Archivio tag | “Passeggiate del direttore”

#iorestoacasa. “Le Passeggiate del Direttore”: con il decimo appuntamento il direttore del museo Egizio, Christian Greco, ci fa scoprire alcune formule magico-funerarie che si trovavano sui sarcofagi

Nel decimo appuntamento con le “Passeggiate del Direttore” Christian Greco ci fa scoprire alcune formule magico-funerarie che si trovavano sui sarcofagi. A partire dal Nuovo Regno assistiamo all’introduzione di una nuova tipologia di sarcofagi: i sarcofagi a cassa, molto semplici nella loro forma, ma con una novità: sono coperti da un testo. Comincia infatti l’introduzione dei cosiddetti Testi dei Sarcofagi. “La letteratura funeraria dell’Antico Egitto”, spiega il direttore del museo Egizio di Torino, “si può classificare in questo modo: nell’Antico Regno abbiamo i cosiddetti Testi delle Piramidi, che cominciano a svilupparsi a partire dalla piramide di Unas, sovrano della V dinastia, che sulle pareti della sua tomba fa scrivere questi testi, riservati al sovrano e alla stretta cerchia della famiglia reale. I Testi delle Piramidi contenevano una serie di formule che dovevano garantire la sopravvivenza del sovrano nell’Aldilà. Nel Medio Regno, semplificando, si assiste a una democratizzazione del culto funerario. I Testi delle Piramidi, che prima erano riservati solo al faraone, ora possono essere scritti anche sui sarcofagi di persone che certo appartengono all’élite ma non è detto siano connesse alla cerchia regale. E così abbiamo i Testi dei Sarcofagi”. Oltre ai Testi dei Sarcofagi che hanno una serie di formule che riguardano la trasfigurazione del defunto e il raggiungimento dei Campi Elisi e la vita nell’Aldilà, continua Greco, “vi sono anche delle formule magico-funerarie che noi chiamiamo “Offerta magica” o “Offerta di voce”: solo il fatto di scrivere quello di cui il defunto ha bisogno farà in modo di garantire che lui avrà nell’Aldilà tutto ciò di cui necessita. A volte le formule magiche sono anche più estese: non si parla solo di offerte, ma anche di tutte quelle cose buone e giuste di cui vive un dio. E lo stesso tipo di formula si trova anche nelle stele”.

#iorestoacasa. “Le Passeggiate del Direttore”: con il nono appuntamento il direttore del museo Egizio, Christian Greco, ci porta letteralmente dentro la Tomba di Iti e Neferu, scoperta a Gebelein nel 1911: le pitture originali furono strappate e portate a Torino

Dopo aver conosciuto la Tomba di Ignoti, con la nona puntata delle “Passeggiate del Direttore” Christian Greco ci porta letteralmente all’interno della Tomba di Iti e Neferu, grazie a un particolare allestimento adottato al museo Egizio di Torino. Siamo ancora nel 1911, anno in cui fu trovata la Tomba di Ignoti: un anno particolarmente favorevole per la Missione Archeologica Italiana in Egitto. Infatti in quello stesso anno fu ritrovata la Tomba di Iti e Neferu, sempre a Gebelein, una trentina di chilometri a sud di Tebe, l’odierna Luxor. È un tomba semi-rupestre in una corte scavata nella roccia, con sedici pilastri che delimitavano un corridoio sul cui lato interno si aprivano una serie di cappelle. Questa tomba aveva una peculiarità: le pareti erano decorate da pitture che furono strappate dalle pareti e portate a Torino. “Studiando gli archivi fotografici, e l’archivio storico”, spiega Greco, “siamo riusciti a ricostruire la contestualizzazione archeologica e quindi innanzitutto lo sviluppo della tomba: dal primo pilastro alla fine della tomba ci sono 29 metri che sono stati riproposti nell’allestimento del museo Egizio. Camminare in questo corridoio è come se camminassimo dentro lo stesso spazio nella tomba. Se poi dalla cappella principale ci giriamo come a guardare tra e oltre i pilastri vediamo la valle del Nilo. E questa non è una veduta generica, ma proprio quella che a Gebelein si vede dalla Tomba di Iti e Neferu. L’ha scattata Anna Maria Roveri quando nel 1992 era impegnata in quel sito col marito, il prof. Sergio Donadoni. Quindi è come se in questo momento fossimo in Egitto, all’interno della Tomba di Iti e Neferu e guardassimo verso il Nilo. Questa è una modalità per portare l’Egitto dentro il museo. Un museo archeologico ha sempre un livello di astrazione, perché l’oggetto viene separato dal contesto. Qui abbiamo cercato di ricreare il contesto e il paesaggio”.

La scena dalla Tomba di Iti e Neferu di Gebelein, oggi al museo Egizio di Torino, con l’asino che mostra le piaghe sanguinanti per le frustate ricevute (foto Graziano Tavan)

La piante delle cappelle della Tomba di Iti e Neferu a Gebelein (foto Graziano Tavan)

Al centro di questo “corridoio” ricreato al museo Egizio si apre quella che era la principale cappelle della Tomba, la cappella del culto di Iti. L’unica differenza è che a Torino presenta uno spazio maggiore per permettere una migliore fruizione al pubblico delle raffigurazioni originali. Il proprietario della tomba, Iti, si nota subito: è il personaggio con la pelle più chiara (non bruciata quindi dal sole, come chi lavora nei campi) e con evidente adiposità, che ostenta quasi come uno status symbol del suo benessere e della sua posizione sociale. In questa cappella si contrappongono scene di un crudo realismo, come la macellazione di un bovino (col coletto che affonda nel collo e gli zampilli di sangue raccolto da un servitore), ad altre di grande tenerezza, come l’amorevole cura riservata a un vitellino dalla madre che ha ancora la placenta. Lungo il corridoio altre scene legate alla vita quotidiana, come il trasporto di ceste con gli asini che, a forza di essere frustati, hanno le terga piagate e sanguinanti. “Gli egizi sapevano osservare la natura e il mondo che li circondava, e così nelle loro pitture troviamo immagini ricche di dettagli. È il realismo degli antichi egizi. Platone nella “Politeia” esclude l’arte dalla Città ideale perché corrompe i giovani anche perché l’arte greca è imitazione dell’imitazione. Ma salva l’arte degli egizi, un’arte antichissima, che sa catturare le idee e ha un grande valore allegorico”.

#iorestoacasa. “Le Passeggiate del Direttore”: con l’ottavo appuntamento il direttore del museo Egizio, Christian Greco, illustra la “Tomba di Ignoti”, scoperta intatta da Virginio Rosa nel 1911 a Gebelein

Le “Passeggiate del direttore” sono arrivate all’ottavo appuntamento, portandoci a vivere nelle nostre case, nel rispetto di #iorestoacasa, un viaggio nell’Antico Egitto. Questa volta Christian Greco, direttore del museo Egizio di Torino, ci porta a conoscere “La Tomba di Ignoti”, databile alla V dinastia, scoperta intatta da Virginio Rosa nel 1911 a Gebelein, costituita da un corridoio con tre camere, contenenti sarcofagi, mummie e i rispettivi corredi. Poiché non sono state trovate indicazioni sui nomi delle persone sepolte, è nota come Tomba degli Ignoti, oggi al museo Egizio, e mostra il rapporto tra l’arte egizia e l’architettura naturale.

L’allestimento al museo Egizio della Tomba di Ignoti, scoperta a Gebelein da Virginio Rosa nel 1911 (foto Graziano Tavan)

La pianta della Tomba di Ignoti disegnata da Virginio Rosa (foto Graziano Tavan)

“Siamo nel 1911”, racconta Greco. “Il direttore Ernesto Schiaparelli si trova a Torino e un suo giovane collaboratore, Virginio Rosa, è in quel momento in Egitto”. Rosa il 29 gennaio 1911 scrive da Gebelein al direttore Schiaparelli: “In quanto agli scavi ho l’onore e il piacere di annunziarle che si è trovata una tomba intatta. A mezza montagna si è entrati in un antro tagliato nella roccia con tre camere”. È la Tomba degli Ignoti di cui Rosa fa anche un disegno, seguendo le indicazioni pressanti di Schiaparelli che chiede di documentare tutto con precisione. “I disegni del Rosa – continua Greco – sono stati per noi fondamentali per l’allestimento della tomba, in cui i vari sarcofagi sono stati messi in relazione uno con l’altro e ci fanno capire il contesto archeologico del ritrovamento. Oltre ai sarcofagi a parallelepipedo con coperchio bombato, è interessante la presenza di un sarcofago in pietra che sembra quasi l’evidenza di una pagina dello storico greco Erodoto che, nel V sec. d.C., nel secondo libro delle Storie, quello dedicato all’Egitto, scrive che gli Egizi seppero tradurre in pietra l’architettura organizza che essi osservavano. Questo sarcofago ingloba nella forma della pietra quella di due tronchi d’albero: è l’esemplificazione della pagina di Erodoto”.

La mummia della Tomba di Ignoti al museo Egizio di Torino (foto Graziano Tavan)

Particolarmente interessante è la mummia esposta. “In questa tomba – spiega il direttore – possiamo notare l’evoluzione del processo di mummificazione. Qui c’è una mummificazione artificiale. Con una particolarità: le parti del corpo sono state avvolte in bende separatamente. Ma qui manca un lenzuolo finale che avvolga tutta la mummia. Sulle bende con l’inchiostro sono stati indicati i capezzoli, la barba, la bocca, gli occhi, le sopracciglia, i capelli. E la forma del naso e le cavità oculari sono rese quasi fossero tridimensionali, quasi avessero una valenza plastica. Ecco di nuovo la voglia che il corpo venga preservato, che esso sia intatto, e che esso abbia una valenza plastica, quasi come una maschera che ci faccia vedere come il corpo adesso sia davvero pronto per affrontare la sua nuova nascita e la vita nell’aldilà”.

#iorestoacasa. “Passeggiate del Direttore”: con il settimo appuntamento su “Rituali e sepolture nel Predinastico” il direttore Greco inizia il viaggio nell’Antico Egitto: dalla mummia di Gebelein al sarcofago di Duaenra alle mastabe

“Rituali e sepolture nel Predinastico” sono il tema del settimo appuntamento con le “Passeggiate del Direttore” con cui il direttore del museo Egizio di Torino, Christian Greco, inizia il viaggio nell’Antico Egitto, dai primi esempi di mummificazione alle grandi sepolture dell’Antico Regno. “Uno dei fenomeni che più ci affascinano dell’Antico Egitto”, esordisce Greco, “è quello della preservazione del corpo. Preservare il defunto, si legge nel capitolo 151 del libro dei Morti, fare in modo che il corpo sia “intatto” di modo che la morte non costituisca un punto finale ma un punto di partenza. La morte infatti viene definita nuova nascita”. La prima mummia che si incontra nel rinnovato percorso del museo Egizio di Torino è la mummia di Gebelein, del periodo Predinastico: si tratta della mummia di un uomo vissuto circa 5600 anni fa che ben introduce il tema della mummificazione. “Il corpo è posto in posizione fetale”, spiega Greco. “Il defunto quindi nella sua nuova dimora, in questa cavità sotto la sabbia, riprende la stessa posizione che aveva nel grembo della madre. La morte quindi in toto viene messa in relazione con la nuova nascita. Questo è un esempio di mummificazione naturale: il corpo è stato avvolto in stuoie, posizionato in una buca sotto la sabbia che, ricca di natrum (un sale naturale), ha portato alla disidratazione del corpo”. Il defunto era accompagnato da alcuni oggetti, il suo corredo, che lui avrebbe potuto utilizzare nell’Aldilà. Ma alcuni, come gli intrecci di vimini accanto alla testa, non possono essere coevi alla sepoltura perché la modalità di intreccio è di epoca romana. Come si può spiegare questo fatto? “Probabilmente perché questa mummia non è stata scavata da Schiaparelli, ma è stata comprata al mercato antiquario e qualcuno ha aggiunto degli oggetti per alzarne il valore”. Dalla mummificazione naturale si arriverà a quella artificiale. “Gli egizi, osservando il corpo che veniva disidratato in modo naturale, hanno sviluppato delle procedure che permettevano la disidratazione artificiale del corpo, e la sua conservazione. Poi il corpo fu messo a dimora in un contenitore che ne potesse garantire la preservazione nel lungo periodo. Ecco quindi che da questa prima fase iniziale arriviamo alle grandi sepolture che riusciamo già a vedere nell’Antico Regno”.

Il direttore Christian Greco mostra il sarcofago di Duaenra, figlio di Chefren (foto museo Egizio)

I sarcofagi. Il raggiungimento della mummificazione artificiale comporta una serie di conseguenze. Tutto l’apparato teologico, religioso, mitologico viene arricchito. “Per preservare il corpo del defunto non servono solo queste operazioni che vengono applicate sul corpo stesso, ma servono anche delle divinità che si possono fare garanti di tutto ciò”. Innanzitutto Osiride, che è il sovrano dell’Oltretomba, il primo re dell’Egitto, che una volta ucciso dal fratello Seth è risuscitato, diviene colui che si fa garante dell’ordine costituito nell’Oltretomba. Ma poi ci sarà anche Anubi “colui che apre le porte dell’Aldlà”, che è la divinità sciacallo che riesce ad accompagnare il defunto nell’Aldilà. “Teniamo presente però che il corpo deve sì essere preservato, ma si deve garantirne anche la preservazione per un lungo periodo. Ecco quindi che c’è bisogno di contenitori – i sarcofagi – che possano preservare i resti umani”. Un bellissimo esempio di sarcofago monumentale dell’Antico Regno conservato all’Egizio di Torino è il sarcofago di Duaenra, figlio del faraone Chefren (IV dinastia), in granito rosa di Assuan, massiccio. “In questo periodo si sviluppano anche molti sarcofagi in legno a parallelepipedo con un coperchio bombato e sul lato la cosiddetta rappresentazione di facciata di palazzo. Il sarcofago quindi ricorda una dimora perché è esso stesso la nuova dimora del defunto, la “casa per l’eternità”. Questa, che è la prima forma di sarcofago dell’Antico Egitto, è anche la rappresentazione del geroglifico per “sepoltura”. Questa tipologia tornerà nell’VIII sec. a.C. I sarcofagi antropomorfi vengono introdotti in Egitto molto più tardi, con la XVII dinastia”.

Lo schema grafico di una mastaba dell’Antico Egitto

Le mastabe. Con i sarcofagi si sviluppano anche le tombe che dovevano ospitare non solo i faraoni ma anche l’élite. In queste tombe dovevano esserci un collegamento tra la società dei viventi e i defunti. Sono le mastabe, così chiamate per la prima volta dall’archeologo inglese Walter Bryan Emery che prese a prestito il termine dal termine arabo mastaba, che significa panchina, quella di mattoni di fango che si trovava al di fuori delle case rurali in Egitto dove le persone si sedevano soprattutto la sera. “Le tombe a mastaba hanno un aspetto dicotomico”, spiega Greco. “C’è una parte sopraelevata che può essere visitata dai viventi e che funziona nella società dei viventi, e una parte ipogea che può essere raggiunta da un pozzo che porta a delle camere sepolcrali dove viene posizionato il sarcofago con la mummia del defunto. Elemento fondamentale all’interno della tomba è una stele, la cosiddetta falsa porta. Ha tutte le fattezze di una porta, ma in realtà è una porta in pietra che non permette un passaggio fisico. Permette invece il passaggio dei cosiddetti “ba”, delle anime del defunto, che vengono rappresentati come un uccello con testa antropomorfa: questi possono viaggiare da una parte all’altra della falsa porta, possono depositarsi sul tavolo d’offerta, possono mangiare le offerte e ritornare nel regno dei morti. Ecco quindi la cerniera che permette ai morti e ai viventi di entrare in contatto”.

#iorestoacasa. “Passeggiate del Direttore”: con il sesto appuntamento su “Ernesto Schiaparelli, la M.A.I e il Partage” il direttore Greco chiude il racconto della storia pluricentenaria del museo, descritta nella sezione ipogea

Il sesto appuntamento con le “Passeggiate del direttore” dedicata a “Ernesto Schiaparelli, la M.A.I e il Partage” completa la visita della sezione ipogea del museo Egizio di Torino e con essa la storia pluricentenaria dell’istituzione culturale piemontese. Il direttore Christian Greco inizia presentandoci la figura di Ernesto Schiaparelli che rappresenta un tassello fondamentale nella storia del museo Egizio. “Nel 1894”, ricorda Greco, “70 anni dopo la fondazione del museo, Schiaparelli, che era già stato per 14 anni direttore del museo Egizio di Firenze (1880-1894), arriva a Torino e comprende subito che il ruolo della collezione non è più quello che aveva avuto un tempo. La collezione è sì importante ma altri musei europei stanno avendo un ruolo importante anche perché loro stanno scavando in Egitto. E capisce quindi che non basta più solo acquisire nuovi reperti e andare in Egitto per acquistare nuovi reperti, ma che bisogna cominciare a scavare: dare un contesto archeologico agli oggetti, capire da dove essi vengono. Investigare dei siti e poi portare gli oggetti in museo contestualizzati, capendone al storia. Per cui l’oggetto non è più il tesoro singolo ma è il documento storico che ci permette di capire un sito, un paesaggio, una fase storica dell’Antico Egitto”.

Ernesto Schiaparelli e i suoi strumenti da lavoro (dalla mostra “M.A.I,.”, foto Graziano Tavan)

Schiaparelli ottiene da Gaston Maspero, Direttore del servizio di Antichità, la possibilità di operare degli scavi in Egitto. “A dire il vero lui può scegliere dove scavare in Egitto”, continua il direttore. “Ma per far questo servivano dei finanziamenti, finanziamenti che Schiaparelli chiede al ministero per gli Affari esteri, il quale però indica di rivolgersi al ministero per la Pubblica istruzione. Per un po’ i due ministeri si rimpallano la richiesta finché nel 1903 c’è l’ok e si può finalmente fondare la Missione Archeologica Italiana (M.A.I.) in Egitto. Dal 1903 al 1920 ci saranno 12 campagne fondamentali che da Nord a Sud permetteranno di documentare l’Antico Egitto e di scavare in vari siti, e permetteranno soprattutto di incrementare la collezione perché Schiaparelli porterà a Torino più di 35mila reperti”.

La cartina dell’Egitto con le missioni archeologiche di Ernesto Schiaparelli (dalla mostra “M.A.I.”, foto Graziano Tavan)

La macchina fotografica di Ernesto Schiaparelli (dalla mostra “M.A.I.”, foto Graziano Tavan)

Come operava Schiaparelli? “Il compagno di lavoro fedele di Schiaparelli era la macchina fotografica. In maniera quasi ossessiva faceva documentare tutte le fasi dello scavo: il momento della scoperta, il momento in cui l’oggetto veniva messo all’interno delle casse e veniva trasportato. Questa documentazione oggi ci permette di capire dove aveva scavato e a volte di ricostruire la stratigrafia. Il museo Egizio conserva 14mila lastre fotografiche inedite del periodo degli scavi. E 39 metri lineari di archivio che ci permettono di capire fase dopo fase”. Schiaparelli scava a Eliopoli, a Giza, a Ossirinco, ad Ashmunein, ad Asyut, ad Hammamiya, a Qaw el Kebir, a Deir el Medina, a Tebe Ovest, dove scopre il villaggio degli artisti del faraone. Andrà poi nella valle delle Regine, a Gebelein, fino ad arrivare ad Aswan. “È questo anche il momento in cui l’Egitto comincia a interrogarsi su quale debba essere il rapporto con i Paesi che vengono a scavare in Egitto, quale debba essere la regolamentazione. È allora che cominciano a essere inserite le leggi del Partage, che permette ai Paesi stranieri di scavare in Egitto ma con l’obbligo di lasciare in Egitto gli oggetti più belli, mentre gli altri vengono portati all’estero con permessi di esportazione. Schiaparelli accresce le collezioni e trasforma il museo Egizio da antiquario ad archeologico”.

Il tempio di Ellesija donato dall’Egitto all’Italia e conservato al museo Egizio di Torino

Il telegramma di Giulio Farina al ministro Bottai (foto museo Egizio)

La storia del museo Egizio si chiude con un momento tragico. Siamo nel 1942. È il periodo dei bombardamenti. Giulio Farina è alla guida del museo. La città di Torino viene bombardata e Giulio Farina il 2 dicembre 1942, che vorrebbe subito evacuare le collezioni, scrive un telegramma al ministro della Pubblica istruzione, Bottai, di venire lui a vedere com’è la situazione. Ma ormai è tardi. L’8 dicembre 1942 il museo viene bombardato. Colpite tra l’altro le vetrine con i reperti che vengono da Gebelein. “Questo forse è il momento più drammatico per il museo”, ricorda Greco. “Le collezioni poi verranno evacuate e portate al castello di Agliè, fuori Torino, con i mezzi della Wehrmacht, e poi riportati alla fine della guerra con i mezzi alleati. Il museo Egizio riaprirà nel 1946, uno dei primi in Italia tra i grandi musei”. C’è un ultimo grande reperto che arriva al museo Egizio, il tempio di Ellesija, che si vedrà alla fine delle passeggiate. Verrà dato al museo in base a un decreto presidenziale di Nasser nel 1970 per ringraziare l’Italia per quanto ha fatto per la salvaguardia dei monumenti durante la campagna Unesco, quando i monumenti dell’antico Egitto rischiavano di essere sommersi dalle acque del lago Nasser.

#iorestoacasa. “Passeggiate del Direttore”: nel quinto incontro il direttore del museo Egizio ci ricorda il ruolo di Vidua nella nascita del museo, ci riporta alle atmosfere dell’Ottocento con le sale storiche, e ci fa conoscere il Canone Regio

Le “Passeggiate del direttore”, pensate nell’impegno lanciato dal Mibact #iorestoacasa, sono giunte alla quinta puntata dedicata al ruolo ricoperto da Carlo Vidua nella nascita del museo Egizio, alla concezione del museo per tutto l’Ottocento, resa oggi dalle cosiddette Sale storiche, fino a conoscere uno dei papiri più famosi e importanti conservati a Torino, il Canone Regio. La “passeggiata” inizia da una vetrina che conserva alcune statuette lignee (ushabti) con il cartiglio del faraone Seti I, gentilmente prestate dal museo civico di Casale Monferrato, perché dà modo al direttore Christian Greco di parlare della figura e del ruolo di Carlo Vidua, conte di Conzano, originario proprio di Casale Monferrato, esploratore, collezionista, viaggiatore. “Intorno al 1819 Vidua si reca in Egitto – ricorda Greco – dove probabilmente vede una lista manoscritta di Bernardino Drovetti con l’intera collezione. E allora scrive immediatamente a Prospero Balbo, presidente dell’accademia delle Scienze di Torino, perché insista con il re Vittorio Emanuele I per l’acquisto della collezione. A Balbo scrive: “Solo se Torino acquisterà questa collezione l’Italia (che in realtà non esisteva ancora, non era stata ancora unificata) sarà un grande Paese”. E aggiunge: “Questo perché avrà il primo museo Egizio in Torino, la prima Galleria in Firenze, e il più grande museo di Antichità classiche in Roma”. Ecco il valore che veniva dato alla cultura e il valore dell’investimento davvero lungimirante che i Savoia decisero di fare con questo museo. La cultura come colonna identitaria di un Paese, e mi piace pensare che non a caso proprio Torino, Firenze e Roma si siano passate il testimone per essere capitale di questo Paese grazie anche alla forza che hanno delle collezioni che esse custodiscono”.

Le due tele di Lorenzo Delleani del 1871 con il museo Egizio e il museo di Scienze naturali (foto museo egizio)

Si torna alla storia del museo: nel 1824 la collezione Drovetti arriva a Torino e il museo arriva nel Palazzo dell’Accademia delle Scienze che da allora è la sede dell’Egizio. Nel 1832 si decide di unificare la collezione, che in parte era all’università, insieme alle antichità classiche. E così nasce il regio museo di Antichità ed Egizio. “Nell’800 il museo è essenzialmente un luogo di studio”, spiega il direttore. “Lo vediamo molto bene in un quadro di Lorenzo Delleani, che rappresenta il direttore e altri studiosi con il libro in mano che leggono le stele e cercano di capire cosa vi sia scritto. La collezione serve dunque a studenti e studiosi per capire l’Antico Egitto, perché proprio in queste sale si andava via via scrivendo la storia dell’Antico Egitto”. Proprio recentemente il museo Egizio ha voluto ricreare questa atmosfera allestendo le cosiddette Sale storiche (vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2019/12/27/torino-il-museo-egizio-apre-al-pubblico-nuovi-spazi-dedicati-al-racconto-della-propria-storia-allestite-cinque-nuove-sale-fra-cui-quella-dedicata-alla-fedele-ricostruzione-di-un-ambiente-museale-de/) dove troviamo una vetrina originale dei primi allestimenti del museo dove sono stati posti gli oggetti così come erano esposi nell’Ottocento: raccolti per tipologie e senza didascalie, perché il museo è un luogo di studio dove studenti e studiosi vengono per approfondire, per capire, per cercare di mettere su carta qua era l’antica civiltà egizia. O ancora una vetrina con un sarcofago che ricorda quanto si vede nel dipinto di Delleani. In queste sale è stato infine possibile riunificare ciò che era stato separato nel 1939: come il medagliere dei sovrani d’Egitto in epoca greca (da Tolomeo I Soter a Cleopatra VII) e romana (imperatori fino ad Adriano), gentilmente concesso dai musei Reali di Torino, dove – appunto nel 1939 – è stata spostata dal palazzo dell’Accademia delle Scienze la collezione di antichità.

La ricostruzione di una sala del museo con l’allestimento come era nell’800 (foto museo egizio)

Tra i documenti meravigliosi che il museo conserva c’è il papiro di Torino, la lista reale di Torino: il Canone Regio. È uno dei documenti più importanti che esistono al mondo. In ordine cronologico raccoglie il nome dei sovrani che si sono succeduti alla guida dell’Egitto. È una lista di 77 nominativi che vanno dall’epoca di Narmer all’età ramesside, con alcune epurazioni: non ci sono i faraoni che non vengono ritenuti degni di essere ricordati, o quanti sono oggetto di damnatio memoriae. “Ma grazie a questa lista”, sottolinea Greco, “confrontata con la lista cronologica di Manetone, è stato possibile costruire quella colonna dorsale cronologica dell’Antico Egitto per ricostruire la storia di questa civiltà. Questa lista la vide Champollion in Egitto: gli venne portata una tavola lunga quasi tre metri con una serie di frammenti di papiro e lui capì immediatamente la valenza di quel papiro tanto che disse che si trovava davanti a un documento così importante che non osava nemmeno respirare nel timore che il suo respiro condannasse all’oblio il nome di faraoni conservati per secoli”.

#iorestoacasa. “Passeggiate del Direttore”: nel quarto incontro il direttore del museo Egizio descrive il papiro di Iuefankh, con il Libro dei Morti, dal suo arrivo a Torino con la collezione Drovetti allo studio del Lepsius. Focus sulla scena della “pesatura del cuore”

Le “Passeggiate del direttore”, pensate nell’impegno lanciato dal Mibact #iorestoacasa, sono giunte alla quarta puntata. Il direttore del museo Egizio di Torino, dopo aver conosciuto gli esiti della missione in Egitto di Bernardino Drovetti, stavolta si sofferma su “Il Libro dei Morti di Iuefankh”, un papiro di oltre 19 metri, che fa parte della collezione Drovetti e oggi rappresenta uno dei pezzi più importanti conservati a Torino. “Quando nel 1824 il papiro giunse a Torino con la collezione Drovetti”, ricorda Greco, “Jean François Champollion, che due anniprima, nel 1822, per primo aveva decifrato i geroglifici, si precipitò subito nella capitale sabauda per vedere il papiro, dispiaciuto in cuor suo che non fosse arrivato in Francia. E litigò subito con Cordero di San Quintino, primo direttore dell’Egizio di Torino, perché avrebbe voluto che il papiro fosse tagliato in riquadri da conservare sotto vetro. Il direttore la vinse e oggi possiamo ammirare il papiro di Iuefankh disteso in tutta la sua lunghezza”. Chi studiò per primo questo papiro e capì che si trattava di una serie di formule che servivano a concedere al defunto, quasi un passaporto dell’Aldilà, di passare una serie di ostacoli per poter giungere ai Campi di Iaru e a proseguire la vita nell’Aldilà, fu Karl Richard Lepsius autore di “Das Todtenbuch der Aegypter nach dem Hieroglyphischen Papyrus in Turin” (Il Libro dei Morti degli egizi secondo il papiro di Torino). “Fu il Lepsius che chiamò per primo questo testo il Libro dei Morti, in realtà gli antichi egizi lo chiamavano Uscire il giorno. E da quel momento questo papiro legherà Torino e il museo Egizio all’egittologia internazionale”. Lepsius venne a Torino, vide il papiro di Iuefankh. Capì che si tratta di una serie di formule unitarie che costituiscono quello che oggi noi chiamiamo Libro dei Morti. Lui lo chiamò Libro dei Morti, e ne fece una suddivisione in 165 capitoli, studio fondamentale ancora oggi con l’aggiunta di alcuni capitoli identificati in seguito.

L’esposizione del Papiro di Iuefankh con il Libro dei Morti al museo Egizio di Torino (foto Egizio)

La scena della pesatura del cuore illustrata sul Papiro di Iuefankh (foto Egizio)

Sul Libro dei Morti famosa è la scena della Psicostasia “La pesatura dell’anima” (o del cuore), di fondamentale valenza per la religione antica egizia. “Tutte le formule magiche contenute nel libro sono finalizzate proprio a questo momento quando il defunto si trova al cospetto di Osiride”. Il defunto saluta la dea Maat, la dea della giustizia. “Al centro della scena c’è una bilancia: su un lato c’è il cuore del defunto, sull’altro la dea Maat sormontata da una piuma, perché lei è leggera come una piuma. Se il cuore sarà più leggero il defunto potrà continuare il suo viaggio verso i Campi di Iaru; se sarà più pesante lo attende una creatura mostruosa, la Grande Divoratrice, muso di coccodrillo, parte anteriore di leone, e posteriore di ippopotamo (cioè tre tra gli animali più pericolosi per gli egizi), che è pronta a mangiare il cuore, impedendo al defunto di proseguire verso l’aldilà. Il giudice supremo è Osiride”. Il giudizio tutto avviene sotto gli occhi scrupolosi di Toth, dio della scrittura, che annota tutto sulla sua tavola scrittoria, quasi con funzione di segretario verbalizzante, alla presenza di 42 divinità che costituiscono in qualche modo il tribunale, presieduto da Osiride, che valuta il comportamento del defunto. “Il Libro dei Morti serve proprio a questo: a dare le risposte giuste e opportune per quando il defunto si troverà davanti al giudizio di Osiride nell’Aldilà”.

#iorestoacasa. “Passeggiate del direttore”: Christian Greco parla dell’Epoca dei Consoli, e l’egittomania scoppiata dopo la spedizione di Napoleone. La collezione Drovetti entra al museo Egizio, consacrando Torino capitale dell’Egittologia internazionale

#iorestoacasa. “Passeggiate del direttore”: nella terza puntata, “L’Epoca dei Consoli”, Christian Greco, direttore del museo Egizio di Torino ci racconta quel particolare periodo a cavallo dei due secoli (fine Settecento-inizio Ottocento) aperto con la spedizione di Napoleone in Egitto che risveglia l’interesse dell’Europa per l’Egitto, una vera e propria egittomania, e che porterà a Torino la collezione Drovetti, consacrando per sempre la capitale sabauda capitale dell’Egittologia internazionale.

La classica immagini delle piramidi egizie nella piana di Giza

La stele di Rosetta conservata al British museum di Londra

“Siamo nel 1798”, spiega Greco. “Napoleone organizza una spedizione in Egitto di valenza economico-militare. La Francia voleva limitare l’influenza dell’Inghilterra nel Mediterraneo creando un avamposto in Egitto così da fermare i traffici che arrivavano dalle colonie dell’Oriente e il loro ingresso nel Mediterraneo. Di qui la spedizione. Ma Napoleone si fa accompagnare da 167 studiosi ai quali affida il compito di documentare tutto ciò che vedono in Egitto: ovviamente le antichità, che possono documentare quando le spedizioni militari si fermano. Ma anche la modernità dell’Egitto, la flora e la fauna. Tutto ciò – continua il direttore – confluirà in un’opera monumentale “Description de l’Égypte”, il cui primo volume verrà pubblicato nel 1809, che scatenerà in Europa una specie di egittomania. La spedizione militare di Napoleone non finisce bene. Nel 1801 i francesi nella battaglia di Abukir perdono il dominio sull’Egitto e gli inglesi si fanno consegnare le antichità che hanno raccolto, tra cui la famosa stele di Rosetta, che infatti oggi possiamo vedere al British Museum e non al Louvre. Gli inglesi vorrebbero farsi consegnare anche tutte le loro annotazioni. Ma i francesi si rifiutano dicendo che preferiscono buttare tutto nel Nilo piuttosto che consegnarle agli inglesi. Per fortuna le annotazioni non vennero distrutte, e si arriverà alla “Description de l’Égypte” e alla conseguente profonda trasformazione dell’Europa”.

Bernardino Drovetti

È questa la cosiddetta “Epoca dei Consoli”. In Europa c’è la voglia di riscoprire questo Paese di cui si era sentito parlare, di cui parlavano i classici, a partire da Omero. “A fronte a questa richiesta”, ricorda Greco, “tutti i diplomatici che lavorano in Egitto sono chiamati a sviluppare un’attività lavorativa parallela a quella del diplomatico ma molto più remunerativa: raccogliere antichità e venderla al mercato antiquario. Tra loro c’è anche Bernardino Drovetti, nativo di Barbania, fuori Torino, ma che era già stato console generale di Francia, almeno fino al congresso di Vienna, poi molto legato a Mohammed Ali che governava l’Egitto per l’impero Ottomano. Drovetti riesce a farsi dare un firmano con il permesso di scavare in vari luoghi dell’Egitto per raccogliere antichità. Alla fine ne raccoglierà più di cinquemila che vorrebbe vendere al mercato antiquario. Ha contatti con la Russia, con la Francia, ma alla fine riesce a convincere il Regno di Sardegna a comprare queste antichità. La vendita è laboriosa, finalmente nel 1823 il re Carlo Felice di Savoia decide di comprare questa collezione per una cifra impressionante: 400mila lire piemontesi. Così più di 5mila antichità arrivano a Torino e renderanno per sempre questa città la capitale dell’egittologia internazionale”.

#iorestoacasa: la seconda puntata delle “Passeggiate del Direttore” del museo Egizio di Torino ci fa conoscere la dea Sekhmet, i colossi di Memnon e la Iside di Copto

Il museo Egizio di Torino è chiuso dall’8 marzo 2020 per decreto come tutti i musei in Italia

La seconda puntata delle “Passeggiate del Direttore”, nel rispetto delle disposizioni governative che hanno portato alla chiusura del museo e all’iniziativa #iorestoacasa, ci porta a conoscere la dea Sekhmet, i colossi di Memnon e la Iside di Copto. Il direttore del museo Egizio di Torino, Christian Greco, parte dalla figura di Vitaliano Donati, professore di Botanica alla regia università di Torino, che nel 1759 viene mandato dal re Carlo Emanuele III in Egitto alla ricerca di antichità in grado di spiegare le peculiarità della Mensa Isiaca (vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2020/03/19/iorestoacasa-il-museo-egizio-di-torino-ufficializza-le-passeggiate-con-il-direttore-christian-greco-ogni-giovedi-e-sabato-su-yuotube-si-inizia-con-legitto-e-i-s/). Da questa missione arrivano a Torino (dove Donati non farà più rientro, perché muore su una nave diretta a Calcutta) circa seicento oggetti, alcuni ancora oggi oggetto di studio, tra i quali sicuramente c’erano tre statue monumentali: quella di Ramses II (vista nella prima Passeggiata), quella di Sekhmet, e quella della dea Iside ritrovata a Copto. Il museo Egizio conserva ben 21 statue della dea Sekhmet.

I Colossi di Memnone i resti più significativi del tempio funerario di Amenofi III a Tebe Ovest

Quella trovata da Vitaliano Donati è una Sekhmet assisa che proviene dal cosiddetto Tempio di Milioni di Anni di Amenofi III. Questo tempio è noto a tutti gli appassionati di Egittologia, ma con un altro nome: il tempio dei colossi di Memnon, che era un principe etiope, ricordato da Omero, che muore durante la guerra di Troia. “Che ruolo ha Memnon con l’Egitto?”, si chiede Greco. “Assolutamente nessuno. Infatti quel nome venne dato a quei colossi durante l’età greco-romana per un particolare fenomeno: queste statue monumentali al mattino, quando arrivava la prima luce dell’alba, emettevano un sibilo dovuto all’alterazione della pietra per l’escursione termica tra la notte e il giorno. Gli antichi pensavano che fosse la dea Eos, la dea dell’Aurora, che lamentava la morte del figlio, Memnon. Quindi è un mito greco applicato a una statua egizia che tuttora dà il nome a uno dei siti più importanti che si visita quando si va a Tebe”. All’interno di quel tempio il faraone Amenofi III fece erigere una serie di leonesse, simbolo della dea Sekhmet che significa “la Potente”.

La statua della dea Sekhmet, proveniente dal tempio funerario di Amenifi III, parte del nucleo di antichità egizie recuperato da Vitaliano Donati (foto museo Egizio)

“La dea Sekhmet ci riporta ad alcuni miti cosmogonici iniziali dell’Antico Egitto. Ci raccontano che il dio Ra invia il suo occhio per punire il genere umano, e questo occhio prende la forma di leone, che inizia a uccidere gli uomini che non sono riconoscenti nei confronti degli dei. Ma il dio Sole (Ra) si rende conto che così facendo il genere umano potrebbe estinguersi. La dea Sekhmet, la leonessa, dea solare legata quindi al dio Sole/Ra, è diventata molto assetata di sangue umano e quindi uccide gli uomini per berlo. “Il dio Ra per placarla decide di ingannarla: le fa bere – secondo alcune fonti – della birra colorata di rosso, secondo altri del vino, che Sekhmet beve avidamente pensando sia sangue. Così si ubriaca e si addormenta, e in questo modo si placa. Ma perché la sua forza potrebbe tornare, specie in estate quando la temperatura si alza: è allora che Sekhmet potrebbe ancora spargere pestilenze, malattie, guerre. Per questo è importante placarla. E Amenofi III fa qualcosa di meraviglioso: fa erigere una statua della dea Sekhmet, alcune sedute altre in piedi, per ogni giorno dell’anno, e fa sviluppare un rituale per rendere mansueta la Sekhmet: ogni giorno si portano offerte davanti a una statua, cosicché la dea non infierisca più sul genere umano”.

La statua della dea Iside da Copto recuperata da Vitaliano Donati per il museo Egizio di Torino (foto museo Egizio)

La terza statua importante che Vitaliano Donati porta dall’Egitto è quella di Iside proveniente da Copto. Presenta tutti gli elementi tipici della XVIII dinastia, dalla fronte ribassata al naso ricurvo agli occhi a mandorla alle labbra carnose. In mano tiene lo scettro che indica la stabilità. Grazie a Vitaliano Donati, il museo Egizio nel 1759, quarant’anni prima della spedizione napoleonica in Egitto, poteva già contare su un nucleo di seicento antichità egizie, tra le quali le tre statue monumentali – appena descritte – tutte appartenenti al Nuovo Regno: la statua di Ramses II (1250 a.C.), la statua di Sekhmet (dell’epoca di Amenofi III, XVIII dinastia), e la statua di Iside (datata alla XVIII dinastia), che rappresenta il volto della regina Tiy, moglie di Amenofi III, nonna di Tutankhamon.

#iorestoacasa: il museo Egizio di Torino ufficializza le “Passeggiate” con il direttore Christian Greco: ogni giovedì e sabato su Yuotube. Si inizia con “L’Egitto e i Savoia”: ecco perché Torino è legata indissolubilmente alla civiltà dei faraoni

Il museo Egizio di Torino è chiuso dall’8 marzo 2020 per decreto come tutti i musei in Italia

Le “Passeggiate” col direttore del museo Egizio di Torino, Christian Greco, già le conosciamo. Nelle ultime settimane, tra la prima chiusura provvisoria del museo e la chiusura per decreto nell’emergenza coronavirus, il direttore era già arrivato nelle case di tutti gli appassionati facendo conoscere alcuni reperti della ricca collezione di Torino (vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2020/03/17/iorestoacasa-il-museo-egizio-di-torino-e-chiuso-cosi-il-direttore-christian-greco-porta-il-museo-nelle-case-degli-appassionati-con-passeggiate-che-focalizzano-su-reperti-esposti-n/). Ma ora sono ufficiali. Da oggi, giovedì 19 marzo 2020, sono su Youtube le “passeggiate del Direttore”. La prima puntata di una nuova produzione video del Museo Egizio in cui Christian Greco porta su Youtube il format delle sue visite guidate alla collezione. Una delle visite speciali più apprezzate del museo Egizio e rappresentato dalle “passeggiate del Direttore”, un appuntamento mensile per un gruppo di 30 persone che, su prenotazione, possono visitare la collezione guidati dal direttore Christian Greco che, ogni volta, sceglie a sorpresa un differente approfondimento tematico. Dinanzi alla momentanea e forzata chiusura delle sue sale, il museo Egizio apre a tutti questa ambita opportunità riproponendo la formula in versione digitale: da oggi sarà sufficiente collegarsi online per scoprire i reperti dell’antico Egitto in compagnia del Direttore attraverso una serie di video fruibili dal proprio device. Prima di questa “ufficializzazione”, lo scorso week end sono uscite due brevi “Passeggiate”. Vediamole.

In questa “Passeggiata” il direttore Greco ci porta a conoscere i papiri di Deir el Medina con alcuni testi documentali molto importanti per il museo Egizio. Tra questi, uno dei più famosi è il cosiddetto “papiro dello sciopero”: siamo nell’anno 29 del regno di Ramses III e i lavoratori il giorno 10 della stagione dell’inondazione si rifiutano di lavorare perché sono già passati 18 giorni senza aver ricevuto né pani, né vettovaglie, né unguenti (la paga era in natura). Così lasciano la valle dei Re, dove stavano lavorando, e si rifugiano al tempio funerario di Thutmosi III perché lo si faccia sapere al faraone. Proprio da questi papiri vien fuori la vita e l’organizzazione del villaggio di Deir el Medina in tutti i suoi aspetti.

La “Passeggiata” di questa sera il direttore Greco descrive il sarcofago di Hor, che si trova alla fine della Galleria dei Sarcofagi. È il cosiddetto sarcofago “a pilastrini”, una tipologia che si diffonde a partire dall’VIII sec. a.C., riprendendo una tipologia conosciuta già dagli albori della storia egizia. Questo sarcofago presenta un “cosmogramma” con tutte quelle azioni che devono essere intraprese per garantire la sopravvivenza del defunto nell’Aldilà.

Ad annunciare la nuova iniziativa, è stato lo stesso direttore Christian Greco con un trailer. “Da sempre ritengo che il museo Egizio debba essere un patrimonio condiviso e appartenente a tutti”, spiega, “e in questo momento, in cui siamo chiusi al pubblico e costretti a rimanere nelle nostre case, è per noi doveroso renderci comunque accessibili e metterci a disposizione della comunità. Questo è lo spirito e l’obiettivo di questa operazione: un regalo, a chiunque ne abbia voglia, per conoscere insieme a me la nostra collezione, capire la storia dei reperti che qui sono arrivati e che da quasi 200 anni il museo conserva”. Con due puntate settimanali di circa 8 minùti, messe a disposizione sul canale YouTube del museo ogni giovedì e sabato, nel corso dei prossimi mesi di marzo e aprile si andrà così a comporre una narrazione completa delle sale condotta da Christian Greco. Oltre alla nuova iniziativa, sono già numerosi i contenuti fruibili dagli utenti del web per visitare la collezione del museo Egizio da remoto: tra questi, brevi video auto-prodotti da curatori ed egittologi, disponibili su Instagram nella collezione #iorestoacasa, che comprendono piccoli tutorial, lezioni e consigli di lettura; la serie di video “Istantanee dalla collezione”; video dedicati alle analisi scientifiche della mostra “Archeologia Invisibile”, di cui è inoltre disponibile un tour virtuale a cui si può accedere dal sito del Museo. Modalità diverse e concrete con cui il museo apre le porte a tutti – virtualmente – con contenuti divulgativi e accessibili. Tutti i materiali sono disponibili sul canale Youtube del Museo e sui social.

La prima “Passeggiata” ufficiale con il direttore Christian Greco ci porta agli esordi della collezione egizia di Torino spiegando il rapporto dell’Egitto con i Savoia. Il benvenuto lo dà la statua in granito rosa di Ramses II, tra le prime opere giunte al museo, portata nel 1759 insieme ad altre 600 antichità da Vitaliano Donati, inviato dai Savoia in Egitto. Ma l’oggetto che in qualche modo aprì la tradizione egizia a Torino fu la Mensa Isiaca, arrivata nel 1626. La Mensa Isiaca è un pezzo eccezionale, egittizzante, una mensa d’altare del tempio della dea Iside in Campo Marzio a Roma, realizzata in Campania o a Roma nel I sec. d.C., e che testimonia il diffondersi nell’impero di questo culto orientale della dea Iside che garantiva ai suoi seguaci una vita nell’Aldilà. Greco ripercorre le vicende rocambolesche che hanno interessato la Mensa Isiaca, una tavola in bronzo, un materiale prezioso, che è riuscita ad arrivare fino al Rinascimento senza essere fusa, superando anche il sacco di Roma ad opera dei Lanzichenecchi nel 1527, finendo in casa del cardinal Bembo che l’acquistò da un rigattiere. La Mensa Isiaca passò nelle collezioni Gonzaga, acquistata dal duca Vincenzo I, e intorno al 1626 arrivò a Torino. “La Mensa Isiaca permise ai Savoia di dare un mito alla città di Torino, da pochi decenni divenuta capitale del regno sabaudo, che ne legittimasse il suo ruolo: quale mito migliore di dire che Torino era stata fondata dagli Egizi! C’era il toro Api insito nel nome stesso di Torino, l’arrivo della stessa Mensa Isiaca, il ritrovamento del tempio di Iside nel sito di Industria, antica colonia romana, oggi nel territorio della città metropolitana di Torino, favoriscono questo mito. È da questo momento che la Casa dei Savoia si lega imprescindibilmente all’Egitto e pensare che Torino diventi per sempre la capitale dell’Egittologia internazionale”.