archeologico di Vicolongo, a metà strada tra Novi di Modena e Concordia sulla Secchia”, ricordano gli archeologi, “è figlio di una ricerca durata più di 25 anni. Nessuna strada, nessun corso d’acqua, edificio o consuetudine orale indiziavano nel nome l’antico Vicus Longus. Solo i documenti d’archivio ubicavano in quest’area prima un vicus, menzionato a partire dall’841 nei pressi della pieve di Santo Stefano, e poi un castrum”. Ricerche di superficie e sondaggi più recenti hanno portato prima al recupero di centinaia di reperti tra cui armi, monete e ornamenti anche di grande pregio, e poi al ritrovamento di una porzione del sistema difensivo del castrum e di un manufatto della fase precedente, una fornace, riferibile al vicus citato dalle fonti. Allestita fino al 25 aprile 2018 nel Polo Artistico Culturale, la mostra è curata dagli archeologi Sara Campagnari, della soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio di Bologna, e Mauro Librenti, dell’università Ca’ Foscari di Venezia, ed è corredata da una guida breve e un catalogo scientifico editi dal Gruppo Studi Bassa Modenese. L’esposizione offre una visione complessiva dell’insediamento, ricostruendo l’assetto del castello e presentando una selezione di circa 250 reperti che illustrano la vita nel castrum fin dalle sue fasi più antiche.
Le fonti scritte ubicano il vicus nelle vicinanze della pieve di Santo Stefano, menzionata a partire dall’841 e nota fino al 1188. Pieve e villaggio vengono di nuovo citati in un documento di compravendita dell’878. Nel 911 l’abitato è trasformato in un castrum fortificato per volontà del vescovo di Reggio Emilia, su autorizzazione di re Berengario I. Questa evoluzione è riconducibile al fenomeno dell’incastellamento -che in area padana si sviluppa a partire dalla fine del IX secolo- cioè quel processo di accentramento della popolazione all’interno di insediamenti rurali fortificati (castra), circondati da fossati e difese in terra e legno (terrapieni e palizzate) per fronteggiare situazioni di grave insicurezza, come le nuove ondate di invasioni. Il castrum risulta distrutto nel 1287 da Alberto della Scala e successivamente ricostruito. Menzionato ancora nel 1361, incontra un rapido declino, tanto da essere definito come villa nel 1387. Questo secondo le carte. Da lì sono partite ricerche, sondaggi e studi che, come dimostrano i manufatti in esposizione, hanno dato esiti piuttosto inconsueti. La mostra di Novi di Modena dà conto anche del lungo e complesso processo che ha condotto alla recente emissione del vincolo archeologico.

Placchetta in rame del XIII secolo, circolare decorata con racemi, probabilmente fissata all’abito a scopo ornamentale, simbolo della mostra (foto Roberto Macrì, Archivio fotografico SABAP-BO)
La prime ricognizioni di superficie, poi periodicamente ripetute, iniziano nel 1991, recuperando decine di reperti ceramici, metallici (strumenti da lavoro, oggetti d’uso quotidiano, ornamenti e armi), numismatici, laterizi e lapidei, e individuando un areale di circa un ettaro perfettamente visibile anche dalle foto aeree. Ma è solo con il progetto dell’Autostrada Regionale Cispadana che nel 2011 vengono avviati sondaggi più approfonditi: il tracciato prevede il passaggio sul sedime del castrum di Santo Stefano e la soprintendenza dispone la realizzazione di saggi archeologici preventivi per verificare la compatibilità dell’opera pubblica con la tutela dei depositi presenti nel sottosuolo. Seppur scontato, l’esito dei sondaggi è superiore alle aspettative e conferma non solo l’altissima potenzialità archeologica del sito ma anche una stratigrafia ottimamente conservata. Alla luce di questi ritrovamenti ogni soluzione progettuale appare incompatibile con la tutela archeologica e la soprintendenza non solo chiede e ottiene la variante del tracciato autostradale ma avvia contestualmente la pratica di dichiarazione dell’interesse culturale (il vincolo sarà emesso il 18 gennaio 2016) che mette definitivamente al riparo il castrum di Novi di Modena da eventuali futuri interventi che non siano legati alla ricerca archeologica. L’insolita presenza di materiali di pregio importati dal Veneto o dall’area bizantina (maiolica arcaica, graffita bizantina e ceramiche da mensa) testimoniano l’inserimento dell’area in un circuito commerciale di livello europeo, che transitava lungo il Po verso le regioni padane nord-occidentali e di cui pare rimasta traccia anche nella tappa intermedia di Santo Stefano di Vicolongo. Al tempo stesso, la densità di monete, armi e ornamenti databili tra il XIII e il XIV secolo attestano il carattere elitario dei suoi occupanti, oltre a riflettere un elevato livello di militarizzazione dell’insediamento che nella sua fase comunale subisce una notevole trasformazione in piazzaforte signorile (con annessa torre) perdendo le caratteristiche di centro di popolamento.
Le indagini archeologiche preliminari hanno previsto la realizzazione di sei trincee di 30 metri in lunghezza per 3 metri di larghezza, ubicate all’estremità nord-occidentale dell’insediamento. I risultati, pur estremamente parziali, hanno consentito l’individuazione di tre periodi riferibili alla vita del castrum. Alla profondità di circa m 1,50 dal piano di campagna è stato individuato un suolo di età altomedievale con andamento orizzontale, riferibile alla frequentazione del piano di campagna, come attesta una serie di tracce strutturali: questo strato era coperto ed intaccato dalle stratigrafie riferibili dagli interventi della successiva fase di incastellamento. Sigillati dai terrapieni, sono stati rinvenuti una piccola fornace, quattro buche di palo con andamento semicircolare e numerosi livelli di frequentazione costituiti da un’alternanza di limi ricchi di carbone. Della fornace si conservava solo la camera di combustione in concotto a pianta sub circolare; la struttura presentava l’imboccatura del praefurnium verso est e una piccola fossa antistante a pianta subovale. I materiali recuperati dal suolo sono prevalentemente ceramica da fuoco e pietra ollare.
La nascita del castrum (X–XIII secolo) Risale a questo periodo la realizzazione delle fortificazioni con fossati e terrapieni. Nei sondaggi è stato messo in luce il terrapieno più esterno, di circa 30 metri di larghezza, e parzialmente anche il sistema di fossati che lo circondavano. Il terrapieno, livellato e inciso dalle arature, aveva uno spessore massimo di circa un metro ed era costituito da un deposito pluristratificato composto da riporti prevalentemente limo sabbiosi. La formazione dell’argine deve essere avvenuta a più riprese come suggerito dalla presenza, al tetto di alcuni riporti, di buche di palo e concentrazioni di carboni, concotto e laterizi. Oltre ai laterizi erano presenti, tra i materiali di scarico, anche numerose scaglie di pietra -in alcuni casi con tracce di lavorazione- e pochi frammenti di ceramica comune di epoca romana, ceramica da fuoco e frammenti di pietra ollare. Il terrapieno era delimitato da due fossati, uno di grandi dimensioni all’interno, adiacente all’insediamento, e uno di dimensioni minori all’esterno. La parte indagata del fossato interno presentava una larghezza parziale di 10 metri per una profondità massima indagata di 2,6 metri dal piano di campagna. A circa 30 metri di distanza dal fossato principale, separato dal terrapieno, è stato localizzato il secondo fossato della larghezza di circa 6 metri, indagato per una profondità di circa un metro. La lunghezza dei saggi non ha consentito di verificare la presenza di un terzo fossato di delimitazione esterna che risulta visibile dalla foto aerea.
Da castrum a fortilizio signorile (metà XIII–XIV secolo) L’ultimo periodo di frequentazione riconosciuto nei sondaggi si conclude entro il XIV secolo: è ascrivibile a questa fase l’individuazione di un fossato che incide i terrapieni. Il canale misurava circa 5 metri di larghezza massima per m 1,50 di profondità. Possiamo supporre che il castrum includesse una torre, di cui restano una serie di mattoni di modulo tardomedievale con un lato semicircolare, evidentemente utilizzati per una cornice decorativa sul modello di altre strutture del periodo. Appare dunque verosimile che i fossati del castrum, ormai colmati, siano stati sostituiti da un fossato ellittico molto meno significativo dei precedenti. Questo intervento si colloca in una fase in cui il sito aveva ormai perso i propri caratteri di centro insediativo e anche l’apparato fortificatorio originario che risulta livellato e coperto in parte da livelli alluvionali. Si tratta dell’ultima fase di frequentazione dell’area leggibile, oltre la quale si possono osservare solo depositi alluvionali e terreno arato.
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