Napoli. Al museo Archeologico nazionale l’attesa è finita: dopo 50 anni, apre la sezione Campania Romana delle sale monumentali occidentali. Oltre duecento reperti dalle città vesuviane e dall’area flegrea. L’invito del direttore Giulierini
L’attesa è finita. Sono passati 50 anni, mezzo secolo di silenzi che ha mandato nel dimenticatoio una vasta area del museo Archeologico nazionale di Napoli. Ma ora ci siamo. Le sale monumentali dell’ala ovest sono state restaurate e sono tornate a essere popolate di dei e uomini illustri, miti e personaggi. Lunedì 3 aprile 2023, alle 17, aprirà al pubblico la sezione della Campania Romana con oltre duecento reperti dalle città vesuviane e dall’area flegrea. Il “Mann, il tuo museo, mai così grande”: recita lo slogan che accompagna l’invito al pubblico che per l’occasione avrà l’ingresso gratuito.
Ad invitare napoletani e turisti allo storico evento è lo stesso direttore Paolo Giulierini. “È con grande gioia che invito tutta la città di Napoli ma anche tutti i turisti a vedere dopo 50 anni una parte di museo, cioè quella dedicata alla statuaria romana della Campania così come non si è mai visto. Avrete la possibilità di apprezzare grandi statue equestri, e quadrighe in bronzo. Statue colorate e straordinari affreschi. Insomma il meglio dell’archeologia classica a livello mondiale”.

Una fase dell’allestimento della sezione Campania Romana nell’ala occidentale del museo Archeologico nazionale di Napoli (foto mann)
Le sale poste al piano terra dell’ala occidentale ospiteranno la nuova sezione dedicata alla Campania romana, che accoglierà oltre duecento reperti provenienti dai principali centri della Campania antica, sia quelli vesuviani come Pompei ed Ercolano, sia i siti flegrei come Cuma, Baia, Pozzuoli sia i centri dell’interno come Capua, oggi Santa Maria Capua Vetere. L’obiettivo dell’esposizione è quello di ricostruire una serie di contesti della prima età imperiale in tutti i loro elementi – sculture, pitture parietali, iscrizioni – così da restituire l’idea non solo dei grandi edifici in cui si svolgeva la vita pubblica – civile e religiosa – ma anche quella della committenza e dei suoi ideali di rappresentazione. Vi troveranno posto, solo per citare alcuni dei materiali previsti, le sculture che ornavano l’anfiteatro dell’antica Capua, le sculture colossali del Capitolium di Cuma, il ciclo di affreschi della basilica di Ercolano e, sempre da Ercolano, la ricostruzione della celebre quadriga in bronzo che costituirà un vero e proprio inedito.
Napoli. Al museo Archeologico nazionale si presenta il libro “Heinrich Schliemann a Napoli” che restituisce la figura dello scopritore di Troia ma anche il suo profondo legame con la città partenopea e i siti vesuviani

Tutti conoscono il nome di Heinrich Schliemann, il mitico scopritore di Troia e poi di Micene, Tirinto e Orcomeno. Al pensiero di Micene i nostri ricordi vanno alla “maschera d’oro di Agamennone”, raffigurata nel libro di storia della terza elementare. Meno noto è il suo legame con Napoli, dove morì nel 1890. Di quest’ultimo aspetto, soprattutto, si parla nel libro “Heinrich Schliemann a Napoli” (Francesco D’Amato Editore) con saggi di Umberto Pappalardo, Sybille Galka, Amedeo Maiuri, Carlo Knight, Lucia Borrelli, Massimo Cultraro, e una nota di Paolo Giulierini. Il libro “Heinrich Schliemann a Napoli” sarà presentato mercoledì 22 settembre 2021, alle 17, nel Giardino delle Fontane del museo Archeologico nazionale di Napoli. Interverranno Paolo Giulierini (direttore del Mann), Umberto Pappalardo (direttore del Centro Internazionale di Studi Pompeiani), Massimo Cultraro (Consiglio Nazionale delle Ricerche) e Lucia Borrelli (Centro Musei delle Scienze Naturali e Fisiche dell’università Federico II). Il giornalista Carlo Avvisati de “Il Mattino” modererà il dibattito. Per partecipare è obbligatoria la prenotazione inviando una mail a info@damatoeditore.it.


Heinrich Schliemann con gli scavatori riportano alla luce l’antica Troia sulla collina di Hisarlik in Turchia
Il nome di Troia ci riporta invece al liceo, all’Iliade e alll’Odissea, alla questione omerica, dove ci si domandava: ma Omero sarà mai esistito? E come era possibile che un cantore della fine dell’VIII secolo (la scrittura fu introdotta intorno al 750 a.C.) potesse descrivere con tanti dettagli una città messa a ferro e fuoco intorno al 1250 a.C., ovvero 500 anni dopo? Tanti interrogativi Schliemann non se li pose, guidato dalla fede assoluta nella veridicità di Omero e bene armato di zappa e pala (come lui stesso scrive), scavò sulla collina di Hissarlik, in Turchia, e trovò Troia. Ma Schliemann è stato anche lo scopritore della “civiltà micenea”, restituendo all’umanità ben mille anni di storia dei quali, prima di lui, non si conoscevano – al di fuori dei racconti omerici – le testimonianze concrete.


Copertina del libro “Heinrich Schliemann a Napoli”
Questo valore di Schliemann quale “artefice” o “restitutor” della storia è ben delineato nel primo saggio di Sybille Galka, cuore e anima della Società e del Museo “Heinrich Schliemann” di Ankerhagen, che fu la città dove egli trascorse la sua prima infanzia. Seguono un saggio del celebre archeologo Amedeo Maiuri, che fu soprintendente di Pompei ed Ercolano (e non solo) e direttore del museo Archeologico nazionale di Napoli e uno di Umberto Pappalardo sulla sua intensa attività di viaggiatore: infatti Schliemann fece scorrerie per il mondo immaginabili per un uomo di quell’epoca, giungendo in America (dove prese la cittadinanza), Africa, India, Cina e Giappone.


Heinrich Schliemann, morto a Napoli nel 1890
Venne anche almeno dieci volte a Napoli, non solo perché da qui prendeva la nave per raggiungere la sua casa ad Atene, ma anche perché amava questa città. Nonostante Napoli non fosse più la splendida capitale europea del secolo XVIII ma fosse divenuta nell’Ottocento socialmente molto problematica, c’erano tante cose da vedere: Pompei, Ercolano, il Museo Archeologico, il Teatro San Carlo e poi il Vesuvio, Sorrento, Capri e tanto altro ancora! Non è quindi un caso che morì proprio a Napoli, a Natale del 1890, prima di imbarcarsi per Atene… voleva ancora rivedere le nuove scoperte di Pompei e le nuove acquisizioni del museo Archeologico nazionale. In Italia aveva conosciuto dapprima a Pompei il giovane ispettore Giuseppe Fiorelli, che avrebbe poi rivisto a Napoli come direttore del Museo Nazionale e nuovamente a Roma in qualità di direttore generale delle Antichità del nuovo Regno d’Italia. Con Fiorelli ebbe dunque un lungo sodalizio, testimoniato da un frequente scambio epistolare. Carlo Knight spiega perché alcune di queste lettere, proprio alcune fra le più importanti, non ci sono pervenute. Possedute dal napoletano Domenico Bassi, che nel 1927 le pubblicò nell’ormai raro libro “Il carteggio” di Giuseppe Fiorelli. In Italia ne sono custoditi solo due esemplari, uno a Milano e uno a Venezia, qui riprodotto in appendice insieme alle trascrizioni dei diari di viaggio napoletani, i cui originali sono custoditi oggi presso l’American Academy di Atene.
Cortona. Tornano al Maec le grandi mostre internazionali: apre “Luci dalle tenebre, dai lumi degli Etruschi ai bagliori di Pompei”, la prima dedicata all’illuminazione nel mondo etrusco, che celebra anche il legame tra etruschi e Pompei. Tra i reperti esposti, il celebre lampadario etrusco e l’efebo lampadoforo da via dell’Abbondanza

Al museo Archeologico nazionale di Napoli si imballa l’Efebo di via dell’Abbondanza (foto mann)

L’Efebo di via dell’Abbondanza arriva al museo dell’Accademia etrusca e della Città di Cortona (foto mann)
Le operazioni di imballaggio sono iniziate intorno al 25 maggio. I tecnici del museo Archeologico di Napoli si sono presi cura dell’Efebo di via dell’Abbondanza, uno dei bronzi più famosi provenienti da Pompei, conservato al Mann, per spedirlo in assoluta sicurezza con destinazione Cortona, dove è stato accolto il 1° giugno dai tecnici del Maec, il museo dell’Accademia etrusca e della Città di Cortona. Perché al Maec? È lì che è in allestimento la grande mostra “Luci dalle tenebre, dai lumi degli Etruschi ai bagliori di Pompei”, della quale proprio l’Efebo bronzeo è il simbolo e il testimonial.

Tornano dunque le grandi mostre di rilievo internazionale al Maec di Cortona. “Luci dalle tenebre, dai lumi degli Etruschi ai bagliori di Pompei”, dal 5 giugno al 12 settembre 2021, a Palazzo Casali, è in assoluto la prima mostra dedicata all’illuminazione nel mondo etrusco e offre un percorso attraverso reperti provenienti dai più prestigiosi Musei italiani. Per la prima volta una esposizione interamente dedicata alle tecniche di illuminazione e ai rituali connessi nell’epoca etrusca. In mostra, grazie alla collaborazione di docenti dei maggiori atenei italiani e di studiosi di fama internazionale, gli oggetti che testimoniano le tecniche di illuminazione naturale e gli strumenti di illuminazione artificiale usati dagli Etruschi. Dal celebre lampadario etrusco in bronzo già custodito nelle sale del Maec, stupefacente e prezioso strumento di illuminazione artificiale antica, all’eccezionale prestito dal Mann di Napoli: una statua ritrovata a Pompei rappresentante un efebo, cui è dedicato uno speciale allestimento nella sala dei Mappamondi. La statua in bronzo è alta circa un metro e mezzo e rappresenta un adolescente con un candelabro che svolgeva il ruolo di accoglienza per gli ospiti illustri nelle dimore dell’antichità. Una intera sezione è dedicata ai sistemi di illuminazione collegati alla cultura nuragica, sviluppata nella Sardegna preromana, ed una sezione, particolarmente ricca, è riservata ad alcune delle più prestigiose realizzazioni rinvenute nella città di Pompei – legata al mondo etrusco da antichi vincoli di dipendenza – fra cui – come si diceva – la splendida statua di efebo lampadoforo rinvenuta integra in una ricca dimora di via dell’Abbondanza.

Le tematiche cardine: la “luce divina”; la luce naturale e le tecniche per un’illuminazione ecologica e naturale degli ambienti; le tecniche di illuminazione artificiale attraverso gli strumenti in bronzo, ferro o ceramica. Il progetto favorisce un notevole avanzamento nel campo della conoscenza della società etrusca in ambito internazionale ma soprattutto permette al grande pubblico di conoscere i modi e i tempi con cui i nostri avi illuminavano le loro abitazioni in modo ecologico ed ecosostenibile attraverso l’uso di risorse rinnovabili, invitando i visitatori ad una profonda riflessione sui temi dell’ecologia mondiale. Uno spazio ampio e dettagliato è rivolto alla didattica, con modelli tridimensionali ed effetti suggestivi inseriti in una stanza immersiva con l’utilizzo della realtà aumentata e una copia del lampadario etrusco interattivo che permette di conoscere in modo innovativo alcuni degli aspetti di questo importante reperto. La mostra si avvale della collaborazione degli uffici periferici del ministero della Cultura, in primis le Direzioni Regionali dei Musei delle varie regioni cui fanno capo i musei prestatori, e le soprintendenze Archeologia, Belle Arti e Paesaggio territorialmente competenti. In particolare la Direzione Regionale della Toscana e la soprintendenza ABAP delle province di Siena Arezzo Grosseto, da sempre legate a Cortona e al Maec e attive nella promozione delle varie attività proposte dal museo. Va quindi ricordato il rapporto intercorso fra il Maec e l’Accademia Etrusca con la Fondazione Luigi Rovati di Milano, con la quale è stato sottoscritto di recente un atto di intesa: la collaborazione con la Fondazione nella circostanza di questa mostra costituisce la prima occasione di contatto scientifico fra i due Istituti.

“La mostra Luci dalle tenebre è anche una nuova occasione per celebrare il legame fra gli Etruschi e Pompei”, dichiara l’assessore alla Cultura, Francesco Attesti. “Per questo ringraziamo il direttore del Mann, Paolo Giulierini, con cui abbiamo fattivamente collaborato. Dopo la riapertura del nostro museo, adesso è il momento di guardare avanti – prosegue Attesti – e lo facciamo con audacia, perché programmare una mostra in un periodo ancora non facile è senza dubbio una sfida, una sfida che dobbiamo vincere per il rilancio del nostro territorio attraverso politiche culturali e turistiche”. Gli fa eco il vice lucumone dell’Accademia Etrusca, Paolo Bruschetti: “È un’occasione straordinaria per celebrare la ripresa delle attività culturali che sono state fortemente colpite – assieme alla vita sociale ed economica, oltre che sanitaria – dalle limitazioni alla fruizione di musei, biblioteche e più in generale tutti i luoghi nei quali si vive l’esperienza culturale del nostro Paese. È anche l’occasione per riprendere un discorso interrotto ormai da alcuni anni, che vede protagonista la nostra città con l’offerta di occasioni di grande rilievo internazionale. Ed è infine un mezzo per riproporre Cortona come meta di un percorso nazionale che tanti visitatori apprezzano e condividono con noi. Non dimentichiamo infine che fra pochi anni saranno compiuti i tre secoli di vita e di attività dell’Accademia”.

Una sala del museo dell’Accademia etrusca e della Città di Cortona (foto maec)
“Accanto al nostro celebre Lampadario”, dichiara il presidente del comitato tecnico del Maec, Nicola Caldarone, “altri reperti si uniranno provenienti dai più prestigiosi musei etruschi, in particolare da Firenze, Perugia, Tarquinia, Villa Giulia di Roma per lanciare un segnale significativo di vita nuova e di speranze per il futuro dell’umanità. Il passaggio da una stagione fredda e buia a un’altra radiosa era salutato già nell’antichità con le suggestive celebrazioni della fiamma, auspichiamo che questo passaggio possa avvenire al più presto possibile, rispetto al difficile momento che stiamo vivendo”. Chiude il sindaco Luciano Meoni: “Siamo orgogliosi di poter offrire ai visitatori di Cortona una mostra di alto livello. Si tratta del primo importante evento culturale dopo questi mesi difficili che ci hanno costretto a far slittare questo evento. Non tutto il male vien per nuocere, come in questo caso, infatti la mostra si presenta ancora più ricca rispetto a quanto era stato previsto nel 2020”.
Sesto appuntamento con “Storie di vita”: la rubrica prodotta da Streamcult, in streaming e on demand, condotta da Dario Di Blasi che stavolta incontra il direttore del museo Archeologico nazionale di Napoli, Paolo Giulierini, che ha fatto del Mann un centro di promozione culturale per la città, il territorio, il Paese, dialogando con il mondo


Dario Di Blasi, direttore artistico di Firenze Archeofilm
Paolo Giulierini, direttore del museo Archeologico nazionale di Napoli, è il protagonista del sesto appuntamento con la rubrica “Storie di vita” da seguire on line in streaming e on demand giovedì 22 aprile 2021, alle 17. La rubrica si basa sulle relazioni e i rapporti di conoscenza acquisiti nel mondo dell’archeologia e del cinema da Dario Di Blasi, direttore del Firenze Archeofilm, curatore per più di 30 anni di manifestazioni cinematografiche dedicate all’archeologia, all’etnografia e all’antropologia culturale. Prodotta da StreamCult in collaborazione con la Rassegna del Documentario e della Comunicazione Archeologica di Licodia Eubea, “Storie di vita” è un format di approfondimento culturale che vede importanti personalità del campo dell’archeologia, della cinematografia e della cultura raccontarci le loro esperienze, le loro passioni e il loro lavoro.


I direttori Paolo Giulierini (Mann) e Michail Piotrovsky (Ermitage) a San Petroburgo
“Alcuni anni fa – spiega Dario Di Blasi – mi sentivo più o meno agente di commercio, o meglio rappresentante di cinema archeologico perché, in un’ottima iniziativa della Regione Toscana Le notti dei musei, giravo nei piccoli musei toscani di Chianciano, Murlo, Pisa, Siena, Cetona, Sarteano e Cortona per presentare l’archeologia, appunto, attraverso il cinema. In quell’occasione conobbi Paolo Giulierini direttore all’epoca del museo dell’Accademia etrusca di Cortona, un museo piccolo ma significativo, a parer mio, anche solo per lo splendido e unico lampadario etrusco. Come abbia fatto Paolo Giulierini con l’esperienza di un piccolo museo – continua Di Blasi – a trasferirsi al museo Archeologico nazionale di Napoli, forse il più bello e ricco di patrimonio in reperti al mondo, lo voglio proprio chiedere in questa conversazione. Forse sarò impertinente, ma vorrò capire anche come abbia fatto a entrare così in sintonia con Napoli e a imprimere una vertiginosa sequenza di eventi al Mann e a trovare un giusto e dignitoso equilibrio nello scambio internazionale di reperti archeologici e d’arte con grandi e prestigiose istituzioni culturali internazionali, come l’Ermitage di San Pietroburgo, riuscendo a dimostrare come sia importante il Patrimonio storico e culturale del nostro paese, l’Italia! Il museo Archeologico di Napoli, con le iniziative di Giulierini, non potrà più essere identificato come il museo di Pompei, Ercolano o Stabia. È il museo che raccoglie e presenta tutto il Mondo Antico con le sue sale e con i ricchissimi magazzini chiamati confidenzialmente Sing Sing”.

“Questa conversazione con Paolo Giulierini – anticipa Di Blasi – risponde anche alla polemica avviata giorni fa da Tommaso Montanari al seguito di un’interrogazione parlamentare su prestiti e scambi di opere d’arte che il Mann fa e mette in opera con importanti istituzioni culturali internazionali e sul supporto di privati di cui in alcuni casi si avvale per poterli realizzare. Io penso, in poche parole, che il Mann faccia bene a diffondere cultura e conoscenza permettendo di far conoscere la ricchezza storico archeologica del nostro Paese, l’Italia, attraverso mostre internazionali in cui viene precisato il contesto da cui provengono le opere e in cui viene garantita la sicurezza nel trasporto. In qualche misura questi scambi internazionali consegnano nuovamente dignità al nostro Paese che ha permesso, anni addietro, scambi capestro di opere, mascherati da restituzioni come nel caso della collezione degli argenti di Morgantina, restituiti, si fa per dire, dal Metropolitan Museum di New York. Un’obiezione potrebbe essere plausibile nel caso in cui il prestito di un’opera privasse il Mann o qualsiasi altro museo di un qualche cosa di identitario per la stessa istituzione o per il luogo vedi Il Caravaggio di Siracusa”.
Pompei. Geronimo Stilton, il topo giornalista più amato dai bambini, svela ai più piccoli i segreti del mestiere degli archeologi, intervistando un’archeologa e una restauratrice del parco archeologico di Pompei

Nuovo viaggio di Geronimo Stilton, il topo giornalista più amato dai bambini di tutto il mondo, alla scoperta dei segreti del mondo archeologico, dal sito di Pompei. Geronimo, dopo aver raccontato in alcuni video le bellezze dei siti vesuviani, ci svela questa volta i segreti del mestiere degli archeologi, intervistando direttamente chi opera sul campo a stretto contatto con le meraviglie emerse dalla cenere e dai lapilli del Vesuvio che coprirono l’antica città di Pompei 2000 anni fa, e approfondendo il lavoro dei restauratori che intervengono in situ o in laboratorio sui reperti, gli oggetti e gli affreschi ritrovati durante gli scavi. Il progetto educativo è realizzato in collaborazione con Atlantyca Entertainment, l’azienda milanese che del personaggio Geronimo Stilton, nato da un’idea di Elisabetta Dami, gestisce i diritti editoriali internazionali nonché quelli di animazione e di licensing per tutto il mondo. La serie di libri di Geronimo Stilton, pubblicata in Italia da Edizioni PIEMME, è diventata un fenomeno globale con 170 milioni di libri venduti in tutto il mondo e 3 serie animate coprodotte con Rai Fiction e distribuite in oltre 130 paesi.
Un video con duplice intervista a un’archeologa, Luana Toniolo, e una restauratrice, Elena Gravina, del parco archeologico di Pompei a cui Geronimo Stilton, direttore dell’Eco del Roditore, rivolge le domande per i più piccoli, per comprendere il grande lavoro affidato ai professionisti dell’archeologia. Dallo scavo vero e proprio, con la rimozione dei singoli strati di terra, come “sfogliare una cipolla in cucina”, al rinvenimento dei reperti, al loro studio e contestualizzazione che aiutano a comprenderne la storia, l’attività e la vita quotidiana di una certa epoca, fino all’inventario e alla conservazione degli oggetti rinvenuti. E poi il successivo delicato intervento dei cosiddetti “dottori delle opere d’arte” che con grande pazienza devono rimettere assieme frammenti preziosi, restaurarli e riportarli al loro originario splendore.

Geronimo Stilton, protagonista di tanti libri apprezzati dai giovani lettori, è già stato testimonial d’eccezione di un progetto per il sito Unesco “Pompei, Ercolano, Torre Annunziata” rivolto ai giovani cittadini del territorio, in collaborazione con l’Osservatorio Permanente del Centro Storico di Napoli-sito Unesco, che ha avuto come obiettivo quello di aumentare la consapevolezza e la sensibilità dei più giovani nei confronti del patrimonio culturale mondiale. Nell’ambito di questo progetto sono state realizzate una mappa del sito di Pompei e Oplontis e una guida consultabili sul sito www.pompeiisites.org.
“Pompei e Santorini. L’eternità in un giorno”: alle Scuderie del Quirinale di Roma per la prima volta insieme, le vestigia dei due siti archeologici, Akrotiri e Pompei, entrambi sepolti da un’eruzione vulcanica. Più di 300 oggetti – fra statue, affreschi, vasi, rilievi, gemme, incunaboli e quadri – dove i preziosi reperti provenienti dalla Grecia, datati a più di quattromila anni fa e mai esposti all’estero, dialogano con le straordinarie antichità pompeiane

Brocca a becco mammillata decorata con motivi di colore rosso (tarda età del Bronzo) da Akrotiri (foto museo Thera preistorica Santorini)
1613 a.C.: Akrotiri, fiorente capitale dell’isola di Thera, oggi conosciuta come Santorini, sepolta da un’eruzione e riportata alla luce nella seconda metà del Novecento. 79 d.C.: Pompei è investita dalla furia del Vesuvio e riscoperta nella prima metà del Settecento. Sin dall’antichità le catastrofi vulcaniche hanno scandito lo scorrere della storia. Ma nel caso di Akrotiri e Pompei i cataclismi non hanno inghiottito solo le due città, ma un intero sistema di pensiero che è riaffiorato tramite le indagini archeologiche. I risultati di queste ricerche le troviamo, fino al 6 gennaio 2020, a Roma, alle Scuderie del Quirinale, nella mostra “Pompei e Santorini. L’eternità in un giorno”, dove possiamo ammirare, per la prima volta insieme, le vestigia dei due siti archeologici, tra i più importanti e meglio conservati al mondo. Curata da Massimo Osanna, direttore del parco archeologico di Pompei e da Demetrios Athanasoulis, direttore dell’Eforia delle Antichità delle Cicladi, con Luigi Gallo e Luana Toniolo, l’esposizione è frutto di una collaborazione istituzionale e propone un confronto inedito attraverso innovative ricostruzioni e la selezione di preziosi reperti, in molti casi mai esposti al pubblico. “Nelle città sepolte le spettacolari eruzioni hanno d’improvviso bloccato la storia, che riemerge dalle ceneri velatamente presente”, interviene Mario De Simoni, presidente Ales-Scuderie del Quirinale. “L’indagine archeologica ha permesso di conoscere e interpretare l’organizzazione sociale di due centri del Mediterraneo antico, restituendone il complesso patrimonio artistico e culturale. Mondi lontanissimi da noi ritrovano forme, figure, colori, sapori, profumi, ritualità e attitudini nell’evocazione di fasti mai interamente dissolti. Nelle sale monumentali delle Scuderie del Quirinale, trasfigurate da un allestimento immersivo che esalta più di 300 oggetti – fra statue, affreschi, vasi, rilievi, gemme, incunaboli e quadri – i preziosi reperti provenienti dalla Grecia, datati a più di quattromila anni fa e mai esposti all’estero, dialogano con le straordinarie antichità pompeiane e con opere moderne e contemporanee, selezionate per il loro potere evocativo, evidenziando la persistenza dell’antico nell’immaginario artistico e la complessa riflessione dell’arte contemporanea sul tema della catastrofe”.

Bracciali a semisfere in oro (I sec. d.C.) dalla Casa della Venere in bikini di Pompei (foto parco archeologico Pompei)

Ninfeo con affigurazione di giardini (I sec. d.C.) dal triclinio estivo della Casa del Bracciale d’oro di Pompei (foto parco archeologico Pompei)
“Crocevia di popoli, tradizioni e religioni diverse, luogo unico per la sua storia, segnata da stratificazioni millenarie”, scrive Massimo Osanna, direttore generale del parco archeologico di Pompei, “il Mediterraneo rivendica un’indiscussa centralità nella cultura occidentale. Sulle sponde del Mare Nostrum sono sorte alcune tra le più grandi civiltà del passato che hanno segnato indelebilmente il corso del Tempo. Il loro sovrapporsi, ibridarsi, avvicendarsi è il soggetto principale dell’indagine archeologica, capace di offrire l’interpretazione contestuale di oggetti, spazi, pratiche e fenomeni di tipo sociale, economico e religioso. Le diverse identità culturali che compongono l’elaborato mosaico del Mediterraneo antico – continua -, trovano ad Akrotiri, sull’isola di Santorini, e Pompei due casi emblematici. Investite da eruzioni simili, distanti più di 1700 anni l’una dall’altra, le città restituiscono edifici, affreschi, manufatti perfettamente conservati che permettono di resuscitare due civiltà ricche e complesse, evocando allo stesso modo la catastrofe che ha messo fine alla loro storia. La riscoperta delle città sepolte, inoltre, ha nutrito l’immaginario artistico, offrendosi al contempo come soggetto iconografico e spunto di riflessione per l’evocazione delle catastrofi naturali”.

Affresco detto dei “Giovani pescatori” (tarda età del Bronzo) da Akrotiri (foto museo di Thera Preistorica Santorini)
Culla della cultura protocicladica, cuore dell’Atene classica, nucleo vitale dell’Impero bizantino, l’arcipelago delle Cicladi è disseminato di inestimabili tesori archeologici – dalla Preistoria al Medioevo – incastonati nella bellezza di un paesaggio straordinario. “L’Eforato delle Antichità delle Cicladi ha deciso di mettere in atto una politica espositiva rivolta verso l’esterno, con mostre in Grecia e all’estero che hanno l’obiettivo di promuovere il patrimonio monumentale delle Cicladi e di rendere l’antichità una fonte di cultura e sapere, ma anche di piacere e intrattenimento di qualità”, spiega il direttore Demetris Athanasoulis. “La mostra “Pompei e Santorini. L’eternità in un giorno” alle Scuderie del Quirinale a Roma è espressione di questa visione e si avvale di una novità assoluta: la collaborazione tra l’Eforato delle Antichità delle Cicladi e il Parco Archeologico di Pompei nel campo della ricerca e della promozione del patrimonio archeologico. I materiali provenienti dalla città preistorica di Akrotiri sull’isola di Thera (oggi Santorini), esposti per la prima volta al di fuori della Grecia, restituiscono il volto della “Pompei” dell’Egeo preistorico: una città sepolta dall’esplosione del vulcano Santorini nel 1613 a.C. La cenere ha preservato i celebri affreschi preistorici, cicli unici e straordinariamente completi di grandi dipinti, insieme a numerosi altri reperti di cui possono godere i romani e i visitatori della Città Eterna”.

Fregio miniaturistico con un paesaggio subtropicale (tarda età del Bronzo) da Akrotiri (foto museo Thera Preistorica Santorini)

Affresco con la rappresentazione di un giardino lussureggiante dalla Casa del Bracciale d’Oro (I sec. d.C.) (foto parco archeologico pompei)
La mostra è concepita come un viaggio nel tempo alla scoperta delle due antiche città, accomunate da un’identica fine e preservate nei millenni dalle ceneri vulcaniche. Più di 300 oggetti, fra statue, affreschi, vasi, rilievi, gemme, incunaboli e quadri, ripercorrono un arco temporale di 3500 anni che va dall’età del Bronzo ai nostri giorni. “Davanti alla ricchezza e alla varietà delle opere antiche e moderne presenti nelle sale delle Scuderie del Quirinale”, sottolinea Osanna, “non possiamo esimerci da un ragionamento sui valori trasmessi dall’arte: l’appartenenza a una cultura più antica, il futuro che ci unisce tutti nell’eredità trasmessa dalla storia”. I temi esaminati trattano diverse problematiche archeologiche, come la disamina dei contesti, l’uso dei calchi in gesso, l’analisi delle abitudini sociali e della ritualità, lo studio della connettività economica e culturale nel Mediterraneo antico. Il percorso espositivo è punteggiato da opere di artisti moderni e contemporanei (Micco Spadaro, Turner, Valenciennes, Filippo Palizzi, Arturo Martini, Renato Guttuso, Andy Warhol, Alberto Burri, Richard Long, Antony Gormley, Giuseppe Penone, Francesco Jodice, Damien Hirst, James P Graham, Hans Op de Beeck, Francesco Simeti), che indicano quanto la riscoperta delle città sepolte abbia nutrito l’immaginario collettivo, accompagnando i visitatori in un viaggio fra passato e presente.

Brocca sferica monoansata, decorata con piante d’orzo e di veccia (tarda età del Bronzo) da Akrotiri (foto museo Thera preistorica Santorini)
La mostra (che qui vediamo nel video di Positanonews TV) rievoca quindi una storia fatta di repentine catastrofi naturali e affascinanti riscoperte archeologiche per raccontare le origini e gli sviluppi della nostra storia, della nostra cultura. Eventi speciali e laboratori contribuiscono ad arricchire e approfondire i contenuti di una mostra già di così ampio respiro: gli studenti delle scuole, possono a esempio mettersi alla prova con laboratori sul mestiere dell’archeologo dove vengono coinvolti a riconoscere i reperti di uno scavo. I più grandi invece possono avventurarsi in una visita letteraria della mostra accompagnati dalle parole di scrittori e filosofi dall’antichità fino al Novecento. Oltre ai laboratori e agli incontri ospitati all’interno delle Scuderie del Quirinale la mostra propone una serie di appuntamenti al Teatro Argentina a Roma condotti da archeologi, storici dell’arte, intellettuali e giornalisti per indagare il fenomeno eruttivo dal punto di vista scientifico, geologico e sociale oltre a proporre una sorta di passeggiata virtuale all’interno delle sale della mostra.
Dalla guerra alla caduta di Troia, con i suoi protagonisti Achille, Ulisse, Enea: a Comacchio la mostra “Troia. La fine della città. La nascita del mito” in collaborazione con il Mann. Seconda parte: il viaggio iniziato con Omero si conclude con Virgilio, che celebra Roma nuova Troia

Locandina della mostra “Troia. La fine della città. La nascita del mito” a Comacchio fino al 27 ottobre 2019
È il 1898 quando Heinrich Schliemann, seguendo fedelmente quanto descritto da Omero nell’Iliade, scopre Troia. Nel nostro viaggio spazio-temporale affrontato visitando la mostra “Troia. La fine della città. La nascita del mito”, aperta fino al 27 ottobre 2019 a Palazzo Bellini di Comacchio, curata da Carla Buoite e Lorenzo Zamboni, da un’idea di Paolo Giulierini, Alice Carli e Roberto Cantagalli, partendo da Omero e passando attraverso alcuni miti greci siamo arrivati alla scoperta sulla collina di Hisarlik, nell’attuale Turchia nordoccidentale, delle vestigia della mitica Troia, dando vita a una campagna di scavi che arriva fino ai nostri giorni, e non vede ancora la fine (vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2019/09/11/cantami-o-diva-del-pelide-achille-lira-funesta-a-comacchio-la-mostra-troia-la-fine-della-citta-la-nascita-del-mito-in-collaborazione-con-il-m/).
Ma quella individuata da Schliemann non era la Troia omerica o almeno non solo. Dietro il mito di Troia c’è una città che conosce una vita lunghissima, tra l’Antica età del Bronzo e il periodo bizantino (dal 3000 a.C. alla fine del 1200 d.C. circa) scandita dagli studiosi in dieci periodi (I-X). Molte delle fasi edilizie di Troia mostrano segni di incendi, distruzioni e terremoti. Secondo diversi ipotesi, la città descritta da Omero coinciderebbe con il periodo VI finale, oppure VII iniziale (circa 1300-1200 a.C.). In questi livelli gli scavi hanno messo in luce una cittadella di circa 2 ettari, circondata da mura possenti, e una “città bassa” estesa per almeno altri 27 ettari. Se il mito riconduce la guerra di Troia al rapimento di una donna, gli attacchi militari che la città ha subito suggeriscono la sua importanza strategica nello scacchiere geopolitico del mondo antico. Troia sorgeva infatti a controllo dello stretto dei Dardanelli, punto di passaggio obbligato tra Europa e Asia, e via d’accesso al mar Nero (un ruolo che secoli più tardi sarà ereditato da Costantinopoli, l’odierna Istanbul).

Guerrieri achei e anatolici del XIV e XIII secolo a.C., ricostruzione ipotetica dell’abbigliamento e dell’armamento dell’epoca
Mura incrollabili. Una delle particolarità del sito di Hisarlik è che fin dalla sua nascita è dotato di una cerchia difensiva, costantemente rinnovata e rinforzata nel corso dei secoli, segno di ricchezza e potere. Nelle fasi della tarda età Bronzo, alla fine del I millennio a.C., la cortina muraria di Troia mostra alcuni dettagli tecnici notevoli, con mura composte di grandi blocchi squadrati per tutta la profondità, dotate di pendenza e contrafforti sporgenti. Le difese erano completate da torri, ingressi obliqui (le porte Scee) e rampe di accesso. Gli eroi di Omero sono stati rappresentati, nei secoli, nei modi più diversi e fantasiosi. Anche in questa mostra li vediamo spesso abbigliati, di volta in volta, come guerrieri greci del periodo arcaico e classico, o reinventati secondo canoni romantici e immaginari. In realtà possiamo ricostruire l’armamento e l’abbigliamento dei Micenei grazie agli scavi e alle raffigurazioni dell’epoca su affreschi e ceramiche dipinte. Anche i nomi dei personaggi trovano testimonianza archeologica. Dai documenti scritti dell’epoca, le tavolette in Lineare B, sappiamo infatti che esistette effettivamente un popolo chiamato A-ka-wi-ja-de (gli Achei), presso cui il potere era in mano a un re, il wanax, e ai suoi comandanti, i la-wa-ge-tas, e che adorava una divinità femminile chiamata A-ta-na Po-ti-ni-ja (Atena). I nomi con cui Omero ha immortalato i suoi eroi sono micenei: A-ki-re-u (Achille), E-koto (Ettore), Pi-ri-ja-me-ja (Priamo). Interessante però che questi nomi fossero di persone comuni, di bassa estrazione sociale, inservienti, pastori, schiavi.

Affresco di Achille e Chirone, 65-79 d.C., da Ercolano, Basilica: Chirone insegna al giovane Achille a suonare la lira (foto Giorgio Albano, Mann)
L’educazione di un eroe: Achille. “Uomo grande e generoso, nobile pedagogo, che a maggior tua gloria allevasti un intero popolo di eroi…”, scrive Goethe nel Faust (7, II, 15). I monti della Tessaglia, nella Grecia centrale, sono il regno dei Centauri, irascibili, rozze e selvagge creature per metà uomini e per metà cavalli. Al contrario dei suoi primitivi compagni, il mite Chirone, amante delle scienze mediche e umane, vive da eremita nella grotta del monte Pelio, dedicandosi all’insegnamento. Sotto la sua guida vengono formate le giovani promesse del mito greco: Eracle, Teseo, Giasone, Aiace, Enea, e persino il padre della medicina, Asclepio. Tra i suoi celebri allievi c’è anche Achille, che da Chirone impara i segreti della caccia, della guerra, della medicina, della chirurgia e dell’arte oratoria, temprato nel corpo e nell’animo. L’anomalo centauro forgiò inoltre la lancia magica che solo Peleo e poi suo figlio Achille erano in grado di brandire. La stessa lancia con cui venne prima ferito e poi curato Telefo.

Pelike apula a figure rosse, Gruppo di Ruvo, 375350 a.C. Achille affranto per la morte di Patroclo, consolato dalla madre, la dea marina Teti, che gli porta assieme alle sorelle Nereidi le nuove armi forgiate da Efesto (foto Giorgio Albano, Mann)
L’ira funesta. Nei versi dell’Iliade le passioni e le emozioni sono protagoniste assolute: ira, superbia, desiderio, gloria, vendetta, violenza, ma anche dignità, senso dell’onore, leale amicizia, cura, premura e amore muovono le azioni dei protagonisti. Il poema si apre con l’ira di Achille, funesta, rovinosa, che esplode per l’ingiustizia subita dall’arrogante sovrano Agamennone, che gli sottrae la sua amata Briseide. Non solo i suoi sentimenti vengono feriti, è la stessa immagine pubblica di Achille a subire un disonore incancellabile. Per non cedere alla violenza, Achille si chiude in un’ostinata solitudine, allietata solo dalle arti e dai banchetti. Achille è un eroe complesso, in cui alla spietata violenza in battaglia si affiancano le delicate premure che riserva ai suoi amici e compagni più cari, su tutti l’inseparabile Patroclo. La perdita dell’amico prediletto, che ne veste le armi per sfidare il campione troiano Ettore, lo getta nel baratro di un’inconsolabile disperazione. Per Patroclo Achille versa fiumi di lacrime che nemmeno la divina madre Teti può fermare. Per vendicarlo torna in battaglia più feroce e spietato che mai, infierendo sul corpo del rivale Ettore. Ma ancora una volta mostra la sua grandezza d’animo, ascoltando le toccanti parole di Priamo, piangendo insieme a lui per le reciproche perdite, e consentendo a un anziano padre di dare onorevole sepoltura al figlio amatissimo.

Cratere apulo a figure rosse, da Ruvo di Puglia, tomba 111, attribuito al pittore dell’Ilioupersis, 370-360 a.C. Achille trascina il corpo di Ettore alla presenza dell’immagine di Patroclo (foto Giorgio Albano, Mann)
La caduta di Troia. Ilio, nome greco della città di Troia, è caratterizzata dall’epiteto delle sue celebri mura, che vengono definite “forti”, “ben costruite”, o semplicemente “belle”. Dopo nove anni di sanguinose battaglie, e nonostante la morte di Ettore, i Greci ancora non sono riusciti a espugnare le possenti mura troiane, erette da Apollo e Poseidone, che torreggiano tra il mare e le piane dell’Asia. Sfiniti dalla guerra, i Greci, ispirati dal multiforme ingegno di Ulisse e con l’aiuto divino di Atena, erigono un cavallo simile a un monte dai fianchi d’abete intrecciati, e lo lasciano davanti alle porte della città, come dono votivo ad Atena, protettrice di Troia, prima di fingere la ritirata. In realtà, come da recenti studi dell’archeologo navale Francesco Tiboni, Omero avrebbe parlato mai parlato di un cavallo ma avrebbe fatto riferimento a una nave fenicia, l’hippos (cavallo) appunto (da qui l’interpretazione errata nei secoli successivi, quando si era persa nozione dell’imbarcazione fenicia), usata all’epoca – carica di doni preziosi – come tributo degli sconfitti lasciata davanti alla città inespugnata (vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2018/02/19/tourisma-2018-il-cavallo-di-troia-una-clamorosa-fake-news-dellantichita-larcheologo-navale-tiboni-omero-non-ha-mai-scritto-di-un-cavallo-ilio-fu-vinta-con-lin/). Riprendiamo il racconto. Il sacerdote troiano Laocoonte subito s’avvede dell’inganno, e prova a mettere in guardia i suoi compagni, pronunciando la famosa frase immortalata nei versi dell’Eneide virgiliana: “… temo i Greci anche se recano doni”. Ma ecco emergere dalle acque tranquille del mare due serpenti dalle spire immense e dalle creste rosso sangue, che avvolgono e straziano le carni del sacerdote e dei suoi due figli col loro corpo squamoso, soffocandone le disperate grida. I Troiani, persuasi che la cruenta fine di Laocoonte sia una divina punizione per le sue empie parole, spalancano esultanti le porte della città all’inganno acheo: gravida di armati la macchina fatale sale alle mura. I festeggiamenti per la fine della guerra e la ribadita supremazia di Troia proseguono fino a notte, mentre la spiaggia è ormai deserta.

Aiace Oileo strappa Cassandra dal Palladio, davanti a Priamo, da Pompei, I sec. d.C. (foto Patrizio Lamagna, Mann)
Il massacro. Tra cigolii, passi furtivi e bisbigli, nel cuore delle mura il cavallo immane vomita soldati armati che lesti aprono le porte della città ai compagni. I Troiani tentano un’ultima disperata difesa: si lotta porta a porta, fino all’ultimo uomo. Ma i Greci sciamano ormai inarrestabili, incendiando e distruggendo qualsiasi cosa incontri le loro armi: ammazzano, sgozzano, predano come fiere assetate di sangue, mentre i Troiani, impreparati e inermi, soccombono. Dovunque la città è sconvolta da grida di dolore: crescono i clamori e un fragore orrendo di armi sovrasta la notte. La Cittadella, cuore pulsante della città, cade preda di nemici pronti a ogni nefandezza ed efferato crimine. Quella di Troia è principalmente una vicenda di guerra, in cui prevalgono la violenza bruta e la prevaricazione del più forte sul più debole. E la sfida non è solo il duello eroico, due valenti guerrieri che si misurano ad armi pari gareggiando per l’onore e la gloria. Il mito, come la storia, è costellato di azioni vili e turpi, dove sono soprattutto gli anziani, le donne e i bambini a subire l’orrore e l’oltraggio. L’ultima, fatale notte di Troia è infatti un crescendo di episodi truculenti e di violenze intollerabili. Il vendicativo figlio di Achille, Neottolemo, fa strage di Troiani, arrivando a scagliare dalle mura Scee il corpo del piccolo Astianatte, figlio di Ettore. Tra gli ultimi a venire ucciso è il vecchio re, Priamo, ormai annichilito e prostrato sui gradini dell’altare, mentre tenta invano di opporsi al suo destino. Risuonano, agghiaccianti e concitate, le urla delle donne troiane: ma la morte è per loro quasi un sollievo, al confronto dell’umiliazione e della schiavitù che le aspetta quali bottino di guerra. Cassandra, che tutto ha già visto, aggrappata all’altare di Atena leva inutilmente gli occhi al cielo, mentre cade, inerme, tra le grinfie dell’empio Aiace Oileo. Come sua madre Ecuba, come le sue sorelle, come Andromaca, la sposa di Ettore, la attende un cupo futuro di prigionia presso le corti nemiche. Per Elena, oggetto di odio e rancori sia da parte dei Troiani che dei Greci, la resa significa il disprezzo del suo stesso popolo. Eppure, Menelao, marito tradito, la riporta a casa e la perdona, e nell’Odissea Ulisse la rincontrerà onorata e rispettata regina.

Terracotta da Pompei con Enea, Anchise e il piccolo Ascanio in fuga da Troia, I sec. d.C. (foto Patrizio Lamagna, Mann)
L’ultimo, fatale capitolo della nostra storia è ormai compiuto. Calcante, sacerdote e indovino dell’esercito greco, lo aveva predetto nel II libro dell’Iliade (“Nove anni a Troia durerà la guerra, il decimo la città cadrà…”), e la sua visione trova ora un tragico compimento. Distruzione e saccheggio regnano ormai sulla sacra rocca di Troia. Crollano per sempre le belle mura di Ilio, avvolte dalle fiamme. Ben pochi sono i superstiti. Tra questi Enea, principe troiano, al quale gli dei hanno affidato una missione da portare a compimento. Con l’anziano padre Anchise in spalla, il figlioletto Ascanio per mano e le ceneri degli antenati, Enea fugge, nella notte, tra i flutti del mare…

Anfora attica a figure nere, fine del VI secolo a.C., da Nola (Napoli). Enea, Anchise e il piccolo Ascanio in fuga da Troia (foto Patrizio Lamagna, Mann)
Fughe e ritorni. Nonostante la vittoria, gli eroi greci vivranno dei ritorni difficili: sono i nostoi, le peripezie e i ritorni degli eroi omerici, fatti di imprevisti, di vagabondaggi, di errori che apriranno nuovi scenari, premesse di nuove storie. Il più famoso dei ritorni è quello di Ulisse, che durerà ben dieci anni, e che viene narrato nell’Odissea. Dei Troiani, Enea è uno dei pochi a sopravvivere. Lo vediamo ormai in fuga verso l’Occidente, con il padre Anchise, il figlioletto Ascanio, detto Iulo, e un manipolo di compagni. Di Enea e del suo viaggio narra Virgilio nell’Eneide, un’opera modellata sui poemi omerici, dei quali si propone come un “sequel”. Le vicende sono quelle successive alla fuga da Troia, caratterizzate da lunghe peregrinazioni e da numerose perdite. Le tappe principali sono le isole greche di Delo, Creta e le Strofadi, l’Epiro, nell’odierna Albania, la Sicilia, il regno di Cartagine sulla costa nordafricana, persino l’Averno, il mondo dei morti. Il viaggio si concluderà in Lazio, e con il matrimonio con la principessa Lavinia, figlia del re locale Latino, Enea diviene l’illustre antenato della civiltà romana.

Rilievo in marmo pentelico, originale greco della fine del V – inizi del IV secolo a.C., da Pompei, Casa V, 3, 10. Scena di sacrificio offerto da una famiglia a una divinità femminile, Afrodite o Demetra (foto Patrizio Lamagna, Mann)
Sacrifici e rinascite. Il rilievo di marmo, esposto in mostra a Comacchio, è un prezioso originale greco, simbolo del lusso e del livello culturale sfoggiato in alcune case di Pompei, dove è stato rinvenuto, posato a terra contro un muro in attesa di una collocazione definitiva. La Casa V, 3,10, dotata di altri arredi originali, tra cui statue bronzee, testimonia l’uso di veri e propri pezzi d’antiquariato greco, icona di una ricchezza colta e ricercata. Nei secoli la cultura greca plasma infatti la società romana nel profondo, attraverso le tecniche, le scienze, le arti e la letteratura. La scena rappresentata è una processione sacrificale: un gruppo di devoti accompagna in sacrificio un ariete al cospetto di una divinità femminile, nettamente sovradimensionata. Si tratta forse di Afrodite, amorevole madre e protettrice di Enea, oppure, secondo un’altra interpretazione, di Demetra, dea ancestrale della rinascita e della fertilità.

Busto di Ottaviano di marmo, di età tiberiano-claudia (14-54 d.C.), da Fondi (Latina) (foto Patrizio Lamagna, Mann)
Roma, una nuova Troia. Siamo alla fine del nostro viaggio che iniziato con Omero e trova il suo compimento in Virgilio: quindi da Troia a Roma. Nell’Eneide di Virgilio infatti l’eroe troiano Enea, tramite il figlio Iulo, viene celebrato come il capostipite della gens Iulia, una delle più importanti famiglie della repubblica romana, il cui esponente più illustre è Giulio Cesare. Mediante adozione, Ottaviano Augusto entra a far parte della famiglia Iulia, e sfrutta abilmente a fini propagandistici questo mito delle origini. I poeti della sua corte, tra i quali Virgilio, sono incaricati di trasporre in versi un mito inventato ad arte, quello della genealogia eroica e divina della prima dinastia imperiale. Una delle caratteristiche del nuovo Enea virgiliano, la pietas, ne fa il prototipo dell’uomo obbediente agli dèi e umile di fronte alla loro volontà, rispettoso delle tradizioni e dei vincoli familiari. Ora da celebrare non sono più gli antichi eroi omerici, ma un nuovo ordine morale, di cui Ottaviano Augusto si pone come restauratore. Si chiude il capitolo del mito, si apre quello della storia.
Al via le “Passeggiate notturne” all’Antiquarium di Boscoreale. E alla villa di Poppea a Oplontis itinerario tematico “Maschere e teatro”, dedicato al tema del teatro antico ispirato da affreschi della villa con letture dall’Aulularia di Plauto

Il manifesto della mostra “A picco sul mare” allestita a Palazzo Criscuolo a Torre Annunziata sui tesori di Oplontis
Al via le “Passeggiate notturne” all’Antiquarium di Boscoreale, con i suoi numerosi reperti, testimonianza della vita e dell’ambiente dell’epoca romana nell’agro Vesuviano: dal 6 settembre fino al 12 ottobre 2019, tutti i venerdì e sabato, dalle 20.30 alle 22.30 (ultimo ingresso alle 22), al costo di 2 euro. E sempre il 6 settembre 2019, in programma il primo dei due itinerari tematici a Oplontis, “Maschere e teatro”, dedicato al tema del teatro antico con letture tratte dall’Aulularia del poeta latino Plauto. Lo spunto proviene direttamente dalle decorazioni parietali presenti nella villa che in diversi ambienti presenta riferimenti alla sfera del teatro, come ad esempio le maschere teatrali dipinte nel cosiddetto Salone dei Pavoni. Il secondo sarà il 14 settembre 2019, “La musica nel mondo antico”. Il tema sarà trattato, nel corso della serata, presso il Calidarium (uno degli ambienti termali) della Villa di Poppea, dove è anche previsto un intermezzo musicale. Le visite saranno a cura dei soci dell’Archeoclub d’Italia – sede di Torre Annunziata. Gruppi alle 20.30 e 21.30. Per i visitatori interessati sarà possibile, nelle stesse date alle 19, visitare anche la mostra “A picco sul mare. Arredi di lusso al tempo di Poppea” allestita presso il museo dell’identità di Palazzo Criscuolo, con reperti provenienti dagli Scavi di Oplontis (vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2016/03/16/gli-ori-di-oplontis-e-gli-arredi-di-lusso-al-tempo-di-poppea-a-torre-annunziata-napoli-una-mostra-rivela-i-tesori-scoperti-nel-sito-dellunesco-e-mai-esposti-un-museo-archeologico-permanen/). L’appuntamento con i soci dell’Archeoclub è a Palazzo Criscuolo, in corso Vittorio Emanuele III n. 251, a Torre Annunziata.

Il foro romano di Pompei è al centro delle “Passeggiate notturne” (foto parco archeologico di Pompei)
La prima ad aprire le “Passeggiate notturne” nei siti archeologici vesuviani è stata Stabia dove, con le “Noctes Stabianae” dal 16 agosto fino al 21 settembre 2019, è possibile visitare la Villa San Marco illuminata: una passeggiata suggestiva in una tra le più grandi ville romane residenziali, con i suoi 11mila mq, posta in posizione panoramica sulla collina di Varano, a Castellammare di Stabia (vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2019/08/15/noctes-stabianae-per-sei-settimane-il-venerdi-e-il-sabato-passeggiate-notturne-gratuite-con-visite-guidate-alla-villa-san-marco-tra-le-piu-grandi-ville-romane-residenziali-dellarea-vesu/). Una settimana dopo, cioè dal 23 agosto e fino al 28 settembre 2019, è toccato agli scavi di Pompei dove le passeggiate notturne interessano uno dei luoghi più monumentali del sito, l’area del Foro, cuore della vita politica, religiosa ed economica della città antica; e alla villa di Poppea a Oplontis con visite serali a uno tra i più splendidi esempi di villa dell’aristocrazia romana, attribuita a Poppae Sabina, moglie dell’imperatore Nerone (vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2019/08/23/passeggiate-notturne-nei-siti-archeologici-vesuviani-dopo-stabia-ora-tocca-a-pompei-e-oplontis-infine-boscoreale/).
“Maschere e teatro”. In occasione dell’apertura serale degli Scavi di Oplontis di venerdì 6 settembre 2019, si propone una visita incentrata sul tema del teatro antico con letture tratte dall’Aulularia del poeta latino Plauto. Lo spunto proviene direttamente dalle decorazioni parietali presenti nella villa che in diversi ambienti mostra riferimenti alla sfera del teatro. A titolo di esempio si possono ricordare le maschere teatrali dipinte nel cosiddetto Salone dei Pavoni (ambiente 5 della pianta degli scavi). Come è noto il teatro antico nasce in Grecia. Le rappresentazioni teatrali avvenivano in occasione delle feste in onore di Dioniso (dio del teatro, nonché dell’estasi, del vino e della liberazione dei sensi) che si tenevano nel corso dell’anno. Esse si svolgevano all’interno di edifici scoperti, appositamente progettati, i teatri appunto, formati da gradinate disposte a semicerchio intorno ad uno spazio circolare chiamato orchestra, che serviva per ospitare il coro. Gli attori invece recitavano sul palcoscenico che chiudeva su un lato l’edificio. Le rappresentazioni trattavano per lo più le vicende dei personaggi del mito e si suddividevano in vari generi: le tragedie, che mettevano in scena storie dai risvolti dolorosi e spesso violenti, le commedie, in cui si susseguivano situazioni buffe o divertenti che talvolta mascheravano polemiche politiche o sociali, e i drammi satireschi, genere di contenuto leggero che serviva per risollevare l’ animo degli spettatori dopo le tragedie. Gli attori, esclusivamente uomini anche nelle parti femminili (perché alle donne era proibita la recitazione), indossavano maschere che li rendevano riconoscibili anche a grande distanza e consentivano l’amplificazione della voce. Nel mondo romano, oltre a continuare le rappresentazioni dei grandi autori greci, venivano proposti anche testi nuovi. I risultati più importanti furono raggiunti con le commedie che vennero più importanti furono raggiunti con le commedie che vennero ideate da grandi poeti come Plauto e Terenzio.
Grande Progetto Pompei: è nato il sito www.grandepompei.beniculturali.it per essere informati su Piano strategico per tutta l’area vesuviana e aprire un contatto attivo con gli utenti

L’home page del nuovo sito web http://www.grandepompei.beniculturali.it
Vi piacerebbe essere informati sui programmi e gli interventi contenuti nel Piano strategico del Grande Progetto Pompei? E poter dialogare con le istituzioni per suggerire interventi o collaborazioni? Ora si può. L’Unità Grande Pompei e il personale della struttura di supporto al Direttore generale del Grande Progetto Pompei hanno realizzato il sito web https://www.grandepompei.beniculturali.it per la presentazione al vasto pubblico del Piano strategico e per l’attivazione di canali di comunicazione con cittadini e stakeholder dell’area vesuviana costiera, altrimenti nota come buffer zone, per la conoscenza del patrimonio culturale dell’area vesuviana costiera. Ma si può anche partecipare ai processi di attuazione dei programmi e degli interventi del Piano strategico. Il sito presenta infatti una landing page, denominata “Un territorio da rilanciare”, che invita alla costruzione partecipata della conoscenza del patrimonio culturale, materiale e immateriale, meno conosciuto e presente nei comuni di Portici, Ercolano, Torre del Greco, Torre Annunziata, Pompei, Boscotrecase, Trecase, Boscoreale, Terzigno e Castellammare di Stabia. L’utente del sito può partecipare direttamente attraverso la compilazione di un form e la possibilità di allegare contenuti digitali.
Con la pubblicazione di questo sito e l’attivazione di una modalità di contatto diretto con gli utenti è iniziato il percorso di sviluppo del portale Open Data per il Sistema Turistico Culturale Integrato, una delle “Azioni immateriali” previste nel Piano strategico adottato dal Comitato di gestione il 20 marzo 2018, per dotare il territorio dell’area vesuviana costiera di una piattaforma digitale per la gestione integrata di dati e servizi, finalizzati alla conoscenza, alla fruizione e alla valorizzazione del patrimonio culturale materiale e immateriale, nel solco di un “piano di digitalizzazione di tutti i beni culturali, artistici, archeologici e paesaggistici presenti nella buffer zone atto a promuovere gli stessi nel mondo, anche con la realizzazione di un apposito open data utile per la nascita e lo sviluppo di imprese culturali” e “realizzare un portale trasparenza unico per i beni culturali della buffer zone che renda conoscibile ogni iniziativa intrapresa nell’ambito del Grande Progetto Pompei e del piano di gestione Unesco”, come sollecitato dalla Risoluzione 7/00007 della VII Commissione (Cultura, Scienza e istruzione) presentata il 26 giugno 2018.
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