A Poggetti Vecchi, in Maremma, ritrovate molte zanne: qui i neandertaliani cacciavano l’Elephas antiquus
Di questo angolo di Maremma, che oggi è nota come località Poggetti Vecchi nel comune di Grosseto, si sapeva dei ritrovamenti di età romana. Ma l’uomo, da queste parti, ci bazzicava già molte migliaia di anni prima dei romani. Probabilmente qui, 120-70mila anni dal presente, i neandertaliani nel Paleolitico medio venivano a cacciare l’elefante. La Maremma in quel periodo doveva infatti rappresentare un habitat ideale per l’Elephas antiquus, un bestione alto quattro metri con le zanne dritte che ha popolato le latitudini più meridionali dell’Europa quando il continente è andato progressivamente coprendosi di ghiacci.
La conferma viene da uno scavo condotto ancora nella primavera dell’anno scorso dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana che in questi giorni ha reso noto i primi risultati dell’intensa e fruttuosa campagna di scavi in località Poggetti Vecchi, nel fondo di proprietà del signor Aldo Ceccharelli, dove è venuto in luce un importante sito preistorico caratterizzato dalla presenza di resti di elephas antiquus. Il sito, scoperto durante i lavori di approfondimento di un piccolo invaso artificiale per la costruzione di una vasca termale, ha rivelato una sequenza stratigrafica con più livelli di frequentazione umana, gli ultimi dei quali riferibili al Paleolitico Medio. Le stratigrafie hanno restituito un abbondante numero di reperti, tra cui strumenti in pietra (industria litica), resti lignei e parti di ossa di elephas antiquus e di altre specie animali.
Lo scavo è stato diretto dai funzionari della Soprintendenza, Gabriella Poggesi e Biancamaria Aranguren, e condotto – grazie all’impegno finanziario del proprietario del terreno, Aldo Ceccarelli – dagli archeologi preistorici Giuditta Grandinetti e Floriano Cavanna, con l’ausilio del Gruppo Speleologico Naturalistico Maremmano. “Come indica la natura dei depositi carbonatici rinvenuti nei livelli antropizzati (cioè quelli dove ci sono tracce della presenza dell’uomo)”, sottolineano in soprintendenza, “si tratta di uno stanziamento caratterizzato già in antico dalla presenza di acque termali: nei sedimenti indagati ricorrono depositi di tipo “travertinoso”, dove i nostri progenitori si erano insediati in più momenti successivi, probabilmente per svolgere le occupazioni connesse con l’attività venatoria, rivolta in particolare all’elephas antiquus, di cui sono stati scavati numerosi resti riferibili a più individui”. “Il sito di Poggetti Vecchi – spiegano ancora gli archeologi – riveste una straordinaria importanza, trattandosi del primo esempio in Toscana di insediamento preistorico pluristratificato in cui è testimoniata la caccia a questa specie animale; è pertanto di grande soddisfazione che proprio intorno all’attività della Soprintendenza si siano raccolte le energie di tutti gli Enti interessati a ricostruire la più antica storia della Maremma, per una adeguata conoscenza e valorizzazione di questo eccezionale contesto”.
Un lungo lavoro attende adesso l’equipe interdisciplinare che ha iniziato a restaurare, catalogare, studiare e datare i resti archeologici, anche nell’ottica della futura valorizzazione e diffusione dei dati. Fra le diverse professionalità coinvolte sono presenti specialisti della Soprintendenza (Biancamaria Aranguren, Pasquino Pallecchi e Gianna Giachi), dell’Università di Firenze (Dipartimento di Scienze della Terra: Paul Mazza, Marco Benvenuti; Dipartimento di Biologia evoluzionistica – Biologia vegetale: Marta Mariotti Lippi); dell’Università di Roma La Sapienza (Dipartimento di Scienze della Terra: Daniela Esu); dell’Università di Roma 3 (Dipartimento di Scienze della Terra: Elsa Gliozzi); dell’Università di Trento (Laboratorio di Preistoria: Stefano Grimaldi e Fabio Cavulli); dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria (Anna Revedin); del PIN di Prato (Franco Niccolucci).
A conclusione degli scavi, la Soprintendenza ha sottoscritto un protocollo d’intesa con la Fondazione Grosseto Cultura, che prevede un coinvolgimento del Museo di Storia Naturale della Maremma: quest’ultimo si occuperà, sotto la direzione scientifica della Soprintendenza, del restauro dei reperti paleontologici e della loro datazione. L’obiettivo è esporre tutti i reperti in museo, nella propria sede o in altri locali idonei, congiuntamente individuati. La Fondazione Grosseto Cultura si è impegnata a definire con il ministero per i Beni culturali tutti gli atti per il deposito pluriennale dei reperti paleontologici sottoposti a restauro. Contestualmente, la Fondazione Grosseto Cultura ha richiesto ed ottenuto dalla Cassa di Risparmio di Firenze il finanziamento di una parte sostanziale del progetto di restauro dei reperti paleontologici del sito di Poggetti Vecchi. I lavori saranno condotti dalla Cooperativa Atlante (Grosseto) sotto la supervisione dei tecnici del MiBACT (Simona Pozzi e Salvatore Caramiello); al termine del restauro, che avrà durata di un anno, i reperti più significativi entreranno a far parte delle collezioni del Museo di Storia Naturale della Maremma, diretto da Andrea Sforzi. Gli interventi sono mirati in particolare alla preservazione di alcune zanne di Elephas antiquus, che ad oggi costituiscono un rinvenimento decisamente straordinario per il territorio grossetano.
A Stonehenge apre un nuovo centro visitatori con museo
Questa volta ci siamo: Stonehenge, il sito megalitico più famoso del mondo, dal 1986 Patrimonio dell’umanità, avrà finalmente un centro visitatori degno della sua fama. Il cantiere è già a buon punto e la sua inaugurazione è confermata per il 18 dicembre. Ma non è stato un progetto dalla vita facile. La prima idea fu accantonata nel 2007 per il costo esorbitante: mezzo miliardo di sterline. Nel 2009 sembrava di essere arrivati al progetto definitivo del nuovo “welcome center” vicino a Amesbury, nel Wiltshire: il costo previsto, 27 milioni di sterline, era parso subito più ragionevole, e anche la sua collocazione a un miglio e mezzo dai resti neolitici sembrava rispettosa del sito. Ma sono dovuti passare altri quattro anni prima che si concretizzasse qualcosa e invece dei 27 milioni di sterline stanziati inizialmente dal governo, se ne sono spesi dieci in più solo per finanziare proposte bocciate poi una dopo l’altra. Il risultato dovrebbe essere un centro visitatori moderno, elegante, a impatto zero, non troppo costoso. Ora che tutti sembrano avere le idee più chiare: per prima cosa hanno preso il via i lavori di modifica alla viabilità nei pressi del sito, tra cui l’interramento di una delle strade principali, per rendere il paesaggio più simile a quello originario.
Il progetto, messo a punto dagli architetti Denton, Corker e Marshall, si ispirerà al padiglione Serpentine di Londra: una struttura leggera con un tetto sottile e ondulato, retto da piccoli pilastri e totalmente eco sostenibile. La struttura, infatti, sarà riscaldata da una pompa che utilizza il calore proveniente dal suolo, l’acqua arriverà da una falda sotterranea e i turisti raggiungeranno il sito a bordo di cart elettrici.
Inoltre, il centro non sarà visibile dall’area archeologica, mentre un piccolo faggeto nasconderà ai visitatori il parcheggio degli autobus. Insomma, tutto è stato predisposto perché i riflettori rimangano puntati sui megaliti piuttosto che sull’architettura del nuovo edificio. A questo proposito Sthepen Quinland, autore del progetto insieme a Barrie Marshall, ha detto: «Saremo soddisfatti se il visitatore si ricorderà dei reperti di Stonehenge, non del suo centro visitatori».
Il nuovo centro dovrebbe includere un museo con i reperti originali, mentre fuori dal sito – e non visibile dai megaliti – sorgerà un’area con alcuni prototipi di case/capanne neolitiche: nei mesi scorsi mesi, decine di persone, in gran parte volontari, hanno collaborato alla ricostruzione di alcune case preistoriche in un terreno non lontano da Stonehenge sotto la guida e supervisione dell’English Heritage (l’organismo pubblico inglese che conserva e promuove il patrimonio storico). Queste ri-costruzioni sono state possibili grazie al ritrovamento, nel 2007, di resti di abitazioni neolitiche, una vera rarità: l’insediamento di Durrington Walls (a sole due miglia dalla piana con i megaliti) era sicuramente già abitato intorno al 2600 a.C., mentre era in costruzione il vicino complesso cerimoniale, e probabilmente ospitò anche alcuni suoi costruttori. “Uno di questi prototipi – spiega Susan Greaney, dell’English Heritage – è stato anche arredato con letti e manufatti mentre prosegue la ricerca certosina dei materiali che verosimilmente vennero utilizzati». L’idea portata avanti dai progettisti insieme agli archeologi è quella di posizionare queste case lungo un itinerario esterno al centro visite per spiegare al pubblico la connessione tra il centro cerimoniale di Stonehenge e il coevo abitato di Durrington Walls oltre a comprendere le tecniche edilizie dei nostri antenati e il loro stile di vita.
La preistoria e la protostoria italiana si ritrovano a Padova
Dal 5 al 9 novembre si tiene il XLVIII congresso nazionale dell’istituto italiano di Preistoria e Protostoria
Lo “sciamano” della grotta di Fumane per quasi una settimana sarà l’anfitrione che darà il benvenuto a Padova ai più grandi esperti di preistoria e protostoria. La figura antropomorfa in ocra rossa del periodo Aurignaziano (ca. 35mila anni dal presente) è stata infatti scelta come “mascotte” del XLVIII congresso nazionale dell’istituto di Preistoria e Protostoria che si tiene nella Città del santo dal 5 all’8 novembre e sarà interamente dedicato al Veneto. “Un successo degli enti di ricerca regionali”, sottolinea il soprintendente ai Beni archeologici del Veneto, Vincenzo Tinè. “Proprio grazie alla sinergia tra soprintendenza del Veneto, le università di Padova, Venezia e Verona, e il museo di Scienze naturali di Verona, è stato possibile riportare in Veneto questa importante rassegna dopo oltre 40 anni. L’ultima volta fu a Verona nel 1978. Il congresso è dedicato a due grandi studiosi veneti: Giulia Fogolari e Piero Lunardi ”. Per tutti i ricercatori ma anche per gli appassionati sarà l’occasione per fare il punto sulle conoscenze acquisite: dalle più antiche frequentazioni umane nel Veneto alle soglie della romanizzazione.
Intenso il programma. La prima giornata (martedì 5 novembre) si apre alle 9.45 nell’aula magna dell’università di Padova, al Palazzo del Bo, ed è dedicata a inquadrare i periodi: la mattinata alla preistoria (dal Paleolitico all’Eneolitico), il pomeriggio alla protostoria (dall’età del Bronzo al Ferro). Con la seconda giornata (mercoledì 6), dalle 9.10 ma al centro civico d’arte e cultura Altinate “S.Gaetano”, si entra più nello specifico: al mattino, dal neandertaliani del Riparo Tagliente nel Veronese all’uomo di Mondeval de Sora nel Bellunese; al pomeriggio, dal villaggio neolitico del Dal Molin a Vicenza al contesto cultuale dell’Età del Rame ad Arano nel Veronese. La terza giornata (giovedì 7: mattina al centro civico Altinate, pomeriggio in Sala Guariento alla Reggia dei Carraresi) è tutta dedicata all’Età del Bronzo: dalle palafitte del Veneto alle necropoli polesane e veronesi, dalla presenza di ceramiche e metalli all’ambra. La quarta giornata (venerdì 8, sempre al centro civico Altinate) è invece tutta dedicata all’Età del Ferro: al mattino, da Castel de Pedena, nel Bellunese, a Padova; da Gazzo Veronese a Castiglione Mantovano; il pomeriggio invece ci si concentra sui confronti con le culture viciniori e sulle nuove tecniche di indagine, concludendo la giornata con la visita alla mostra “Venetkens” al Palazzo della Ragione. L’ultimo giorno (domenica 9) è dedicato alle escursioni.
L’uomo di Neanderthal riciclava gli utensili
Le prove dallo studio degli utensili sul sito di Castel Guido vicino Roma
L’uomo di Neanderthal praticava il riciclaggio degli oggetti di uso comune. Lo rivela uno studio internazionale sul sito preistorico di Castel Guido , vicino Roma, frequentato dall’uomo di Neanderthal tra 320 e 270mila anni fa. Giovanni Boschian, docente di Antropologia dell’università di Pisa, che ha preso parte al progetto, lo ha presentato a Tel Aviv in un convegno di antropologi e paleontologi provenienti da tutto il mondo.
Trecentomila anni fa la zona dove oggi sorge Castel Guido era un’area ricca di pozze d’acqua usate come abbeveratoi naturali da elefanti e altre specie (tra cui l’uomo), una situazione ideale per i neanderthaliani che, comunemente dediti allo sciacallaggio, prelevavano cibo dalle carcasse degli elefanti già morti, o che forse loro stessi avevano finito. Nella caccia vera e propria e nella scarnificazione delle carcasse l’uomo si serviva di attrezzi-strumenti in selce: gli archeologi li chiamano bifacciali per la loro caratteristica forma ottenuta con la lavorazione delle schegge da arnione (blocchi) di selce.
Ma la materia prima come la selce, i cui punti di rifornimento più importanti in Italia sono sul Gargano in Puglia e sui monti Lessini nel Veronese, non era abbondante e soprattutto facilmente reperibile. Così l’uomo imparò innanzitutto a diversificare la materia prima, utilizzando per la fabbricazione degli attrezzi oltre alla pietra grosse schegge di osso di elefante, recuperate dall’estrazione del midollo, complemento alimentare fondamentale nella dieta dell’epoca. “Già questa – spiega Boschian – può essere considerata una forma iniziale di riciclaggio, ma dallo studio di questi oggetti si scopre che a Castel di Guido essi venivano spesso riutilizzati a distanza di tempo, o che una volta rotti erano riciclati per altri scopi”.
Perché è riciclaggio e non riuso
“Abbiamo indizi che già 300mila anni fa – continua Boschian – l’uomo di Neanderthal avesse la consuetudine di riutilizzare utensili precedentemente scartati. Gli uomini davano a questi oggetti una nuova forma e un nuovo impiego, per questo possono essere considerati gli iniziatori della pratica del riciclaggio». L’uso di carcasse di animali uccisi da cause naturali come siccità o predazione da parte di altri animali era relativamente comune nelle società del Paleolitico, sin da almeno 2,5 milioni di anni fa, per procurarsi cibo come carne, grasso e midollo. Tuttavia quest’aspetto non viene normalmente considerato come vero e proprio riciclaggio, ma semplicemente un modo di procurarsi cibo. Anche il riuso di utensili, per mezzo di una sorta di ‘riaffilatura’, non è considerato strettamente riciclaggio. “Il riciclo vero e proprio è inteso come uso per scopi completamente nuovi di oggetti scartati dopo una precedente utilizzazione -specifica Boschian- Ciò comporta ripensare e riprogettare il nuovo uso e in certi casi modificare la forma iniziale dell’oggetto, con un’operazione che implica attitudini mentali avanzate, in particolare la capacità di previsione e la progettualità, ravvisabili in alcune tecniche di lavorazione che sembrano esser state mirate a ottenere oggetti che in futuro potessero essere riutilizzati».
L’uomo: geniale ma fondamentalmente pigro
Un altro aspetto particolarmente interessante è la lettura sociologica che si può dare questo fenomeno: «Il riciclaggio – conclude Boschian – poteva essere dovuto sia alla scarsezza di materie prime, sia alla generale ‘pigrizia’ degli umani, come dimostrato dal fatto che se ne rinvengano prove anche in altri siti del Paleolitico in cui le materie prime non scarseggiano. Tutto questo testimonia un’evoluzione delle capacità mentali dell’uomo, ma anche il permanere di certi suoi peculiari atteggiamenti nei confronti della vita».
Il paleo antropologo Yves Coppens racconta l’uomo preistorico
Lo scopritore di “Lucy” pubblica il libro “L’uomo preistorico in frammenti”
Il novembre del 1974 in Hadar in Etiopia, fu un momento che rese famosa l’equipe formata dal paleoantropologo Donald Johanson, dal geologo Maurice Taieb e dal paleontologo Yves Coppens: furono loro a scoprire lo scheletro dell’ominide più vecchio, allora conosciuto, del mondo a cui diedero il nome “Lucy”. Al fossile di ominide di più di 3,5 milioni di anni rimase il nome “Lucy” e Yves Coppens, come gli altri due, ebbe merito e riconoscimento internazionale: di certo il suo nome, pur essendo il maggior paleontropologo europeo, studioso cioè degli uomini delle origini, è ancora oggi legato a “Lucy”. Yves Coppens ha pubblicato in questi giorni per la casa editrice Jaca Book ”L’uomo preistorico in frammenti» (pagine 216, euro 26,00). È un libro appassionante, vero atto di amore per la preistoria più profonda.
Lo studioso accademicamente più decorato di Francia è un grande valorizzatore dei lavori altrui e delle loro scoperte; questo volume presenta il più affascinante panorama di figure, scoperte e libri. In questo volume ci recensiscono i più recenti piccoli e grandiosi passi della preistoria.Questi pezzetti di preistoria si riferiscono alle parti di scheletri fossili di umani vissuti centinaia di migliaia di anni fa; riguardano anche i loro strumenti di lavoro artigiano e artistico, ma anche gli dei e i segni dello spirito degli uomini preistorici.
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