Nel giorno dell’uscita del film “Il primo Re” di Matteo Rovere recitato in latino arcaico, al museo “Pigorini” di Roma-Eur incontro sulle “origini della scrittura latina” attraverso due eccezionali reperti: la Fibula prenestina e l’Anfora di Capena
Giovedì 31 gennaio 2019, proprio nel giorno in cui nelle sale cinematografiche esce il film di Matteo Rovere “Il primo Re”, trasposizione della leggenda di Romolo e Remo, dove l’accuratezza della ricostruzione dei costumi, delle scenografie, addirittura della lingua adottata (l’intero film è recitato in latino arcaico sottotitolato in italiano), si mescola alla spettacolarità delle battaglie, messe in scena con la stessa perizia tecnica che ci aspetteremmo in un colossal hollywoodiano, al museo nazionale Preistorico ed Etnografico “Luigi Pigorini” di Roma-Eur, alle 17, l’incontro “Verba volant, scripta manent” approfondisce il tema delle “origini della scrittura latina”. Rari, ma anche offuscati dalla ricchezza degli scritti degli storici latici, sono i reperti archeologici che ci informano sulle origini della lingua latina e di come e quando questa da linguaggio parlato sia stato organizzato in lettere e quindi in scrittura.
Il museo delle Civiltà – museo preistorico etnografico “Luigi Pigorini” conserva due di questi eccezionali reperti, che si riallacciano al contesto ricostruito nel film Il Primo Re di Matteo Rovere: una è la fibula prenestina in oro sulla quale è incisa la frase, leggibile da destra a sinistra, Manios med fhefhaked Numasioi, solo quattro parole ma scritte in un latino talmente arcaico che gli stessi antichi romani avrebbero stentato a capirle e che oggi sappiamo tradurre in “Manio mi ha fatto per Numasio”. Il prezioso reperto con la sua iscrizione è datato al VII secolo a.C., di conseguenza costituisce, al momento, la più antica testimonianza della lingua latina giunta sino a noi. L’altro eccezionale reperto è l’anfora di Capena, rinvenuta nella tomba 2 della necropoli di Monte Laceto (Capena – Roma), sul cui ventre è chiaramente inciso un alfabeto.
Racconta lo storico latino Strabone che Albalonga, secondo la leggenda, fu fondata da Ascanio, figlio di Enea e Creusa (figlia del re troiano Priamo), intorno alla meta del XII secolo a.C. Da Ascanio discese una dinastia di re Albani, di cui si conoscono solo i nomi, fino ad arrivare a Numitore e Amulio, figli del re Proca. Sempre secondo Strabone in quel periodo i domini di Albalonga giunsero fino al Tevere e il legittimo erede di Proca, Numitore, venne spodestato dal fratello Amulio. Una profezia però lo avvertì che un discendente di Numitore lo avrebbe a sua volta deposto per riconsegnare il trono al legittimo erede. Per eliminare questa possibilità Amulio costrinse Rea Silvia, unica figlia di Numitore, a diventare vestale, in modo che non potesse generare figli, nonostante questo Rea Silvia rimase incinta del dio Marte e partorì i gemelli Romolo e Remo, che Amulio ordinò di uccidere. Questi, invece di essere uccisi, furono affidati alla corrente del fiume Tevere e si salvarono grazie all’allattamento di una lupa. Una volta cresciuti Romolo e Remo scacciarono Amulio e riconsegnarono il trono di Albalonga al nonno Numitore, ottenendo da questi il permesso di fondare Roma.
Fuori dalla leggenda i dati archeologici relativi al periodo precedente la tradizionale data della fondazione di Roma (753 a.C.), provenienti dal territorio immediatamente a sud del Tevere e dai Colli Albani (dove si trovava l’antica Albalonga), ci confermano che tra il IX e il VII secolo a.C. in quest’area si sviluppò una cultura originale e ricca caratterizzata della presenza di numerosi abitati posti in posizioni strategiche a controllo del territorio e delle principali vie di comunicazione. Le testimonianze provenienti dalle necropoli, i cui reperti sono conservati in gran quantità presso il museo delle Civiltà, ci raccontano di una grande ricchezza e di una cultura materiale raffinata.
L’antica Cina protagonista al Muciv-museo Preistorico etnografico “L. Pigorini” all’Eur-Roma del ciclo di conferenze col prof. Di Branco dell’associazione “Amici della scuola archeologica italiana di Atene”

Prezioso tripode del XVIII secolo dalla Cina conservato al museo Preistorico etnografico “Luigi Pigorini” di Roma-Eur
È dedicato all’antica Cina il nuovo ciclo di conferenze dell’associazione “Amici della scuola archeologica italiana di Atene”, organizzate da Maria Antonietta Rizzo e tenute dal prof. Marco Di Branco, università di Roma “Sapienza”. L’associazione (Syllogos) “Amici della Scuola Archeologica Italiana di Atene” nasce in Roma, per atto pubblico, il 26 maggio 1995 su impulso del prof. Antonino Di Vita e con l’intervento di ventotto soci fondatori. Tra questi prevalgono i docenti universitari, ma non mancano magistrati, funzionari pubblici -dello Stato in particolare- pensionati e casalinghe. Scopo dell’associazione è: promuovere, in sede nazionale ed internazionale, la conoscenza delle funzioni e dell’attività della Scuola archeologica italiana di Atene (SAIA); favorire le relazioni tra gli studiosi e i cultori, anche non professionali, dell’archeologia con particolare riferimento ai campi specifici di azione della Scuola; contribuire al miglioramento e all’arricchimento del patrimonio bibliografico della SAIA e alla sua utilizzazione; contribuire all’acquisizione delle attrezzature necessarie per il raggiungimento delle finalità della Scuola.

L’impressionante colpo d’occhio dell’esercito di terracotta nel mausoleo del primo imperatore della dinastia Qin, scoperto nel 1974 a Xian in Cina
Il ciclo di conferenze, tutte al Museo delle Civiltà – sala conferenze del museo Preistorico etnografico “Luigi Pigorini” all’Eur – Roma, inizia sabato 26 gennaio 2019, alle 11, con “Storia e archeologia della Cina: dalla Preistoria agli Stati combattenti”. In questo primo incontro si torna agli albori del continente asiatico per addentrarci in un’esplorazione storica, antropologica e archeologica che investirà la nascita della filosofia cinese, i primi esempi di letteratura, le più antiche credenze religiose fino all'”arte della guerra”, ripercorrendo le più antiche tappe di una delle civiltà più complesse e affascinanti del mondo antico. Il ciclo continua il 23 febbraio 2019, “Il Primo imperatore e la sua armata di terracotta”; il 30 marzo 2019, “Storia e archeologia della Cina: dai Qin ai Tang”; il 13 aprile 2019, “Introduzione per immagini al pensiero cinese: tra filosofia e religione”; il 25 maggio 2019, “Sulla via della seta: il percorso”. Ultima conferenza il 22 giugno 2019, “Sulla via della seta: il viaggio”.
“Aztechi, Maya, Inca e le culture dell’antica America”: in mostra al museo internazionale delle Ceramiche di Faenza trecento reperti tra terrecotte e tessuti, e poi propulsori, sculture, stele, che raccontano in modo nuovo ed emozionale le culture precolombiane

Dettaglio di una figura di divinità scelta per il manifesto della mostra “Aztechi, Maya, Inca e le culture dell’antica America” al Mic di Faenza
Il museo internazionale delle Ceramiche (Mic) di Faenza “scava” nelle proprie collezioni e depositi. Il risultato è la mostra “Aztechi, Maya, Inca e le culture dell’antica America”, a cura di Antonio Aimi e Antonio Guarnotta, aperta al pubblico dall’11 novembre 2018 al 28 aprile 2019: una mostra dove fascino, bellezza, storia, tecnologia e ricerca scientifica si intersecano e si fondono per offrire al pubblico, uno spettacolo per gli occhi e interrogativi per la mente. In mostra circa trecento reperti (terrecotte e tessuti) della collezione del MIC di Faenza insieme ad altre opere (propulsori dorati, sculture, stele, ecc.) provenienti dai più importanti musei italiani di antropologia e da due collezioni private. Il MIC di Faenza possiede infatti una delle più interessanti collezioni italiane d’arte precolombiana, costituita da quasi 900 reperti. Il primo nucleo importante risale al prebellico. La collezione si arricchì poi nel dopo guerra, grazie alle donazioni di musei e istituzioni come l’Instituto Nacional de Arqueología y Historia di Città del Messico, The University Museum di Philadelphia, Museo Nacionál de Antropología y Arqueología di Lima, Museo Nacionál di San José ed è accresciuta fino ad oggi grazie a numerose donazioni private, alcune anche recenti. La mostra è arricchita di alcuni reperti, anche di altissimo livello e in alcuni casi unici al mondo, provenienti dalle collezioni del MDS (museo degli Sguardi) di Rimini, del MNAE (museo nazionale di Antropologia ed Etnologia) di Firenze, del MUCIV (museo delle Civiltà) di Roma e del MUDEC di Milano, unitamente a prestiti di alcuni collezionisti privati. “Una mostra orgogliosamente controcorrente”, sottolinea Claudia Casali, direttrice del Mic. “In un periodo in cui le mostre a carattere etnoantropologico tendono spesso a mettere a fuoco una singola cultura”, spiegano i curatori, “la mostra “Aztechi, Maya, Inca e le culture dell’antica America” vuole presentare una visione complessiva dell’America precolombiana in grado di offrire al visitatore sia una sintesi dei tratti pan-americani comuni alle diverse culture, sia gli approfondimenti specialistici e monotematici più interessanti. In un caso e nell’altro la mostra non dà nulla per scontato, non ripropone visioni superate, ma parte dalle ricerche archeologiche ed etnostoriche più recenti e più avanzate per presentare in modo nuovo gli elementi più affascinanti dell’antica America”.
“Questa è una mostra di emozioni”, anticipa ancora Casali, “che condurrà il visitatore a contatto diretto con civiltà che sono nell’immaginario di tutti, troppo spesso raccontate solo con gli occhi di chi le ha soppresse e depredate”. L’esposizione offre una sintesi nuova e aggiornata sulle più importanti culture dell’antica America e presenta al contempo alcuni dei temi più interessanti emersi dalle ricerche più recenti: la conquista dell’America vista dalla parte dei vinti, la condizione della donna, i sistemi di calcolo dell’antico Perù e l’arte precolombiana presentata come arte e non solo come archeologia. “Certo questa si presenta come una importantissima ed originale mostra d’arte. I pezzi qui riuniti sono degli autentici capolavori”, afferma la direttrice Casali. “Nell’ampia introduzione e nelle sezioni del percorso, in una ambientazione di grande suggestione evocativa, il visitatore ammirerà reperti di incredibile bellezza formale, veri capolavori d’arte, ma soprattutto verrà accompagnato a capirne la provenienza, l’utilizzo e il significato, in un viaggio all’interno delle culture di un continente per molti versi ancora da scoprire o per lo meno da indagare”.
Protagonisti al Mic saranno gli Aztechi, il più potente impero della Mesoamerica, che stupirono i conquistadores per il livello della loro organizzazione sociale, non dissimile da quella dell’Europa del tempo, pur in presenza di aspetti, come il cannibalismo e i sacrifici umani, inaccettabili per i nuovi arrivati. Poi i Maya, del Periodo Classico, un popolo che ha saputo elaborare sistemi calendariali raffinatissimi e una scrittura logo-sillabica che è stata decifrata solo negli ultimi decenni. E infine gli Inca, che costruirono il più grande impero di tutto il Nuovo Mondo. Con una organizzazione sociale che ha spinto alcuni studiosi a parlare di “socialismo”.
“Di queste culture abbiamo voluto offrire una visione che va oltre l’ammirazione del livello artistico raggiunto nell’arte ceramica”, sottolineano Aimi e Guarnotta. “Siamo alle soglie del V Centenario della Conquista del Messico e ci sembra giunto il momento di condividere una nuova lettura di quell’evento, che nasca dalla visione dei vinti, contraddicendo così molti stereotipi sull’antica America. E a proposito di stereotipi, vogliamo sottolineare che la nostra mostra mette in evidenza un dato nuovo e di grande attualità: la condizione della donna in alcune società guerriere e apparentemente maschiliste (Aztechi, Costa Nord del Perù) era migliore di quella dell’Europa del tempo”.
Altri focus avvicineranno i visitatori ad aspetti importanti di queste civiltà, dalla scrittura maya (presente in alcuni dei vasi esposti), al calcolo. “Al Mic, per la prima volta al mondo”, assicurano gli organizzatori, “una mostra offrirà al visitatore la possibilità di cimentarsi nei calcoli come facevano gli Inca, usando abachi a base 10 e 40. In termini di primati, ancora una volta in prima mondiale, chiunque avrà l’opportunità di conoscere la propria data di nascita tradotta nei tre calendari dei Maya. O di scoprire il gioco di squadra più antico del mondo: il gioco della palla praticato in Mesoamerica, anche se più che di uno sport si trattava di un rituale religioso. In mostra, accanto a testimonianze in questa antica tradizione, i video consentiranno di ammirare i giocatori di oggi in azione. A completare il percorso emozionale concorrerà anche la musica, diffusa da registrazioni realizzate con gli antichi strumenti musicali esposti”.
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