Udine. Alla Casa della Contadinanza la conferenza “Gli ‘aquiloni del deserto’ e la caccia preistorica alle gazzelle nel deserto di Palmira (Siria)” con Daniele Morando Bonacossi (università di Udine) del ciclo di incontri a corollario della mostra “Dal Centro dell’Impero. Nuove scoperte archeologiche dell’Università di Udine nell’Antica Assiria” al Castello
“Gli ‘aquiloni del deserto’ e la caccia preistorica alle gazzelle nel deserto di Palmira (Siria)” è il titolo della conferenza del professor Daniele Morando Bonacossi (università di Udine) nell’ambito della mostra “Dal centro dell’impero. Nuove scoperte archeologiche dell’università di Udine nell’antica Assiria” al museo Archeologico al Castello di Udine (vedi Udine. Al museo Archeologico al Castello apre la mostra “Dal centro dell’Impero. Nuove scoperte archeologiche dell’università di Udine nell’antica Assiria” | archeologiavocidalpassato). Appuntamento martedì 21 marzo 2023, alle 18, alla Casa della Contadinanza. E questo il quinto incontro del ciclo che si propone di avvicinare il grande pubblico alla conoscenza dell’impero assiro e dell’antico Vicino Oriente, risultato della collaborazione fra il Dipartimento di Studi umanistici e del Patrimonio culturale dell’università di Udine e il museo Archeologico di Udine con il sostegno della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia. L’esposizione e gli eventi sono a cura di Daniele Morandi Bonacossi, Francesca Simi, Luigi Turri e Paola Visentini. Gli incontri di divulgazione sono aperti al pubblico e ad accesso libero e si tengono alla Casa della Contadinanza sul colle del castello (vedi Udine. Alla Casa della Contadinanza la conferenza “Gilgamesh e la scoperta del Diluvio Universale” con Luigi Turri (università di Verona) del ciclo di incontri a corollario della mostra “Dal Centro dell’Impero. Nuove scoperte archeologiche dell’Università di Udine nell’Antica Assiria” al Castello | archeologiavocidalpassato).
Questo video è realizzato per la mostra “Dal centro dell’Impero. Nuove scoperte archeologiche dell’università di Udine nell’antica Assiria” ospitata dai Civici Musei Udine al castello di Udine. “L’università di Udine”, spiega il prof. Daniele Morandi Bonacossi, “opera nello straordinario sito di Faida, nel Kurdistan iracheno, dal 2019 insieme alla Direzione generale dell’antichità di Duhok. Si tratta di un canale di 10 km scavato probabilmente tra la fine dell’VIII e gli inizi del VII secolo a.C. per portare le acque che sgorgavano dalle risorgenti carsiche alla base di una collina e portarle ai campi dove l’acqua scarseggiava. Lungo la sponda sinistra sono stati individuati 13 rilievi con delle scene che raffiguravano un sovrano assiro rappresentato due volte (a sinistra e a destra del pannello) di fronte alle sette divinità del pantheon assiro”.
Udine. Al museo Archeologico al Castello apre la mostra “Dal centro dell’Impero. Nuove scoperte archeologiche dell’università di Udine nell’antica Assiria”

Il ritratto di Sennacherib in un rilievo rupestre assiro di Khinis nel Kurdistan iracheno (foto LoNAP)

Dal 17 dicembre 2022 al 30 aprile 2023, al Castello di Udine, la nuova mostra archeologica “Dal centro dell’Impero. Nuove scoperte archeologiche dell’università di Udine nell’antica Assiria” porterà i visitatori nel cuore dell’antica Assiria, il primo impero globale della storia. Le ricerche condotte dall’ateneo friulano nella Regione del Kurdistan in Iraq, nel cuore dell’Assiria (vedi Svelato giallo archeologico. In Kurdistan iracheno la missione dell’università di Udine ha scoperto il luogo della battaglia di Gaugamela (330 a.C.) dove Alessandro Magno sconfisse il re persiano Dario III. Evento cruciale che fece nascere l’Ellenismo. Col progetto “Terre di Ninive” in sette anni mappati 1100 siti archeologici | archeologiavocidalpassato), e le straordinarie scoperte effettuate nelle pianure dell’alta Mesopotamia (vedi Dieci imponenti rilievi rupestri raffiguranti il sovrano Sennacherib e i grandi dei d’Assiria: è l’ultima grande scoperta della missione archeologica dell’università di Udine e della direzione delle Antichità di Duhok nel Kurdistan iracheno con il progetto Terre di Ninive. La presentazione dei risultati a Roma | archeologiavocidalpassato; Grandi dei e sovrani scolpiti nella roccia lungo un imponente canale d’irrigazione: la grande scoperta dell’università di Udine nel Kurdistan iracheno illustrata a Roma. Il team di Daniele Morandi Bonacossi impegnato in una missione dove l’archeologia diventa strumento di cooperazione internazionale per la protezione del patrimonio culturale minacciato dell’Iraq | archeologiavocidalpassato) hanno contribuito a gettare luce su aspetti fino ad oggi poco o per nulla noti del processo formativo dell’impero assiro, consentendo di comprendere come l’élite imperiale abbia gestito l’organizzazione territoriale dell’Assiria attraverso la creazione di una vasta rete d’infrastrutture imperiali (vedi Svelato giallo archeologico. In Kurdistan iracheno la missione dell’università di Udine ha scoperto il luogo della battaglia di Gaugamela (330 a.C.) dove Alessandro Magno sconfisse il re persiano Dario III. Evento cruciale che fece nascere l’Ellenismo. Col progetto “Terre di Ninive” in sette anni mappati 1100 siti archeologici | archeologiavocidalpassato). La mostra presenterà al grande pubblico i risultati scientifici e le scoperte archeologiche più importanti effettuate dagli archeologi friulani durante questa ricerca attraverso un serrato e innovativo dialogo fra materiali documentari, reperti archeologici, immagini fotografiche e materiali multimediali che renderà concretamente comprensibili le scoperte presentate.
Paestum, XXIII Borsa mediterranea del Turismo archeologico: ecco le 5 scoperte archeologiche (in Cambogia, Iraq, Israele e due in Italia) candidate alla vittoria della sesta edizione dell’International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad”. Anche il pubblico può votarle su Facebook per lo “Special Award”

La locandina della sesta edizione dell’International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad”
Le cinque scoperte archeologiche del 2019, candidate alla vittoria della sesta edizione dell’International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad”, sono: Cambogia, la città perduta di Mahendraparvata capitale dell’impero Khmer nella foresta sulle colline di Phnom Kulen a nord-est di Angkor; Iraq, nel Kurdistan presso il sito di Faida, a 50 km da Mosul, dieci rilievi rupestri assiri, gli dei dell’Antica Mesopotamia; Israele, a Motza a 5 km a nord-ovest di Gerusalemme una metropoli neolitica di 9.000 anni fa; Italia, a Roma la Domus Aurea svela un nuovo tesoro, la Sala della Sfinge; Italia, nell’antica città di Vulci una statua di origine etrusca raffigurante un leone alato del VI secolo a.C. Lo hanno annunciato la Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico e Archeo che hanno inteso dare il giusto tributo alle scoperte archeologiche attraverso un Premio annuale assegnato in collaborazione con le testate internazionali, tradizionali media partner della Borsa: Antike Welt (Germania), Archéologia (Francia), as. Archäologie der Schweiz (Svizzera), Current Archaeology (Regno Unito), Dossiers d’Archéologie (Francia), da quest’anno anche con British Archaeology (Regno Unito) la testata del prestigioso Council for British Archaeology. Il direttore della Borsa Ugo Picarelli e il direttore di Archeo Andreas Steiner hanno condiviso questo cammino in comune, consapevoli che “le civiltà e le culture del passato e le loro relazioni con l’ambiente circostante assumono oggi sempre più un’importanza legata alla riscoperta delle identità, in una società globale che disperde sempre più i suoi valori”. Il Premio, dunque, si caratterizza per divulgare uno scambio di esperienze, rappresentato dalle scoperte internazionali, anche come buona prassi di dialogo interculturale. Il Premio sarà assegnato alla scoperta archeologica prima classificata, secondo le segnalazioni ricevute da ciascuna testata. La cerimonia di consegna si svolgerà venerdì 20 novembre 2020 in occasione della XXIII BMTA, a Paestum dal 19 al 22 novembre 2020. Inoltre, sarà attribuito uno “Special Award” alla scoperta, tra le cinque candidate, che avrà ricevuto il maggior consenso dal grande pubblico nel periodo 1° giugno – 30 settembre 2020 sulla pagina Facebook della Borsa (www.facebook.com/borsamediterraneaturismoarcheologico).

Il più antico relitto intatto del mondo (risale a 2400 anni fa) scoperto nelle acque del mar Nero (Bulgaria) (foto-rodrigo-pacheco-ruiz)
Edizioni precedenti. Nel 2015 il Premio è stato assegnato a Katerina Peristeri, responsabile degli scavi, per la scoperta della Tomba di Amphipolis (Grecia); nel 2016 all’INRAP Institut National de Recherches Archéologiques Préventives (Francia), nella persona del presidente Dominique Garcia, per la scoperta della Tomba celtica di Lavau; nel 2017 a Peter Pfälzner, direttore della missione archeologica, per la scoperta della città dell’Età del Bronzo presso il villaggio di Bassetki nel nord dell’Iraq; nel 2018 a Benjamin Clément, responsabile degli scavi, per la scoperta della “piccola Pompei francese” di Vienne; nel 2019 a Jonathan Adams, responsabile del Black Sea Maritime Archaeology Project (MAP), per la scoperta nel mar Nero del più antico relitto intatto del mondo, alla presenza di Fayrouz, la figlia archeologa di Khaled al-Asaad.
L’International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad” – giunto alla sesta edizione e intitolato all’archeologo di Palmira, che ha pagato con la vita la difesa del patrimonio culturale – è l’unico riconoscimento a livello mondiale dedicato al mondo dell’archeologia e in particolare ai suoi protagonisti, gli archeologi, che con sacrificio, dedizione, competenza e ricerca scientifica affrontano quotidianamente il loro compito nella doppia veste di studiosi del passato e di professionisti a servizio del territorio. Così lo ricorda l’archeologo Paolo Matthiae: “Khaled al-Asaad è stato per quarant’anni il direttore degli scavi archeologici di Palmira. Era l’archeologo della città, ha collaborato con missioni di ogni Paese: dalla Francia alla Germania, dalla Svizzera all’Olanda, dagli Stati Uniti alla Polonia e da ultimo anche con l’Italia, con la missione statale di Milano. Era uno studioso completo, ma soprattutto era una persona tipica delle famiglie delle città del deserto. Questo tipo di uomini, come i beduini di un tempo, sono caratterizzati da una amabilità, da una cortesia e da un’ospitalità straordinaria che per loro è del tutto naturale. Non eccessiva, ma misurata e discreta, Khaled al-Asaad era una persona di grandissima amabilità, misura e gentilezza d’animo. Anche archeologi che non si occupano di quel periodo, cioè di antichità romane, andavano di frequente a Palmira in visita e la disponibilità di Khaled era totale. Era una personalità fortemente radicata nella città, ma per il carattere internazionale del sito che gestiva era una sorta di cittadino del mondo. In varie occasioni il suo nome era stato proposto per il ruolo di direttore generale delle antichità a Damasco, ma credo che lui preferisse rimanere a Palmira, una città con la quale si identificava”. E conclude: “Khaled era talmente sicuro di fare soltanto il suo mestiere che non riteneva di avere motivo di fuggire. E per come lo ricordo non era persona che temesse per la propria vita. Pur essendo in pensione, aveva quasi 82 anni, ha preferito rimanere nella sua città proprio perché ha capito che le antichità correvano dei rischi. E probabilmente ha immaginato che la sua indiscussa autorevolezza morale potesse proteggere maggiormente quello che c’era e c’è tuttora a Palmira: le rovine di un sito archeologico assolutamente straordinari per tutto il Mediterraneo e per tutto il mondo”.
Cambogia: la città perduta di Mahendraparvata capitale dell’impero Khmer nella foresta sulle colline di Phnom Kulen a nord-est di Angkor. Grazie alla tecnica di telerilevamento laser aviotrasportata (LIDAR) e spedizioni sul campo, un team di ricerca internazionale guidato da scienziati della ADF Archaeology & Development Foundation di Londra è riuscito a far emergere nella sua interezza la spettacolare città perduta di Mahendraparvata, che nel IX secolo d.C. si estendeva per ben 50 kmq, tratteggiandone una mappa dettagliata e scoprendo numerosi altri siti nascosti. La Fondazione sin dal 2008 è impegnata nel “Phnom Kulen Program” a stretto contatto con la National Authority for the Protection and Management of Angkor and the Region of Siem Reap (APSARA National Authority) e i colleghi dell’Ecole Française d’Extreme-Orient di Parigi. Jean-Baptiste Chevance assieme a Damian Evans dell’University of Sydney’s Overseas Research Centre a Siem Reap-Angkor, fu il primo a scoprirla sepolta sotto la foresta della Cambogia per secoli, incastonata sul massiccio collinare di Phnom Kulen, a nord-est del sito archeologico di Angkor. L’antica città perduta fu una delle prime capitali del potente Impero Khmer, che dominò tra IX e il XV sec. nel Sud-Est asiatico. La sua influenza si estese oltre l’attuale Cambogia, abbracciando anche una porzione estesa del Vietnam, del Laos e della Thailandia. Benché fiorente, Mahendraparvata non durò a lungo come capitale dell’Impero Khmer. I regnanti decisero, infatti, di spostare rapidamente la capitale ad Angkor, che si trovava in un luogo più pianeggiante e dunque decisamente più favorevole per la coltivazione dei prodotti alimentari e l’allevamento del bestiame.

Scoperti in Kurdistan dieci rilievi rupestri assiri con gli antichi dei delal Mesopotamia (foto Bmta)
Iraq: nel Kurdistan dieci rilievi rupestri assiri, gli dei dell’Antica Mesopotamia. Presso il sito archeologico di Faida, 20 km a sud della città di Duhok e 50 km da Mosul 10 rilievi rupestri assiri dell’VIII-VII secolo a.C. portati alla luce, dal team di archeologi “Land of Nineveh Archaeological Project”, coordinato da Daniele Morandi Bonacossi dell’università di Udine con la direzione delle Antichità di Duhok guidata da Hasan Ahmed (vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2019/12/10/grandi-dei-e-sovrani-scolpiti-nella-roccia-lungo-un-imponente-canale-dirrigazione-la-grande-scoperta-delluniversita-di-udine-nel-kurdistan-iracheno-illustrata-a-roma-il-team-di-dan/). Si tratta di pannelli imponenti, grandi 5 mt e larghi 2 mt, scolpiti lungo un antico canale d’irrigazione lungo quasi 7 km, alimentato da un sistema di risorgenti carsiche, oggi sepolto sotto spessi strati di terra depositati dall’erosione del fianco della collina. Ma nell’antichità dal canale si diramava una rete di canali più piccoli, che consentivano di irrigare i campi circostanti, rendendo ancora più fertile le campagne coltivate nell’entroterra di Ninive, capitale dell’impero. La mitologia assira raffigurata sulla roccia è un campionario significativo di divinità e animali sacri. Le figure divine rappresentano il dio Assur, la principale divinità del pantheon assiro, su un dragone e un leone con corna, sua moglie Mullissu, seduta su un elaborato trono sorretto da un leone, il dio della Luna, Sin, anch’egli su un leone con corna, il dio della Sapienza, Nabu, su un dragone, il dio del Sole, Shamash, su un cavallo, il dio della Tempesta, Adad, su un leone con corna e un toro e Ishtar, la dea dell’Amore e della Guerra su un leone.
Israele: a Motza a 5 km a nord-ovest di Gerusalemme una metropoli neolitica di 9mila anni fa. È la prima volta che in Israele si scopre un sito di questa portata, circa 4.000 mq, risalente al periodo neolitico, dove vivevano 2/3.000 residenti e per gli standard dell’epoca possiamo parlare di una vera e propria metropoli. Grandi edifici residenziali con pavimenti in gesso, strutture pubbliche, spazi dedicati al culto e sepolture, con la presenza di vialetti, testimonianza di un livello di pianificazione architettonica e urbanistica avanzata e ariosa. Le case erano costruite con mattoni di terra, disintegrati da molto tempo, ma le fondamenta degli edifici in grandi mattoni di pietra sono ancora visibili. Dai reperti si evince che gli abitanti avevano relazioni commerciali e culturali con popolazioni dell’Anatolia, dell’Egitto e della Siria. Alla luce luoghi di sepoltura, che si trovavano dentro e tra le case, nei quali erano collocate varie offerte funerarie, strumenti utili o preziosi: oggetti di ossidiana (vetro vulcanico nero) proveniente dall’Anatolia e di conchiglie dal Mediterraneo e dal Mar Rosso, braccialetti in pietra calcarea e in madreperla, medaglioni e monili d’alabastro lunghi 2,5 cm provenienti, probabilmente, dal vicino antico Egitto. I resti del villaggio indicano anche la presenza di magazzini contenenti una grande quantità di semi di legumi, soprattutto lenticchie in buono stato di conservazione, che prova il ricorso a pratiche di agricoltura intensiva. Le ossa di animali domestici, essenzialmente capre, evidenziano che la popolazione locale si era sempre più specializzata nell’allevamento, a scapito della caccia. La scoperta del sito è avvenuta in occasione di importanti lavori stradali, per cui il progetto è stato finanziato dalla Società Israeliana delle Infrastrutture e dei Trasporti “Netivei Israel” con la direzione di Hamoudi Khalaily e Jacob Vardi dell’IAA Israel Antiquities Authority.
Italia: a Roma la Domus Aurea svela un nuovo tesoro, la Sala della Sfinge. Sontuosa e interamente decorata torna alla luce dopo 2000 anni, durante il restauro della volta della sala 72 della Domus Aurea, una delle 150 dell’immensa dimora diffusa che l’imperatore Nerone si fece costruire nel 64 d.C. dopo il grande incendio che aveva devastato Roma, con superbi padiglioni che si susseguivano senza soluzione di continuità, sul modello delle regge tolemaiche, da un colle all’altro della capitale dell’Impero Romano (vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2020/04/22/iorestoacasa-gli-artisti-del-rinascimento-tra-cui-raffaello-scoprirono-le-pitture-della-domus-aurea-attraverso-unapertura-lo-stesso-e-capitato-anche-agli-archeologi-moderni/). La scoperta è il frutto della strategia dedicata alla tutela e alla ricerca scientifica, e messa a punto dal Direttore del Parco Archeologico del Colosseo, Alfonsina Russo. Larga parte della nuova sala, che ha la pianta rettangolare ed è chiusa da una volta a botte anch’essa fittamente decorata, sia ancora interrata, sepolta sotto quintali di terra su ordine degli architetti di Traiano (che proprio qui, sopra la reggia dell’odiato Nerone, fece costruire un complesso termale) e in qualche modo destinata a rimanere tale, in quanto per ragioni di stabilità non è prevista per il momento la rimozione della terra. Quello che emerge racconta già molto di questa grande stanza, che anche ai tempi di Nerone doveva essere non molto illuminata e che per questo si decise di decorare con un fondo bianco, sul quale risaltano eleganti figurine suddivise in riquadri bordati di rosso o di giallo oro. In un quadrato il dio Pan, in un altro un personaggio armato di spada, faretra e scudo che combatte con una pantera, in un altro la piccola sfinge, che svetta su un piedistallo. E poi creature acquatiche stilizzate, reali o fantastiche, accenni di architetture come andava all’epoca, ghirlande vegetali e rami con delicate foglioline verdi, gialle, rosse, festoni di fiori e frutta, uccellini in posa. Proprio questo tipo di decorazione, che si ritrova anche nella Domus di Colle Oppio e in altre sale e ambienti della Reggia neroniana come il Criptoportico 92, porta gli esperti ad attribuire la Sala della Sfinge alla cosiddetta Bottega A, operante tra il 65 ed il 68 d.C.
Italia: nell’antica città di Vulci una statua di origine etrusca raffigurante un leone alato del VI secolo a.C. Vulci, una delle più grandi città-stato dell’Etruria con un forte sviluppo marinaro e commerciale nel territorio di Canino e di Montalto di Castro, in provincia di Viterbo, nella Maremma laziale, regala una nuova scultura durante l’ultima campagna di scavo alla necropoli dell’Osteria. Gli archeologi hanno rinvenuto una statua raffigurante un leone alato risalente al VI secolo a.C. La scoperta è avvenuta durante la fase di evidenziazione della stratigrafia orizzontale del terreno, in prossimità di alcune strutture funerarie sepolte nella necropoli. Il leone per il popolo etrusco era considerato fiero, possente e apotropaico, ossia aveva la funzione di allontanare dalle tombe profanatori, gli dei avversi e il fato. La scultura è una raffinata testimonianza di quella che fu una tradizione propria della produzione artistica vulcente del VI secolo a.C. In questo periodo botteghe vulcenti scolpirono sfingi, leoni, pantere, arieti, centauri e mostri marini, vigili guardiani della quiete eterna dei morti. Ma già intorno al 520 a.C. la produzione di queste statue venne a cessare, forse nel tentativo di porre un limite alle ostentazioni di lusso ormai ritenute inopportune. I lavori di scavo diretti da Simona Carosi della soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Roma, la provincia di Viterbo e l’Etruria meridionale si sono svolti presso l’area della necropoli dell’Osteria, dove a fine 2011 fu trovata la Sfinge di Vulci.
Grandi dei e sovrani scolpiti nella roccia lungo un imponente canale d’irrigazione: la grande scoperta dell’università di Udine nel Kurdistan iracheno illustrata a Roma. Il team di Daniele Morandi Bonacossi impegnato in una missione dove l’archeologia diventa strumento di cooperazione internazionale per la protezione del patrimonio culturale minacciato dell’Iraq

Daniele Morandi Bonacossi, direttore della missione dell’università di Udine, davanti al rilievo 4 scoperto a Faida, nel Kurdistan iracheno (foto Alberto Savioli / LoNAP)

Dettaglio del rilievo 8 di Faida con il corteo di animali che sorreggono le statute delle grandi divinità assire (foto Alberto Savioli / LoNAP)
Il sovrano assiro, stante, è al cospetto del sacro corteo: le statue di sette divinità su dei piedistalli procedono sul dorso di altrettanti animali. Sono il dio Assur, la principale divinità del pantheon assiro, su un dragone e un leone con corna; sua moglie Mullissu, seduta su un elaborato trono sorretto da un leone; il dio della luna, Sin, anch’egli su un leone con corna; il dio della sapienza, Nabu, su un dragone; il dio del sole, Shamash, su un cavallo; il dio della tempesta, Adad, su un leone con corna e un toro; e Ishtar, la dea dell’amore e della guerra su un leone. Gli animali che portano le statue delle divinità avanzano verso destra, nel senso della corrente dell’acqua che anticamente scorreva nel canale di Faida, nel Nord dell’Iraq, il Kurdistan iracheno. Proprio questi dieci imponenti rilievi rupestri raffiguranti il sovrano e i grandi dei d’Assiria lungo un grande canale d’irrigazione scavato nella roccia rappresentano l’ultimo eccezionale risultato delle ricerche della missione archeologica dell’università di Udine e della direzione delle Antichità di Duhok guidata dal professor Daniele Morandi Bonacossi e dal dottor Hasan Ahmed Qasim in una terra, la Mesopotamia del nord, cruciale per la storia rimasta inesplorata per decenni a causa della complessa situazione politica che l’ha caratterizzata fino ad anni recenti. Ricerca, tutela, restauri, valorizzazione, formazione e cooperazione internazionale sono i cardini di un progetto, presentato a Roma nella sede di rappresentanza della Regione Friuli-Venezia Giulia, sostenuto da Governo Regionale del Kurdistan – Iraq, Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, Fondazione Friuli, ArcheoCrowd e Agenzia italiana per la Cooperazione allo Sviluppo. Sono intervenuti Alessia Rosolen, assessore della Regione Friuli -Venezia Giulia a Istruzione, Ricerca e Università; Marina Brollo, delegata del rettore dell’università di Udine; Rezan Kader, Alto Rappresentante del Governo Regionale del Kurdistan- Iraq; Giuseppe Morandini, presidente della Fondazione Friuli; Paolo Bartorelli della Direzione Sistema Paese del Ministero degli Affari esteri e Cooperazione Internazionale; e Francesco Zorgno, presidente di ArcheoCrowd.

Veduta col drone dell’acquedotto assiro a Jerwan, nel Kurdistan iracheno (Foto Alberto Savioli /LoNAP)

Il logo del progetto archeologico regionale “Terre di Ninive” (“Land of Nineveh Archaeological Project”)
Una scoperta eccezionale, nata nell’ambito del progetto archeologico regionale “Terre di Ninive” (“Land of Nineveh Archaeological Project” – ParTeN) dell’università di Udine e della Direzione delle Antichità di Duhok guidata dal professor Daniele Morandi Bonacossi e dal dottor Hasan Ahmed Qasim, a sua volta collegata ad un’iniziativa di cooperazione internazionale della regione Friuli Venezia Giulia avviata nel 2012. “La Regione sostiene l’Università di Udine nel percorso di scoperta delle radici della nostra civiltà che si concentrano nella Mesopotamia”, ha ricordato l’assessore regionale alla Ricerca e Università, Alessia Rosolen. “È un dato importante perché credo che l’archeologia in un frangente diplomatico come questo e in un momento di nuove conoscenze sia fondamentale, da un lato per la trasversalità dei saperi che riesce a mettere in connessione, dall’altro per quella cooperazione internazionale che ci consente di iniziare davvero a parlare di diplomazia culturale e scientifica”. Per Rosolen “la collaborazione che l’università di Udine ha avuto con le università del Kurdisatn iracheno ci offre la possibilità di andare a tracciare una nuova identità del popolo iracheno e immaginare uno sviluppo della loro economia turistica”.

Veduta d’insieme col drone dell’area di scavo dei rilievi 5-10-6-7 a Faida, nel Kurdistan iracheno (foto Alberto Savioli / LoNAP)

Veduta dall’alto dello scavo dei rilievi 6 e 7 a Faida, nel Kurdistan iracheno (foto Alberto Savioli / LoNAP)
A tratteggiare gli aspetti salienti del progetto sono stati chiamati i protagonisti di questa cooperazione a partire da Rezan Kader, alto rappresentante del governo regionale del Kurdistan, che ha evidenziato come “sia stata salvata la radice dell’umanità di tutti quanti noi”. Di “trasversalità della ricerca” ha parlato Marina Brollo, delegata del Rettore dell’università di Udine per il trasferimento della conoscenza; Giuseppe Morandini, presidente della Fondazione Friuli Continuità, ha posto l’accento sulla determinazione, continuità e metodologia utilizzata impressa al progetto. Francesco Zorgno, presidente di ArcheoCrowd, è invece il partner privato che ha condiviso la finalità della difesa del patrimonio archeologico come investimento culturale. Paolo Andrea Bartorelli, capo ufficio VI della direzione generale per la promozione del sistema Paese, ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, ha evidenziato “il ruolo dell’Italia nella difesa del patrimonio dagli attentati sia del fondamentalismo islamico che della scarsa attenzione verso i siti in pericolo, sensibilizzando la comunità internazionale”.
La straordinaria scoperta della missione congiunta italo-curda nel sito archeologico di Faida (20 km a sud della città di Duhok, Kurdistan iracheno settentrionale) risale ai mesi di settembre e ottobre 2019. Gli archeologi hanno individuato dieci imponenti rilievi rupestri di epoca assira (VIII-VII secolo a.C.) scolpiti nella roccia lungo un antico canale d’irrigazione di quasi 7 km di lunghezza. Il canale di Faida, alimentato da un sistema di risorgenti carsiche, fu fatto probabilmente scavare dal sovrano assiro Sargon (720-705 a.C.) alla base di una collina. Oggi, il canale, che ha una larghezza media di 4 metri, è quasi completamente sepolto sotto spessi strati di terra depositati dall’erosione del fianco della collina. Dal canale principale si diramavano canali più piccoli, che consentivano di irrigare i campi circostanti e di aumentare la produzione agricola della campagna ubicata nell’entroterra di Ninive, la capitale dell’impero. Sono passati quasi duecento anni dall’ultima scoperta di rilievi rupestri assiri, monumenti estremamente rari, avvenuta nel 1845 in quest’area, per opera del console francese a Mosul, Simon Rouet, che scoprì i rilievi di Khinis e Maltai. Più recentemente, nel 1972, Julian Reade, un archeologo inglese del British Museum, aveva individuato l’ubicazione di tre bassorilievi sepolti lungo il canale, senza però poterli portare alla luce a causa dell’instabilità politica e militare che contraddistingueva la regione in quegli anni di aspro confronto fra i Peshmerga curdi e l’esercito del regime baathista.
Lungo il canale, il sovrano assiro fece scolpire grandi pannelli di quasi 5 metri di larghezza e 2 metri di altezza rappresentanti il sovrano assiro ai due lati di una serie di divinità stanti sui loro animali simbolo. Dalla terra che riempiva il canale emergeva solo la parte superiore dei pannelli scolpiti a rilievo, dei quali si intravvedeva la cornice superiore e, in alcuni casi, la sommità delle tiare indossate dalle divinità. Già nel 1972 Julian Reade, un archeologo inglese del British Museum, aveva individuato l’ubicazione di tre bassorilievi sepolti lungo il canale, senza però poterli portare alla luce a causa dell’instabilità politica e militare che contraddistingueva la regione in quegli anni di aspro confronto fra i Peshmerga curdi e l’esercito del regime baathista. Quarant’anni dopo, nell’agosto del 2012, durante la ricognizione archeologica condotta dal “Land of Nineveh Archaeological Project” dell’università di Udine diretto dal prof. Daniele Morandi Bonacossi, gli archeologi italiani individuavano sei nuovi rilievi lungo il canale di Faida. A sette anni di distanza, grazie alla collaborazione fra l’Università di Udine e la Direzione delle Antichità di Duhok e al sostegno del Consolato italiano a Erbil, i rilievi rupestri assiri di Faida sono stati finalmente portati alla luce.
Questo stupefacente complesso di opere d’arte rupestri uniche al mondo è però oggi parte di uno scenario ancora post-bellico, fortemente minacciato dal vandalismo, scavi clandestini e dall’espansione del vicino villaggio e delle sue attività produttive che lo hanno già gravemente danneggiato. Negli anni fra la nascita dello Stato Islamico come auto-proclamata entità statale nel 2014 e la sua sconfitta nel 2017, inoltre, i rilievi di Faida si sono trovati ad essere ubicati a soli 25 km dalla linea del fronte. Il progetto congiunto italo-curdo è dunque un intervento di salvataggio, che mira non solo a portare alla luce questi importantissimi rilievi assiri (dieci sono già stati scavati, ma molti altri attendono ancora di essere individuati ed esposti), ma anche a documentarli con tecnologie innovative, a restaurarli e soprattutto a proteggere questo sito archeologico assolutamente unico ed eccezionale. A conclusione dei lavori di scavo e restauro, sarà creato un parco archeologico dei rilievi assiri di Faida, che consentirà di aprire il canale e i suoi bassorilievi al turismo iracheno e internazionale, permettendo così la più vasta diffusione della loro conoscenza e una loro più adeguata protezione. In questo modo, il canale di Faida con i suoi meravigliosi rilievi si affiancherà agli altri canali, acquedotti e rilievi rupestri assiri (Khinis, Maltai e Shiru Maliktha, acquedotto di Jerwan) che il “Land of Nineveh Archaeological Project” ha già studiato e documentato, progettando il loro restauro e valorizzazione attraverso la creazione di un parco archeologico-ambientale del sistema idraulico assiro nella regione di Duhok ed elaborando il dossier necessario a sostenere la proposta di inserimento di questi straordinari beni culturali nella lista UNESCO del patrimonio dell’umanità.
Roma. Alla fiera “Più libri più liberi” Forum Editrice presenta le ricerche del progetto Terre di Ninive dell’università di Udine nel Kurdistan iracheno nell’incontro “Tutela e valorizzazione del patrimonio culturale nelle aree a rischio del Vicino Oriente. Il parco archeologico della regione di Duhok nel Kurdistan iracheno” con Matthiae, Morandi Bonacossi e Orazi, e con il libro “The Archaeological Environmental Park of Sennacherib’s Irrigation Network”

La locandina di “Più libri, più liberi”, la fiera nazionale della piccola e media editoria alla Nuvola di Roma-Eur
Dal 4 all’8 dicembre 2019 torna a Roma, nell’avveniristica cornice della Nuvola dell’Eur, Più libri più liberi, la fiera nazionale della piccola e media editoria. “E torniamo anche noi!”, ricordano a Forum, editrice universitaria udinese. “Ci trovate sempre agli stand B66-B68 con il coordinamento delle University Press Italiane, e venerdì 6 dicembre parleremo delle importanti ricerche del progetto della nostra Università Terre di Ninive”. E sarà presentato il libro di Roberto Orazi “The Archaeological Environmental Park of Sennacherib’s Irrigation Network” (Forum Editrice). La fiera Più libri più liberi si conferma come l’evento culturale più importante della Capitale – ormai sempre più riconosciuto sia a livello nazionale che internazionale – dedicato esclusivamente agli editori indipendenti italiani. Quest’anno oltre 520 espositori, provenienti da tutto il Paese, presentano al pubblico le novità e il proprio catalogo. Cinque giorni e più di 670 appuntamenti in cui ascoltare autori, assistere a letture, dibattiti, performance musicali e incontrare gli operatori professionali.

Tell Gomel, nel Kurdistan iracheno, il sito dell’antica Gaugamela, dove Alessandro Magno sconfisse Dario III nel 331 a.C. e completò la conquista dell’impero persiano (foto LoNAP)

La distribuzione dei siti archeologici rilevati dal progetto “Terra di Ninive” dell’università di Udine (foto LoNAP)
Il “Progetto Archeologico Regionale Terra di Ninive” è un’ampia ricerca interdisciplinare condotta dalla “Missione Archeologica Italiana in Assiria” (MAIA) dell’Università degli Studi di Udine. Il progetto mira a studiare il paesaggio archeologico della regione di Dohuk (Kurdistan Iracheno) e a documentare, tutelare e valorizzare lo straordinario patrimonio archeologico di questa regione posta nell’entroterra dell’antica capitale dell’impero assiro, Ninive (odierna Mosul). Attraverso la ricognizione archeologica di superficie di una regione di 3.000 kmq di estensione e lo scavo del sito di Tell Gomel (il sito dell’antica Gaugamela, dove Alessandro Magno sconfisse Dario III nel 331 a.C. e completò la conquista dell’impero persiano: vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2019/04/17/svelato-giallo-archeologico-in-kurdistan-iracheno-la-missione-delluniversita-di-udine-ha-scoperto-il-luogo-della-battaglia-di-gaugamela-330-a-c-dove-alessandro-magno-sconfisse-il-re-persi/), il progetto mira a ricostruire la formazione ed evoluzione del paesaggio culturale e naturale di una regione cruciale dell’antica Mesopotamia fra preistoria ed età islamica. Questa regione, mai esplorata da alcuna missione archeologica moderna, fu uno dei principali teatri della “rivoluzione agricola”, che diede origine alla moderna economia produttiva e fu il centro politico e geografico dell’Assiria, il primo impero globale della storia. Il suo studio ha ricadute non solo in ambito strettamente vicino orientale, ma è anche di assoluto rilievo per l’indagine dei grandi processi culturali che hanno caratterizzato il progresso delle società umane a partire dalle piccole comunità di cacciatori e raccoglitori preistorici fino alla formazione dei grandi centri urbani, degli stati territoriali e degli imperi nelle età del Bronzo e del Ferro.
Il secondo obbiettivo di MAIA consiste nella documentazione, conservazione e gestione degli straordinari monumenti archeologici presenti nella regione di Dohuk. Attraverso la stretta cooperazione con le autorità locali (Direzione Generale delle Antichità del Kurdistan, Direzione delle Antichità di Dohuk, Governatorato di Dohuk), la Task Force Iraq del Ministero degli Affari Esteri, l’UNESCO e il World Monuments Fund di New York, il progetto contribuisce in maniera determinante alla tutela e promozione dello straordinario patrimonio culturale della regione. L’imponente sistema irriguo costruito fra VIII e VII sec. a.C. dal re assiro Sennacherib, con i suoi monumentali rilievi rupestri, canali e i primi acquedotti in pietra della storia è stato documentato in maniera digitale e tridimensionale ed è in corso di valorizzazione. Con la Direzione delle Antichità di Dohuk sarà progettato l’inserimento del vasto complesso archeologico nella “World Heritage Tentative List” dell’UNESCO.

Il ritratto di Sennacherib in un rilievo rupestre assiro di Khinis nel Kurdistan iracheno (foto LoNAP)
Appuntamento venerdì 6 dicembre 2019, alle 16.30, in sala Marte, con l’incontro promosso da Forum Editrice “Tutela e valorizzazione del patrimonio culturale nelle aree a rischio del Vicino Oriente. Il parco archeologico della regione di Duhok nel Kurdistan iracheno” al quale intervengono Paolo Matthiae, decano degli archeologi assiriologi; Daniele Morandi Bonacossi dell’università di Udine, direttore del progetto Terre di Ninive; e Roberto Orazi del Cnr, coordinatore del gruppo dell’Ispc-Unid. Luogo cruciale per la storia nel nord dell’antica Mesopotamia, per molto tempo inesplorato a causa della complessa situazione politica, il Kurdistan Iracheno è al centro delle ricerche del Progetto Archeologico Regionale Terra di Ninive. In particolare gli studi sulla documentazione, tutela e valorizzazione dello straordinario patrimonio archeologico della regione di Dohuk costituito da enormi canali d’irrigazione, rilievi rupestri e dai primi acquedotti in pietra della storia sono raccolti in un dossier che propone l’inserimento di questo sofisticato sistema nella World Heritage Tentative List dell’UNESCO. Il progetto di valorizzazione del sito è nato dalla collaborazione tra l’università di Udine e l’istituto di scienze del patrimonio culturale-Ispc (Itabc) nell’ambito del progetto “Land of Nineveh Training Project for the Enhancement of the Cultural Heritage of the Kurdistan Region of Iraq” diretto dal prof. Daniele Morandi Bonacossi e affidato all’università di Udine dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (Aics).

Il libro di Roberto Orazi The Archaeological Park of Sennacherib’s Irrigation Network. Recording, Conservation and Management of the Cultural Heritage of the Northern Region of Iraqi Kurdistan” (Forum Editrice)

Un tratto dell’acquedotto di Sennacherib a Jerwan scoperto dalla missione archeologica dell’università di Udine nel progetto “Terre di Ninive” (foto LoNAP)
I risultati raggiunti dal gruppo di lavoro dell’Ispc-Unid, sotto il coordinamento dell’arch. Roberto Orazi, sono confluiti nel volume “The Archaeological Park of Sennacherib’s Irrigation Network. Recording, Conservation and Management of the Cultural Heritage of the Northern Region of Iraqi Kurdistan” di Roberto Orazi (Forum Editrice, Udine 2019, pp. 268, 80 euro), primo volume della collana Italian Archaeological Mission to the Kurdistan Region of Iraq (IAMKRI). Roberto Orazi si è occupato dello studio e del riuso del patrimonio architettonico con attività nel campo della ricerca, dell’insegnamento e del restauro sia in Italia che all’estero (Iran, Oman, Perù, Siria, Iraq). È autore di oltre sessanta pubblicazioni e monografie, tra cui Project to Restore the Monumental Complex of Khor-Rori (1997) e The Pavilion of the Forty Columns. Studies and Conservation at Isfahan (in stampa). Il sistema di canalizzazioni costruito dal sovrano assiro Sennacherib per portare acqua a Ninive e alla campagna circostante intorno al 700 a.C. costituisce forse il più rappresentativo esempio di patrimonio culturale monumentale del Kurdistan Iracheno. Canali, imponenti acquedotti in pietra, bassorilievi rupestri e iscrizioni commemorative sono sparsi su un territorio di tremila chilometri quadrati nella regione di Duhok, ma appartengono tutti alla stessa imponente impresa. Il volume, in inglese, è interamente dedicato alla documentazione, conservazione e valorizzazione del sistema irriguo di Sennacherib e alla redazione della proposta per l’inserimento del complesso nella lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO.
Svelato giallo archeologico. In Kurdistan iracheno la missione dell’università di Udine ha scoperto il luogo della battaglia di Gaugamela (330 a.C.) dove Alessandro Magno sconfisse il re persiano Dario III. Evento cruciale che fece nascere l’Ellenismo. Col progetto “Terre di Ninive” in sette anni mappati 1100 siti archeologici

Il prof. Daniele Morandi Bonacossi sul campo presso il sito neo-assiro di Chamarash, sulla sponda orientale del lago artificiale di Eski Mosul
È una delle battaglie che hanno segnato la storia: Gaugamela, 331 a.C. In una piana della Mesopotamia settentrionale, le truppe guidate da Alessandro Magno sconfiggono l’esercito persiano del re dei re Dario III, aprendo le porte dell’Oriente ai macedoni dalla Mezzaluna fertile all’altopiano iranico fino alla valle dell’Indo. Fu un evento cruciale: un mondo finiva e iniziava una nuova era, l’Ellenismo, fecondissimo momento di incontro culturale tra Oriente e Occidente. Ma a quasi 23 secoli dall’evento il luogo della battaglia è ancora in discussione, con gli storici e gli archeologi dubbiosi sull’interpretazione dei dati disponibili. Un giallo archeologico che ora è stato svelato dalle ricerche multidisciplinari della missione archeologica nel Kurdistan iracheno dell’università di Udine, guidata dal professore Daniele Morandi Bonacossi, dove è presente dal 2012 con il progetto “Land of Nineveh / Terre di Ninive”. La spedizione, sostenuta da ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale; Agenzia italiana per la Cooperazione allo Sviluppo; ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca; Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia; Fondazione Friuli, ha portato gli archeologi a una scoperta straordinaria: l’identificazione del sito di Gaugamela con l’attuale Tell Gomel, nei pressi dell’odierna Mosul – l’antica Ninive – nel Kurdistan iracheno. L’annuncio a Roma in un’affollatissima conferenza stampa, cui sono intervenuti Andrea Zannini, direttore del dipartimento di Studi umanistici e del Patrimonio culturale dell’università di Udine; Ettore Janulardo , ministero degli Affari Esteri e Cooperazione Internazionale; Ahmad A.H. Bamarni, ambasciatore della Repubblica dell’Iraq in Italia; Alessia Rosolen, assessore Istruzione, Ricerca, Università della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia; Daniele Morandi Bonacossi , direttore del “Land of Nineveh Archaeological Project” e ordinario di Archeologia del Vicino Oriente antico all’università di Udine.

Progetto “Terre di Ninive” in Kurdistan iracheno: mappatura dei 1100 siti individuati dalla missione dell’università di Udine
La spedizione archeologica dell’università di Udine, che coinvolge ogni anno circa 25 specialisti (archeologi, topografi, restauratori, archeobotanici, palinologi, esperti GIS,…) e diversi studenti, indaga la trasformazione del territorio dal Paleolitico al periodo islamico (da un milione di anni fa ad oggi) grazie ad una concessione di ricerca che copre un’area di 3mila kmq, una delle più ampie mai rilasciate in Iraq, che ha consentito al team di scoprire e mappare ben 1100 siti archeologici. Grazie alle riprese con droni, a ortofoto, allo studio della ceramica e agli scavi stratigrafici, è stata ricostruita la storia dell’insediamento e della demografia della regione, che risulta essere una delle zone della Mesopotamia con la più alta densità di siti archeologici (0,7 per chilometro quadrato). E il team del prof. Morandi ha ricevuto l’apprezzamento dell’ambasciatore della Repubblica dell’Iraq Ahmed Bamarni che ha commentato: “La squadra del prof. Daniele Morandi Bonacossi sta svolgendo un considerevole lavoro nella Regione del Kurdistan, e apprezziamo il loro impegno nel recupero del patrimonio culturale iracheno, come la recente identificazione del sito originale della Battaglia di Gaugamela, che vide la vittoria di Alessandro Magno sull’esercito persiano di Dario, evento che rappresenta uno dei momenti storici più significativi della storia regionale e mondiale”. E allora vediamo meglio questa eccezionale scoperta archeologica.
Cosa successe nella piana di Gaugamela nel 331 a.C.? Il re achemenide Dario III era già stato sconfitto da Alessandro Magno due anni prima, nel 333 a.C., a Isso, città costiera nell’Anatolia meridionale, al confine tra la Cilicia e la Siria, con la cattura della moglie, della madre e delle due figlie del re persiano che si era ritirato a Babilonia, per riorganizzare l’esercito. Di quella battaglia ci è rimasta una rappresentazione memorabile nel mosaico scoperto a Pompei nella Casa del Fauno, oggi conservato al museo Archeologico nazionale di Napoli. La vittoria di Isso aveva dato ad Alessandro il controllo dell’Asia Minore meridionale, e da lì aveva occupato la costa mediterranea dalla Fenicia fino all’Egitto, dove si era fatto consacrare faraone. E arriviamo all’autunno del 331 a.C. Le fonti disponibili sulla battaglia di Gaugamela non sono molte (Arriano con l’Anabasi di Alessandro; Quinto Curzio Rufo con Storie di Alessandro Magno; Diodoro Siculo con Biblioteca storica; Plutarco con Vita di Alessandro), e tutte di storici vissuti molti secoli dopo la spedizione di Alessandro in Asia. Non è quindi facile fare una ricostruzione fedele degli eventi, del numero di soldati e delle perdite della battaglia, ma almeno sul nome del luogo della battaglia sembrano concordare tutti: Gaugamela, nella Mesopotamia settentrionale.
Alessandro guada l’Eufrate senza trovare resistenza ed entra in Mesopotamia. Ma non punta direttamente su Babilonia. Sceglie la strada verso Nord che, una volta superate le colline, portava comunque alla città dove si era acquartierato Dario III. Ciò gli avrebbe reso più facile procurarsi foraggio e provviste, e non avrebbe fatto soffrire alle truppe il caldo estremo del percorso diretto. Alessandro passa anche il Tigri e si verifica un’eclisse lunare, ritenuto un presagio favorevole. E così decide di attaccare i persiani con la sua cavalleria. Alla vista del re macedone la cavalleria persiana fugge. I prigionieri riferiscono che Dario III non è lontano: è accampato a Gaugamela. Lo scontro è epocale. Alessandro riesce ad annullare il divario di forze in campo e a imporsi. Dario III riesce a fuggire ad Arbela (l’odierna Arbil), a un centinaio di chilometri a Est, convinto di poter ancora organizzare una resistenza che ormai appariva disperata anche agli occhi dei suoi più fedeli generali.
La scoperta del sito di Gaugamela. Le fonti – come si diceva – non concordano sul luogo della battaglia. Ma, grazie a un mix di storia antica e nuove tecnologie, filologia e GIS, remote sensing e lavoro sul campo, il team diretto dal prof. Morandi Bonacossi ha raccolto evidenze scientifiche sufficienti per individuare il luogo in cui il condottiero macedone trionfa sull’armata persiana. “La prova regina è lo studio filologico del toponimo del sito di Tell Gomel, che stiamo scavando”, spiega Morandi Bonacossi. È un percorso a ritroso che ci porta dai giorni nostri all’impero assiro. “Proprio sull’acquedotto di Jeruan, monumentale sistema d’irrigazione costruito dal re assiro Sennacherib nel 700 a.C. per portare l’acqua a Ninive e irrigare la pianura circostante”, continua il direttore della missione friulana, “troviamo in un’iscrizione cuneiforme celebrativa dell’epoca del re assiro Sennacherib (704-681 a.C.) che ricorda il sito di epoca assira Gammagara/Gamgamara. Da questo toponimo assiro deriva la dizione greca: da Gamgamara in greco la m diventa u e la r una l che ci dà Gaugamela. Il toponimo si mantiene nei secoli. Così lo troviamo trascritto in epoca medievale (IX sec. d.C.) con una storpiatura dal greco che dà Gogemal, toponimo che a sua volta subisce una corruzione in Gomel che è il nome del sito che stiamo scavando”.

Il rilievo del cavaliere rifacimento di età ellenistica di un precedente monumento assiro del complesso di Khinnis (Kurdistan iracheno) per celebrare la vittoria nella vicina Gaugamela
E poi ci sono i riscontri archeologici. “A ulteriore conferma, le nostre ricerche archeologiche hanno dimostrato che il sito di Gomel, dove si stanno concentrando le nostre ricerche, era solo un piccolissimo villaggio rurale poco prima dell’arrivo di Alessandro in Oriente, ma fu rifondato proprio alla fine del IV secolo a.C., quindi contemporaneamente alla battaglia, e da quel momento si sviluppò come un sito esteso e importante”. Ma non è tutto. Nelle vallate montuose circostanti, sono stati trovati alcuni monumenti rupestri con rilievi che potrebbero essere riconducibili alla presenza di Alessandro Magno. Due di questi potrebbero rappresentare proprio il condottiero a cavallo ed essere considerati monumenti celebrativi della vittoria di Gaugamela. Un rilievo si trova in una valletta della montagna che domina il sito di Gomel, nel complesso rupestre di Gali Zerdak, rilievo conosciuto, ma fortemente compromesso dal tempo e da recenti asportazioni vandaliche: si riesce a vedere una Nike alata che porge una corona a un cavaliere – che potrebbe essere Alessandro – proprio per la vicinanza all’iconografia che troviamo in pitture ellenistiche e tombe macedoni come a Kasta-Anfipoli. La rappresentazione di Gali Zerdak suggerisce agli archeologi friulani che questa potrebbe essere la montagna che, secondo le fonti, dopo la battaglia fu ribattezzata monte Nikatorion, “il monte della vittoria”. L’altro rilievo è ubicato a 20 chilometri di distanza dalla piana individuata come il campo della battaglia di Gaugamela: è il sito di Khinnis, noto dalla metà dell’Ottocento e leggibile ancora all’inizio del ‘900, danneggiato ancor prima dell’arrivo dell’Isis nella regione, più di recente studiato da Julian Reade, dove i re assiri avevano scolpito i loro volti. “Ma in periodo ellenistico”, riprende Morandi Bonacossi, “si interviene su questo rilievo celebrativo, un modo per dare continuità alla simbologia del monumento onorando il generale macedone: si cancella l’antica iscrizione in cuneiforme per aggiungere un cavaliere con la sarissa, la tipica picca macedone, molto simile a quella che vediamo impugnare ad Alessandro nel mosaico di Pompei”. C’è poi un terzo monumento, trovato nel raggio di pochi chilometri da Gomel: il rilievo di Nirok. “L’abbiamo scoperto nell’ambito del progetto Terre di Ninive, e riteniamo sia importantissimo per l’iconografia che rappresenta tre stelle o tre soli. È molto mal conservato, in gran parte distrutto in anni recenti, ma si riconosce il sole argeade o sole di Verghina, simbolo della dinastia macedone”.
Iraq. I miliziani hanno distrutto le porte dell’antica Ninive. L’allarme del prof. Brusasco era fondato. Le prime immagini della devastazione sulla pagina Fb di Archeologia Viva

Una delle immagini pubblicate sulla pagina Fb di Archeologia Viva: un cumulo di macerie al posto della porta di Nergal
Mancavano le prove. Ora ci sono anche quelle: le porte monumentali dell’antica Ninive sono state distrutte dai miliziani dello Stato islamico. L’allarme lanciato attraverso la pagina Facebook della rivista Archeologia Viva (Giunti Editore) dal prof. Paolo Brusasco, archeologo orientalista dell’università di Genova, sulle notizie (da fonti sicure) della distruzione delle mura di Ninive, il sito archeologico dove oggi sorge la città di Mosul, nel Kurdistan iracheno, è stato confermato (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2016/04/13/iraq-le-mura-di-ninive-sotto-attacco-dellisis-lallarme-in-un-post-del-prof-brusasco-archeologo-orientalista-sulla-pagina-fb-di-archeologia-viva-i-miliziani-ne/). Ora ci sono le immagini, drammatiche. E ancora una volta è la pagina Facebook di Archeologia Viva a pubblicare le prime foto delle devastazioni compiute nel celebre sito archeologico iracheno. I miliziani dell’Isis hanno inferto pesanti distruzioni alle porte di Mashki e di Nergal a Ninive, la capitale neoassira di Sennacherib e Assurbanipal. In queste immagini si vedono i resti della Porta di Nergal con in lontananza un bulldozer. Anche di quella di Mashki non sembra rimanere più nulla come si evince dalle rovine in secondo piano dietro il cartello che indica la porta stessa. Fonti locali, riferisce il post di Archeologia Viva, sostengono che lo Stato Islamico starebbe spianando anche dei tratti delle poderose fortificazioni.
Secondo il prof. Brusasco, “queste distruzioni intenzionali, che non sono nemmeno “giustificate” dal pretesto dell’attacco ai “falsi idoli” visto che le porte in questione (a parte quella di Nergal) non avevano tori alati androcefali, indicherebbero un’azione propagandistica dello Stato Islamico volta a riaffermare il suo potere in un momento di particolare debolezza politico-militare: sarebbe imminente l’offensiva delle forze alleate irachene per riprendere Mosul, la città moderna dove si trova l’antica Ninive”.
Iraq. “Le mura di Ninive sotto attacco dell’Isis”: l’allarme in un post del prof. Brusasco, archeologo orientalista, sulla pagina Fb di Archeologia Viva. I miliziani nel 2015 avevano già distrutto una parte delle mura millenarie della capitale assira
“I miliziani dello Stato Islamico sono tornati ad attaccare le mura e le porte monumentali di Ninive”. A lanciare l’allarme, attraverso la pagina Facebook della rivista “Archeologia Viva” (Giunti editore) diretta da Piero Pruneti, il professore Paolo Brusasco dell’Università di Genova, archeologo orientalista, attualmente direttore di un progetto di indagine e scavo nel Kurdistan iracheno, cioè proprio nella regione di Ninive, una delle più famose città antiche, sulla riva sinistra del Tigri a Nord della Mesopotamia, capitale del regno assiro sotto il re Sennacherib (704 – 681 a.C.), che l’ampliò e abbellì. Con Assurbanipal (668 – 626 a.C.) raggiunse l’apice del suo splendore, quando le mura si estendevano per 12 chilometri su un territorio di 750 ettari.

Il prof. Brusasco, archeologo orientalista, ha lanciato l’allarme: l’Isis sta attaccando le mura di Ninive
“Notizie da fonti locali attendibili ci hanno comunicato (ancora non sono pervenute immagini) lo spianamento con bulldozer da parte dell’Isis della celebre porta urbica di Mashki a Ninive”, si legge nel post. Anche se ricostruita in crudo negli anni di Saddam Hussein e quindi nel 2009, il monumento è di straordinaria importanza storica: si tratta della “Porta dell’abbeveraggio” citata nelle fonti del sovrano neoassiro Sennacherib, utilizzata per condurre le mandrie ad abbeverarsi nelle acque del fiume Tigri. Si trova sul lato occidentale delle fortificazioni di Ninive. “Si teme anche per l’integrità di queste spettacolari opere di difesa in crudo (12 chilometri di perimetro, larghe sino a 45 metri, alte oltre 10, rivestite in pietra e protette da torri merlate)”, spiega sempre il post, che cingevano la capitale di 750 ettari, la città che la Bibbia descrive come “larga tre giornate di cammino” (Libro di Giona 3,3).

Nel gennaio 2015 i miliziani hanno distrutto una porta monumentale delle mura di Ninive, distruzione documentata da un video
In antichità, quindici porte turrite, che portavano i nomi dei principali dèi del pantheon mesopotamico, si innalzavano per oltre 23 metri sul livello di campagna. Quella di Nergal (sul lato nord delle mura), protetta da tori alati androcefali, è stata distrutta dall’Is il 29 gennaio 2015, come confermato da un video del 26 febbraio 2015. Nello stesso mese i miliziani dello Stato Islamico assaltano il museo di Mossul e ne distruggono i reperti (vari dei quali copie in gesso) richiamandosi all’idolatria condannata dall’Islam, accanendosi anche su alcune statue monumentali degli scavi, ma avendo cura di vendere sul mercato clandestino delle opere d’arte vari reperti trafugati dai musei e dai siti archeologici caduti in loro possesso.






























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