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Parco archeologico di Paestum e Velia: aperture serali, percorsi tematici e didattica per tutti da ottobre a dicembre

“Paestum al chiaro di luna”, le suggestive visite al buio con lanterne nel Santuario meridionale (foto pa-paeve)

Il Parco Archeologico di Paestum e Velia apre le porte ai visitatori di sera, grazie al Piano di Valorizzazione del MiBACT che consente la fruizione dei due siti archeologici oltre il consueto orario di apertura. Si parte venerdì 2 ottobre 2020 e si prosegue con un calendario di 20 serate: in programma da ottobre a dicembre eventi, percorsi tematici e didattica per tutti dalle 19.30 alle 22.30 (ultimo ingresso alle 21.45), con biglietto a 1 euro dai 18 anni in su. Calendario aperture straordinarie serali Paestum e Velia 2020: ottobre, 2, 3, 10, 17, 24, 31; novembre: 7, 14, 20, 21, 28; dicembre: 5, 6, 7, 8, 12, 19, 20, 26, 27. A Paestum nei giorni 2 e 3 ottobre e 14, 20 e 21 novembre 2020 saranno aperti sia il museo che l’area archeologica (limitatamente al percorso del Santuario Meridionale); nelle restanti date sarà aperto solo il Museo. Costo del biglietto serale “Paestum & Velia al chiaro di luna” 1 euro per tutti acquistabile presso la biglietteria di entrambi i siti oppure online sul circuito VivaTicket. Ingresso gratuito fino a 18 anni e per tutti coloro che sono in possesso dell’abbonamento “Paestum&Velia” e della card Adotta un blocco. Tutti gli eventi si svolgeranno nel pieno rispetto delle norme anti-Covid.

La locandina dello spettacolo “The Apology of Socrates” by Plato al parco archeologico di Paestum

A Paestum, il Piano di Valorizzazione 2020 esordisce con “Apology of Socrates by Plato”, spettacolo diretto e interpretato da Christian Poggioni con le musiche originali di Irina Solinas. La rappresentazione in lingua inglese sarà allestita nell’area archeologica di Paestum e rappresenta l’appuntamento conclusivo della XXIII edizione di VeliaTeatro, rassegna realizzata in collaborazione con Parco Archeologico di Paestum e Velia, Comune di Ascea, Associazione “Amici di Paestum” e Fondazione Alario per Elea-Velia. Il testo originario, scritto da Platone in giovane età, ripercorre l’autodifesa che Socrate pronunciò di fronte ai giudici ateniesi nel 399 a.C. di cui Platone era un testimone oculare. Socrate, vittima di una cospirazione politica, è accusato di empietà e di corruzione dei giovani. Per questi motivi è condannato a morte, ma alla fine del processo lascia ai suoi accusatori un ultimo messaggio fondamentale: “Perché se pensi che uccidendo gli uomini puoi evitare che l’accusatore censuri le tue vite, ti sbagli; nessun male può accadere a un uomo buono, né nella vita né dopo la morte”. Poggioni porta in scena tutta l’intensità di quel monologo che è il dialogo politico di Platone per eccellenza, che mostra un uomo e la sua comunità nel drammatico confronto sul significato della vita sia personale che politico.​ Sempre a Paestum, le altre serate del Piano di Valorizzazione 2020, a partire dalla sera del 10 ottobre 2020, saranno dedicate ai bambini e alle loro famiglie con l’evento “Pulcinella racconta Paestum”: la maschera napoletana più famosa al mondo diventa un Cicerone d’eccezione per raccontare con simpatia e ironia la storia in rima dell’antica città greca, lucana e romana di Poseidonia-Paestum con tour accompagnati nel museo.

A Velia il programma previsto per le aperture serali è altrettanto ricco e suggestivo con l’evento “Velia al chiaro di luna. Percorso con lanterne tra gli scavi di Velia”. Nei mesi autunnali e invernali, l’area archeologica velina subirà una contrazione dell’orario di visita, anticipando la chiusura a dopo il tramonto: grazie ai percorsi con le lanterne, all’opposto, sarà possibile visitare il sito anche in orario serale, godendo così di un’esperienza unica ed affascinante, quasi a tuffarsi nel passato e a immaginare di essere un antico abitante della città magno-greca, patria dei filosofi Parmenide e Zenone.

#iorestoacasa. “Le Passeggiate del Direttore”: con il nono appuntamento il direttore del museo Egizio, Christian Greco, ci porta letteralmente dentro la Tomba di Iti e Neferu, scoperta a Gebelein nel 1911: le pitture originali furono strappate e portate a Torino

Dopo aver conosciuto la Tomba di Ignoti, con la nona puntata delle “Passeggiate del Direttore” Christian Greco ci porta letteralmente all’interno della Tomba di Iti e Neferu, grazie a un particolare allestimento adottato al museo Egizio di Torino. Siamo ancora nel 1911, anno in cui fu trovata la Tomba di Ignoti: un anno particolarmente favorevole per la Missione Archeologica Italiana in Egitto. Infatti in quello stesso anno fu ritrovata la Tomba di Iti e Neferu, sempre a Gebelein, una trentina di chilometri a sud di Tebe, l’odierna Luxor. È un tomba semi-rupestre in una corte scavata nella roccia, con sedici pilastri che delimitavano un corridoio sul cui lato interno si aprivano una serie di cappelle. Questa tomba aveva una peculiarità: le pareti erano decorate da pitture che furono strappate dalle pareti e portate a Torino. “Studiando gli archivi fotografici, e l’archivio storico”, spiega Greco, “siamo riusciti a ricostruire la contestualizzazione archeologica e quindi innanzitutto lo sviluppo della tomba: dal primo pilastro alla fine della tomba ci sono 29 metri che sono stati riproposti nell’allestimento del museo Egizio. Camminare in questo corridoio è come se camminassimo dentro lo stesso spazio nella tomba. Se poi dalla cappella principale ci giriamo come a guardare tra e oltre i pilastri vediamo la valle del Nilo. E questa non è una veduta generica, ma proprio quella che a Gebelein si vede dalla Tomba di Iti e Neferu. L’ha scattata Anna Maria Roveri quando nel 1992 era impegnata in quel sito col marito, il prof. Sergio Donadoni. Quindi è come se in questo momento fossimo in Egitto, all’interno della Tomba di Iti e Neferu e guardassimo verso il Nilo. Questa è una modalità per portare l’Egitto dentro il museo. Un museo archeologico ha sempre un livello di astrazione, perché l’oggetto viene separato dal contesto. Qui abbiamo cercato di ricreare il contesto e il paesaggio”.

La scena dalla Tomba di Iti e Neferu di Gebelein, oggi al museo Egizio di Torino, con l’asino che mostra le piaghe sanguinanti per le frustate ricevute (foto Graziano Tavan)

La piante delle cappelle della Tomba di Iti e Neferu a Gebelein (foto Graziano Tavan)

Al centro di questo “corridoio” ricreato al museo Egizio si apre quella che era la principale cappelle della Tomba, la cappella del culto di Iti. L’unica differenza è che a Torino presenta uno spazio maggiore per permettere una migliore fruizione al pubblico delle raffigurazioni originali. Il proprietario della tomba, Iti, si nota subito: è il personaggio con la pelle più chiara (non bruciata quindi dal sole, come chi lavora nei campi) e con evidente adiposità, che ostenta quasi come uno status symbol del suo benessere e della sua posizione sociale. In questa cappella si contrappongono scene di un crudo realismo, come la macellazione di un bovino (col coletto che affonda nel collo e gli zampilli di sangue raccolto da un servitore), ad altre di grande tenerezza, come l’amorevole cura riservata a un vitellino dalla madre che ha ancora la placenta. Lungo il corridoio altre scene legate alla vita quotidiana, come il trasporto di ceste con gli asini che, a forza di essere frustati, hanno le terga piagate e sanguinanti. “Gli egizi sapevano osservare la natura e il mondo che li circondava, e così nelle loro pitture troviamo immagini ricche di dettagli. È il realismo degli antichi egizi. Platone nella “Politeia” esclude l’arte dalla Città ideale perché corrompe i giovani anche perché l’arte greca è imitazione dell’imitazione. Ma salva l’arte degli egizi, un’arte antichissima, che sa catturare le idee e ha un grande valore allegorico”.

Tesori italiani all’estero. Dal museo Archeologico nazionale di Firenze la kylix attica di Chachrylion vola in prestito per 4 anni al Met di New York. Il direttore Iozzo: rappresenta Eros in una forma primordiale, forza dell’armonia del cosmo, da cui scaturisce la creazione

La kylix di Chachrylion in vetrina al museo Archeologico nazionale di Firenze: per quattro anni, fino al 2023, sarà esposta al Met di New York (foto Maf)

La kylix di Chachrylion con l’Eros alato è volato dal museo Archeologico nazionale di Firenze al Metropolitan Museum of Art di New York dove rimarrà quattro anni. La preziosa coppa corallina con la raffigurazione di Eros, firmata dal vasaio ateniese Chachrylion, datata al 510 a.C. e proveniente da Orvieto, ha attraversato l’oceano per essere esposta al Met. Il prestito, concesso per ben 4 anni, rientra nel quadro dell’Accordo Internazionale Italia-USA firmato nel 2006, in base al quale gli USA hanno restituito molte opere d’arte antica e moderna illecitamente uscite dall’Italia, mentre il nostro Paese concede prestiti a lungo termine e favorisce mostre importanti con opere che generalmente sarebbero difficilmente concesse. La coppa resterà a New York da ottobre 2019 a ottobre 2023; in occasione del trasferimento il direttore del museo Mario Iozzo ha tenuto una conferenza per illustrare l’importanza del vaso e i vari aspetti che lo rendono così raro e speciale. Al suo posto, nel museo fiorentino, è stata collocata un’analoga coppa, della medesima importanza, custodita da decenni nei magazzini, con una singolare raffigurazione di Efesto (dio del fuoco e dei lavori artigianali, quindi anche dei vasai stessi e dei pittori che lo raffiguravano), assiso su un singolare trono alato, probabilmente forgiato da lui stesso, dio dei metalli e delle tecniche di fusione! Esiste solo un’altra raffigurazione simile, su una coppa attica a figure rosse della stessa epoca, oggi esposta nel museo di Berlino.

L’esterno della kylix di Chachrylion con le imprese di Teseo (foto Maf)

All’esterno della coppa – spiegano gli archeologi del Maf – si trovano le imprese di Teseo, mentre l’interno è dipinto con vernice corallina e decorato da una figura centrale isolata, nel tondo: Eros alato che sembra sospeso nel vuoto. Il dio, rappresentato in questo periodo come un giovane nudo (e non, ancora, con l’immagine del puttino che ci è tanto familiare), è ritratto con una prospettiva piuttosto contorta, con il torso di prospetto, le gambe di profilo e le ali una dietro l’altra. Fluttua in aria, mentre regge un fiore di loto, simbolo di bellezza, desiderio e fertilità. Questa pittura vascolare è ritenuta una delle più antiche raffigurazioni sulla ceramica attica di Eros senza Afrodite, e sembra rientrare in un filone iconografico del dio sviluppatosi proprio a partire dagli ultimi decenni del VI secolo, probabilmente in relazione alla creazione di culti ufficiali in suo onore ad Atene.

Il volo di Eros al centro dell’interno della La kylix di Chachrylion (foto Maf)

È un dio strano, Eros – continuano gli esperti del Maf -: non è annoverato tra gli dei dell’Olimpo da Omero, ma sarebbe, secondo le più antiche cosmogonie, la forza creatrice primigenia a cui si deve addirittura l’origine della stirpe divina; secondo Esiodo alla sua potenza sarebbero da ricondurre l’origine del Buio e della Notte, che a loro volta generano il Vento, la Luce del giorno e tutta la progenie di Urano e Gea. Secondo Platone l’etimologia del nome Eros lo qualificherebbe come “colui che scorre dentro” e altrove il filosofo si riferisce a lui come a un daimon, cioè una figura intermedia tra gli uomini e gli dei. Secondo le dottrine orfiche, che vivono nel VI secolo un periodo di particolare favore ad Atene, Eros sarebbe nato da un uovo d’argento. Alla sua schiusa, il giovane dio avrebbe svelato il contenuto dell’uovo, le due metà primordiali della Terra e del Cielo, che spinti dall’Amore avrebbero procreato tutti i loro discendenti.

Maio Iozzo, direttore del Maf

L’ipotesi del direttore del MAF Mario Iozzo è che si tratti proprio di questa versione di Eros quella che troviamo rappresentata sulla coppa fiorentina: “Non vediamo dove stia volando Eros, che sembra fluttuare tra terra e cielo, e il disegno nasconde un interessante dettaglio: i genitali del dio non ci sono, mentre in tutte le altre figure maschili che volano, nell’arte greca, si vedono sempre! E se questa omissione fosse voluta? Non potrebbe trattarsi di un riferimento alla natura androgina ed ermafrodita del dio? Nei Poemi Orfici si dice infatti che i suoi genitali fossero “posti dietro, verso l’ano”, e quindi non erano visibili di profilo, proprio come è nella nostra coppa. Questo Eros sarebbe dunque colui che garantisce, con la sua forza catalizzatrice e la spinta alla coesione, l’armonia del cosmo, da cui scaturisce la creazione; la forza inarrestabile da cui scaturisce la vita”.