Archivio tag | Raimondo Zucca

Bosa-Cabras (Or). Al via il Festival dell’Archeologia, quattro giorni di incontri e approfondimenti promossi dalla Fondazione Mont’e Prama. Ecco il programma

La Fondazione Mont’e Prama si prepara a inaugurare il Festival dell’Archeologia, che prende il via martedì 17 giugno 2025 con un calendario fitto di incontri e approfondimenti, tra la Planargia e il Sinis, fino al 20 giugno 2025. Tutti gli appuntamenti sono a ingresso gratuito.

L’apertura è prevista a Bosa, martedì 17 giugno 2’25, alle 20, nell’ex Convento dei Cappuccini, con una serata dedicata alla storia antica del territorio e all’eredità medievale del castello Malaspina. Dopo i saluti delle autorità, interverranno gli studiosi Attilio Mastino e Antonio Corda su “Bosa e la Planargia in età antica”, seguiti da Franco Giuliano Rolando Campus, con una riflessione sulle fortificazioni medievali sarde “Rocche fortificate medievali della Sardegna e il castello Malaspina di Bosa”. Presenta e conduce Ambra Pintore. La conclusione dell’incontro, alle 22, sarà affidata al Quintetto Atlantico, con Enzo Favata, Daniele di Bonaventura, Marcello Peghin, Salvatore Maltana, U.T. Gandhi.

Da mercoledì 18 giugno 2025, il Festival si trasferisce al museo civico “Giovanni Marongiu” di Cabras per tre serate tematiche. La prima, con inizio alle 20.30, è dedicata alle grandi mostre internazionali della Fondazione Mont’e Prama, con la partecipazione dei curatori di alcuni dei principali musei europei: Carme Rovira Hortalà, curatrice museo Archeologico della Catalunia di Barcellona; Manfred Nawroth, curatore Neues Museum di Berlino; Natalia Demina, curatrice museo Ermitage di San Pietroburgo; Paolo Giulierini, già direttore del museo Archeologico nazionale di Napoli. Presenta e coordina Nicoletta Buffon, amministratore delegato di Villaggio Globale International. Verranno inoltre presentate le esposizioni realizzate in Sardegna, tra cui “Il ritorno dei Giganti”, a cura di Anthony Muroni; “Aristocrazie sarde ed etrusche nel mondo mediterraneo”, a cura di Paolo Giulierini; una mostra su Tharros al museo Diocesano Arborense di Oristano, con Silvia Oppo, Luca Cheri, Ilaria Orri, Nicoletta Camedda, Viviana Pinna, Maria Mureddu; “Sulle spalle dei Giganti. La Preistoria moderna di Costantino Nivola”, con Luca Cheri e Giorgio Murru. Presenta e conduce Ambra Pintore. La serata sarà introdotta da un intervento musicale del duo Federica Urracci & Alessio Sanna.

Giovedì 19 giugno 2025, il Festival affronta i temi di identità, narrazione storica e accessibilità. Alle 20.30, lo scrittore Francesco Grasso dialogherà con l’archeologa Maria Emanuela Alberti sull’immaginario mediterraneo nei romanzi storici “Isole nella storia. Le radici della Sicilia nei romanzi storici”. Seguirà “La Carta di Ustica e la collaborazione tra la Fondazione Sebastiano Tusa e la Fondazione Mont’e Prama” con Anthony Muroni, Valeria Li Vigni, Massimo Cultraro e Giorgio Murru; per poi concludere con l’incontro “Non toccarmi. Uso e accessibilità del corpo nelle opere d’arte” a cura di Claudio Pescio e Roberta Scorranese. Presenta e conduce Ambra Pintore. Introduzione e intervallo musicale a cura di Chiara Effe.

Il Festival si chiuderà venerdì 20 giugno 2025 con una serata interamente dedicata all’archeologia sarda e mediterranea. Alle 20.30, “Relazioni tra Sardegna nuragica, Egeo e Mediterraneo orientale” con Massimo Cultraro, Raimondo Zucca, Carlo Tronchetti e Anna Paola Delogu; “Prospezioni archeologiche nella laguna di Cabras” con Rita Auriemma, Piergiorgio Spanu e Maria Mureddu; “Indagini archeologiche nel nuraghe Cannevadosu di Cabras” con Raimondo Zucca, Nicoletta Camedda e Maura Vargiu; “Spazi di lavoro, spazi di preghiera. La vita quotidiana a Tharros attraverso le ricerche dell’Università di Bologna” a cura di Anna Chiara Fariselli; “Città e paesaggio costiero: le ricerche dell’Università di Cagliari” a cura di Carla Del Vais. Presenta e conduce Ambra Pintore. Introduzione e intervallo musicale a cura di Ilaria Porceddu e Emanuele Contis.

 

Perugia. Al museo Archeologico nazionale “Egregio Prof. Torelli, Caro Mario. Una vita per l’Archeologia”, tre giornate di studio: tre giornate di studio a poco più di tre anni dalla scomparsa del professor Mario Torelli, archeologo di fama internazionale, con alcuni tra i maggiori studiosi che con lui si sono formati e hanno incrociato la sua straordinaria attività professionale. Ecco il programma

perugia_archeologico_egregio-prof-torelli_tre-giornate-di-studio_locandinaA poco più di tre anni dalla scomparsa del professor Mario Torelli, archeologo di fama internazionale (vedi Archeologia in lutto. È morto Mario Torelli, grande etruscologo, archeologo e docente di Archeologia e Storia dell’Arte greca e romana. Stava preparando una grande mostra su Pompei e Roma | archeologiavocidalpassato), per 35 anni docente di Archeologia e Storia dell’Arte greca e romana all’università di Perugia, il museo Archeologico nazionale dell’Umbria gli dedica “Egregio Prof. Torelli, Caro Mario. Una vita per l’Archeologia”, tre giornate di studio, dal 21 al 23 febbraio 2024, alle quali parteciperanno alcuni tra i maggiori studiosi che con lui si sono formati e hanno incrociato la sua straordinaria attività professionale. La direzione regionale Musei Umbria ha così voluto onorare la memoria e la carriera del professor Torelli con un evento che vedrà la partecipazione di docenti universitari, allievi, professionisti e studiosi italiani e stranieri, che, insieme, lo ricorderanno coniugando omaggi accademici e ricordi personali. L’ingresso è libero, fino a esaurimento posti. Molti gli ospiti illustri che interverranno, tra i quali Massimo Osanna, direttore generale Musei del ministero della Cultura e Alfonsina Russo, direttore del parco archeologico del Colosseo. L’iniziativa, promossa dai Musei nazionali di Perugia – Direzione regionale Musei Umbria, diretti da Costantino D’Orazio, è curata da Tiziana Caponi, direttrice del museo Archeologico nazionale dell’Umbria.

PROGRAMMA MERCOLEDÌ 21 FEBBRAIO 2024. Alle 9, Costantino D’Orazio, Tiziana Caponi (Musei nazionali di Perugia – direzione regionale Musei Umbria), Massimo Osanna (direzione generale Musei), e Alfonsina Russo (parco archeologico del Colosseo): “A Mario Torelli dall’Etruria al Colosseo”; Attilio Mastino e Raimondo Zucca (università di Sassari): “Baruffe chiozzotte: la vicenda della Laurea Magistrale honoris causa in archeologia al prof. Mario Torelli a Sassari e altre storie”; Carlo Rescigno (università della Campania “Luigi Vanvitelli”): “Le fanciulle di Reggio”; Franco Nardella: “Dall’Archeologia al Cinema. La ricostruzione storica come metodo”; Marco Fabbri (università di Roma “Tor Vergata”): “Mario Torelli e la divulgazione della conoscenza archeologica”. Pausa pranzo. Alle 15, Stefano Bruni (università di Ferrara): “Le farfalle di Larthia Seianti”; Simonetta Angiolillo (università di Cagliari): “1969 – 1976: a Cagliari con Mario”; Lucio Fiorini (università di Perugia): “Cronache on the road per Gravisca (e oltre) insieme a Mario, mio Professore e compagno di viaggio”; Angelo Centini: “Mario Torelli cittadino onorario di Tarquinia”; Antonio Sgamellotti (già università di Perugia): “Un lungo rapporto di amicizia e collaborazione scientifica con Mario”; Dorica Manconi: “1970: primi studenti sardi allo scavo di Gravisca”.

PROGRAMMA DI GIOVEDÌ 22 FEBBRAIO 2024. Alle 9, Pedro Rodriguez Oliva (Universidad de Málaga): “Las relaciones de Mario Torelli con la Universidad de Málaga, Spagna”; Cristina Papa (già università di Perugia): “Mario Torelli e le intersezioni tra antropologia e archeologia”; Maurizio Di Puolo: “Un ricordo”; Francesca Silvestrelli (università del Salento): “Quand on voit soi-même on est sûr et le témoignage d’autrui n’est jamais aussi certain. I viaggi in Italia di Honoré d’Albert duca di Luynes (1825 e 1828)”; Arturo Ruiz (Universidad de Jaén): “El día que Mario Torelli vino a los campos de olivos”; Marco Arizza (CNR ISPC): “Tra i templi di Roma e le tombe di Veio. Incontri e ricordi con Mario Torelli”. Pausa pranzo. Alle 15, Nicola Terrenato (University of Michigan, Kelsey Museum of Archaeology): “La topografia più antica del Quirinale settentrionale alla luce delle nuove scoperte”; Roberto Marcucci (Casa editrice l’Erma di Bretschneider): “Un ricordo dell’amico Editore, Roberto Marcucci”; Maria Grazia Lungarotti (Fondazione Lungarotti): “L’Archeologo, l’Amico, una visione condivisa”; Elmo Mannarino (già università di Perugia): “Mario: l’amico e l’archeologo”; Lino Conti (Accademia delle Scienze dell’Umbria): Lara Anniboletti, Alessandro Mandolesi con Maria Rosa Lucidi (direzione generale Musei, museo Archeologico nazionale di Civitavecchia): “La dea Fortuna si era messa ad aiutarmi alla grande… Mario e il santuario di Punta della Vipera (S. Marinella)”.

PROGRAMMA DI VENERDÌ 23 FEBBRAIO 2024. Alle 9, Giuseppina Manca Di Mores (Accademia di Belle Arti di Sassari): “Troppe ali… Riflessioni sull’altorilievo fittile del tempio di Antas (Fluminimaggiore – Sud Sardegna)”; Massimo Cultraro (CNR ISPC): “Divagazioni sul Mediterraneo: Mario Torelli e la Grecia delle origini”; Francesco Marcattili (università di Perugia): “In viaggio con Mario, in viaggio con Enea”; Donatella Scortecci (università di Perugia): “Non solo il mondo classico… Mario Torelli e l’archeologia cristiana”; Massimo Nafissi (università di Perugia): “Mario Torelli, Sparta e il programma figurativo del Trono di Apollo ad Amicle”; Donato Loscalzo (università di Perugia): “L’ironia di Mario Torelli”; Pausa pranzo. Alle 15, Sabrina Boldrini (università di Perugia): “Libri e biblioteche di antichistica all’Università di Perugia”; Enrico Signorini, Olindo Stefanucci: “Con Mario, a Perugia, Cortona e oltre”; Primo Tenca: “Un amico leale e generoso”; Alberto Mori, Raffaele Davanzo: “Rinnovamento ippodameo di tracciati urbani etruschi”; Giancarlo Paoletti: “Pedagogia della polpetta”; Luana Cenciaioli: “La decorazione architettonica a Perugia in età romana ed il reimpiego degli elementi lapidei: il capitello con Scilla e i compagni di Ulisse”; Tiziana Caponi (museo Archeologico nazionale dell’Umbria): “Considerazioni conclusive”.

Cabras (Or). Al museo “Marongiu” presentazione del libro di Zucca e Paglietti “I Giganti di Mont’e Prama” (Delfino editore)

libro_i-giganti-di-mont-e-prama_copertina

Copertina del libro “I giganti di Mont’ Prama” di Raimondo Zucca e Giacomo Paglietti (Delfino editore)

Focus su Mont’e Prama. . Sabato 28 gennaio 2023, alle 18, a Cabras (Or), al museo civico “Giovanni Marongiu” la Fondazione Mont’e Prama e Carlo Delfino editore presentano “I Giganti di Mont’e Prama”, la nuova opera di Raimondo Zucca e Giacomo Paglietti, dedicata al complesso scultoreo più celebre del Sinis. L’iniziativa editoriale sarà illustrata da Nadia Canu, direttrice della Fondazione Mont’e Prama. Interviene il presidente Anthony Muroni e saranno presenti i due autori. “I Giganti di Mont’e Prama” racconta la storia delle scoperte delle statue a partire dal 1970. Venne ritrovata, celata per millenni sotto la terra, un’area funeraria riservata a giovani uomini sepolti in tombe singole a pozzetto. Ma Mont’e Prama è anche un luogo della memoria di eroi scolpiti nel candido calcare, accompagnati da modelli di nuraghi e da betili, che rimandano alla “bella età dei nuraghi” delineata da Giovanni Lilliu.

Ginnasio ellenistico (Al Fayoum, Egitto), piccola Pompei (Vienne, Francia), il più antico porto di una città sumerica (Abu Tbeirah, Iraq), Domus del Centurione (Roma, Italia), città romana sommersa (Hammamet, Tunisia): sono le cinque scoperte archeologiche candidate alla vittoria della 4ª edizione dell’International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad”. Aperto il voto popolare. La premiazione alla XXI Bmta

Alla Bmta di Paestum l’international archaeological discovery Award intitolato a Khaled al-Asaad

Il ginnasio ellenistico rinvenuto ad Al Fayoum (Egitto), la piccola Pompei di Vienne (Francia), il più antico porto di una città sumerica ad Abu Tbeirah (Iraq), la Domus del Centurione dagli scavi della metro C a Roma (Italia), e la città romana sommersa nel golfo di Hammamet (Tunisia), sono le cinque scoperte archeologiche candidate alla vittoria della 4ª edizione dell’International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad”, promosso dalla Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico e da Archeo, che sarà consegnato a Paestum il 16 novembre in occasione della XXI BMTA, dal 15 al 18 novembre 2018, alla presenza di Fayrouz, figlia di Khaled al-Asaad. Lo hanno annunciato i promotori, Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico e Archeo, che hanno inteso dare il giusto tributo alle scoperte archeologiche attraverso un Premio annuale assegnato in collaborazione con le testate internazionali, tradizionali media partner della Borsa: Antike Welt (Germania), as. Archäologie der Schweiz (Svizzera), Current Archaeology (Regno Unito), Dossiers d’Archéologie (Francia). L’International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad” – giunto alla quarta edizione e intitolato all’archeologo di Palmira che ha pagato con la vita la difesa del patrimonio culturale – è l’unico riconoscimento a livello mondiale dedicato al mondo dell’archeologia e in particolare ai suoi protagonisti, gli archeologi, che con sacrificio, dedizione, competenza e ricerca scientifica affrontano quotidianamente il loro compito nella doppia veste di studiosi del passato e di professionisti a servizio del territorio. Il direttore della Borsa Ugo Picarelli e il direttore di Archeo Andreas Steiner hanno condiviso questo cammino in comune, consapevoli che “le civiltà e le culture del passato e le loro relazioni con l’ambiente circostante assumono oggi sempre più un’importanza legata alla riscoperta delle identità, in una società globale che disperde sempre più i suoi valori”. Il Premio, dunque, si caratterizza per divulgare uno scambio di esperienze, rappresentato dalle scoperte internazionali, anche come buona prassi di dialogo interculturale. Il Premio sarà assegnato alla prima scoperta archeologica classificata, secondo le segnalazioni ricevute da ciascuna testata, che indicherà cinque scoperte in ordine di preferenza, tutte avvenute nell’anno precedente. La somma delle indicazioni di ogni testata determinerà l’assegnazione del riconoscimento. Sarà attribuito, inoltre, uno “Special Award” alla scoperta archeologica che avrà ricevuto il maggior consenso dal grande pubblico attraverso la pagina Facebook della Borsa (www.facebook.com/borsamediterraneaturismoarcheologico) nel periodo 18 luglio – 18 ottobre. E allora cerchiamo di conoscere meglio queste scoperte archeologiche.

Il ginnasio ellenistico scoperto nei pressi dell’oasi di al-Fayyum in Egitto

Egitto: il ginnasio ellenistico rinvenuto ad Al Fayoum. Presso Al Fayoum, l’oasi più grande dell’Egitto, nota come “il giardino dell’Egitto”, a 130 km a sud-ovest del Cairo, nell’antico villaggio di Philoteris, l’odierna oasi di Madinat Watfa vicino al Qarun Lake, archeologi tedesco-egiziani del Fayum Survey Project hanno rinvenuto il primo ginnasio ellenistico conosciuto in Egitto. La presenza di gymnasia in Egitto era già attestata da fonti scritte, soprattutto nei papiri tolemaici, ma non se n’era mai trovata traccia. Gli scavi hanno portato in luce elementi architettonici riconducibili a una pista da corsa, una palestra, ma anche giardini e altri luoghi di ritrovo. “Il ginnasio”, spiega Aymen Ashmawi, capo del dipartimento delle Antichità dell’Antico Egitto al ministero delle Antichità, “comprendeva una grande sala riunioni, allora con tante statue, una sala da pranzo e un cortile. La pista da corsa era quasi di 200 mt, per le tipiche gare di 180 metri negli stadi. Intorno all’edificio sontuosi giardini”. E Cornelia Römer, responsabile degli scavi per conto dell’Istituto Archeologico Germanico (DAI) aggiunge: “Questi ginnasi erano finanziati privatamente da persone ricche, desiderosi che i loro villaggi diventassero ancora più greci. In questi luoghi i giovani greci dell’alta società si allenavano negli sport, imparavano a leggere e scrivere, e godevano di discussioni filosofiche”. Questa sensazionale scoperta, prima nel suo genere, mostra chiaramente l’impatto che la vita greca ebbe in Egitto; Alessandro Magno fu il primo a introdurla in Egitto e in seguito migliaia di coloni greci vi giunsero attratti dal nuovo regno tolemaico, che prometteva pace e prosperità.

A Vienne, in Francia, è stata scoperta una città romana del I sec. d.C. distrutta da incendi come Pompei

Francia: una piccola Pompei a Vienne. Il ritrovamento di una città romana, di circa 7mila mq abitata dal I sec. d.C., con ville di lusso arredate con mosaici e statue monumentali e uffici pubblici, frequentata per tre secoli e distrutta da una serie di incendi improvvisi, è avvenuto nelle vicinanze di Vienne, sulle sponde del Rodano, a circa 30 km a sud di Lione, capitale dei Galli. Per Benjamin Clement, l’archeologo ricercatore associato al Laboratorio ArAr, Archéologie et Archéométrie, che guida i lavori, “è senza dubbio lo scavo di un sito romano più importante degli ultimi 40 o 50 anni”. La città di Vienne, già famosa per il suo teatro romano e per un tempio, fu un importante nodo nella strada che collegava la Gallia settentrionale con la provincia della Gallia Narbonensis, la Francia meridionale di oggi. Il sito è stato scoperto nell’aprile 2017, in seguito all’inizio di lavori di costruzione per un complesso abitativo. Molti degli oggetti si sono presentati, non solo in ottimo stato di conservazione, ma in quello stato di razionalità nel disordine, di ambiente pietrificato da un istante all’altro, proprio di un sito abbandonato all’improvviso per un’emergenza. Ecco perché, insieme alla tipologia degli ambienti ritrovati, è stata fatta la similitudine con la città devastata dall’eruzione vesuviana. Tra i ritrovamenti un’imponente casa dei Baccanali, all’interno della quale c’è una pavimentazione a mosaico che mostra una processione di menadi e satiri; e in un’altra area un bellissimo mosaico dipinge Talia, musa protettrice della commedia, rapita dal dio-satiro Pan; c’è poi un grande edificio pubblico con una fontana monumentale, una struttura atipica per i tempi, molto probabilmente la Schola di retorica e/o di filosofia, che gli studiosi sanno venisse ospitata a Vienne.

Nel tell di Abu Tbeirah in Iraq è stato scoperto il più antico porto di una città sumerica

Iraq: il più antico porto di una città sumerica ad Abu Tbeirah. La scoperta di un porto risalente al III millennio a.C. nella parte Nord-Ovest del tell di Abu Tbeirah (di 130×40 mt circa, vicino all’antica linea di costa del golfo arabico, una posizione importante all’interno di un ambiente paludoso e a ridosso del mare) da parte della missione archeologica italo-irachena, diretta da Franco D’Agostino e Licia Romano dell’università La Sapienza di Roma, scrive un nuovo capitolo della storia della Mesopotamia, superando l’immaginario comune che identifica le antiche città attorniate da distese di campi di cereali, irrigati da canali artificiali. Le città sumeriche erano tutte organizzate attorno al polo templare/palatino e collegate tra di loro tramite canali, dotate per questo di un porto che consentisse la gestione dei contatti e dei commerci. Il porto è un bacino artificiale, una zona più depressa, circondata da un massiccio terrapieno con un nucleo di mattoni d’argilla, con due accessi che lo mettevano in comunicazione con la città e che sono chiaramente visibili anche dalle immagini satellitari di Google. Si tratta del porto più antico sinora scavato in Iraq, visto che le uniche testimonianze di strutture portuali provengono da Ur, di duemila anni più tarde. La connessione del sito con le paludi sumeriche non esclude che il porto non fosse deputato esclusivamente alla funzione di ormeggio delle barche e di gestione dei commerci con le altre città, ma anche riserva d’acqua e immensa vasca di compensazione delle piene del fiume, nonché fulcro di varie attività dell’insediamento connesse all’utilizzo della risorsa idrica. La scoperta apre nuovi scenari di ricerca sulla vita delle città del sud della Mesopotamia, ma anche sulle ragioni del loro abbandono. La forte connessione con le paludi del delta, quindi con un ambiente estremamente sensibile ai cambiamenti climatici e al regime delle precipitazioni, potrebbe chiarire i motivi della riduzione e poi scomparsa dell’insediamento di Abu Tbeirah alla fine del III millennio a.C., un momento in cui in diverse parti del mondo si registra un cambiamento climatico importante, il cosiddetto 4.2 ka BP event, cioè un evento di 4200 anni fa.

I lavori per la Metro C a Roma hanno portato alla luce la Domus del Centurione

Italia: la Domus del Centurione dagli scavi della metro C a Roma. Mosaici in bianco e nero suggestivi, pavimenti di ardesia e marmo bianco, pitture sulle pareti, i resti di una fontana. Tutto questo è stato rinvenuto a dodici metri di profondità, nel corso degli scavi del cantiere della Metro C. Si tratta di una scoperta straordinaria in un’area, nei pressi della stazione della metropolitana di Amba Aradam, che dalla primavera del 2016 restituisce strutture legate al mondo militare. Il rinvenimento più recente, è stato definito la Casa del Comandante. Dagli scavi sono riemersi mosaici bianchi e a figure nere, geometrie, alberi, un satiro e un amorino, che lottano o danzano sotto un tralcio d’uva, un uccello su un ramo e perfino un’antica fontana, e due edifici della caserma con i dormitori dei soldati imperiali. La struttura potrebbe aver ospitato le milizie speciali, ovvero, i servizi segreti dell’imperatore. Per gli archeologi, Simona Morretta e Rossella Rea, della soprintendenza speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma, guidata da Francesco Prosperetti, il rinvenimento sarebbe parte integrante del complesso militare, risalente agli inizi del II secolo d.C., nel pieno dell’età adrianea. Protagonista della scoperta è la Domus del Comandante della caserma, un edificio rettangolare di circa 300 mq, in cui sono riconoscibili i gradini di accesso al corridoio, il pavimento di opus spicatum (i mattoncini a spina di pesce tipici dell’epoca), le 14 stanze intorno a una sorta di cortile centrale, i resti di una fontana con vasche, arricchita, probabilmente, da sculture decorative. Incredibili i pavimenti a quadrati di marmo bianco e ardesia, in opus sectile, e intorno le pareti decorate con intonaci colorati o bianchi. Una delle stanze doveva essere riscaldata alla luce del rinvenimento delle suspensurae, pile di mattoni che formavano un’intercapedine per il passaggio dell’aria calda. Lo scavo ha riportato alla luce anche i resti di una scala realizzata successivamente per salire al piano superiore che ospitava, probabilmente, uffici o altri dormitori di soldati. Inoltre, è stata individuata un’area di servizio con pavimenti in mattoncini, vasche, canalizzazioni dell’acqua e una soglia in travertino, destinata ad accogliere le merci da conservare, e ancora, oggetti di uso comune come anelli d’oro, un manico d’avorio intarsiato di un pugnale, amuleti e i bolli laterizi che hanno consentito di datare i resti. I due nuovi edifici, come il dormitorio dei soldati, furono abbandonati e poi rasati a un metro e mezzo di altezza dopo la metà del III secolo, quando nel 271 si cominciarono a costruire le fortificazioni delle Mura Aureliane. L’importanza della scoperta si deve alla complessità e allo stato di conservazione dei CASTRA, nonché alla loro posizione, che integra tutta la cintura di edifici militari rinvenuta tra il Laterano e il Celio, un vero e proprio quartiere militare. I resti sono stati smontati e saranno rimontati all’interno della stazione museo, definita “la stazione archeologica della metropolitana più bella del mondo”.

Nel golfo di Hammamet in Tunisia sotto il mare è stata scoperta una città romana

Tunisia: una città romana sommersa nel golfo di Hammamet. Una città romana sommersa, Neapolis, con il suo reticolo di cardi e decumani che si estende per circa 20 ettari sotto il mare del Golfo di Hammamet in Tunisia è stata scoperta da archeologi sardi, tunisini e algerini, nell’ambito della nona di una serie di missioni archeologiche iniziate nel 2010 da parte del Consorzio Uno per gli studi universitari di Oristano, gli archeologi Raimondo Zucca e Pier Giorgio Spanu del dipartimento di Storia, Scienze dell’uomo e della Formazione dell’università di Sassari e il professor Mounir Fantar dell’INP Institut National du Patrimoine di Tunisi. L’area è una sorta di zona industriale della già ben nota Colonia Iulia Neapolis ed è caratterizzata dalla presenza di un gran numero di vasche, dove si procedeva alla salagione di grandi quantità di pesce (in particolare sardine ma anche piccoli tonni), che venivano sistemate all’interno di anfore di terracotta, caricate sulle navi per vari paesi del Mediterraneo. L’avventura era cominciata nel 2009 sulla base di una proposta del professor Zucca, che dopo aver studiato la Neapolis sarda, di fronte al Golfo di Oristano, mirava a studiare anche la gemella e omonima città africana. I rilievi anche subacquei e aerei eseguiti nel corso della missione appena conclusa hanno permesso di completare la planimetria della città sommersa, che rappresenta circa un terzo dell’intera Colonia Iulia Neapolis. Grazie alla scoperta di un grosso frammento di lastra calcarea utilizzata per una iscrizione plateale, la missione ha anche permesso di individuare, tra le rovine della città di terraferma, quella che potrebbe essere la 27a piazza forense romana (la 4a in territorio africano) con il suo tempio dedicato a Giove Capitolino, la sua Curia e la sua Basilica giudiziaria. Un rovinoso terremoto avvenuto più o meno a metà del IV secolo d.C. avrebbe sommerso proprio quella parte della città, aspetti attualmente da svelare anche con la partecipazione di archeosismologi e geomorfologi subacquei.

Gli archeologi e gli studenti della scuola di specializzazione di Oristano hanno scoperto nel golfo di Hammamet, in Tunisia, le tracce della Colonia Iulia Neapolis, una delle più importanti città romane d’Africa, sprofondata nel mare nel IV sec. d.C. per un terremoto

Visione area del sito archeologico di Colonia Iulia Neapolis, nel golfo di Hammamet in Tunisia, con una parte sulla costa e una parte sprofondata nel mare

Le terme romane della Neapolis sulla costa occidentale della Sardegna

Da Oristano in Sardegna ad Hammamet in Tunisia. Da Santa Maria di Nabui, nel golfo di Oristano, a Nabeul di Cap Bon, vicino a Tunisi. Per un unico comun denominatore: Nesiotikà, la Scuola di specializzazione in Beni archeologici di Oristano, e una Neapolis. Quella sulla costa occidentale sarda, città prima sotto controllo fenicio-punico e poi romano, descritta da Plinio come una delle più importanti città della Sardegna, era stata studiata dalla seconda metà del Novecento, quella nord-africana – nota come Colonia Iulia Neapolis – è stata scoperta (ma sarebbe più corretto dire che ne è stata certificata la sua struttura urbanistica) nella IX missione archeologica sardo-magrebina, conclusasi nei giorni scorsi, coordinata dai professori Raimondo Zucca e Pier Giorgio Spanu e dal prof. Mounir Fantar, responsabile archeologo dell’area della Tunisia del Nord Est, e riservata agli studenti di Nesiotikà. E verso la seconda metà di agosto è programmata una decima missione volta ad approfondire alcune aspetti della scoperta, ma soprattutto le ragioni per cui questo pezzo della città di Neapolis sarebbe rimasto sommerso dall’acqua. Parteciperanno dunque anche archeosismologi e geomorfologi subacquei. La IX campagna si è svolta nell’ambito dell’accordo quadro siglato nel 2009 tra l’Institut National du Patrimoine di Tunisi e l’università di Sassari e ha coinvolto quattro specializzandi della sede di Oristano oltre ad alcuni studenti tunisini. I settori di intervento hanno riguardato un’area terrestre, con la conclusione dei saggi di scavo iniziati nel 2016 e la realizzazione di piccoli saggi di verifica della cronologia degli atria con fontane della Nympharum Domus e del cardo orientale della domus e un’area marina con l’indagine delle strutture sommerse attraverso sonar a scansione laterale (side scan sonar) e immagini fotografiche e video tramite GoPro. E, ancora, la verifica dell’esistenza di strutture portuali sommerse nell’area di Beni Khiar-Mammoura, eventualmente riferibili alla fase successiva alla sommersione nel IV secolo d.C. delle Usines de Salaisons e del porto neapolitano.

Ricostruzione dell stabilimento per la produzione di garum a Colonia Iulia Neapolis

Archeologi subacquei al lavoro nella parte sommersa di Neapolis

Neapolis sarebbe stata fondata nel V secolo a.C.: di qui sono passati i fenici, i cartaginesi e anche i romani., quando raggiunse l’estensione di 60 ettari. Quella che oggi è stata scoperta copre un’area di 20 ettari: lunga un chilometro e larga 200 metri. Antiche strade e vecchi edifici si trovano a 5 metri di profondità e sono suddivisi in isolati, realizzati quasi geometricamente, di 71 metri per 35,5. Sprofondata per effetto di un terremoto nel IV sec. d.C., Neapolis si presenta integra, quasi identica alla città descritta nel IV secolo dopo Cristo. Nell’800 si conosceva la localizzazione di Neapolis, ma gli scavi veri e propri sono iniziati nel 1965, in occasione della costruzione di un hotel. I primi ritrovamenti riguardano un’antica domus con mosaici e un vecchio stabilimento per la produzione del garum, la salsa di pesce. La missione sarda inizia nel 2009 quando, dopo aver studiato la Neapolis sarda di fronte al golfo di Oristano, il professor Zucca proponeva di studiare anche la gemella e omonima città africana. I rilievi anche subacquei e aerei eseguiti nel corso della missione appena conclusa hanno permesso di completare la planimetria della città sommersa che rappresenta circa un terzo dell’intera Colonia Iulia Neapolis.

Archeologi puliscono i mosaici nella parte terrestre della Colonia Iulia Neapolis

“La porzione di Neapolis individuata nelle precedenti missioni e ben documentata”, spiegano gli archeologi Raimondo Zucca e Pier Giorgio Spanu del Dipartimento di Storia, Scienze dell’uomo e della Formazione dell’università di Sassari e il professor Mounir Fantar, dell’Institut national du patrimoine (Inp) di Tunisi, “potrebbe essere definita la zona industriale della già ben nota Colonia Iulia Neapolis, ed è caratterizzata dalla presenza di un gran numero di vasche dove si procedeva alla salagione di grandi quantità di pesce (in particolare sardine ma anche piccoli tonni) che poi venivano sistemate all’interno di anfore di terracotta, caricate sulle navi e esportate in vari paesi del Mediterraneo”. Ma non è tutto. Nel corso della IX missione è stato scoperto tra le rovine della città di terraferma un interessante frammento di una lastra calcarea utilizzata per una iscrizione plateale, che ha permesso di individuare quello che potrebbe essere il 27.mo foro romano (il quarto in Africa) con il suo tempio dedicato a Giove Capitolino, la sua Curia e la sua Basilica giudiziaria.