Iran. Dopo 40 anni gli archeologi italiani tornano a Shahr-e Sokhta. Missione multidisciplinare dell’università del Salento nella Città Bruciata, il sito archeologico più esteso del Medio Oriente (oltre 150 ettari) scavata per la prima volta da Tosi (Ismeo) nel 1967

La collina di Shahr-e Sokhta, nel sud-est dell’Iran, sito dell’età del Bronzo nella valle dell’Helmand
Obiettivo Shahr-e Sokhta. Gli archeologi italiani tornano a fare ricerche dopo 40 anni nel sito della “Città Bruciata”, tra i più misteriosi e ricchi dell’Età del Bronzo, un insediamento urbano attribuibile alla Cultura di Jiroft, che si trova nella regione sud-orientale dell’Iran (non lontano dai confini con Pakistan e Afghanistan), sul corso del fiume Helmand, lungo la strada che congiunge Zahedan a Zabol, nella regione del Sistan Balucistan. Docenti e ricercatori del dipartimento di Beni culturali dell’università del Salento, fino al 6 febbraio 2017, sono in Iran per indagini scientifiche nel sito archeologico, patrimonio dell’Umanità, e secondo per estensione dell’intero Medio Oriente. Giuseppe Ceraudo, Girolamo Fiorentino, Pierfrancesco Fabbri, Claudia Minniti, Veronica Ferrari e Paola Guacci, insieme al professor Enrico Ascalone dell’università di Copenhagen, conducono un progetto di ricerca multidisciplinare. L’accordo sottoscritto con l’Iran, nato per iniziativa di Francesca Baffi, docente di Archeologia e Storia dell’arte del Vicino Oriente antico, autorizza l’ateneo salentino a operare e sviluppare il progetto di ricerca di concerto con le competenti autorità iraniane. La convenzione conferma le ottime relazioni tra Teheran e Roma nel settore culturale e dimostra la volontà di un loro rafforzamento da parte della Repubblica islamica. “Dal 1977 Shahr-i Sokhta”, spiegano i responsabili della missione, “è preclusa alla attività di ricerca di soggetti non iraniani: l’università del Salento, attraverso il dipartimento di Beni culturali, è dunque la prima istituzione non iraniana a essere coinvolta in indagini scientifiche nel sito dalla nascita della Repubblica Islamica”.

Una visione zenitale di Shahr-e Sokhta, sito frequentato dalla fine del IV all’inizio del II millennio a.C., che si estende su oltre 150 ettari
Il sito di Shahr-e Sokhta si estende su un’area di 151 ettari e rappresenta una delle più antiche e ampie città del mondo. L’insediamento si è sviluppato intorno al 3200 a.C. La sequenza cronologica della città è stata divisa in quattro periodi e dodici fasi. Nel corso della sua storia, ha subito almeno tre incendi, prima del completo abbandono del 1800 a.C. Portata alla luce nel 1915 dal britannico Orwell Stein, la città culla di una civiltà misteriosa e abitata tra il 3200 e il 1800 a.C., negli anni Sessanta del Novecento fu teatro del lavoro di una squadra di archeologi italiani, dell’Istituto per gli Studi Orientali e del Medioriente. Lo scavo sistematico è iniziato nel 1967 con l’archeologo ed esploratore italiano Maurizio Tosi. Gli italiani portarono alla luce oltre 200 tombe prima che il loro progetto venisse interrotto nel 1977. La popolazione viveva essenzialmente di commercio e di agricoltura. Le donne vivevano il doppio degli uomini. Lo hanno annunciato nel giugno 2009 gli archeologi iraniani: gli uomini della città morivano tra l’età di 35 e 45 anni, mentre le donne arrivavano pure agli 80 anni. Perciò la popolazione femminile era certamente superiore a quella maschile. La popolazione complessiva di Shahr-e Sokhta variava tra le 5mila e le 6mila unità. Il fatto che non siano state rinvenute armi nel sito ha suggerito la natura pacifica degli abitanti della città. Le ragioni della repentina scomparsa della città non sono ancora del tutto chiare. Nel 1997, gli esperti dell’Organizzazione iraniana per il Patrimonio Culturale (Ichto) iraniano hanno ripreso gli scavi nell’antico sito; vennero esaminate le zone più colpite dall’incendio fatale e più tardi, nel 1999, gli scavi inclusero pure le aree residenziali. Gran parte dei settori studiati, databili tra il 2700 e il 2300 a.C., hanno riportato alla luce centinaia di oggetti ed utensili che sono stati sottoposti allo studio dei ricercatori dell’Ichto.
Le scoperte più famose (in parte italiane) a Shahr-e Sokhta. Di certo la più famosa è il calice del cosiddetto “cartone animato”. Si tratta di un calice di argilla color crema, trovato nel 1983 da archeologi italiani in una tomba di 5mila anni fa, in cui ci sono cinque immagini consecutive che mostrano il movimento di una capra che si sta spostando verso un albero per mangiare le sue foglie. In pratica, facendo girare velocemente il calice e guardandolo, si può vedere quella che è stata la prima esperienza umana delle immagini animate. C’è poi la protesi all’occhio della principessa: nel dicembre 2006, gli studiosi hanno dissotterrato un bulbo oculare artificiale che apparteneva allo scheletro di una donna di 182 cm, probabilmente una principessa vissuta tra il 2900 ed il 2800 a.C.; il bulbo oculare ha una forma sferica con un diametro di poco più di 2,5 cm ed è di materiale leggero; la superficie è coperta con un sottile strato d’oro, inciso con un cerchio centrale per rappresentare la pupilla. L’occhio veniva tenuto fermo con un filo d’oro, che passava attraverso piccoli fori realizzati su entrambi i lati dell’occhio. Tra le curiosità, è stato rinvenuto il Backgammon più antico del mondo, completo con tanto di dadi e semi di cumino usati per giocare.
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