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Archeologia in lutto. Febbraio si porta via due grandi archeologi: Marcello Piperno, innovatore degli studi preistorici, e Dario Palermo, esperto di archeologia siciliana ed egeo-cretese. Il ricordo di colleghi e amici

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L’archeologo Dario Palermo

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L’archeologo Marcello Piperno

Doppio lutto nel mondo dell’archeologia, non solo italiana, che perde, nel giro di due settimane di febbraio, Marcello Piperno e Dario Palermo. Il primo, grande studioso del Paleolitico, è scomparso il 14 febbraio 2022. Piperno, prima funzionario archeologo, poi docente a Napoli alla “Federico II” e infine a Roma alla “Sapienza”, è stato un grande innovatore degli studi preistorici, ha operando in varie località in Italia e all’estero, preoccupandosi sempre di coniugare la ricerca alla musealizzazione e alla valorizzazione dei resti archeologici. Il secondo ci ha lasciato il 26 febbraio 2022. Dario Palermo, docente di archeologia classica prima all’università di Torino e poi a Catania, ha condotto numerose ricerche in varie località della Sicilia e a Creta, a Priniàs, nella città arcaica della Patela. Corale e unanime il profondo cordoglio espresso “alle famiglie, agli allievi e agli amici e all’intera comunità archeologica” dalla Federazione delle Consulte Universitarie di Archeologia, come ricorda sul suo sito l’archeologo Giuliano Volpe dell’università di Bari.

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L’archeologo Marcello Piperno impegnato negli scavi nell’area di Melka Kunture, in Etiopia, ricca di siti preistorici

Lunedì 14 febbraio 2022, dopo una lunga malattia, è morto, all’età di 76 anni, Marcello Piperno. Lo ha annunciato sul proprio sito l’Istituto italiano di Preistoria e protostoria, ripercorrendo i suoi importanti risultati raggiunti in anni di ricerche. “Studioso del Paleolitico di fama internazionale – scrive l’Iipp -, “Piperno è ben noto soprattutto per gli scavi effettuati in Etiopia, nell’area di Melka Kunture, ricca di siti olduvaiani e acheuleani in collaborazione con Jean Chavaillon dal 1999 al 2010; in questa località, inoltre, ha creato anche un Museo. Un altro importante scavo diretto da Piperno è quello del giacimento del Paleolitico inferiore di Notarchirico (Venosa), altro sito in seguito musealizzato; nel Lazio va ricordata la ricerca negli anni Ottanta del Novecento alla Grotta Guattari (San Felice Circeo, LT), in cui effettuando un calco della paleosuperficie e analizzando la tafonomia del deposito si poté capire per la prima volta l’influenza delle iene come agenti della formazione dello stesso. Va anche ricordata la sua partecipazione all’équipe che lavorò sull’importante scoperta dell’Uomo di Altamura e gli scavi della grotta di San Sebastiano (Mondragone, CE), sito ascrivibile a un orizzonte (l’aurignaziano) fino ad allora poco conosciuto in Campania. A Piperno si devono anche le ricerche effettuate negli anni Novanta del secolo scorso nel Vallo di Diano per poterne ricostruire il popolamento in età pre e protostorica. Nel Medio Oriente – continua lo scritto dell’IIpp – va ricordata la sua lunga collaborazione con Maurizio Tosi che lo portò a scavare e in seguito a pubblicare, assieme a Sandro Salvatori, la necropoli di Shahr-i-Shokta, del III millennio a.C. Dopo lunghi anni in cui lavorò come Ispettore all’allora soprintendenza speciale per la Preistoria e l’Etnografia, nel 1992 divenne professore associato di Paletnologia all’università “Federico II” di Napoli; in seguito fu professore ordinario della stessa materia all’università “La Sapienza” di Roma. Autore di numerose pubblicazioni e organizzatore di importanti convegni internazionali – conclude l’Iipp -, va anche ricordato il costante impegno nella divulgazione di alto profilo; come esempio può essere citata l’edizione italiana del Dizionario di Preistoria di A. Leroi Gourhan da lui curata agli inizi degli anni
Novanta. Esponente della generazione che innovò l’archeologia italiana, soprattutto nei metodi di lavoro sul campo, Marcello Piperno lascia un vuoto che sarà difficile colmare”.

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L’archeologo Marcello Piperno durante la direzione degli scavi nella Grotta di Roccia San Sebastiano a Mondragone (Ce)

La città di Mondragone (Ce) piange il professore Marcello Piperno, 76 anni, uno dei più importanti archeologi preistorici italiani. A Mondragone è stato componente del Comitato Scientifico del museo civico “Biagio Greco”, responsabile della sala preistorica, ed era, da più di vent’anni, direttore della campagna di scavo archeologico relativa appunto alla preistoria, che ha messo in luce la Grotta di Roccia San Sebastiano ed ha attestato la presenza dell’uomo di Neanderthal sul territorio mondragonese. “Salutiamo l’impegno garbato di Marcello Piperno sul nostro territorio”, scrive l’ex sindaco di Mondragone, Giovanni Schiappa, “e lo ringraziamo per aver onorato la nostra terra con i suoi appassionati studi, le sue indagini scrupolose, le meticolose ricerche e le brillanti campagne di scavo. Mancherà a Mondragone ed alla nostra voglia di riprendere il filo della storia. Ciao Prof”. E il centro culturale ‘Palazzo Tarcagnota’ di Mondragone: “Nessuno di noi poteva mai immaginare, che lungo la via per la Grotta di Roccia San Sebastiano, mentre eravamo alla ricerca dell’uomo della Preistoria, avremmo incontrato la Morte. Nessuno di noi avrebbe mai immaginato che questo giorno sarebbe arrivato così all’improvviso e che saremmo stati qui a ricordare insieme Marcello Piperno, il suo coraggio, la sua determinazione. Il Comune di Mondragone, il museo civico Archeologico “B. Greco” hanno perso un grande archeologo, il prof. Marcello Piperno, ma di più hanno perso un amico, un magnifico punto di riferimento di umanità ancor prima che di professionalità e rappresentatività. Marcello Piperno era un uomo straordinario, disponibile, accorto, semplice e per queste sue grandissime qualità umane era possibile apprezzarne e sentire il prezioso valore della sua vicinanza e della sua presenza. Ci mancherà il suo sorriso, la sua profonda umanità, la sua ironia. Sul piano professionale, nel campo della ricerca archeologica, ci mancherà invece, la sua azione, le sue parole, i suoi scritti, il suo insegnamento. Mondragone perde una figura monumentale, un cultore sincero della nostra Storia, che ha voluto generosamente donare la sua opera di studioso al nostro Museo, allestendo e sistemando una delle collezioni di reperti preistorici più importante in Europa. L’amministrazione comunale, il sindaco Virgilio Pacifico, il direttore del museo Archeologico Luigi Crimaco e Marianna Musella, responsabile del Laboratorio di Restauro, unitamente a Carmine Collina, Gustavo Riccio, Francesca Sogliani e a tutto il personale scientifico del Museo, con grande e sincero dispiacere, e nella speranza che dall’esperienza del dolore possa generarsi un insegnamento positivo vogliono ricordare e ringraziare il professor Marcello Piperno per la sua opera e per la sua amicizia”.

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L’archeologo Dario Palermo durante il suo intervento al convegno internazionale di studi “Percorsi di archeologia nella Sicilia occidentale. Sebastiano Tusa in memoriam (1952-2019)” tenutosi a Palermo ai primi di novembre 2021

Sabato 26 febbraio 2022, all’età di 71 anni, si è spento il professore Dario Palermo, ordinario di Archeologia Classica (già di Antichità Egee) dell’ateneo catanese. Durante la sua brillante carriera accademica ha ricoperto molti incarichi di prestigio, tra tutti direttore di Dipartimento, senatore accademico e direttore della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici dal 2017 al 2020. Profondo conoscitore delle antichità egee e della civiltà cretese, era stato allievo del noto archeologo prof. Vincenzo La Rosa, di cui ha seguito le tracce nell’isola di Creta, dove ha scavato nel sito di Priniàs a partire dal 1974 e condotto la missione Archeologica Italiana sin dal 2006. In Sicilia le sue maggiori scoperte sono legate al mondo egeo e pre-greco in Occidente, nella montagna di Polizzello (CL), a Sant’Angelo Muxaro (AG), a Torricella di Ramacca (CT). Ha effettuato scavi inoltre nelle colonie greche di Leontinoi (SR) e Casmene (SR), e a Caltabellotta in Sicilia (AG). Nato a Meina (No) il 15 ottobre 1950. Laureato in Lettere classiche all’università di Catania, ha conseguito il diploma della Scuola di Perfezionamento in Archeologia classica della stessa università.

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L’archeologo Dario Palermo, esperto di archeologia siciliana ed egeo-cretese

Sit tibi terra levis” scrive la Scuola archeologica italiana di Atene in memoria di Dario Palermo, di cui è stato direttore della Missione Archeologica Italiana a Priniàs (Creta) dal 2006 al 2020. E l’archeologo Massimo Cultraro, dirigente di ricerca al Consiglio nazionale delle Ricerche e docente di Preistoria e Archeologia egea all’università di Palermo, formatosi alla Scuola archeologica italiana di Atene: “L’archeologia siciliana ed egeo-cretese perde Dario Palermo, un vero galantuomo di altri tempi, un docente di eccezionali doti comunicative, raffinato esploratore del passato, uomo mite che si è sempre distinto tra i rumorosi clamori di una disciplina spesso troppo urlata. Io perdo più semplicemente un amico, kalo taxidi file mou”. Un ricordo infine anche dalla Scuola di specializzazione in beni archeologici dell’università di Catania, di cui il prof. Palermo diresse la Scuola dal 2017 al 2020: “Il Direttore e il Consiglio scientifico della Scuola di Specializzazione in beni archeologici si stringono attorno alla famiglia per la scomparsa prematura del prof. Dario Palermo, archeologo raffinato e serio, profondo conoscitore della storia e dell’archeologia delle due isole in cui lavorò tanto, Sicilia e Creta”.

Ultime scoperte delle missioni archeologiche italiane all’estero. Al museo Classis Ravenna per “Classe al chiaro di luna” protagonista Maurizio Cattani con “Alla ricerca delle origini della civiltà Araba: la missione archeologica nel Sultanato d’Oman”

Il manifesto delle manifestazioni “Classis al chiaro di luna”

Il prof. Maurizio Cattani

Luglio volge al termine. Ma al museo Classis Ravenna, nell’ambito della rassegna “Classe al chiaro di luna” c’è tempo per un altro incontro per saperne di più sulle ultime scoperte delle missioni archeologiche italiane all’estero. Appuntamento mercoledì 31 luglio 2019, alle 21, con il ciclo “Museo Classis. Missioni archeologiche all’estero: le ultime scoperte”. Il prof. Maurizio Cattani, dell’università di Bologna, responsabile della missione archeologica in Oman, la cui ultima campagna si è conclusa nel gennaio di quest’anno, parlerà di “Alla ricerca delle origini della civiltà Araba: la missione archeologica nel Sultanato d’Oman”. Conferenza a partecipazione gratuita in collaborazione con L’Ordine della Casa Matha.

La missione archeologica italiana in Oman (foto Imto)

“La Missione Archeologica Italiana nel Sultanato di Oman”, scrive Maurizio Cattani, “svolge la sua attività di ricerca nell’ambito del “Joint Hadd Projecr” cui negli anni hanno partecipato l’Istituto italiano per l’Africa e l’Oriente di Roma, il dipartimento di Archeologia dell’università di Bologna, l’università di Parigi e l’ERA 41 del Cnrs di Parigi”. Dal 1985 le ricerche – portate avanti da Maurizio Tosi, scoomparso nel 2017 (vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2017/03/03/archeologia-in-lutto-e-morto-maurizio-tosi-uno-dei-piu-grandi-archeologi-preistorici-dal-mediterraneo-alla-mongolia-in-iran-nel-1967-scopri-lo-straordinario-sito-di-shahr-e-sokhta-la-citta-bruciat/) e Maurizio Cattani – hanno preso in esame l’area del Ja’alan, corrispondente alla parte orientale del Sultanato di Oman, tra Ra’s al Hadd e Al Ashkarah, ove l’abbondante presenza di dati paleoambientali e di elementi storico-archeologici permette di documentare e controllare l’evoluzione del popolamento dall’antico e medio Olocene fino all’epoca islamica. “La documentazione dei resti strutturali, dei manufatti archeologici, delle evidenze bioarcheologiche”, continua Cattani, “permette di tracciare il processo di adattamento delle popolazioni antiche in rapporto alle risorse naturali (principalmente ottenute dall’ambiente marino) e il modo in cui le popolazioni costiere interagivano con quelle delle regioni interne dell’Arabia”.

L’edificio 1 nello scavo HD6 a Ras al-Hadd della missione archeologica italiana in Oman (foto Unibo)

Planimetria dell’area meridionale dello scavo HD6 a Ras al-Hadd della missione archeologica italiana in Oman (foto Unibo)

“Oggi la missione archeologica italiana dell’università di Bologna nel Sultanato d’Oman”, spiegano al dipartimento dell’Alma Mater, “sta indagando la fascia costiera dalla penisola di Musandam al Dhofar. In particolare le ricerche si sono concentrate nell’area di Ra’s al-Hadd, lungo la costa orientale, con gli scavi nel sito di HD-5 (IV millennio e seconda metà del III millennio) e nel sito dell’antica Età del Bronzo di HD-6 (3000-2700 a.C.). Ad HD-5 nelle ultime campagne di scavo, dirette da Federico Borgi e Elena Maini, sono state messe in evidenza le tracce di comunità di pescatori e raccoglitori che sfruttano gli ambienti costieri, mentre nel secondo lo scavo ha rivelato un complesso abitativo particolarmente significativo per comprendere l’evoluzione tecnologica e sociale che investe la Penisola nei primi secoli del III millennio a.C. Ad HD-6, il nucleo centrale dell’abitato è rappresentato da un complesso architettonico composto da edifici modulari costituiti da ambienti di varie dimensioni, di pianta approssimativamente rettangolare, costruiti con mattoni d’argilla cruda di dimensioni standardizzate. Il periodo principale a cui si riferisce il complesso architettonico è stato suddiviso in tre fasi stratigrafico-strutturali: la Fase I è rappresentata da un nucleo di più limitate dimensioni con edifici costruiti in mattoni molto compatti a matrice sabbiosa; le Fasi II e III sono legate alla costruzione di un muro perimetrale in pietra e di diversi edifici a pianta tripartita costruiti con mattoni d’argilla cruda. Il periodo III coincide con l’abbandono degli edifici e con la formazione di strati carboniosi relativi a tipologie di occupazione più effimere Chiude la sequenza stratigrafica una rioccupazione successiva all’abbandono dell’abitato principale, che consiste in quindici capanne ovali e circolari costruite in pietra a secco. Tra i materiali rinvenuti si segnala una forte presenza di manufatti in metallo (piccoli lingotti, ami da pesca, punte, pugnaletti) ed un’abbondante produzione di elementi ornamentali in pietra e conchiglia. Pressoché assente è la ceramica testimoniata da rarissimi frammenti di vasi presumibilmente importati dall’esterno. Particolarmente significativi sono alcuni forni in argilla a pianta circolare costruiti in prossimità degli edifici e destinati ad attività di trasformazione di prodotti alimentari”.

Tomba a tumulo dell’età del Bronzo nell’area di Zukayt, presso Izki (Oman) (foto Unibo)

“La scoperta e le prime indagini compiute nel sito di HD-6 localizzato presso il villaggio di Ra’s al-Hadd”, continuano gli archeologi bolognesi, “hanno permesso di identificare uno dei punti chiave nello studio dell’evoluzione delle popolazioni arabe nella fase della cosiddetta “grande trasformazione”, in cui tra la seconda metà del IV e gli inizi del III millennio, si attivano i processi che porteranno a definire un nuovo tipo di società. Si formano in questa fase le prime oasi, caratterizzate dalla diffusione della palma da dattero e dalla costruzione di sistemi di canalizzazione, e si attiva lo sfruttamento delle miniere di rame che permette di identificare l’Oman come il paese di Magan, noto dalle fonti mesopotamiche. Gli scavi di Ra’s al-Hadd hanno messo in luce un complesso architettonico composto da una piattaforma in pietra e argilla delimitata da un muro perimetrale in pietra e in mattoni di argilla cruda. Alla struttura monumentale, che ospita all’interno numerosi edifici in mattoni di argilla, si associa la costruzione di tombe collettive a tumulo: entrambe le testimonianze archeologiche suggeriscono una struttura sociale costituita da gruppi tribali che vogliono affermare il controllo territoriale e proporsi come attori nello scambio delle risorse marine con i prodotti delle oasi all’interno (principalmente datteri e rame). Gran parte dell’Oman interno è caratterizzato da centinaia di tumuli posti sui crinali e sui bordi dei terrazzi, ben visibili a chi attraversasse il territorio, a dimostrare il prestigio e la ricchezza di queste comunità. In questo ambito un nuovo progetto di ricerca è rivolto all’individuazione e al censimento delle tombe risalenti all’età del bronzo presenti nell’area di Zukayt, presso Izki”.

Lo scavo del villaggio di Ras al-Jins della missione archeologica italiana in Oman (foto Unibo)

“La fase successiva (II metà del III millennio a.C.) è documentata dallo scavo del villaggio di Ra’s al-Jins (RJ-2), dove gli scavi hanno messo in luce diversi edifici in mattoni di argilla. In questa fase, nonostante la pesca e lo sfruttamento delle risorse marine siano ancora alla base dell’economia di questo villaggio, è evidente il ruolo che tale centro viene ad assumere nell’ambito degli scambi con le regioni interne dell’Arabia e con i paesi oltremare. Il carattere commerciale dell’abitato di RJ-2 è documentato da evidenze che attestano la navigazione attraverso l’oceano, rappresentate da blocchi di bitume che servivano a rivestire le barche, e dagli unici documenti iscritti costituiti da sigilli in pietra e in rame. La diversa struttura sociale è inoltre evidenziata nelle tombe rinvenute sul terrazzo sovrastante il villaggio: le dimensioni e le ripartizioni interne di grandi tumuli di tipo Umm an-Nar indicano segmenti sociali più estesi con un rituale funerario molto più complesso che comprende la riesumazione e la deposizione delle ossa all’interno di fosse esterne”.

Archeologia in lutto. È morto Maurizio Tosi, uno dei più grandi archeologi preistorici dal Mediterraneo alla Mongolia. In Iran nel 1967 scoprì lo straordinario sito di Shahr-e Sokhta, la Città Bruciata. L’ambiente scientifico iraniano in lutto per l’amico Maurizio “Rostam”

Il professor Maurizio Tosi, uno dei più grandi archeologi preistorici italiani del Novecento

Il professor Maurizio Tosi, uno dei più grandi archeologi preistorici italiani del Novecento

Una vita dedicata allo studio delle civiltà preistoriche dall’Iran alla Mongolia. È morto il 24 febbraio 2017 a Ravenna all’età di 73 anni Maurizio Tosi, professore di paletnologia all’Università di Bologna, autore di importanti scavi archeologici nel Vicino Oriente e in Asia. Nato a Zevio (Verona) il 31 maggio 1944, professore ordinario dal 1981, Tosi ha coperto fino al 1994 la cattedra di Preistoria e protostoria dell’Asia presso l’Istituto Universitario Orientale di Napoli e, dal 1994, la cattedra di Paletnologia presso la Scuola di Conservazione dei Beni culturali dell’università di Bologna. La sua principale specialità sono stati i processi formativi delle società complesse e lo sviluppo della ricerca archeologica per la definizione di tali processi. Dal 1967 ha diretto progetti di ricerca sul campo per l’Isiao (Istituto italiano per l’Africa e l’Oriente), spesso in collaborazione con numerosi istituti europei ed americani in Iran, Oman, Pakistan, Turkmenistan, Yemen e nelle regioni asiatiche della Federazione Russa.

Un giovane Maurizio Tosi nel deserto del Sistan in Iran dove ha scoperto Shahr-e Sokhta

Un giovane Maurizio Tosi nel deserto del Sistan in Iran dove ha scoperto Shahr-e Sokhta

Il primo scavo sistematico di Shahr-e Sokhta fu diretto da Maurizio Tosi (Ismeo) dal 1967

Il primo scavo sistematico di Shahr-e Sokhta fu diretto da Maurizio Tosi (Ismeo) dal 1967

Proprio in Iran ha legato il suo nome a una delle scoperte più importanti del Novecento: Shahr-e Sohkta (la “Città Bruciata”), uno dei siti più imponenti del mondo riconosciuto il 22 giugno 2014 come Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. Era il 1967 quando Tosi, 23 enne, arrivò in Iran per dirigere uno scavo nella regione del Sistan, nel sud-est dell’Iran, che sulla carta non dava garanzie di successo. Non a caso, secondo la vulgata popolare, quella missione sarebbe stata affidata proprio a lui: in caso di insuccesso, la figuraccia meglio lasciarla fare al giovane piuttosto che a qualche luminare dell’archeologia. Tosi fu premiato. Fu allora che scoprì appunto Shahr-e Sokhta, realizzata da una civiltà misteriosa e incredibile tra il 3200 e il 1800 a.C. Ed è in Iran che Tosi, uomo robusto e tenace, si guadagnò il soprannome di “Rostam”, eroe della mitologia persiana dalla forza erculea e protagonista del poema Shahnamé (Libro dei Re) di Ferdowsì.  Del resto c’era più di una ragione per questo “appellativo”: gli scavi di Shahr-e Sokhta si conducevano nella regione del Sistan iraniano, la stessa che secondo la mitologia era governata da Rostam: “Rostam era re del Sistan, il professor Tosi lo era in un altro senso per il suo lavoro”. Come nel caso di pochi, la comunità scientifico-accademica iraniana ha proclamato un vero e proprio lutto dopo aver appreso della morte dell’amato archeologo italiano. Messaggi di cordoglio sulla rete e soprattutto da parte di chi lo conosceva, aveva lavorato con lui o dagli ambienti accademici.

Sebastiano Tusa, responsabile della soprintedenza del Mare

Sebastiano Tusa, responsabile della soprintedenza del Mare

Intenso, in rete, il ricordo che Sebastiano Tusa, soprintendente del Mare, ha affidato al sito della sua soprintendenza. “I ricordi si accavallano nella mente – scrive – raggiungendo in breve dimensioni immense sovrastando la capacità di contenerli e viverli tutti nella loro dimensione temporale reale. E’ ciò che ho provato apprendendo della scomparsa di Maurizio Tosi. I pensieri e i ricordi si affastellavano rapidi e intensi così come avveniva durante i nostri colloqui. La sua enorme capacità progettuale innestata in un’intelligenza fuori del normale e in un’altrettanta immensa cultura rendeva ogni incontro una fucina di progetti, idee e teorie assolutamente originali e innovative. Questo era per me Maurizio. Un’incredibile e unica fonte di stimoli, idee che ti facevano oltrepassare ogni limite proiettandoti in dimensioni teoriche cognitive del tutto nuove. Tracciarne in poche righe le caratteristiche e la dimensione scientifica è pressoché impossibile data la grande ricchezza delle sue conoscenze che spaziavano dalla preistoria nord-americana a quella vicino e medio-orientale e mediterranea con approfondite puntate anche nel mondo classico e medievale euroasiatico. Spaziava da una conoscenza approfondita della storia dalle origini fino al contemporaneo a una puntuale capacità di collegare ed interpretare ogni fatto storico alla luce di molteplici chiavi di lettura politico – filosofiche. Generoso nell’offrire la sua scienza agli altri, quanto burbero e ostile verso la banalità e la superficialità. Personalmente, come ho sempre affermato, devo alla sua frequentazione e ai suoi insegnamenti gran parte della mia dimensione di archeologo. Devo a lui l’avermi dato gli strumenti per comprendere le civiltà orientali nella loro dimensione globale e, quindi, anche del presente. Infatti guardava e interpretava il passato apprezzando e conoscendo profondamente il presente che viveva da protagonista e da leader. Era, a mio avviso, proprio questa sua capacità di agganciare passato e presente in una dimensione interpretativa dialettica unitaria la sua più affascinante e originale qualità che difficilmente troviamo in noi archeologi molto spesso condizionati dai limiti del nostro campo di approfondimento professionale. È pleonastico dire che mancheranno le sue a volte aspre e pungenti critiche all’establishment accademico nazionale ed internazionale, mirate a creare condizioni di ricerca più consone alla realtà effettiva di un’archeologia moderna, multidisciplinare e realmente interpretativa e non descrittiva”.

L'archeologo Maurizio Tosi

L’archeologo Maurizio Tosi

Maurizio Tosi è stato anche co-direttore di un programma di ricerca internazionale mirato allo studio dell’origine della navigazione e del commercio di lunga distanza nell’Oceano Indiano. Studioso di paleoeconomia e dell’organizzazione sociale dei popoli asiatici nella preistoria, il professore Tosi ha indirizzato dal 1985 gran parte delle sue attività allo studio del rapporto tra popolazione e risorse nella ricostruzione sistematica dei paesaggi antichi.

Iran. Dopo 40 anni gli archeologi italiani tornano a Shahr-e Sokhta. Missione multidisciplinare dell’università del Salento nella Città Bruciata, il sito archeologico più esteso del Medio Oriente (oltre 150 ettari) scavata per la prima volta da Tosi (Ismeo) nel 1967

La collina di Shahr-e Sokhta, nel sud-est dell'Iran, sito dell'età del Bronzo nella valle dell'Helmand

La collina di Shahr-e Sokhta, nel sud-est dell’Iran, sito dell’età del Bronzo nella valle dell’Helmand

universita-salentoObiettivo Shahr-e Sokhta. Gli archeologi italiani tornano a fare ricerche dopo 40 anni nel sito della “Città Bruciata”, tra i più misteriosi e ricchi dell’Età del Bronzo, un insediamento urbano attribuibile alla Cultura di Jiroft, che si trova nella regione sud-orientale dell’Iran (non lontano dai confini con Pakistan e Afghanistan), sul corso del fiume Helmand, lungo la strada che congiunge Zahedan a Zabol, nella regione del Sistan Balucistan. Docenti e ricercatori del dipartimento di Beni culturali dell’università del Salento, fino al 6 febbraio 2017, sono in Iran per indagini scientifiche nel sito archeologico, patrimonio dell’Umanità, e secondo per estensione dell’intero Medio Oriente. Giuseppe Ceraudo, Girolamo Fiorentino, Pierfrancesco Fabbri, Claudia Minniti, Veronica Ferrari e Paola Guacci, insieme al professor Enrico Ascalone dell’università di Copenhagen, conducono un progetto di ricerca multidisciplinare. L’accordo sottoscritto con l’Iran, nato per iniziativa di Francesca Baffi, docente di Archeologia e Storia dell’arte del Vicino Oriente antico, autorizza l’ateneo salentino a operare e sviluppare il progetto di ricerca di concerto con le competenti autorità iraniane. La convenzione conferma le ottime relazioni tra Teheran e Roma nel settore culturale e dimostra la volontà di un loro rafforzamento da parte della Repubblica islamica.  “Dal 1977 Shahr-i Sokhta”, spiegano i responsabili della missione, “è preclusa alla attività di ricerca di soggetti non iraniani: l’università del Salento, attraverso il dipartimento di Beni culturali, è dunque la prima istituzione non iraniana a essere coinvolta in indagini scientifiche nel sito dalla nascita della Repubblica Islamica”.

Il primo scavo sistematico di Shahr-e Sokhta fu diretto da Maurizio Tosi (Ismeo) dal 1967

Il primo scavo sistematico di Shahr-e Sokhta fu diretto da Maurizio Tosi (Ismeo) dal 1967

Una visione zenitale di Shahr-e Sokhta, sito frequentato dalla fine del IV all'inizio del II millennio a.C., che si estende su oltre 150 ettari

Una visione zenitale di Shahr-e Sokhta, sito frequentato dalla fine del IV all’inizio del II millennio a.C., che si estende su oltre 150 ettari

Il sito di Shahr-e Sokhta si estende su un’area di 151 ettari e rappresenta una delle più antiche e ampie città del mondo. L’insediamento si è sviluppato intorno al 3200 a.C. La sequenza cronologica della città è stata divisa in quattro periodi e dodici fasi.  Nel corso della sua storia, ha subito almeno tre incendi, prima del completo abbandono del 1800 a.C. Portata alla luce nel 1915 dal britannico Orwell Stein, la città culla di una civiltà misteriosa e abitata tra il 3200 e il 1800 a.C., negli anni Sessanta del Novecento fu teatro del lavoro di una squadra di archeologi italiani, dell’Istituto per gli Studi Orientali e del Medioriente. Lo scavo sistematico è iniziato nel 1967 con l’archeologo ed esploratore italiano Maurizio Tosi. Gli italiani portarono alla luce oltre 200 tombe prima che il loro progetto venisse interrotto nel 1977. La popolazione viveva essenzialmente di commercio e di agricoltura. Le donne vivevano il doppio degli uomini. Lo hanno annunciato nel giugno 2009 gli archeologi iraniani: gli uomini della città morivano tra l’età di 35 e 45 anni, mentre le donne arrivavano pure agli 80 anni. Perciò la popolazione femminile era certamente superiore a quella maschile. La popolazione complessiva di Shahr-e Sokhta variava tra le 5mila e le 6mila unità. Il fatto che non siano state rinvenute armi nel sito ha suggerito la natura pacifica degli abitanti della città. Le ragioni della repentina scomparsa della città non sono ancora del tutto chiare. Nel 1997, gli esperti dell’Organizzazione iraniana per il Patrimonio Culturale (Ichto)  iraniano hanno ripreso gli scavi nell’antico sito; vennero esaminate le zone più colpite dall’incendio fatale e più tardi, nel 1999, gli scavi inclusero pure le aree residenziali. Gran parte dei settori studiati, databili tra il 2700 e il 2300 a.C., hanno riportato alla luce centinaia di oggetti ed utensili che sono stati sottoposti allo studio dei ricercatori dell’Ichto.

Il calice di argilla con la sequenza della capra, primo "cartone animato", scoperto nel 1983

Il calice di argilla con la sequenza della capra, primo “cartone animato”, scoperto nel 1983

Una sepoltura scoperta nel sito iraniano di Shahr-e Sokhta

Una sepoltura scoperta nel sito iraniano di Shahr-e Sokhta

Le scoperte più famose (in parte italiane) a Shahr-e Sokhta. Di certo la più famosa è il calice del cosiddetto “cartone animato”. Si tratta di un calice di argilla color crema, trovato nel 1983 da archeologi italiani in una tomba di 5mila anni fa, in cui ci sono cinque immagini consecutive che mostrano il movimento di una capra che si sta spostando verso un albero per mangiare le sue foglie. In pratica, facendo girare velocemente il calice e guardandolo, si può vedere quella che è stata la prima esperienza umana delle immagini animate. C’è poi la protesi all’occhio della principessa: nel dicembre 2006, gli studiosi hanno dissotterrato un bulbo oculare artificiale che apparteneva allo scheletro di una donna di 182 cm, probabilmente una principessa vissuta tra il 2900 ed il 2800 a.C.; il bulbo oculare ha una forma sferica con un diametro di poco più di 2,5 cm ed è di materiale leggero; la superficie è coperta con un sottile strato d’oro, inciso con un cerchio centrale per rappresentare la pupilla. L’occhio veniva tenuto fermo con un filo d’oro, che passava attraverso piccoli fori realizzati su entrambi i lati dell’occhio. Tra le curiosità, è stato rinvenuto il Backgammon più antico del mondo, completo con tanto di dadi e semi di cumino usati per giocare.