Massa Marittima. Al museo Archeologico apre la mostra “Gli ultimi re di Vulci. L’aristocrazia etrusca vulcente alle soglie della conquista romana”: 50 reperti per raccontare fasi storiche e passaggi epocali: dal periodo ellenistico, all’ultimo momento di splendore dell’aristocrazia etrusca di Vulci, sino all’ascesa romana
Da Vulci (dove è stata fino al 30 giugno 2022 al museo Archeologico) a Massa Marittima (in provincia di Grosseto) di Vulci: approda al museo Archeologico di Massa Marittima la mostra “Gli ultimi re di Vulci. L’aristocrazia etrusca vulcente alle soglie della conquista romana”, dove resterà dal 15 luglio al 1° novembre 2022, grazie ad una collaborazione tra il museo toscano, la soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio dell’Etruria meridionale, e Fondazione Vulci. “È intorno ai primi decenni della seconda metà del IV sec. a.C. che, forse a seguito di un preciso progetto, vengono realizzate le più importanti tombe delle necropoli di Vulci, appartenenti alle famiglie di alto rango e imparentate fra loro”, spiega la funzionaria archeologa della Soprintendenza competente di zona a Vulci, Simona Carosi: “Queste tombe ci restituiscono non solo la loro storia, ma quella di Vulci e delle città con cui entrò in relazione o in conflitto, come Roma. Le tombe spesso diventano i contesti privilegiati per analizzare e conoscere il vasto patrimonio archeologico vulcente”. Nella mostra a Massa Marittima saranno oltre 50 i reperti esposti, alcuni dei quali hanno già impreziosito la mostra al museo Archeologico di Francoforte. Tra questi, la bella coppa tolemaica che racconta dei contatti tra la città etrusca e il Mediterraneo. Una varietà per raccontare un vasto arco temporale fatto di fasi storiche e passaggi epocali: dal periodo ellenistico, all’ultimo momento di splendore dell’aristocrazia etrusca di Vulci, sino all’ascesa romana.
Al museo di Francoforte aperta la mostra “Leoni, Sfingi e Mani d’argento. Lo splendore immortale delle famiglie etrusche di Vulci”: esposte le ultime scoperte archeologiche dalla metropoli di Vulci e alcuni reperti dal Foro e dal Palatino della Roma dei re etruschi


L’inaugurazione della mostra “Löwen Sphingen Silberhände. Der unsterbliche Glanz etruskischer Familien aus Vulci – Leoni, Sfingi e Mani d’argento. Lo splendore immortale delle famiglie etrusche di Vulci” al museo Archeologico di Francoforte (foto sabap etruria meridionale)
Per la prima volta i nuovi ritrovamenti archeologici provenienti dagli scavi in corso della necropoli della città etrusca di Vulci si possono vedere fuori dall’Italia: succede al museo Archeologico di Francoforte dove il 2 novembre 2021, alla presenza del console generale d’Italia Andrea Samà e dell’assessore alla Cultura Ina Hartwig, del direttore del museo Wolgang David, del sindaco di Montalto di Castro Sergio Caci, di Simona Carosi della soprintendenza, di Carlo Casi e Carlo Regoli di Fondazione Vulci, è stata inaugurata la mostra “Löwen Sphingen Silberhände. Der unsterbliche Glanz etruskischer Familien aus Vulci – Leoni, Sfingi e Mani d’argento. Lo splendore immortale delle famiglie etrusche di Vulci” (3 novembre 2021-10 aprile 2022) che tra agosto e settembre 2021 aveva avuto un’anteprima nel complesso monumentale di S. Sisto a Montalto di Castro, comune nel quale insiste l’area archeologica di Vulci.


Una vetrina della mostra “Löwen Sphingen Silberhände. Der unsterbliche Glanz etruskischer Familien aus Vulci – Leoni, Sfingi e Mani d’argento. Lo splendore immortale delle famiglie etrusche di Vulci” al museo Archeologico di Francoforte (foto alessandro lugari)
Le ultime scoperte archeologiche dalla metropoli di Vulci e le più recenti riflessioni sullo sviluppo della civiltà etrusca in Italia, come nella recente mostra “Etruschi. Viaggio nella terra dei Rasna” a Bologna (vedi Bologna. Al museo civico Archeologico riapre la grande mostra “Etruschi. Viaggio nelle terre dei Rasna”, grazie a Istituzione Bologna Musei ed Electa, e alla solidarietà dei gran musei europei prestatori: biglietti solo on line e ingressi contingentati. In 75 minuti si possono ammirare 1400 oggetti che dialogano con la collezione bolognese | archeologiavocidalpassato) hanno spinto la SABAP dell’Etruria Meridionale, insieme al museo di Francoforte, alla Fondazione Vulci (ente gestore del Parco di Vulci) e al parco archeologico del Colosseo, a promuovere l’evento. “La mostra rappresenta un esempio straordinario”, commenta il soprintendente Margherita Eichberg, “di una riuscita collaborazione internazionale tra il nostro Ministero e il Museo tedesco. È anche grazie alla condivisione e alla diffusione della conoscenza del nostro patrimonio che si combatte il traffico illecito dei reperti e si stimola la coscienza di una cultura partecipata dal più ampio pubblico possibile”.

Alla mostra di Francoforte si possono ammirare i reperti rinvenuti nei recenti scavi effettuati nella Necropoli dell’Osteria e in quella di Poggio Mengarelli. Fanno bella mostra di sé i corredi della Tomba delle Mani d’argento, della Tomba dello Scarabeo Dorato e della Tomba 18 con la rarissima coppa tolemaica, oltre che gli esempi delle più importanti produzioni di artigianato artistico vulcente, come la statuaria in pietra e gli elementi della devozione popolare in terracotta. In mostra, inoltre, alcuni reperti da contesti sacri e sepolcrali dal Foro e Palatino di Roma, relativi al periodo della Roma dei Re Etruschi.
Paestum, XXIII Borsa mediterranea del Turismo archeologico: ecco le 5 scoperte archeologiche (in Cambogia, Iraq, Israele e due in Italia) candidate alla vittoria della sesta edizione dell’International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad”. Anche il pubblico può votarle su Facebook per lo “Special Award”

La locandina della sesta edizione dell’International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad”
Le cinque scoperte archeologiche del 2019, candidate alla vittoria della sesta edizione dell’International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad”, sono: Cambogia, la città perduta di Mahendraparvata capitale dell’impero Khmer nella foresta sulle colline di Phnom Kulen a nord-est di Angkor; Iraq, nel Kurdistan presso il sito di Faida, a 50 km da Mosul, dieci rilievi rupestri assiri, gli dei dell’Antica Mesopotamia; Israele, a Motza a 5 km a nord-ovest di Gerusalemme una metropoli neolitica di 9.000 anni fa; Italia, a Roma la Domus Aurea svela un nuovo tesoro, la Sala della Sfinge; Italia, nell’antica città di Vulci una statua di origine etrusca raffigurante un leone alato del VI secolo a.C. Lo hanno annunciato la Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico e Archeo che hanno inteso dare il giusto tributo alle scoperte archeologiche attraverso un Premio annuale assegnato in collaborazione con le testate internazionali, tradizionali media partner della Borsa: Antike Welt (Germania), Archéologia (Francia), as. Archäologie der Schweiz (Svizzera), Current Archaeology (Regno Unito), Dossiers d’Archéologie (Francia), da quest’anno anche con British Archaeology (Regno Unito) la testata del prestigioso Council for British Archaeology. Il direttore della Borsa Ugo Picarelli e il direttore di Archeo Andreas Steiner hanno condiviso questo cammino in comune, consapevoli che “le civiltà e le culture del passato e le loro relazioni con l’ambiente circostante assumono oggi sempre più un’importanza legata alla riscoperta delle identità, in una società globale che disperde sempre più i suoi valori”. Il Premio, dunque, si caratterizza per divulgare uno scambio di esperienze, rappresentato dalle scoperte internazionali, anche come buona prassi di dialogo interculturale. Il Premio sarà assegnato alla scoperta archeologica prima classificata, secondo le segnalazioni ricevute da ciascuna testata. La cerimonia di consegna si svolgerà venerdì 20 novembre 2020 in occasione della XXIII BMTA, a Paestum dal 19 al 22 novembre 2020. Inoltre, sarà attribuito uno “Special Award” alla scoperta, tra le cinque candidate, che avrà ricevuto il maggior consenso dal grande pubblico nel periodo 1° giugno – 30 settembre 2020 sulla pagina Facebook della Borsa (www.facebook.com/borsamediterraneaturismoarcheologico).

Il più antico relitto intatto del mondo (risale a 2400 anni fa) scoperto nelle acque del mar Nero (Bulgaria) (foto-rodrigo-pacheco-ruiz)
Edizioni precedenti. Nel 2015 il Premio è stato assegnato a Katerina Peristeri, responsabile degli scavi, per la scoperta della Tomba di Amphipolis (Grecia); nel 2016 all’INRAP Institut National de Recherches Archéologiques Préventives (Francia), nella persona del presidente Dominique Garcia, per la scoperta della Tomba celtica di Lavau; nel 2017 a Peter Pfälzner, direttore della missione archeologica, per la scoperta della città dell’Età del Bronzo presso il villaggio di Bassetki nel nord dell’Iraq; nel 2018 a Benjamin Clément, responsabile degli scavi, per la scoperta della “piccola Pompei francese” di Vienne; nel 2019 a Jonathan Adams, responsabile del Black Sea Maritime Archaeology Project (MAP), per la scoperta nel mar Nero del più antico relitto intatto del mondo, alla presenza di Fayrouz, la figlia archeologa di Khaled al-Asaad.
L’International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad” – giunto alla sesta edizione e intitolato all’archeologo di Palmira, che ha pagato con la vita la difesa del patrimonio culturale – è l’unico riconoscimento a livello mondiale dedicato al mondo dell’archeologia e in particolare ai suoi protagonisti, gli archeologi, che con sacrificio, dedizione, competenza e ricerca scientifica affrontano quotidianamente il loro compito nella doppia veste di studiosi del passato e di professionisti a servizio del territorio. Così lo ricorda l’archeologo Paolo Matthiae: “Khaled al-Asaad è stato per quarant’anni il direttore degli scavi archeologici di Palmira. Era l’archeologo della città, ha collaborato con missioni di ogni Paese: dalla Francia alla Germania, dalla Svizzera all’Olanda, dagli Stati Uniti alla Polonia e da ultimo anche con l’Italia, con la missione statale di Milano. Era uno studioso completo, ma soprattutto era una persona tipica delle famiglie delle città del deserto. Questo tipo di uomini, come i beduini di un tempo, sono caratterizzati da una amabilità, da una cortesia e da un’ospitalità straordinaria che per loro è del tutto naturale. Non eccessiva, ma misurata e discreta, Khaled al-Asaad era una persona di grandissima amabilità, misura e gentilezza d’animo. Anche archeologi che non si occupano di quel periodo, cioè di antichità romane, andavano di frequente a Palmira in visita e la disponibilità di Khaled era totale. Era una personalità fortemente radicata nella città, ma per il carattere internazionale del sito che gestiva era una sorta di cittadino del mondo. In varie occasioni il suo nome era stato proposto per il ruolo di direttore generale delle antichità a Damasco, ma credo che lui preferisse rimanere a Palmira, una città con la quale si identificava”. E conclude: “Khaled era talmente sicuro di fare soltanto il suo mestiere che non riteneva di avere motivo di fuggire. E per come lo ricordo non era persona che temesse per la propria vita. Pur essendo in pensione, aveva quasi 82 anni, ha preferito rimanere nella sua città proprio perché ha capito che le antichità correvano dei rischi. E probabilmente ha immaginato che la sua indiscussa autorevolezza morale potesse proteggere maggiormente quello che c’era e c’è tuttora a Palmira: le rovine di un sito archeologico assolutamente straordinari per tutto il Mediterraneo e per tutto il mondo”.
Cambogia: la città perduta di Mahendraparvata capitale dell’impero Khmer nella foresta sulle colline di Phnom Kulen a nord-est di Angkor. Grazie alla tecnica di telerilevamento laser aviotrasportata (LIDAR) e spedizioni sul campo, un team di ricerca internazionale guidato da scienziati della ADF Archaeology & Development Foundation di Londra è riuscito a far emergere nella sua interezza la spettacolare città perduta di Mahendraparvata, che nel IX secolo d.C. si estendeva per ben 50 kmq, tratteggiandone una mappa dettagliata e scoprendo numerosi altri siti nascosti. La Fondazione sin dal 2008 è impegnata nel “Phnom Kulen Program” a stretto contatto con la National Authority for the Protection and Management of Angkor and the Region of Siem Reap (APSARA National Authority) e i colleghi dell’Ecole Française d’Extreme-Orient di Parigi. Jean-Baptiste Chevance assieme a Damian Evans dell’University of Sydney’s Overseas Research Centre a Siem Reap-Angkor, fu il primo a scoprirla sepolta sotto la foresta della Cambogia per secoli, incastonata sul massiccio collinare di Phnom Kulen, a nord-est del sito archeologico di Angkor. L’antica città perduta fu una delle prime capitali del potente Impero Khmer, che dominò tra IX e il XV sec. nel Sud-Est asiatico. La sua influenza si estese oltre l’attuale Cambogia, abbracciando anche una porzione estesa del Vietnam, del Laos e della Thailandia. Benché fiorente, Mahendraparvata non durò a lungo come capitale dell’Impero Khmer. I regnanti decisero, infatti, di spostare rapidamente la capitale ad Angkor, che si trovava in un luogo più pianeggiante e dunque decisamente più favorevole per la coltivazione dei prodotti alimentari e l’allevamento del bestiame.

Scoperti in Kurdistan dieci rilievi rupestri assiri con gli antichi dei delal Mesopotamia (foto Bmta)
Iraq: nel Kurdistan dieci rilievi rupestri assiri, gli dei dell’Antica Mesopotamia. Presso il sito archeologico di Faida, 20 km a sud della città di Duhok e 50 km da Mosul 10 rilievi rupestri assiri dell’VIII-VII secolo a.C. portati alla luce, dal team di archeologi “Land of Nineveh Archaeological Project”, coordinato da Daniele Morandi Bonacossi dell’università di Udine con la direzione delle Antichità di Duhok guidata da Hasan Ahmed (vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2019/12/10/grandi-dei-e-sovrani-scolpiti-nella-roccia-lungo-un-imponente-canale-dirrigazione-la-grande-scoperta-delluniversita-di-udine-nel-kurdistan-iracheno-illustrata-a-roma-il-team-di-dan/). Si tratta di pannelli imponenti, grandi 5 mt e larghi 2 mt, scolpiti lungo un antico canale d’irrigazione lungo quasi 7 km, alimentato da un sistema di risorgenti carsiche, oggi sepolto sotto spessi strati di terra depositati dall’erosione del fianco della collina. Ma nell’antichità dal canale si diramava una rete di canali più piccoli, che consentivano di irrigare i campi circostanti, rendendo ancora più fertile le campagne coltivate nell’entroterra di Ninive, capitale dell’impero. La mitologia assira raffigurata sulla roccia è un campionario significativo di divinità e animali sacri. Le figure divine rappresentano il dio Assur, la principale divinità del pantheon assiro, su un dragone e un leone con corna, sua moglie Mullissu, seduta su un elaborato trono sorretto da un leone, il dio della Luna, Sin, anch’egli su un leone con corna, il dio della Sapienza, Nabu, su un dragone, il dio del Sole, Shamash, su un cavallo, il dio della Tempesta, Adad, su un leone con corna e un toro e Ishtar, la dea dell’Amore e della Guerra su un leone.
Israele: a Motza a 5 km a nord-ovest di Gerusalemme una metropoli neolitica di 9mila anni fa. È la prima volta che in Israele si scopre un sito di questa portata, circa 4.000 mq, risalente al periodo neolitico, dove vivevano 2/3.000 residenti e per gli standard dell’epoca possiamo parlare di una vera e propria metropoli. Grandi edifici residenziali con pavimenti in gesso, strutture pubbliche, spazi dedicati al culto e sepolture, con la presenza di vialetti, testimonianza di un livello di pianificazione architettonica e urbanistica avanzata e ariosa. Le case erano costruite con mattoni di terra, disintegrati da molto tempo, ma le fondamenta degli edifici in grandi mattoni di pietra sono ancora visibili. Dai reperti si evince che gli abitanti avevano relazioni commerciali e culturali con popolazioni dell’Anatolia, dell’Egitto e della Siria. Alla luce luoghi di sepoltura, che si trovavano dentro e tra le case, nei quali erano collocate varie offerte funerarie, strumenti utili o preziosi: oggetti di ossidiana (vetro vulcanico nero) proveniente dall’Anatolia e di conchiglie dal Mediterraneo e dal Mar Rosso, braccialetti in pietra calcarea e in madreperla, medaglioni e monili d’alabastro lunghi 2,5 cm provenienti, probabilmente, dal vicino antico Egitto. I resti del villaggio indicano anche la presenza di magazzini contenenti una grande quantità di semi di legumi, soprattutto lenticchie in buono stato di conservazione, che prova il ricorso a pratiche di agricoltura intensiva. Le ossa di animali domestici, essenzialmente capre, evidenziano che la popolazione locale si era sempre più specializzata nell’allevamento, a scapito della caccia. La scoperta del sito è avvenuta in occasione di importanti lavori stradali, per cui il progetto è stato finanziato dalla Società Israeliana delle Infrastrutture e dei Trasporti “Netivei Israel” con la direzione di Hamoudi Khalaily e Jacob Vardi dell’IAA Israel Antiquities Authority.
Italia: a Roma la Domus Aurea svela un nuovo tesoro, la Sala della Sfinge. Sontuosa e interamente decorata torna alla luce dopo 2000 anni, durante il restauro della volta della sala 72 della Domus Aurea, una delle 150 dell’immensa dimora diffusa che l’imperatore Nerone si fece costruire nel 64 d.C. dopo il grande incendio che aveva devastato Roma, con superbi padiglioni che si susseguivano senza soluzione di continuità, sul modello delle regge tolemaiche, da un colle all’altro della capitale dell’Impero Romano (vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2020/04/22/iorestoacasa-gli-artisti-del-rinascimento-tra-cui-raffaello-scoprirono-le-pitture-della-domus-aurea-attraverso-unapertura-lo-stesso-e-capitato-anche-agli-archeologi-moderni/). La scoperta è il frutto della strategia dedicata alla tutela e alla ricerca scientifica, e messa a punto dal Direttore del Parco Archeologico del Colosseo, Alfonsina Russo. Larga parte della nuova sala, che ha la pianta rettangolare ed è chiusa da una volta a botte anch’essa fittamente decorata, sia ancora interrata, sepolta sotto quintali di terra su ordine degli architetti di Traiano (che proprio qui, sopra la reggia dell’odiato Nerone, fece costruire un complesso termale) e in qualche modo destinata a rimanere tale, in quanto per ragioni di stabilità non è prevista per il momento la rimozione della terra. Quello che emerge racconta già molto di questa grande stanza, che anche ai tempi di Nerone doveva essere non molto illuminata e che per questo si decise di decorare con un fondo bianco, sul quale risaltano eleganti figurine suddivise in riquadri bordati di rosso o di giallo oro. In un quadrato il dio Pan, in un altro un personaggio armato di spada, faretra e scudo che combatte con una pantera, in un altro la piccola sfinge, che svetta su un piedistallo. E poi creature acquatiche stilizzate, reali o fantastiche, accenni di architetture come andava all’epoca, ghirlande vegetali e rami con delicate foglioline verdi, gialle, rosse, festoni di fiori e frutta, uccellini in posa. Proprio questo tipo di decorazione, che si ritrova anche nella Domus di Colle Oppio e in altre sale e ambienti della Reggia neroniana come il Criptoportico 92, porta gli esperti ad attribuire la Sala della Sfinge alla cosiddetta Bottega A, operante tra il 65 ed il 68 d.C.
Italia: nell’antica città di Vulci una statua di origine etrusca raffigurante un leone alato del VI secolo a.C. Vulci, una delle più grandi città-stato dell’Etruria con un forte sviluppo marinaro e commerciale nel territorio di Canino e di Montalto di Castro, in provincia di Viterbo, nella Maremma laziale, regala una nuova scultura durante l’ultima campagna di scavo alla necropoli dell’Osteria. Gli archeologi hanno rinvenuto una statua raffigurante un leone alato risalente al VI secolo a.C. La scoperta è avvenuta durante la fase di evidenziazione della stratigrafia orizzontale del terreno, in prossimità di alcune strutture funerarie sepolte nella necropoli. Il leone per il popolo etrusco era considerato fiero, possente e apotropaico, ossia aveva la funzione di allontanare dalle tombe profanatori, gli dei avversi e il fato. La scultura è una raffinata testimonianza di quella che fu una tradizione propria della produzione artistica vulcente del VI secolo a.C. In questo periodo botteghe vulcenti scolpirono sfingi, leoni, pantere, arieti, centauri e mostri marini, vigili guardiani della quiete eterna dei morti. Ma già intorno al 520 a.C. la produzione di queste statue venne a cessare, forse nel tentativo di porre un limite alle ostentazioni di lusso ormai ritenute inopportune. I lavori di scavo diretti da Simona Carosi della soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Roma, la provincia di Viterbo e l’Etruria meridionale si sono svolti presso l’area della necropoli dell’Osteria, dove a fine 2011 fu trovata la Sfinge di Vulci.















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