Bologna. Incontri per approfondire la mostra “Medioevo svelato. Storie dell’Emilia-Romagna attraverso l’archeologia”, dalla conferenza del Gabo al ciclo del museo civico Medievale
Farsi un’idea della mostra “Medioevo svelato. Storie dell’Emilia-Romagna attraverso l’archeologia”, in corso al museo civico Medievale di Bologna fino al 17 giugno 2018, prima di andarla a visitare. L’occasione è offerta dall’incontro di martedì 6 marzo 2018 alle 21 al centro sociale “G. Costa” di via Azzo Gardino a Bologna, promosso dal Gruppo Archeologico Bolognese nell’ambito del ciclo di conferenze “Comunicare l’archeologia” (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2018/02/03/al-via-gli-incontri-del-gabo-comunicare-larcheologia-un-viaggio-alla-scoperta-di-etruschi-goti-bizantini-longobardi-veneti-antichi-celti-romani-pop/). Cinzia Cavallari, archeologa della soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara, illustrerà la mostra, curata da Sauro Gelichi (università Ca’ Foscari di Venezia) e Luigi Malnati (soprintendenza di Bologna) che è un viaggio nel tempo di quasi un Millennio che racconta le trasformazioni delle città e del territorio e l’affermarsi dei nuovi ceti dirigenti goti, bizantini e longobardi (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2018/03/01/quarantanni-di-ricerche-lungo-la-via-emilia-nella-mostra-medioevo-svelato-storie-dellemilia-romagna-attraverso-larcheologia-al-museo-medievale-di-bologna/). Partendo da un’istantanea sulle città nell’alto Medioevo, profondamente ridimensionate rispetto alla vitalità dei secoli precedenti e contrapposte al dinamismo del nuovo emporio commerciale di Comacchio (Fe), lo sguardo si allarga alla riorganizzazione delle campagne dove fioriscono castelli, villaggi, borghi franchi, pievi e monasteri. La narrazione termina ciclicamente con la rinascita delle città in età comunale. A questa fase Bologna fornisce un contributo eccezionale con lo straordinario recupero -dalla collocazione originaria- dei bacini (piatti) in maiolica datati agli inizi del XIV secolo, rinvenuti alla sommità della chiesa di San Giacomo Maggiore durante i lavori di restauro dell’edificio. Oltre a testimoniare una vocazione decorativa specificamente programmata e realizzata in città, uno di questi piatti riporta il ritratto emblematico di frate Simone, identificabile molto probabilmente con l’omonimo sindaco del convento di San Giacomo.
Al via anche il ciclo di conferenze promosso dal museo civico Medievale nella sala delle Arche, sempre alle 17, a corollario della mostra “Medioevo svelato. Storie dell’Emilia-Romagna attraverso l’archeologia”. Si inizia mercoledì 7 marzo 2018 con la conferenza “Raccontare il Medioevo” a cura di Sauro Gelichi (università Ca’ Foscari di Venezia). Mercoledì 21 marzo 2018, il soprintendente Luigi Malnati parlerà di “Archeologia medievale e tutela del patrimonio archeologico: lo sviluppo di una disciplina e le sue conseguenze nelle buone pratiche di archeologia nelle soprintendenze”. Si passa quindi a mercoledì 9 maggio 2018 con la conferenza dell’orafo Adelmo Garuti e dell’archeologa Francesca Frasca su “La collezione di strumenti orafi di Adelmo Garuti (Sasso Marconi). Un artigiano contemporaneo svela le tecniche di età medievale”. Ultimo incontro mercoledì 16 maggio 2018 con “Comunicare il Medioevo per immagini” a cura di Riccardo Merlo, autore dei disegni ricostruttivi in mostra.
Quarant’anni di ricerche lungo la via Emilia nella mostra “Medioevo svelato. Storie dell’Emilia-Romagna attraverso l’archeologia” al museo Medievale di Bologna: viaggio in 300 reperti dal IV al XIV secolo tra Goti, Longobardi e Bizantini

Il missorium d’argento cesenate (piatto di uso simbolico-celebrativo) che testimonia la vita agiata di un possidente terriero nella tarda antichità (foto Graziano Tavan)
Quarant’anni di ricerche archeologiche in Emilia-Romagna, quando a coordinarle c’era una sola soprintendenza, concentrate in una piccola ma preziosa mostra, “Medioevo svelato. Storie dell’Emilia-Romagna attraverso l’archeologia”, aperta fino al 17 giugno 2018 al museo civico Medievale di Bologna: un inedito e originale viaggio dal IV-V secolo agli inizi del Trecento tra Goti, Longobardi, Bizantini e nuovi centri di potere (castelli, monasteri, edifici di culto e Comuni). In un certo senso è il regalo alla sua regione e a Bologna di Luigi Malnati, curatore con Sauro Gelichi, soprintendente archeologo, da quarant’anni in prima linea nella tutela e nella ricerca del passato. Questa di Bologna, terza esposizione del progetto “2200 anni lungo la Via Emilia” dopo Modena (“Mutina splendidissima”) e Reggio Emilia (“On the road – Via Emilia 187 a.C. – 2017”), potrebbe essere infatti la sua ultima mostra da operativo, a poche settimane dal pensionamento, un modo per sottolineare – se ancora ce ne fosse bisogno – l’importanza della presenza di operatori qualificati in archeologia medievale per la tutela e la salvaguardia del territorio. Promossa da soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara e Istituzione Bologna Musei | Musei Civici d’Arte Antica, la mostra presenta oltre 300 reperti: dal missorium d’argento cesenate (piatto di uso simbolico-celebrativo) che testimonia la vita agiata di un possidente terriero nella tardantichità alle fibule di età gota rinvenute a Imola, dai reperti longobardi recuperati nella necropoli di Ponte del Rio di Spilamberto al servizio di vasellame in argento di età bizantina proveniente da Classe, dai bicchieri in legno rinvenuti a Parma al bacino in maiolica recuperato dalla facciata della chiesa di San Giacomo Maggiore.
La mostra è articolata in sei sezioni. La I sezione è incentrata sul tema della “Trasformazione delle città”, ossia sull’evoluzione dei centri di antica fondazione, in rapporto ai cambiamenti socio-economici e all’organizzazione delle nuove sedi del potere sia laico che ecclesiastico. In Emilia, in particolare a partire dal III secolo, si assiste a una sorta di destrutturazione residenziale, a una riduzione del perimetro urbano e a un potenziamento delle opere difensive. Al contrario, in Romagna, l’attività edilizia è particolarmente fiorente proprio nel V-VI secolo, in concomitanza con le vicende che condussero Ravenna ad assurgere al ruolo di capitale dell’Impero d’Occidente. Significativi in questo racconto appaiono alcuni oggetti-simbolo: i tesori, riserve di valore accantonate dai proprietari nella disattesa speranza di recupero (oreficerie, vasellame in metalli di pregio e oggetti liturgici) da Reggio Emilia, Cesena, Rimini e Classe e reperti databili entro il VI secolo da Parma e da Ravenna. Tra questi tesoretti spicca quello rinvenuto casualmente nel 1957 in quella che oggi è via Crispi a Reggio Emilia: in un condotto idrico riutilizzato come contenitore c’erano due coppe in argento, una coppia di orecchini e due singoli in oro con granati, un orecchino con terminazione a poliedro con granati, tre orecchini in oro con perle, una coppia di orecchini in oro e smeraldi, una croce e due pendenti di collana, una fibula a croce in oro, una coppia di fibule a staffa in argento dorato, quindici anelli e un puntale da cintura in argento niellato.

Reperti dal complesso monumentale tardo antico noto come “villa di Teodorico” a Galeata (foto Graziano Tavan)
La II sezione, imperniata sulla “Fine delle ville” prende in esame l’insediamento rurale di tipo sparso, già tipico delle villae e delle fattorie di età imperiale fino al VI-VII secolo; per quanto fortemente ridimensionato, tale modello mostra in alcuni settori dell’Emilia (come a Baggiovara di Modena dove nella tomba 21 del Vi sec. sono stati trovati un boccale in ceramica a rivestimento rosso, tre monete in bronzo e vaghi di collana a pasta vitrea) una sostanziale tenuta, se non una ripresa in età tardo antica, attraverso il fenomeno del recupero degli spazi secondo esigenze di carattere funerario e produttivo, che sottendono l’articolazione del quadro socio-economico dell’epoca, strettamente interrelato all’inserimento e/o all’integrazione di comunità alloctone (come i Goti e i Longobardi) nelle proprietà rurali. Al contrario, in Romagna sono stati individuati complessi residenziali da porre in relazione con una committenza elitaria, riconoscibile nella corte imperiale romana e gota (Russi-Ra e Galeata-Fc): tali abitazioni di pregio evidenziano il ruolo dei nuovi ceti dirigenti, anticipando le trasformazioni che condurranno ai grandi cambiamenti dell’alto Medioevo. In un pozzo in uso dall’età romana imperiale al VII secolo all’interno della cucina della villa romana di Russi, nel 1998 sono stati trovati un’anfora vinaria di importazione dall’Anatolia sud-occidentale, una brocca e un’anforetta in ceramica a rivestimento rosso. Invece dal complesso monumentale tardo antico noto come “villa di Teodorico” a Galeata provengono tubi fittili delle terme del palatium, due fibule in bronzo a croce greca, tre monete in bronzo (di Teodorico e del successore Atalarico) e un frammento di olla in ceramica grezza.
I grandi mutamenti e, in particolare, l’ideologia funeraria di VI-VII secolo caratterizzano la III sezione “Nuove genti, nuove culture, nuovi paesaggi”: la tarda antichità (IV-V sec.) e l’alto medioevo (VI-VII sec.) questi cambiamenti consistono in un revival della sepoltura abbigliata (il defunto veniva inumato vestito) e nell’utilizzo più frequente di oggetti di corredo. In Emilia-Romagna c’è una sostanziale continuità tra età romana e gota (Parma, Imola – ricco corredo da Villa Clelia, Bentivoglio-Bo) e una forte differenziazione tra territori soggetti ai Longobardi (Emilia) e ai Bizantini (Romagna, qui rappresentata da Faenza e da Rimini). In particolare i rituali di morte dei Longobardi appaiono strettamente connessi con i modi di trasmissione del potere nella società dei vivi: gli elementi di corredo sembrano scelti di volta in volta per ostentare prestigio sociale negoziato localmente da parte di quelle popolazioni che nel corso del VI e VII secolo acquisiscono una supremazia politica all’interno del territorio dell’impero. Tra i reperti, selezionati prevalentemente nei territori di Parma e Piacenza, emergono – per la chiara presenza di simboli identificativi di rango – gli straordinari corredi del sepolcreto di Spilamberto (Mo). Dalla tomba maschile 37 evidenti elementi del guerriero come la cuspide di lancia, l’umbone di scudo, la spatha, la lama di coltello, due fibbie; mentre dalla tomba femminile 62 appartenente a una donna di rango ecco la sella plicatilis (sgabello pieghevole) in ferro, il corno potorio in vetro, il guanto da combattimento con manico d’avorio e maglie di ferro (simbolo di potere), la fibula discoidale in lamina d’argento dorata con cammeo centrale, paste vitree e perle di fiume incastonate nella corona, la brocca in bronzo, la lucerna in ceramica invetriata, filo aureo, due conchiglie marine, bottiglia in vetro, vaghi in pasta vitrea, anello in bronzo, fibbia di cintura in argento, bicchiere fittile “a sacchetto”, pettine a doppia file di denti e spillone in osso.
Allo sfarzo di alcuni manufatti dalle sepolture fanno riscontro i pochi materiali recuperati nei contesti urbani regionali (Parma, Fidenza-Pr, Rimini e Ravenna) della IV sezione “Città ed empori nell’alto Medioevo”. All’opposto, nell’VIII secolo spicca per vitalità e capacità economica l’emporio commerciale di Comacchio (Fe), importante centro lagunare aperto, in cui l’acqua gioca il ruolo fondamentale di via di comunicazione, trasporto e smistamento delle merci. Gli scavi e le ricerche archeologiche degli ultimi anni hanno recuperato reperti decisamente eccezionali, qui esposti, come una matrice per lettere in bronzo e un’altra per cammei vitrei bicolore, provenienti dagli scavi del 2008 in piazza XX Settembre a Comacchio. In vetrina anche una capsella per reliquie di fine IX secolo: viene da Cividale, ma il cameo con busto maschile su uno degli spioventi sembra realizzata con la matrice di Comacchio.
Con la V sezione “Villaggi, castelli, chiese e monasteri: la riorganizzazione del tessuto insediativo” vengono evidenziate le nuove forme d’insediamento tra l’VIII e il XIII secolo: castelli (Canossa, Re), villaggi di pianura (Fraore, Pr), talvolta fortificati (S. Agata Bolognese), borghi franchi (Castelfranco Emilia, Mo), chiese rurali perfettamente integrate nella rete itineraria (Pieve di S. Vitale-Carpiteti, Re – Pieve di Casola Valsenio, Ra), e il ruolo dei monasteri (Bobbio, Pc e Nonantola, Mo) incaricati del perpetuarsi della memoria dei defunti e della trasmissione della cultura. Le chiese erano spazi di devozione, di celebrazione della liturgia e di dispensazione dei sacramenti. I monasteri, invece, erano luoghi di vita comunitaria, di trasmissione del sapere (attraverso gli scriptoria), ma anche centri di organizzazione della proprietà fondiaria, strumenti di potere nelle strategie familiari delle aristocrazie, pedine nello scacchiere politico.

L’eccezionale croce viaria lapidea del 1143 recuperata nel 2013 sotto il portico della chiesa di S. Maria Maggiore a Bologna (foto Graziano Tavan)

Boccali in maiolica del XIII secolo dal pozzo dentro la chiesa di Santa Croce di Ravenna (foto Graziano Tavan)
Il racconto termina ciclicamente – grazie alla VI sezione “Dopo il Mille: la rinascita delle città”– con il ritorno al tema dell’evoluzione dei centri urbani, fotografati nella nuova fase di età comunale: Ferrara (di cui sono esposti oggetti di straordinario valore perché conservati nonostante la deperibilità del materiale, il legno), Rimini e Ravenna, caratterizzate da rinnovato dinamismo, e Bologna, rappresentata dalla più antica croce viaria lapidea (anno 1143) recuperata nel 2013 sotto il portico della chiesa di S. Maria Maggiore (via Galliera). È in questo periodo che si cristallizza anche la nostra idea di Medioevo, perché la realtà materiale di quegli anni è ancora visibile sotto i nostri occhi (mura, chiese, torri, palazzi). Le storie dell’Emilia-Romagna si concludono a Bologna con altri eccezionali rinvenimenti dall’ex Sala Borsa e dalla chiesa di S. Giacomo Maggiore, edificio alla sommità del quale sono stati recuperati dalla collocazione originaria i bacini (piatti) in maiolica databili agli inizi del XIV secolo. Oltre alla testimonianza di una vocazione decorativa specificamente programmata e realizzata a Bologna, in uno di questi contenitori emerge la figura emblematica del ritratto di frate Simone, identificabile molto probabilmente con l’omonimo sindaco del convento di S. Giacomo.
Le origini di Jesolo, l’Equilo altomedievale, riemergono dagli scavi dell’università di Venezia in località Le Mure
Il territorio di Jesolo, sulla costa veneziana, sta svelando le sue origini antiche, quando il nucleo abitato faceva riferimento a Equilo, diocesi lagunare altomedievale: un insediamento del V secolo d.C. e tredici sepolture di epoca tardo-medievale sono il risultato della prima campagna di scavi condotta nell’area archeologica “Le Mure” del comune di Jesolo dallo staff di Archeologia Medievale dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, sotto la direzione scientifica del prof. Sauro Gelichi.
A restituire nuove informazioni sulla storia di Jesolo nella seconda metà del I millennio d.C. è quindi ancora una volta la località Le Mure o Antiche Mura, ai limiti dell’abitato di Jesolo Paese, ad alcuni chilometri dal mare, alla fine della via che non a caso è chiamata “delle Antiche Mura”: il toponimo deriva dalla presenza dei resti tuttora visibili della cattedrale, ridotti ormai ad un breve tratto in elevato dell’abside sud orientale e di alcune murature, alle fondazioni delle navate, del muro di facciata e del campanile antistante. Qui in più riprese la soprintendenza ai Beni archeologici del Veneto, con brevi saggi di scavo, ha rivelato le origini della tradizione religiosa della comunità di Equilo, salvando il salvabile: la cattedrale, già in rovina nel 1800, aveva subito la distruzione definitiva durante la Prima Guerra Mondiale. E nel 1944, nel timore di uno sbarco alleato in Adriatico, era stato edificato dall’esercito tedesco un sistema di bunker in cemento armato, tuttora esistente, che danneggiò l’area archeologica distruggendo parte del presbiterio e della sottostante cripta. Ma se la cattedrale di Santa Maria Assunta (XI sec.) era già nota, con la sua pianta a croce libera (schema caratteristico dell’edilizia sacra medievale del nord Adriatico) che rinvia alla terza basilica di San Marco –quella del doge Contarini- e in ambito orientale al S. Giovanni di Efeso e ai SS. Apostoli di Costantinopoli, solo con i saggi di scavo del 1960-‘63 sono state trovate – sotto la cattedrale – le fondazioni di una chiesa altomedievale precedente, a pianta rettangolare (m 25 x 14) con absidi semicircolari iscritte, preceduta da un nartece sul quale si aprivano tre accessi alla chiesa: risalente alla metà del VI-VII secolo d.C., era pavimentata con un bellissimo tappeto musivo policromo. E negli anni 1985 e 1987, le nuove indagini stratigrafiche, condotte da Michele Tombolani, portarono all’individuazione di una chiesa paleocristiana sottostante quella dei mosaici, con aula rettangolare (m 12 x 8) e abside esterna, databile al V secolo d.C. Tra i numerosi reperti all’epoca rinvenuti, molte anfore e ceramica fine da mensa d’importazione nord-africana, vetri e lucerne.
Dall’inizio degli anni Duemila l’Insegnamento di Archeologia Medievale dell’Università Ca’ Foscari di Venezia è impegnato in progetti di ricerca legati agli ambienti lagunari e peri-lagunari. Finora le ricerche si sono concentrate all’interno della laguna di Venezia (con gli scavi nelle isole di San Giacomo in Paludo e San Lorenzo di Ammiana): “Gli scavi”, spiega il prof. Gelichi, “hanno avuto come principale obiettivo la ricostruzione dei processi insediativi che tra la Tarda Antichità e l’Alto Medioevo hanno ridisegnato la fisionomia di questi spazi. In questa ottica, è emerso con sempre maggiore chiarezza il ruolo svolto, proprio in tali periodi, da uno di questi centri, cioè Jesolo, oggi in un’area peri-lagunare”.
Così nel 2011 fu stipulata la prima convenzione di collaborazione tra il Dipartimento di Studi Umanistici e il Comune di Jesolo che ha portato, in collaborazione con la soprintendenza per i Beni archeologici del Veneto, alla prima campagna di survey. “Ciò ci ha permesso di valutare la consistenza dei depositi alluvionali e delle bonifiche in alcuni punti cruciali del territorio jesolano e, in particolare, nella zona corrispondente all’isola su cui sorgeva l’abitato medievale di Equilo, a nord e a sud della cattedrale medievale: la mappatura e lo studio dei materiali rinvenuti, hanno fornito nuovi dati sugli aspetti economici, sociali e commerciali che hanno caratterizzato l’insediamento di Equilo nel periodo compreso tra il IV secolo e il XIII secolo e hanno dimostrato come il sito di Jesolo sia un caso particolarmente promettente nello studio del popolamento dell’arco dell’alto Adriatico”. Da qui la nuova convenzione stipulata tra l’Università e il Comune di Jesolo e la concessione di scavo assegnata dal ministero per i Beni e le Attività culturali, in accordo con la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto, per la prima campagna di scavo del settembre 2013 con l’obiettivo di analizzare e valutare il deposito conservato all’interno dei terreni a nord dell’area archeologica “Le Mure – S. Maria Assunta”.
“Due le zone di scavo aperte nell’area per una superficie totale di circa 230 mq”, spiegano Silvia Cadamuro, Alessandra Cianciosi e Claudio Negrelli, che hanno coordinato le attività sul campo, sotto la direzione del prof. Gelichi. “Una frazione di area cimiteriale verosimilmente altomedievale, in cui sono state scavate e documentate 13 sepolture singole, e parte di un insediamento di V secolo con strutture in tecnica mista, riconducibili a tipologie già note, anche in laguna, per il periodo post-antico. I dati acquisiti nel corso dell’indagine, una volta rielaborati e messi a confronto con quanto già si sapeva, permetteranno di ampliare le nostre conoscenze sulla storia economica e sociale di questo territorio e dei suoi abitanti e delineeranno in maniera più chiara il ruolo svolto da Equilo e dalla sua comunità tra antichità e medioevo”.
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